Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-07-2011) 04-08-2011, n. 31096

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 30.10.2007, il Tribunale di Napoli, fra l’altro, dichiarò Li.Vi., Co.Ed., B. C., C.A., V.C., Se.Lu., Vi.Ma., Si.Ga., La.Gi., A.G., F.G., L.A., Li.

M., T.A., Be.Gi., L. M., Ma.Ra., Ma.Sa., Mi.Ma. e S.L. colpevoli dei reati loro ascritti (associazione di tipo mafioso ed altro, come specificato nella sentenza impugnata), esclusa per S. la circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7.

Dichiarò inoltre B.P., M.P. e R. G. colpevoli del reato di cui al capo a del decreto che dispone il giudizio 23.2.2005 e del decreto che dispone il giudizio del 23.2.2005 (associazione di tipo mafioso).

Concesse le attenuanti generiche a Be.Gi., L. M., Ma.Ra. e Mi.Ma., condannò:

– Li.Vi. e Co.Ed. unificati i reati loro ascritti sotto il vincolo della continuazione, alla pena di anni 12 di reclusione ciascuno;

– Si.Ga., unificati i reati a lui ascritti sotto il vincolo della continuazione, alla pena di anni 11 di reclusione;

– Li.Ma. e T.A. alla pena di anni 4 mesi 6 di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa ciascuno;

Be.Ci. e V.C., unificati i reati loro ascritti sotto il vincolo della continuazione, alla pena di anni 8 di reclusione ciascuno;

– C.A. alla pena di anni 7 di reclusione;

– Se.Lu., unificati i reati a lui ascritti sotto il vincolo della continuazione, alla pena di anni 7 mesi 6 di reclusione;

– Vi.Ma., unificati i reati a lui ascritti sotto il vincolo della continuazione, alla pena di anni 8 di reclusione;

– F.G. alla pena di anni 7 di reclusione;

– La.Gi. alla pena di anni 6 di reclusione;

– La.Al. e A.G., unificati i reati loro ascritti sotto il vincolo della continuazione, alla pena di anni 7 mesi 6 di reclusione ciascuno;

– R.G. alla pena di anni 7 di reclusione;

– B.P. e M.P. alla pena di anni 7 mesi 6 di reclusione ciascuno;

– Ma.Sa. alla pena di anni 6 mesi 6 di reclusione ed Euro 2.500,00 di multa;

– Le.Ma., Ma.Ra. e M. M. alla pena di anni 6 di reclusione ed _ 1.800,00 di multa ciascuno;

– Be.Gi. alla pena di anni 4 di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa;

– S.L. alla pena di anni 4 mesi 6 di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa;

oltre alle pene accessorie conseguenti.

Gli imputati furono condannati in solido al risarcimento dei danni (da liquidarsi in separato giudizio) ed alla rifusione delle spese di giudizio a favore delle parti civili.

Avverso tale pronunzia i predetti ed altri imputati proposero gravame e la Corte d’appello di Napoli, con sentenza in data 20.10.2009, in parziale riforma della decisione di primo grado:

– ritenuta nei confronti di Li.Vi. la continuazione fra i fatti oggetto del presente procedimento e quelli giudicati con sentenza 22.1.1996 della Corte d’appello di Napoli, rideterminò la pena in anni 15 di reclusione, ivi assorbita la pena di anni 7 di reclusione inflitta con la sentenza 22.1.1996;

– ritenuta nei confronti di Co.Ed. la continuazione fra i fatti oggetto del presente procedimento e quelli giudicati con sentenza 18.12.1997 del Tribunale di Napoli, rideterminò la pena in anni 17 di reclusione, ivi assorbita la pena di anni 10 di reclusione ed Euro 2.065,83 di multa inflitta con la sentenza 18.12.1997;

– ritenuta nei confronti di Li.Ma. e T.A. la continuazione fra i fatti oggetto del presente procedimento e quelli giudicati con sentenza 16.6.2004 della Corte d’appello di Napoli, determinò l’aumento di pena in anni 2 di reclusione e così la pena complessiva di anni 10 di reclusione per Li.Ma. e di anni 8 di reclusione per T.;

– esclusa per S.G. l’ipotesi di cui all’art. 416 bis c.p., comma 2 e concesse le attenuanti generiche rideterminò la pena in anni 4 mesi 6 di reclusione;

– concesse a C.A., Se.Lu., Vi.Ma., L.A., A.G., La.Gi., B.P., M.P., R.G. e F.G. le attenuanti generiche determinò la pena per C.A., Se.Lu., A.G., La.

G., B.P., M.P., R. G. e F.G. in anni 4 di reclusione, per Vi.Ma. in anni 4 mesi 6 di reclusione e per L. A. in anni 5 di reclusione;

– riconosciuta a Ma.Sa., Ma.Ra., Mi.Ma., Le.Ma. e Be.Gi. la circostanza attenuante di cui all’art. 648 bis c.p., comma 3 e le attenuanti generiche a Ma.Sa. rideterminò la pena in anni 3 di reclusione ed Euro 800,00 di multa;

– riconosciuta a S.L. la circostanza attenuante di cui all’art. 648 bis c.p., comma 3 rideterminò la pena in anni 2 mesi 6 di reclusione ed Euro 800,00 di multa;

– ridusse la pena inflitta a Be.Ci. e V.C. ad anni 6 di reclusione;

– sostituì le pena accessorie di conseguenza;

– confermò nel resto la sentenza impugnata.

Ricorrono per cassazione A.G., B.P., Be.Ci., Be.Gi., C.A., Co.

E., F.G., L.A., La.

G., Li.Ma., Le.Ma., L. V., M.P., Ma.Ra., Ma.Sa., M.M., R.G., S.L., Se.Lu., Si.Ga., T. A., V.C. e Vi.Ma..

Il difensore di A.G., M.P., Ma.Ra., Ma.Sa. e Mi.Ma. deduce:

1. violazione della legge processuale in relazione alla mancata consegna alla difesa dei supporti magnetici relativi alle intercettazioni indicate come fonti di prova, al momento del deposito ex art. 415 bis c.p.p.; a fronte della reiterazione della richiesta il P.M. con ordinanza la respingeva; la richiesta fu respinta anche all’udienza preliminare e nel giudizio di primo grado; a fronte di ciò la difesa chiese la trascrizione di tutte le conversazioni, ma la richiesta fu respinta; la Corte territoriale ha respinto il motivo di gravame sull’assunto che la normativa processuale vigente all’epoca non consentiva altra scelta e che la sentenza n. 336/2008 della Corte costituzionale era intervenuta successivamente; peraltro una sentenza dichiarativa di illegittimità costituzionale opererebbe retroattivamente;

2. violazione della legge processuale in relazione alla mancata rinnovazione del dibattimento per escutere ai sensi dell’art. 195 c.p.p. Ca.Pa. e Ci.;

3. violazione della legge processuale in relazione alla mancata effettuazione di una perizia fonica sulla conversazione 3.2.2001 tra At.Ga. e G.C.;

4. vizio di motivazione per la mancata motivazione sulla richiesta di accertare di chi fosse l’utenza telefonica attribuita a Ma.

R., il cui numero fu rinvenuto nell’agendina di un coimputato;

5. vizio di motivazione in relazione al richiamo alla sentenza di primo grado in ordine alla questione dedotta con il primo motivo di ricorso, prospettata solo con i motivi di appello e che quindi non poteva essere stata esaminata dal Tribunale.

Il difensore di B.P. deduce:

1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla partecipazione di B.P. ad un’associazione di tipo mafioso denominata "Alleanza di Secondigliano; dopo aver richiamato giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte in tema di partecipazione ad associazione mafiosa, si rileva che a B. è addebitata la partecipazione all’associazione in quanto avrebbe svolto la sua attività presso la società Londra Gruppo V Ltd, ritenuta una delle sedi periferiche distaccate, ubicata in Londra, con la funzione di vendita di capi di abbigliamento contraffatti, sotto la direzione di R.G. e J.P., alle dipendenze di Bu.Ma.; si contesta che tale società fosse una struttura periferica dell’associazione criminale ed i prodotti venduti non erano contraffatti; B. era presente all’interno della Vip Moda il giorno 28.12.2001 quando fu effettuata un’ispezione e chiarì che la Londra Gruppo V Ltd acquistava merce dalla Vip Moda; la documentazione acquisita prova i rapporti commerciali e la fatturazione a prezzi inferiori a quello reale di vendita proverebbe solo la sottofatturazione; la conversazione intercettata in data 8.1.2006 tra Bu. e " P." prova che era Bu. a dover dare del denaro a R. e non viceversa, sicchè non si sarebbe di fronte ad una sede periferica che deve consegnare i proventi della vendita ad uno dei componenti del direttorio; inoltre sarebbe opinabile l’identificazione di " P." nel B., posto che anche J. si chiama P., così come M., definito testa di ponte dell’associazione in territorio inglese, sicchè il fatto che la telefonata fosse con un’utenza della Londra Gruppo V Ltd non sarebbe sufficiente a giustificare l’identificazione di " P." nel B.; la Corte d’appello ha ritenuto che la presenza di vari soggetti il 28.12.2001 presso la Vip Moda provasse che era in corso una riunione, ma la simultanea presenza di vari clienti poteva essere determinata dal fatto che era il momento in cui si redigevano i bilanci; quanto alla conversazione la Corte territoriale ha ritenuto il contenuto non molto importante essendo i conteggi complicati e che ciò che contava era la mancanza di autonomia gestionale di B., R. e M.P.; sarebbe erroneo ritenere che tali elementi provino la costante permanenza del vincolo associativo; vi sarebbe stata segmentazione e frammentazione dei complessivi elementi indizianti, con valutazione parziale, de contestualizzazione degli stessi e selezione su scelte incontrollabili; il contesto non viene esaminato al fine di distinguere le società sane da quelle inserite nel presunto sistema camorristico e da quelle che, seppure sfruttate non sono asservite a tale sistema; non sono stati applicati i parametri dell’organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio; nel caso in esame non vi sarebbe partecipazione interna, difettando in capo a B. l’affectio societatis, ma un rapporto estemporaneo, limitato nel tempo e definito nel contenuto;

2. mancata assunzione di una prova decisiva in relazione alla esclusione della telefonata 26.6.2000 ore 7.36 tra soggetto identificato (opinabilmente) in B. e Bu.; la telefonata non era stata correttamente trascritta, ma il giudice di primo grado avrebbe dovuto far effettuare una nuova trascrizione o comunque ascoltarla; tale telefonata proverebbe che la società aveva urgenza di essere pagata per soddisfare le richieste di pagamento di altri fornitori; la conversazione avrebbe provato che B. non era gestore di fatto della società londinese; la Corte territoriale ha risposto che gli imputati avrebbero potuto provare di aver acquistato merce presso aziende non legate all’associazione, trascurando che la difesa aveva prodotto tutte le fatture relative agli acquisti;

3. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’associazione di tipo mafioso, che è tale in ragione dei mezzi usati e non dei fini perseguiti; sarebbe necessaria la prova di atti di violenza o minaccia o di intimidazione in forza del vincolo associativo, idonei a produrre una situazione di assoggettamento e di omertà; la Corte territoriale ha fondato la sussistenza dell’associazione sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, intercettazioni e sentenze irrevocabili; i collaboratori Gi.Gu. e Gi.Ra. si sarebbero contraddetti circa l’anno di entrata dell’omonimo clan nell’alleanza di Secondigliano; Gu.Ga. non ha specificato di quale clan federato aveva fatto parte; le intercettazioni e le sentenze proverebbero l’esistenza di una precedente associazione non l’attualità della carica intimidatoria.

Il difensore di Be.Ci., Avv. Raffaele Esposito, deduce:

1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al reato associativo: a fronte della doglianza, svolta nei motivi di appello, secondo la quale la conversazione ambientale del 5.12.2001 ore 11.05 tra Bu.Ma. e Ba.Ma. connotava Be.Ci. come soggetto non funzionale al gruppo malavitoso, la Corte territoriale ha risposto, richiamando il contenuto di altra conversazione (13.12.2001 ore 17.48 fra gli stessi soggetti) e affermando che erano irrilevanti le notazioni difensive sull’epoca dell’affidamento della somma a Be.Ci. e sulla natura personale del prestito, posto che non veniva spiegato perchè la missiva non era indirizzata a Be.Ci. ma a Bu.; in tale motivazione vi sarebbe illogicità, così come nell’assunto che la missiva sia stata scritta e mancherebbe la correlazione con la doglianza; nei motivi di appello era stato altresì dedotto che la condotta di Be.Ci. era configurabile come contigua, come quella di un imprenditore strumentale, ma autonomo rispetto all’associazione mafiosa, citando varie intercettazioni a sostegno di tale assunto; la Corte territoriale non confuterebbe tali argomenti, ma si limiterebbe a richiamare massime giurisprudenziali in tema di associazione mafiosa e ad affermare che Be.Ci. è stabilmente inserito nell’associazione in quanto da tale inserimento ha tratto innegabili benefici, sulla scorta della conversazione del 12.10.2001 tra B. e Be.Ci., senza chiarirne la valenza probatoria e senza un’adeguata esplicazione del significato attribuito alla stessa (malattia nel senso di appartenenza);

l’interpretazione è avvenuta sulla scorta di "a priori" basati su due circostanze: il controllo di Be.Ci. insieme a Li.Vi., latitante, nel 1994 e l’arresto di L. P. a Praga il 7.6.1979 in possesso di una carta d’identità intestata al fratello di Be.Ci. di nome g., estendendo al primo l’indizio a carico del fratello; la Corte territoriale ha ritenuto, non condividendo l’opinione del Tribunale, che si sia in presenza di una associazione che non sarebbe nuova e diversa dalla storica consorteria criminale di Secondigliano; ma Be.Ci. non era mai stato coinvolto nei pur numerosi procedimenti relativi alla predetta organizzazione; la sentenza impugnata per profilare Be.Ci. come imprenditore mafioso, con riferimento alla Vip Moda, richiama l’intenzione dell’imputato di costituire una società per la commercializzazione dei trapani, coinvolgendo Co.Ed.; in particolare viene richiamata la conversazione 15.1.2002 tra Be.Ci. e Bu., identificando arbitrariamente Ed. in Co.Ed., solo in base alla somiglianza del nome ed a partire dalla dichiarazione di Ag.; la Corte d’appello fonda la connotazione mafiosa del Vip Moda sulla varietà dei prodotti commercializzati e sull’incontro reso necessario dalla lettera di U.V., congetturalmente ricostruita, senza in realtà dimostrare che l’impresa fosse mafiosa e che la condotta di Be.Ci. fosse di tipo associativo; nei motivi di appello erano state richiamate conversazioni (13.12.2001 tra Bu. e Ba.; 16.3.2002 tra Bu.Ma. e Ba.Sa.), che proverebbero la realizzazione da parte di Be.Ci.; la Corte territoriale non avrebbe dimostrato la partecipazione; non sarebbe stata spiegata la contraffazione dei marchi se non con il richiamo al lettera "V", attribuita al marchio Valentino; non vi è alcuna motivazione in ordine alla richiesta di derubricare l’imputazione di cui all’art. 416 bis c.p. in quella di cui all’art. 416 c.p.;

2. vizio di motivazione in ordine alla circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis c.p., comma 4 desunta solo da precedenti sentenze, trascurando che l’attività dell’associazione era esclusivamente relativa ad operazioni commerciali; in ogni caso Be.Ci. ignorava la disponibilità di armi;

3. vizio di motivazione in relazione alla circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis c.p., comma 6 non essendo dimostrato in che cosa sarebbe consistito il controllo di attività economiche;

4. vizio di motivazione in relazione alla circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 per il capo B, applicata per automatismo;

5. vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche solo in ragione di un supposto ruolo apicale.

Il difensore di Be.Gi., Avv. Raffaele Esposito, deduce:

1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al reato di cui all’art. 648 bis c.p. in quanto il reato di riciclaggio richiede attività volte ad ostacolare l’identificazione dei beni o del denaro provenienti da delitto, in ciò differenziandosi dalla ricettazione; la Corte territoriale non ha considerato che le somme avevano come mittenti o destinatari persone legate da vincoli di parentela e che il denaro circola tra loro senza attività di ripulitura; nessuna motivazione vi è sul dolo inteso come volontà di occultare la provenienza del denaro; 2. violazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione alla circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7; non è sufficiente ad integrare l’aggravante la semplice consapevolezza della possibile agevolazione dell’associazione, ma è necessario che questa finalità sia motivo specifico dell’azione; la Corte d’appello ha invece ritenuto sufficiente la mera consapevolezza dell’agevolazione dell’associazione camorrista; nulla è detto sull’idoneità della condotta ad agevolare l’associazione; sono state ignorate tutte le doglianze difensive svolte nei motivi di appello circa l’inesistenza di legami tra l’imputata e l’associazione.

Il difensore di Be.Ci., Be.Gi. e F. G., Avv. Ercole Ragozzini, deduce:

1. con riferimento a Be.Ci. e F.G.: violazione di legge per essere stata ritenuta la sussistenza di un’associazione di tipo mafioso in carenza dei presupposti previsti dalla norma, come chiarito dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, pur rappresentata nei motivi di appello; sono necessari la consapevolezza di aver formato un vincolo associativo a fine criminoso, la permanenza di questo vincolo, la predisposizione comune di mezzi per la realizzazione del programma criminoso, la consapevolezza di far parte dell’associazione e la disponibilità ad operare per l’attuazione del programma; le condotte dei ricorrenti sarebbero state autonome dimostrando l’inesistenza del pactum sceleris; nessuna delle sentenze definitive acquisite riguarda i ricorrenti, i quali neppure sono attinti dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia; le intercettazioni avrebbero carattere neutro ed anzi danno atto del carattere conflittuale dei rapporti e dell’esistenza del metus verso gli esponenti del sodalizio; la stessa sentenza impugnata ha distinto tra imprenditori collusi ed imprenditori vittime; la Corte territoriale non ha motivato su tale punto decisivo, ignorando le deduzioni difensive secondo le quali i ricorrenti avrebbero agito esclusivamente per la tutela dei propri interessi commerciali; la Corte territoriale ha dato per scontato, anzichè dimostrare, che si fosse in presenza di imprenditori collusi e su tale assunto ha letto le intercettazioni; ha dato una lettura delle stesse diversa da quella del Tribunale con riferimento a Pe., convenendo su quella data per F.; ha affermato che costui conosceva i nomi delle imprese che fabbricavano capi con marchi contraffatti, come se ciò fosse sicuro segno di appartenenza ad un’associazione camorrista; sarebbe contraddittoria la motivazione in ordine alla denunciata situazione di metus e di timore;

trascurando la situazione di assoggettamento anche di non intranei all’associazione, non motivando specificamente sulle singole posizioni;

2. con riferimento a tutti e tre i ricorrenti: vizio di motivazione in quanto nel trascrive brani di intercettazioni i giudici di merito hanno trattato cumulativamente le posizioni degli imputati; in particolare, con riferimento a Be.Gi. la Corte territoriale avrebbe omesso di esaminare l’elemento soggettivo relativamente all’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, limitandosi a rinviare alla parte generale ed alle posizioni Ba. e Le.; con riferimento a Be.Ci. avrebbe omesso l’esame dell’elemento soggettivo in relazione alle aggravanti di cui all’art. 416 bis c.p., commi 4 e 6 e di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, limitandosi a rinviare alla parte generale; con riferimento a F.G. avrebbe omesso l’esame dell’elemento soggettivo del reato associativo, limitandosi a rilevare che i collaboratori di giustizia lo indicavano come affiliato e che rivestiva un ruolo non di primo piano;

3. con riferimento a Be.Gi.: violazione di legge e vizio di motivazione in quanto l’affermazione di responsabilità è avvenuta in base alle dichiarazioni rese dalla stessa in fase di indagini preliminari, che erano relative solo al reato di commercializzazione di giubbini con il marchio contraffatto con il marito e con il padre e non alla partecipazione o al favoreggiamento di attività camorristica (altrimenti la stessa, che non è una collaboratrice, avrebbe preferito non rispondere); la Corte d’appello ha omesso l’esame dell’elemento soggettivo della circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7;

4. con riferimento a F.G.: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato associativo, contraddittoriamente con l’assoluzione di Pe., solo sulla base di intercettazioni che potevano dimostrare soltanto rapporti commerciali leciti; come chiarito nelle dichiarazioni dell’imputato, non vagliate dalla Corte territoriale;

le conversazioni tra Z.P. e F.G. non presentano connotazioni illecite (conversazioni n. 347 e 366); non è stato esaminato l’elemento soggettivo del reato; F. al più sarebbe stato consapevole di trattare merce con marchi contraffatti;

la motivazione è cumulativa per tutti gli imputati; non è stata data risposta alla tesi difensiva svolta nei motivi di appello;

5. con riferimento a Be.Ci.: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità nonostante il forte disappunto manifestato da Li.Vi. che proverebbe la estraneità di Be.Ci. all’associazione;

sarebbe illogico il passaggio per il quale, poichè le somme che Be.Ci. avrebbe dovuto custodire furono impiegate nella Vip Moda, sarebbe provata la mafiosità della società e quindi del ricorrente, integrando con congetture il vuoto probatorio; quanto alla contraffazione non sarebbe stato considerato che le macchine fotografiche a marchio Canonmatic erano state dissequestrate; sarebbe stato omesso l’esame dell’elemento soggettivo del reato; non vi sarebbe motivazione sull’ipotesi che Be.Ci. fosse un imprenditore vittima.

Il difensore di C.A. deduce:

1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato associativo; tale reato richiede il dolo specifico, con esclusione del dolo eventuale, invece per i giudici di merito chiunque abbia avuto a che fare con i membri del c.d. "Direttorio" è colpevole di associazione mafiosa a prescindere da approfondimenti sulla consapevolezza del ruolo di tali soggetti all’interno di un clan camorristico; C. operava come imprenditore prima che la camorra si introducesse nel settore ed ebbe rapporti solo con Bu., incensurato che operava da anni nel settore della produzione di abbigliamento, sicchè non vi è prava che sapesse del ruolo di costui; alle deduzioni svolte sul punto con i motivi d’appello non sarebbe stata data risposta, essendosi limitata la Corte territoriale a rilevare che non vi era nullità nella mancata risposta da parte del Tribunale alle memorie difensive e fondando l’elemento soggettivo su quattro elementi, l’apposizione di determinate etichette, le minacce a V., la conquista del mercato e la commercializzazione di trapani e macchine fotografiche pur non rientranti nell’oggetto sociale, nonchè nell’identificazione in C. di " An." di cui ad una sola conversazione ed ipotizzando la confluenza nella cassa del clan degli introiti delle imprese per la successiva ripartizione; tali circostanze erano state contestate nei motivi di appello ed il confronto tra tali motivi (riportati nel ricorso) e la sentenza renderebbe evidente che non è stata data risposta alle doglianze svolte; era stata proposta un’interpretazione della conversazione fra C. e Se.Lu. che dimostrerebbe come sarebbe una mera congettura la confluenza dei guadagni dell’impresa di C. in una cassa comune del clan, ma anche a ciò non sarebbe stata data risposta; è un errore di fatto che C. abbia commercializzato trapani o macchine fotografiche;

2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato esame del motivo di appello nel quale si censurava la mancata risposta del Tribunale alla richiesta di dissequestro dei beni confiscati;

3. violazione di legge e vizio di motivazione sull’aggravante di cui all’art. 416 bis c.p., comma 4 relativamente alla consapevolezza della disponibilità di armi da parte dell’associazione e la funzionalità dell’utilizzo di tali armi agli scopi dell’associazione; la motivazione sarebbe sostanzialmente inesistente limitandosi a richiamare elementi generali, senza riferimento a risultanze di fatto.

Il difensore di Co.Ed. deduce:

1. vizio di motivazione in relazione ai criteri di valutazione delle sentenze irrevocabili; la Corte territoriale non le avrebbe valutate utilizzando il criterio di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3; ha ritenuto che l’associazione mafiosa per la quale qui si procede non sarebbe che la prosecuzione della storica Alleanza di Secondigliano, senza valutare l’attualità e concretezza del metodo mafioso; con riferimento alla posizione di Co., sulla scorta della pregressa adesione è stata ritenuta provata la perdurante partecipazione all’attuale associazione, considerata prosecuzione della precedente; l’imputato era stato detenuto, per il fatto per il quale era stato condannato con sentenza 18.12.1997 del Tribunale di Napoli, irrevocabile, dal gennaio 1994 al novembre 2000, in regime ex art. 41 bis ordinamento penitenziario; la detenzione avrebbe comunque interrotto il vincolo associativo e tale aspetto è stato trascurato dai giudici di gravame, i quali non avrebbero individuato alcun elemento fattuale da cui desumere la partecipazione nè alcun contributo causale all’associazione, tanto più che a Co. è contestata la qualità di capo e promotore;

2. vizio di motivazione in relazione alla mancata consegna dei nastri relativi alle intercettazioni, la sentenza 8.10.2008 (n. 336) della Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 268 c.p.p.; la violazione del diritto di difesa determinerebbe la nullità del giudizio e comunque la inutilizzabilità delle intercettazioni;

3. vizio di motivazione in relazione ai criteri di valutazione delle intercettazioni con riferimento all’identificazione di tale Ed. nell’imputato con ragionamento tautologico ed autoreferenziale; in relazione ai presunti rapporti tra Co. ed At., la difesa di quest’ultimo aveva chiesto una perizia fonica in relazione alla conversazione 3.2.2001 tra At.

G. e G.C., laddove si afferma che nella conversazione intervenne Li.Ma.; tale telefonata la Corte d’appello ha affermato di non aver utilizzato contro At., ma l’avrebbe utilizzata a carico di Co.;

4. vizio di motivazione in relazione all’aggravante di cui all’art. 416 bis c.p., comma 4, solo in base alle pregresse sentenze, senza riferimento all’attualità e sulla sola presunzione che un’associazione camorristica debba essere armata;

5. vizio di motivazione circa l’aggravante di cui all’art. 416 bis c.p., comma 6; le precedenti sentenze avevano escluso l’aggravante, sicchè sarebbe stato necessario uno specifico sforzo motivazionale;

6. vizio di motivazione in relazione all’imputazione di cui al capo B) in quanto il reato di cui all’art. 517 c.p. richiede l’utilizzazione di un marchio confondibile con un altro; tale non sarebbe la A capovolta in modo da sembrare un V, sia perchè non confondibile, sia perchè comunque è riferita a due diversi marchi, Versace e Valentino; mancherebbe la motivazione sia in relazione alla circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, che al concorso dell’imputato nel reato di cui al capo B);

7. vizio di motivazione in relazione alla determinazione della pena.

Il difensore di L.A. deduce:

1. violazione della legge processuale in relazione all’irregolare rapporto processuale nel giudizio d’appello; l’imputato era stato citato innanzi alla 3^ Sezione penale della Corte d’appello di Napoli; per l’astensione di uno dei magistrati il procedimento fu inviato prima alla 5^ Sezione e posi alla 6^ Sezione, ma il rinvio a data fissa non fu seguito da una nuova notifica del decreto di citazione e l’imputato rimase contumace;

2. violazione di legge in relazione al reato associativo in quanto L.A. è accusato di essere un collettore economico di ripulitura di capitali e di aver gestito un’attività imprenditoriale in odore di camorra, utilizzando la forza dell’associazione mafiosa per eliminare la concorrenza; di ciò mancherebbe prova: il ricorrente svolge attività di vendita di giubbini in pelle in Berlino, mentre la condotta oggetto del procedimento sarebbe avvenuta in Chemnitz dove si assume in sentenza che L.A. avrebbe gestito un’attività per conto dei Li.; tale attività peraltro fu chiusa nel 1996; la conversazione fra L.A. e Bu. del 24.5.1999 ore 11.30 sarebbe relativa agli obblighi fiscali verso la Germania; le telefonate tra Li.Pi. e tali Or. e si., ricondotte all’uso della forza di intimidazione, come la similare attività nei confronti di Vi. e Pa. sono risalenti agli anni 90, ma in tale periodo non vi era l’attività presupposto per l’associazione; la vicenda della consegna di denaro durante la latitanza Li.

P. riguarderebbe solo La.Gi.; l’esame delle intercettazioni, secondo la lettura della difesa, escluderebbe la partecipazione del ricorrente al sodalizio; sulle doglianze difensive la motivazione sarebbe carente; le indagini tedesche non avrebbero evidenziato uso della forza di intimidazione;

3. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis c.p., comma 4 in quanto non è mai stato fatto uso di armi in Germania;

4. violazione della legge processuale e vizio di motivazione in quanto L.A. non sarebbe stato estradato per il reato di cui al capo B) e la Corte d’appello ha affermato che l’estradizione coprirebbe tale reato perchè delineato nella imputazione per il reato associativo.

La.Gi. deduce:

1. violazione della legge processuale in relazione all’irregolare rapporto processuale nel giudizio d’appello; l’imputato era stato citato innanzi alla 3^ Sezione penale della Corte d’appello di Napoli; per l’astensione di uno dei magistrati il procedimento fu inviato prima alla 5^ Sezione e posi alla 6^ Sezione, ma il rinvio a data fissa non fu seguito da una nuova notifica del decreto di citazione e l’imputato rimase contumace;

2. vizio di motivazione in quanto l’affermazione di responsabilità sarebbe avvenuta sull’assunto che l’assistenza ai latitanti potrebbe essere prestata solo da intranei all’associazione; il ricorrente non avrebbe mai svolto attività di commercializzazione sul mercato tedesco di prodotti con marchi contraffatti; la sua posizione sarebbe stata trattata unitariamente con quella del fratello pur essendo distinta; le intercettazioni proverebbero l’estraneità del ricorrente al sodalizio; il versamento di una somma di denaro a La.Gi. da parte di Li.Pi. sarebbe una mera liberalità.

Le.Ma. deduce:

1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 648 bis c.p. (capo C) pur ritenendo implicitamente che i c.d. magliari siano responsabili del reato di cui all’art. 517 c.p., in quanto incaricati della vendita di prodotti già contraffatti, senza chiarire perchè lo stesso non sia reato presupposto di quello di riciclaggio, con conseguente non punibilità, sull’assunto che non sarebbero concorsi nel reato di cui all’art. 473 c.p. in quanto in tale reato non è compresa la vendita di prodotti non contraffatti, trascurando che la vendita è prevista dal reato di cui all’art. 517 c.p., compreso nel capo B); a fronte dello specifico motivo di appello la motivazione è apodittica, perchè se la merce contraffatta non fosse stata anche venduta non vi sarebbero stati proventi; i proventi deriverebbero perciò sia dal reato di cui all’art. 473 che da quello di cui all’art. 517 c.p.; pertanto coloro che sono concorsi nel reato di cui all’art.. 517 c.p., come il ricorrente, (ritenuto in sentenza un magliaro) non sono punibili per il riciclaggio dei proventi di tale reato; la Corte territoriale si è soffermata sulla distinzione fra il reato di cui all’art. 473 e quello di cui all’art. 474 c.p., che non rientra fra le imputazioni;

2. vizio di motivazione in relazione alla mancata risposta alle doglianze svolte nei motivi di gravame circa la mancanza di elementi di prova da cui desumere che i trasferimenti di denaro effettuati dal ricorrente siano afferenti capitali riciclati destinati all’associazione camorrista (solo sulla base dell’essere egli genero di Be.Ci.), nonchè al numero, importi e cadenza temporale dei trasferimenti di denaro (trattandosi singolarmente di piccole somme, frutto dei suoi guadagni, trasferite ai familiari); una puntuale ricostruzione, sollecitata dalla difesa avrebbe dato verosimiglianza alla tesi difensiva, mentre la Corte territoriale si è limitata a richiamare l’ammontare complessivo delle somme trasferite; inoltre non è stato valutato per quale ragione i trasferimenti di denaro non possano essere ricondotti a rapporti di parentela o commerciali, limitandosi a richiamare le considerazioni svolte a proposito di S., nei confronti del quale le prove erano diverse, essendo egli destinatario e non mittente dei trasferimenti;

3. vizio di motivazione per la mancata risposta alle doglianze difensive circa l’inidoneità di sottofatturazioni ad integrare il delitto di riciclaggio; il denaro sottratto al fisco non è di provenienza da reati finanziari, perchè preesiste ad essi; con riferimento a Pe. la Corte d’appello ha precisato che l’evasione fiscale non è indizio di riciclaggio;

4. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, che richiede il precipuo scopo di agevolare l’attività dell’associazione; nessuna valutazione è stata operata in ordine al fatto che il ricorrente potesse aver voluto favorire solo Be.

C. e non anche l’associazione di tipo camorristico.

Il difensore di Li.Ma. deduce:

1. violazione di legge e vizio di motivazione in quanto l’affermazione di responsabilità è avvenuta in base a precedente sentenza di condanna irrevocabile per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., che si fondava sulle dichiarazioni di Gi.Lu., il quale ha definito la Li.Ma. mente e cassiera e sul colloquio fra la Li.Ma. ed il marito nella Casa circondariale di Benevento, nonchè in base ad alcune intercettazioni riguardanti Z. e Bu.; la Corte d’appello avrebbe dovuto valutare le fonti poste a base della precedente sentenza; il collaboratore di giustizia Gi.Lu. non si sarebbe mai interessato dell’attività di commercio di capi di abbigliamento con marchi contraffatti ed avrebbe appreso quanto riferito de relato da Fr.Ma., il quale a sua volta rinviava ad altra fonte S. C.; per quanto riguardava il commercio dei trapani se ne erano interessati i suoi fratelli gu. e ra., le cui dichiarazioni sarebbero contrastanti; sarebbe illogica l’interpretazione data dai giudici di merito alla conversazione fra la Li.Ma. ed il marito intercettata in carcere; le conversazioni fra Z. e Bu. non farebbero riferimento alla Li.Ma.;

2. violazione di legge vizio di motivazione in relazione alla circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 richiamando le ragioni esposte nel ricorso nell’interesse di Li.Vi.; in ogni caso non vi è nulla con riferimento alla posizione di Li.Ma. e non vi è prova che i proventi vadano a confluire nella cassa comune e non vengano trattenuti dalla ricorrente e dai suoi familiari;

3. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla determinazione dell’aumento di pena in continuazione con quella inflitta con la sentenza passata in giudicato.

Il difensore di Li.Vi. deduce:

1. violazione della legge processuale e vizio di motivazione in relazione al divieto di bis in idem rispetto al reato associativo di cui alla sentenza irrevocabile 7.11.1994; le indagini cessarono nel 2002, il ricorrente fu detenuto dall’agosto 1994 al luglio 2002, la sentenza di primo grado, che aveva interrotto la permanenza del reato associativo era intervenuta nel novembre 1994; non sono indicati nuovi elementi specifici verso l’imputato, ma solo altri soggetti; le intercettazioni degli anni 90 richiamate non attengono al ricorrente;

non potrebbe essere posta a fondamento della ritenuta prosecuzione della condotta una conversazione con premessa doppiamente ipotetica;

la Corte territoriale ha risposto all’obiezione difensiva con personali deduzioni ed inferenze logiche che non troverebbero riscontri nelle emergenze processuali; circa la consegna dei 700.000.000 di lire è ipotesi in malam partem che sia avvenuta dopo l’inizio della detenzione del ricorrente; non si comprende sulla base di quali elementi è stato interpretato che tale somma sia una quota dei proventi spettanti all’imputato e che l’interessamento di costui sia a tale somma e non a tutti i proventi; non sarebbe perciò stata dimostrata l’infondatezza della doglianza difensiva;

2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato associativo: nessuno dei collaboratori di giustizia, che pure hanno fatto riferimento all’interessamento del clan Licciardi nel commercio di abiti contraffatti, ha mai menzionato fra i coinvolti Li.

V., pur indicandolo quale soggetto apicale del clan; la circostanza è celata in motivazione Che fa riferimento all’intero nucleo familiare Li.; anche dalla intercettazioni non emerge Li.Vi. come persona alla quale si deve dar conto dell’attività commerciale; anche la lettera giunta ad uno dei coimputati non proverebbe il coinvolgimento del ricorrente; la sentenza impugnata ha risposto alla doglianza difensiva relativa alla sottoposizione a censura della corrispondenza dell’imputato "non esclude" che costui sia riuscito ad eludere il controllo affidandola ad altro soggetto; illogicamente viene confuso il mittente con il destinatario e nessun elemento consente di ritenere che Li.

V. sia il mittente; la frase "lo sciacallo prende 10 milioni e li regala a Ro." sarebbe incompatibile con la provenienza dall’imputato, posto che, secondo la motivazione, costui dovrebbe chiedere il rendiconto di tutti i proventi; nella frase relativa a 500.000.000 indicata a f. 41 della sentenza impugnata non si farebbe alcun riferimento alla divisione di proventi; la conversazione del 16.3.2002 sarebbe probabilistica, generica ed incerta quindi inidonea a provare la partecipazione;

3. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla qualificazione dell’associazione ai sensi dell’art. 416 bis anzichè dell’art. 416 c.p. solo in ragione della presenza di persone già condannate per il primo reato; la Corte territoriale avrebbe dovuto rilevare la differenza dell’attuale associazione rispetto alla precedente e motivare sugli elementi costituitivi di un’associazione e non di concorso di persone nei reati e dalle caratteristiche mafiose; non sarebbe sufficiente il richiamo alle dichiarazioni dei testi Bi., Ca. ed Ag., sulla natura camorristica dei clan Licciardi, Contini e Di Lauro, trattandosi di un convincimento investigativo e non della risultanza di elementi probatori; le intercettazioni non darebbero alcun riscontro; il fatto che tutti i conversanti abbiano contatti con la famiglia Li. non sarebbe sufficiente a provare l’esistenza dell’associazione di tipo camorristico, essendo costoro dei commercianti, fino a quel momento estranei a contesti malavitosi o camorristici;

4. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 alla luce delle ragioni esposte nel precedente motivo, per l’equivocità del riferimento "voi" nelle frasi riportate (che potrebbe indicare il nucleo familiare e non l’associazione) e la mancanza di interventi prima della scarcerazione dell’imputato;

5. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alle circostanze aggravanti dell’essere il ricorrente promotore dell’associazione e di essere questa armata, ritenute solo sulla base di precedenti sentenze senza riferimento ad elementi attuali; non sarebbe sufficiente il riferimento al fatto che il ricorrente abbia chiesto contezza di una somma di denaro da lui affidata;

6. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche solo in riferimento ai precedenti ed alla ritenuta posizione apicale;

7. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla quantificazione della pena, sia con riferimento alla pena base che agli aumenti per continuazione, superiori al minimo edittale.

Il difensore di R.G. deduce:

1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. in quanto l’esistenza di prove o gravi indizi viene affermata apoditticamente; sono richiamate sentenze definitive relative all’associazione denominata Alleanza di Secondigliano e le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, ma R. non compare nè nelle sentenze nè nelle dichiarazioni dei collaboratori;

dalla documentazione e dalle intercettazioni emergerebbe l’estraneità di R., che avrebbe intrattenuto solo rapporti commerciali con fornitori di giacche; il collaboratore Gu.

G. ha fornito un elenco di referenti del sodalizio criminoso, ma in esso non figura R. e nelle dichiarazioni ha indicato vari soggetti, tra cui " Mo." che non sarebbe riconducibile a R.; avrebbe dovuto essere valutata a favore dell’imputato la circostanza che altri collaboratori non abbiano fatto il suo nome; a fronte di un quadro identico sono stati assolti dal G.I.P. i coimputati Bo.Ma. e ma.ra.; l’accusa deriverebbe da un errore di trascrizione nei brogliacci delle intercettazioni: nella telefonata n. 202 del 10.1.2001 secondo la polizia giudiziaria Bu.Ma. direbbe ad At.Ga.:

"sto facendo i conti con Ja.", mentre la trascrizione peritale è: "sto facendo i conti per te"; Ja. è la traduzione del nome di R.G., nato in Australia e non un alias; le telefonate sono peraltro solo 5; l’attività dell’imputato, ritenuto il direttore della Gruppo V Ltd, sarebbe iniziata il 24.3.1998 e non nel 1988 come erroneamente affermato nella richiesta di misura cautelare, poi richiamata dal G.I.P. e recepita dal Tribunale e dalla Corte territoriale; il Tribunale in sede di misura di prevenzione ha rigettato la proposta di applicazione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e di confisca; nessuna valenza probatoria avrebbero i 3 assegni intestati a Bu.Ma., con la sola girata a tergo apposta dall’imputato; l’imputato ha chiarito che si tratta di assegni emessi a pagamento di merce da altri e da costoro girati a Bu.; quanto ai trasferimenti di denaro sarebbero stati effettuati a sua insaputa da altri magliari; non vi sarebbero riscontri alla tesi secondo la quale il magazzino di R. sarebbe stata una sede periferica dell’azienda dei V.; le fatture attestano acquisti da varie case; le intercettazioni non attesterebbero affatto la mancanza di autonomia di R.; anche le dichiarazioni di C.A. escluderebbero il coinvolgimento di R. nell’associazione;

2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis c.p., comma 6 in quanto non potrebbe ritenersi che l’attività commerciale sia stata finanziata in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti;

3. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla quantificazione della pena.

S.L. deduce:

1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 648 bis c.p. (capo C) pur ritenendo implicitamente che i c.d. magliari siano responsabili del reato di cui all’art. 517 c.p., in quanto incaricati della vendita di prodotti già contraffatti, senza chiarire perchè lo stesso non sia reato presupposto di quello di riciclaggio, con conseguente non punibilità, sull’assunto che non sarebbero concorsi nel reato di cui all’art. 473 c.p. in quanto in tale reato non è compresa la vendita di prodotti non contraffatti, trascurando che la vendita è prevista dal reato di cui all’art. 517 c.p., compreso nel capo B); a fronte dello specifico motivo di appello la motivazione è apodittica, perchè se la merce contraffatta non fosse stata anche venduta non vi sarebbero stati proventi; i proventi deriverebbero perciò sia dal reato di cui all’art. 473 che da quello di cui all’art. 517 c.p.; pertanto coloro che sono concorsi nel reato di cui all’art. 517 c.p., come il ricorrente, ritenuto in sentenza un magliaro) non sono punibili per il riciclaggio dei proventi di tale reato; la Corte territoriale si è soffermata sulla distinzione fra il reato di cui all’art. 473 e quello di cui all’art. 474 c.p., che non rientra fra le imputazioni;

2. vizio di motivazione in relazione alla mancata risposta alle doglianze svolte nei motivi di gravame circa la mancanza di elementi di prova da cui desumere che i trasferimenti di denaro effettuati dal ricorrente siano afferenti capitali riciclati destinati all’associazione camorrista (solo sulla base dell’essere egli genero di Be.Ci.), nonchè al numero, importi e cadenza temporale dei trasferimenti di denaro (trattandosi singolarmente di piccole somme, frutto dei suoi guadagni, trasferite ai familiari); una puntuale ricostruzione, sollecitata dalla difesa avrebbe dato verosimiglianza alla tesi difensiva, mentre la Corte territoriale si è limitata a richiamare l’ammontare complessivo delle somme trasferite; inoltre non è stato valutato per quale ragione i trasferimenti di denaro non possano essere ricondotti a rapporti di parentela o commerciali; la Corte territoriale non avrebbe precisato i fatti sulle quali si fonderebbe l’affermazione di responsabilità;

3. vizio di motivazione per la mancata risposta alle doglianze sulla inidoneità di sottofatturazioni ad integrare il delitto di riciclaggio; il denaro sottratto al fisco non è di provenienza da reati finanziari, perchè preesiste da essi; con riferimento a Pe. la Corte d’appello ha precisato che l’evasione fiscale non è indizio di riciclaggio.

Il difensore di Se.Lu. deduce:

1. vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. in quanto l’imputato non sarebbe stato la testa di ponte dell’associazione negli U.S.A., ma avrebbe avuto soltanto rapporti commerciali, per ragioni di convenienza, con una rete di magliari aventi sede nel napoletano; emigrato da oltre 20 anni negli U.S.A. (ciò spiegherebbe la sua condizione di latitante), ha presentato una memoria con la quale ha precisato che il suo unico reato era la vendita di prodotti falsi; la sua estraneità all’associazione sarebbe evidenziata dallo scarso interessamento verso c., arrestato perchè in possesso di prodotti venduti da Se.; dapprima acquistava la merce da Ci. a Ne. e poi da At. perchè praticava prezzi più bassi; la conversazione del 22.1.2001 non proverebbe la partecipazione all’associazione perchè non conoscendo la situazione dello Stato del Texas si era limitato a chiedere spiegazioni ad At.; le telefonate del 27.12.2001 ore 20.53 e 21.07 evidenzierebbero che la sua attività era limitata alla vendita di prodotti falsificati, ma senza utilizzo di marchi contraffatti;

2. vizio di motivazione in relazione alla circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 per le ragioni esposte nel motivo precedente.

Il difensore di Si.Ga. deduce:

1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla dedotta nullità del decreto di fissazione dell’udienza preliminare e del decreto che dispone il giudizio, in conseguenza della nullità derivante dall’omessa richiesta di autorizzazione al ritardo del deposito degli esiti delle intercettazioni, come esposto nell’atto di appello al quale si rinvia; sul punto la sentenza impugnata nulla dice, neppure riportando la questione fra il contenuto dei gravami;

2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. sulla base di alcune intercettazioni che proverebbero attività di commercio di trapani contraffatti nella consapevolezza di operare nell’interesse dell’associazione camorristica denominata Alleanza di Secondigliano, nonchè la partecipazione alla riunione 28.12.2001 presso al sede della Vip Moda; l’elemento soggettivo del reato è stato desunto da una telefonata (richiamata a p. 94 della sentenza impugnata) tra Si. e Bu. nel corso della quale costoro discutono di argomenti inerenti l’esportazione di merce e tensioni con i V.; il riferimento alle tensioni sarebbe di particolare rilievo in quanto da altra conversazione fra altri soggetti (citata sempre a p. 94) emergerebbe che D.L.P. era interessato al commercio di trapani tramite i V.; sarebbe illogico desumere la consapevolezza di ciò in capo a S. in assenza dell’indicazione dell’elemento di prova da cui inferire che il ricorrente fosse a conoscenza dei fatti oggetto della conversazione alle quali non aveva partecipato; quanto alla partecipazione alla riunione presso i magazzini della società Vip Moda sono state disattese le argomentazioni svolte nei motivi di gravame circa le ragioni della presenza di Si. in quel luogo, sulla scorta di elementi di prova richiamati; la sentenza impugnata ha affermato che la tesi difensiva era smentita senza precisare le ragioni di tale assunto; a fronte della ritenuta durata ultra decennale dell’associazione il periodo di ipotizzati contatti fra Si. ed il sodalizio è di un solo anno e la sentenza da atto che la sua attività era il commercio di trapani; mancherebbe del tutto la motivazione in ordine alla permanente consapevolezza di far parte del sodalizio con l’apporto di condotte rilevanti;

3. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis c.p., comma 4 ritenuta sussistente solo sull’assunto che sarebbe illogico ipotizzare un’associazione camorristica non armata, senza riferimento alla consapevolezza o all’ignoranza colposa in capo al ricorrente della disponibilità di armi, pur a fronte della devoluzione difensiva della questione;

4. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 per le ragioni esposte nei motivi che precedono;

5. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla recidiva, ritenuta nonostante Si. avesse un solo precedente penale per diserzione, soggetto ad abolitio criminis; nessuna motivazione vi è nella sentenza impugnata sulla doglianza difensiva;

6. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla confisca dell’immobile in sequestro; nei motivi di appello era stata richiesta la revoca della confisca richiamando una memoria presentata in primo grado; la Corte territoriale si è limitata a rilevare la contemporaneità dell’acquisto del bene con l’epoca del reato, ignorando i dati e le argomentazioni forniti dalla difesa sulla lecita provenienza del bene.

Il difensore T.A. deduce:

1. violazione di legge e vizio di motivazione in quanto l’affermazione di responsabilità è avvenuta in base a precedente sentenza di condanna irrevocabile per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., che si fondava sulle dichiarazioni di Gi.Lu., che ha indicato T. come dedito all’attività di vendita di merce con marchi contraffatti e sul colloquio fra T. e la moglie Li.Ma. nella Casa circondariale di Benevento, nonchè in base ad alcune intercettazioni riguardanti Z. e Bu.; la Corte d’appello avrebbe dovuto valutare le fonti poste a base della precedente sentenza; il collaboratore di giustizia Gi.Lu. non si sarebbe mai interessato dell’attività di commercio di capi di abbigliamento con marchi contraffatti ed avrebbe appreso quanto riferito de relato da Fr.Ma., il quale a sua volta rinviava ad altra fonte Sa.Co.; per quanto riguardava il commercio dei trapani se ne erano interessati i suoi fratelli gu. e ra., le cui dichiarazioni sarebbero contrastanti; sarebbe illogica l’interpretazione data dai giudici di merito alla conversazione fra la Li.Ma. ed il marito intercettata in carcere;

2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 richiamando le ragioni esposte nel ricorso nell’interesse di Li.Vi.; in ogni caso non vi è nulla con riferimento alla posizione di T. e non vi è prova che i proventi vadano a confluire nella cassa comune e non vengano trattenuti dal ricorrente e dai suoi familiari;

3. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla determinazione dell’aumento di pena in continuazione con quella inflitta con la sentenza passata in giudicato.

Il difensore di V.C. deduce:

1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 416 bis c.p.; V.C. non avrebbe mai utilizzato la forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo, avrebbe cessato l’attività nel 1993 e non avrebbe ricoperto incarichi nella Gruppo V s.r.l.; l’attività imprenditoriale sarebbe stata lecita, tanto che sono stati dissequestrati i beni; le intercettazioni farebbero riferimento non al ricorrente, ma ai suoi figli, giudicati con rito abbreviato; con il nome " Cu." si indicavano infatti gli appartenenti al nucleo familiare dell’imputato;

2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per i reati di cui agli artt. 473 e 517 c.p. in quanto la deposizione del sovrintendente ca., ufficiale di polizia giudiziaria, finirebbe per provare l’estraneità di V.C. all’attività della Gruppo V S.r.l.; la consulenza tecnica ha evidenziato che i prodotti commercializzati a basso prezzo erano destinati ad una fascia medio bassa, diversa da quella alla quale erano destinati i prodotti Versace; le sentenze di merito, in contrasto con tale consulenza avrebbero invece ritenuto l’idoneità dei prodotti a trarre in inganno gli acquirenti;

l’imputato è stato colpito da ictus nel 1990 e sulle condizioni fisiche si richiamano i motivi di appello;

3. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche ed alla determinazione della pena.

Il difensore di Vi.Ma. deduce:

1. vizio di motivazione in relazione alla doglianza relativa alla omessa valutazione da parte del Tribunale del memoriale depositato dall’imputato il 27.6.2006 e della memoria depositata il 2.10.2007 e dei relativi dati di fatto forniti, che si sarebbe risolta in una nullità ai sensi dell’art. 178 c.p.p., lett. c); vi sarebbe stato travisamento dei motivi di gravame proposti contro la sentenza di primo grado, dal momento che il motivo indicato non è menzionato fra quelli riassunti a p. 9 della sentenza impugnata;

2. vizio di motivazione in relazione alla doglianza relativa alla identificazione, in realtà incerta, in Vi.Ma. del " Ma." menzionato da terzi, con riferimento alla deposizione del teste Ag. (in parte trascritta) dalla quale non emergeva in base a quali elementi era stata operata tale identificazione, tanto più che essendo Vi. il genero del defunto Li.Ge. ritenuto elemento di spicco dell’omonimo clan, appariva singolare che tali ma. e ci. pensassero di mandarlo all’ospedale; a tale domanda Ag. non aveva dato risposta esauriente; inoltre mentre nella conversazione 15.1.2002 " Ma." è identificato in Vi.Ma., in altra conversazione del 28.4.2000 è indicato in Bu.Ma.; la conversazione in cui " Ma." è identificato nel ricorrente è stata fondamentale per l’affermazione di responsabilità per il reato associativo; la doglianza svolta sulla illogicità del narrato del teste Ag. non avrebbe trovato adeguata risposta; sarebbe stato inoltre travisato il contenuto della conversazione 15.1.2002 tra soggetti identificati in Bu.Ma. e Be.Ci., interpretata nel senso che " Ma." gode di tale importanza criminale che gli interlocutori non debbono accettare il pagamento del debito da costui contratto anche se intende pagarlo; il contenuto della conversazione è stato inteso nel senso che non gli si poteva chiedere il pagamento, mentre era invece nel senso che gli interlocutori volevano mandarlo all’ospedale; nella conversazione 16.3.2002 tra soggetti identificati in Bu.Ma. e B. P., costoro continuano a menzionare il debito di 17.000.000;

3. vizio di motivazione in relazione alla mancata risposta ad alcuni motivi di gravame inerenti l’appartenenza del ricorrente all’associazione camorristica; Vi.Ma., nell’impostazione accusatoria, veniva considerato referente della consorteria criminosa ed addetto alla commercializzazione in territorio americano; veniva richiesto alla Corte d’appello di esaminare la deposizione del Vice Questore aggiunto Ca.St., il quale, in sintesi, alla reiterata domanda su cosa legasse la società MV Diffusion al quadro generale rassegnato, aveva riferito che non vi era nulla oltre all’intercettazione telefonica richiamata; quanto ai trasferimenti di denaro tramite Western Union non vi era riferimento a Vi. e che M & V Diffusion Ltd effettuava pagamenti a quattro società fornitrici; in base a tali dichiarazioni era stato dedotto che non si poteva conciliare la tesi d’accusa secondo cui la riorganizzazione del mercato americano da parte del clan sarebbe avvenuta a partire dal 2000, con la chiusura della M & V Diffusion nel 1999; che non si conciliava la tesi dell’influenza monopolistica sulla società di Vi., con il fatto che egli acquistava da 4 fornitori, tra cui la Full Stop di Pe.Ci., ritenuta non inserita tra le aziende produttrici dell’organizzazione; che non si poteva fondare la partecipazione all’associazione solo in ragione del presunto debito contratto con " ma." e " ci."; che l’imputato aveva offerto una plausibile spiegazione in ordine, all’utilizzo della sua carta di credito da parte di più magliari in territorio U.S.A., essendo l’unico soggetto iscritto alla previdenza sociale americana; che non vi era prova che avesse trasferito i proventi delle vendite all’associazione; che presidente della M & V Diffusion Ltd non era Vi., ma sua zio Ma.An.; che il matrimonio con la figlia di Li.Ge. non aveva avuto influenza nell’attività poichè la società era stata chiusa 20 giorni dopo le nozze; che nell’informativa dello SCO vi erano elementi che non trovavano fondamento nella rogatoria effettuata negli U.S.A.; che era stato archiviato il procedimento americano in tema di stupefacenti; a fronte di tali doglianze non vi sarebbe motivazione; la sentenza impugnata non considera che non si attaglierebbe alla situazione di Vi. quanto riferito dai collaboratori di giustizia Gi.Lu., Gi.Ra. e Av.Pa., circa l’obbligo di rifornirsi solo presso i depositi gestiti dalla Camorra; non vi sarebbe motivazione che riferisca alla persona di Vi.Ma. le risultanze generali; mancherebbero intercettazioni che provino contatti del ricorrente con presunti associati;

4. vizio di motivazione in relazione all’assoluzione di coimputati, come Ma.Pe., con argomentazioni probatorie (p. da 99 a 101) che avrebbero potuto applicarsi anche a Vi., valutando le risultanze in modo opposto;

5. vizio di motivazione in relazione alla mancata valutazione delle doglianze difensive circa le risultanze della rogatoria U.S.A.; la Corte d’appello si è rifatta alla informativa dello SCO 1.4.2003 ed alla mancata presenza di Vi. alla riunione 28.12.2001 presso la Vip Moda;

6. vizio di motivazione in relazione alle doglianze afferenti la condanna per il capo B; in ogni caso dovrebbe essere dichiarato la prescrizione per tale capo dovendosi applicare la normativa più favorevole;

7. vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis c.p., comma 4 solo in ragione della natura camorristica dell’associazione.

Motivi della decisione

1. Pregiudiziale è la doglianza riguardante L.A. e relativa alla mancata estradizione dello stesso in relazione al delitto continuato di cui al capo B di imputazione di cui al quarto motivo di ricorso proposto nell’interesse del predetto.

Il motivo di ricorso è fondato.

L’autorità giudiziaria tedesca ha concesso l’estradizione solo per il reato associativo, mentre per il reato di cui al capo B la richiesta di estradizione è stata ritenuta non sufficientemente determinata e la decisione è stata riservata all’esito di ulteriori indicazioni delle autorità italiane.

Ai fini dell’osservanza del principio di specialità in materia di estradizione passiva, quale previsto dall’art. 721 c.p.p. e dall’art. 14 della Convenzione europea di estradizione, resa esecutiva in Italia con L. 30 gennaio 1963, n. 300, deve escludersi che, concessa estradizione per un reato di associazione per delinquere, essa possa consentire di procedere a carico dell’estradato anche in ordine ai reati – fine commessi in attuazione del programma criminoso (Cass. Sez. 5^, Sentenza n. 6825 del 23.1.2007 dep. 16.2.2007 rv 235630 principio affermato, nella specie, con riguardo ad associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati fiscali e di bancarotta).

Ne consegue che la sentenza impugnata e quella di primo grado devono essere annullate senza rinvio nei confronti di L.A. in ordine al reato di cui al capo B (così come il relativo aumento di pena) perchè l’azione penale non poteva essere esercitata o proseguita per difetto di estradizione, con trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli per quanto di competenza.

2. Viene poi in rilievo il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Li.Vi., nel quale si deduce la violazione del divieto di bis in idem rispetto al reato associativo di cui alla sentenza irrevocabile 7.11.1994.

Il motivo di ricorso è manifestamente infondato. Come ha rilevato la Corte territoriale il divieto di bis in idem non copre la prosecuzione della condotta o la ripresa della stessa in epoca successiva, sicchè le doglianze circa l’inesistenza di tale condotta successiva devono essere esaminate a proposito del denunziato vizio di motivazione.

3. Devono poi essere esaminate le altre questioni dedotte relativamente alle violazioni della legge processuale sanzionate da nullità o da inutilizzabilità.

Il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di L. A. ed il primo motivo di ricorso proposto da L. G. (con i quali si lamenta la violazione della legge processuale in relazione all’irregolare rapporto processuale nel giudizio d’appello, sull’assunto che gli imputati erano stati citati innanzi alla 3^ Sezione penale della Corte d’appello di Napoli, ma per l’astensione di uno dei magistrati il procedimento fu rinviato ad udienza fissa prima alla 5^ Sezione e posi alla 6^ Sezione, sicchè sarebbe stata necessaria una nuova notifica del decreto di citazione) sono manifestamente infondati.

Nel motivo di ricorso neppure si precisa per quale ragione il mutamento di Sezione avrebbe dovuto comportare la rinnovazione del decreto di citazione per il giudizio di appello, ma secondo la giurisprudenza di questa Corte non integra nullità del decreto di citazione per il giudizio d’appello neppure l’erronea, ovvero l’omessa indicazione della sezione dinanzi alla quale le parti devono comparire, non rientrando la violazione di tale indicazione tra le cause di nullità previste dall’art. 601 c.p.p., comma 6 (Cass. Sez. 6^, Sentenza n. 36084 del 16.7.2009 dep. 17.9.2009 rv 244776).

Ne consegue che nessuna nuova citazione era necessaria.

Il primo ed il quinto motivo di ricorso proposto dal difensore di A.G., M.P., Ma.Ra., Ma.Sa. e Mi.Ma. ed il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Co.Ed. sono manifestamente infondati.

Come ha rilevato il Tribunale con ordinanza 12.7.2005 (alla quale si deve intendere riferito il richiamo della Corte d’appello) la possibilità di estrarre copie delle registrazioni è prevista solo all’esito della procedura di cui all’art. 268 c.p.p., commi 6, 7, ed 8.

La sentenza della Corte costituzionale 8 ottobre 2008, n. 336 attiene alle conseguenze della mancata consegna della copia delle registrazioni sul procedimento incidentale cautelare.

In tema di riesame, l’illegittima compressione del diritto di difesa, derivante dal rifiuto o dall’ingiustificato ritardo del pubblico ministero nel consentire al difensore, prima del loro deposito ai sensi dell’art. 268 c.p.p., comma 4, l’accesso alle registrazioni di conversazioni intercettate e sommariamente trascritte dalla polizia giudiziaria nei cosiddetti brogliacci di ascolto, utilizzati ai fini dell’adozione di un’ordinanza di custodia cautelare, da luogo ad una nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell’art. 178 c.p.p., lett. c), in quanto determina un vizio nel procedimento di acquisizione della prova, che non inficia l’attività di ricerca della stessa ed il risultato probatorio, in sè considerati.

Ne consegue che, qualora tale vizio sia stato ritualmente dedotto in sede di riesame ed il Tribunale non abbia potuto acquisire il relativo supporto fonico entro il termine perentorio di cui all’art. 309 c.p.p., comma 9, le suddette trascrizioni non possono essere utilizzate come prova nel giudizio "de libertate". (Cass. Sez. Un., Sentenza n. 20300 del 22.4.2010 dep. 27.5.2010 rv 246907.

In motivazione, la Corte ha altresì precisato che l’eventuale annullamento del provvedimento cautelare, per le ragioni testè indicate, non preclude al G.I.P. di accogliere una nuova richiesta cautelare, se corredata dal relativo supporto fonico).

Nel caso in esame però ciò è ininfluente non vertendosi in ipotesi di giudizio cautelare incidentale.

Peraltro l’omessa trasposizione su nastro magnetico, richiesta dal difensore dell’indagato, delle registrazioni delle intercettazioni poste a fondamento di una misura cautelare non comporta l’inutilizzabilità delle stesse intercettazioni. (Cass. Sez. F, Sentenza n. 37151 del 10.9.2009 dep. 24.9.2009 rv 244694. In motivazione la Corte ha chiarito che la sanzione di inutilizzabilità non è in tal caso configurabile nemmeno a seguito dell’intervento della sentenza della Corte Costituzionale n. 336 del 2008).

La questione dell’efficacia retroattiva delle sentenze dichiarative di illegittimità costituzionale di una norma è manifestamente infondata.

La sentenza che dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge ha efficacia "erga omnes" – con l’effetto che il giudice ha l’obbligo di non applicare la norma illegittima dal giorno successivo a quello in cui la decisione è pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica – e forza invalidante, con conseguenze simili a quelle dell’annullamento, nel senso che essa incide anche sulle situazioni pregresse verificatesi nel corso del giudizio in cui è consentito sollevare, in via incidentale, la questione di costituzionalità, spiegando, così, effetti non soltanto per il futuro, ma anche retroattivamente in relazione a fatti o a rapporti instauratisi nel periodo in cui la norma incostituzionale era vigente, sempre, però, che non si tratti di situazioni giuridiche "esaurite", e cioè non più suscettibili di essere rimosse o modificate, come quelle determinate dalla formazione del giudicato, dall’operatività della decadenza, dalla preclusione processuale.

(Cass. Sez. Un., Sentenza n. 27614 del 29.3.2007 dep. 12.7.2007 rv 236535. Nella specie, la S.C. ha ritenuto che ricorresse una situazione "esaurita" nel caso di appello del P.M. avverso sentenza assolutoria, dichiarato inammissibile per effetto della L. n. 46 del 2006, art. 1 e art. 10, comma 2, che ne precludevano la esperibilità, pur dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle relative disposizioni – C. cost. n. 26 del 2007 -, stante l’inerzia della parte pubblica, la quale, non avendo assunto alcuna iniziativa processuale intesa a prevenire il consolidarsi della inammissibilità, mediante la preliminare deduzione di incostituzionalità delle suddette disposizioni o l’esercizio della facoltà, prevista dall’art. 10, comma 3 L. cit., di proporre ricorso per cassazione entro 45 giorni dalla notifica della ordinanza di inammissibilità dell’appello, aveva di fatto prestato ad essa acquiescenza. V. Corte Cost., 6 febbraio 2007, n. 26).

Nella specie, non essendo stata tempestivamente proposta la questione di legittimità costituzionale al momento della proposizione dell’eccezione, la situazione relativa al mancato rilascio della copia delle registrazioni si era esaurita, essendo intervenuto successivamente il dibattimento con l’accesso alle registrazioni da parte della difesa.

La lesione del diritto di difesa è prospettata in modo meramente ipotetico, posto che non è precisato in che cosa si sarebbe concretizzata.

Il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Si.

G. è manifestamente infondato.

Tale motivo va inteso alla luce di quanto dedotto nei motivi nuovi di appello.

Non è nulla la richiesta di rinvio a giudizio qualora il PM rifiuti la richiesta della difesa – inoltrata ex art. 415 bis c.p.p., comma 2 – di ottenere copia dei supporti magnetofonici depositati poichè non proposta, ex art. 268 c.p.p., comma 8, nell’ambito del sub procedimento conseguente all’esecuzione delle intercettazioni, in quanto la nullità della richiesta di rinvio a giudizio, ai sensi dell’art. 416 c.p.p., comma 1 è prevista solo nel caso che essa non sia preceduta dall’avviso di cui all’art. 415 bis e, ove la persona sottoposta alle indagini ne abbia fatto richiesta, dall’invito a presentarsi per rendere interrogatorio. (Cass. Sez. 5^, Sentenza n. 14619 del 25.3.2008 dep. 8.4.2008 rv 239492).

Per il resto è sufficiente richiamare quanto dedotto a proposito del mancato rilascio delle copie delle registrazioni.

E’ irrilevante che non vi sia motivazione sul punto nella sentenza impugnata perchè nel giudizio di legittimità il vizio di motivazione non è denunciabile con riferimento alle questioni di diritto decise dal giudice di merito. (Cass. Sez. 2^, sent. n. 3706 del 21.1.2009 dep. 27.1.2009 rv 242634).

Infatti non può esservi ragione di doglianza allorquando la soluzione di una questione di diritto, anche se immotivata o contraddittoriamente ed illogicamente motivata, sia comunque esatta, mentre, viceversa, ove tale soluzione non sia giuridicamente corretta, poco importa se e quali argomenti la sorreggano.

4. E’ quindi necessario esaminare le doglianze relative alla mancata assunzione di prove decisive ed alla mancata rinnovazione del dibattimento in appello.

Il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di B. P. è manifestamente infondato.

Con tale motivo ci si duole della mancata assunzione di una prova decisiva in relazione alla esclusione della telefonata 26.6.2000 ore 7.36 sull’assunto che tale telefonata proverebbe che la società aveva urgenza di essere pagata per soddisfare le richieste di pagamento di altri fornitori.

La conversazione inoltre proverebbe che B. non era gestore di fatto della società londinese.

Si tratta di deduzioni che non appaiono tali da rovesciare la valutazione complessiva data dalla Corte territoriale in ragione della univocità e convergenza di tutti gli altri elementi probatori indicati (v. p. 86 sentenza impugnata).

Questa Corte ha affermato (ed il Collegio condivide l’assunto) che per prova, la cui mancata assunzione può costituire motivo di ricorso per cassazione, deve intendersi solo quella che, confrontata con le ragioni poste a sostegno della decisione, risulti determinante per un esito diverso del processo, e non anche quella che possa incidere solamente su aspetti secondari della motivazione ovvero sulla valutazione di affermazioni testimoniali da sole non considerate fondanti della decisione prescelta. (Cass. Sez. 1^ sent. n. 4836 del 5.4.1994 dep. 28.4.1994 rv 198620).

In altri termini il vizio della sentenza di cui all’art. 606 c.p.p., lett. d) (mancata assunzione di una prova decisiva quando la parte ne ha fatto richiesta a norma dell’art. 495, comma 2, dello stesso codice) consiste in una sorta di "error in procedendo", ravvisabile solamente quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le argomentazioni formulate in motivazione a sostegno ed illustrazione della decisione, risulti tale che, se esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia; perchè si configuri il vizio "de quo" deve cioè necessariamente sussistere la certezza della decisività della prova ai fini del giudizio e dell’idoneità dei fatti che ne sono oggetto ad inficiare le ragioni poste a base del convincimento manifestato dal giudice. (Cass. Sez. 2^ sent. n. 2380 del 27.1.1995 dep. 9.3.1995 rv 200980).

Inoltre il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) (mancata assunzione di prova decisiva) rileva solo quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le argomentazioni a sostegno della decisione adottata, risulti "decisiva", cioè tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una diversa soluzione.

La valutazione di siffatta decisività deve quindi essere compiuta accertando se i fatti indicati dal ricorrente nella relativa richiesta siano tali da potere inficiare tutte le argomentazioni poste a fondamento del convincimento del Giudice. (Cass. Sez. 1^ sent. n. 12584 del 21.10.1994 dep. 20.12.1994 rv 200073).

Quanto al fatto che la Corte territoriale abbia risposto che gli imputati avrebbero potuto provare di aver acquistato merce presso aziende non legate all’associazione, trascurando che la difesa aveva prodotto tutte le fatture relative agli acquisti, va osservato che la Corte d’appello ha ritenuto determinanti da un lato il rinvenimento di capi in finto camoscio con la marca GV del gruppo V. e dall’altro gli elementi di prova relativi al fatto che la società londinese si riforniva abitualmente dalle ditte legate all’associazione.

Il secondo ed il quarto motivo di ricorso proposti nell’interesse di A.G., M.P., Ma.Ra., Ma.Sa. e Mi.Ma. sono manifestamente infondati.

Quanto alla richiesta di rinnovazione del dibattimento per escutere i testi di riferimento e per l’assunzione delle altre prove sollecitate anche ex art. 507 c.p.p. la Corte d’appello ne ha ritenuto la superfluità alla luce delle complessive risultanze (V. p. 50 della sentenza impugnata, essendo state richiamate le considerazioni svolte con riferimento a Bu. ed At., nel rigettare le richieste di rinnovazione del dibattimento).

La rinnovazione del dibattimento avrebbe dovuto essere disposta, ai sensi dell’art. 603 c.p.p. solo se il giudice di appello avesse ritenuto di non poter decidere allo stato degli atti e tale valutazione è di merito (v. Cass. Sez. 5^ sent. n. 6379 del 17.3.1999 dep. 21.5.1999 rv 213403, secondo cui, in tema di giudizio di appello, poichè il vigente cod. proc. pen. pone una presunzione di completezza della istruttoria dibattimentale svolta in primo grado, la rinnovazione, anche parziale, del dibattimento ha carattere eccezionale e può essere disposta solo qualora il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti).

Il terzo motivo di ricorso proposto nell’interesse di A. G., M.P., Ma.Ra., Ma.Sa. (nel quale ci si duole della mancata effettuazione di una perizia fonica sulla conversazione 3.2.2001 tra At.Ga. e G.C.) ed il terzo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Co.Ed. sono entrambi manifestamente infondati.

Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, in tema di intercettazioni telefoniche, qualora sia contestata l’identificazione delle persone colloquianti, il giudice non deve necessariamente disporre una perizia fonica, ma può trarre il proprio convincimento da altre circostanze che consentano di risalire con certezza all’identità degli interlocutori, e tale valutazione si sottrae al sindacato di legittimità, se correttamente motivata. (V. da ultimo Cass. Sez. 6^ sent. n. 17619 in data 8.1.2008 dep. 30.4.2008 rv 239725. Fattispecie in cui l’individuazione è avvenuta tenendo conto dei nomi e dei soprannomi delle persone menzionate nel corso dei colloqui, nonchè sulla base del riconoscimento delle voci da parte del personale di polizia giudiziaria, che le aveva ascoltate e individuate nel corso di precedenti intercettazioni).

5. E’ ora necessario esaminare le doglianze relative ad omissioni di motivazione o a travisamento del contenuto di atti.

Il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Vi.

M. è manifestamente infondato.

Anzitutto l’omessa valutazione da parte del Tribunale, del memoriale depositato dall’imputato il 27.6.2006 e della memoria depositata il 2.10.2007 e dei relativi dati di fatto forniti, non determina nullità ai sensi dell’art. 178 c.p.p., lett. c).

E’ vero che l’omessa valutazione di memorie difensive può essere fatta valere in sede di gravame come causa di nullità del provvedimento impugnato, la cui motivazione può risultare indirettamente viziata per la mancata considerazione di quanto illustrato con la memoria, in relazione alle questioni devolute con l’impugnazione. (Cass. Sez. 1^, Sentenza n. 37531 del 7.10.2010 dep. 20.10.2010 rv 248551).

Tuttavia ciò vale solo per i provvedimenti la cui motivazione non possa essere integrata dal giudice dell’impugnazione.

Per quanto riguarda i provvedimenti appellabili, persino la mancanza assoluta di motivazione della sentenza non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall’art. 604 c.p.p., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, ben potendo lo stesso provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante.

(Cass. Sez. Un., Sentenza n. 3287 del 27.11.2008 dep. 23.1.2009 rv 244118. La Corte ha precisato che la mancanza di motivazione è causa di nullità della sentenza e non invece di inesistenza della stessa).

Pertanto non essendovi nullità, la questione rientra nella complessiva valutazione (e nella relativa motivazione) del giudice d’appello e neppure può costituire vizio di motivazione il mancato specifico esame di ogni questione di dettaglio.

Infatti va ricordato che secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, anche nella vigenza del nuovo codice di procedura penale vale il principio secondo cui il vizio di motivazione non può essere utilmente dedotto in Cassazione sol perchè il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione, poichè ciò si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità. Esso è configurabile, invece, unicamente quando gli elementi trascurati o disattesi abbiano un chiaro ed inequivocabile carattere di decisività, nel senso che una loro adeguata valutazione avrebbe dovuto necessariamente portare, salvo intervento di ulteriori e diversi elementi di giudizio, ad una decisione più favorevole di quella adottata. (Cass. pen., sez. 1^ sent. 6922 del 11.5.1992 dep. 11.6.1992 rv 190572).

Neppure vi è stato travisamento dei motivi di gravame proposti contro la sentenza di primo grado, poichè se è vero che il motivo indicato non è menzionato fra quelli riassunti a p. 9 della sentenza impugnata, deve ritenersi assorbito nella menzione della richiesta di assoluzione.

Il terzo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Vi.

M. è manifestamente infondato ed attiene a censure di merito.

Nel terzo motivo di ricorso si lamenta la mancata risposta ad alcuni motivi di gravame relativi alla deposizione del Vice Questore aggiunto Ca.St. e ad altre questioni di fatto relative alle ditte fornitrici della M & V Diffusion, alla chiusura di tale società nel 1999, alle spiegazioni fornite dall’imputato e ad altri elementi dettagliatamente esposti nel motivo di ricorso stesso.

E’ però giurisprudenza consolidata di questa Corte che, nella motivazione della sentenza, il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, (in questo senso v. Cass. Sez. 4^ sent. n. 1149 del 24.10.2005 dep. 13.1.2006 rv 233187).

Del resto questa Corte ha chiarito che in sede di legittimità non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata.

Pertanto, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente per escludere la ricorrenza del vizio che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa.

Sicchè, ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di preterizione. (Cass. Sez. 2^ sent. n. 29434 del 19.5.2004 dep. 6.7.2004 rv 229220. Nella specie la Corte ha ritenuto che la semplice circostanza che alcuno dei collaboranti avesse taciuto in ordine alla presenza di uno dei coimputati in seno all’associazione per delinquere, non incrinava la logicità della motivazione della Corte di merito che aveva confermato la responsabilità dell’imputato).

In ogni caso, secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, in tema di impugnazioni, il vizio di motivazione non può essere utilmente dedotto in cassazione solo perchè il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione, poichè ciò si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità. (Cass. Sez. 1^ sent. 3385 del 9.3.1995, dep. 28.3.1995 rv 200705).

Nella specie, come si vedrà trattando del reato associativo attribuito a Vi.Ma., la Corte d’appello ha motivato in ordine sia alla sussistenza dell’associazione di tipo mafioso che alla partecipazione dell’imputato alla stessa ed in ciò sono implicitamente disattese le doglianze svolte nei motivi d’appello.

Peraltro riportando una ampia serie di elementi di prova che si assumono trascurati il motivo di ricorso finisce per svolgere una prospettazione di merito inammissibile.

Il quinto motivo di ricorso proposto nell’interesse di Vi.

M. è generico.

In tale motivo si assume (sia pure sotto il profilo della mancata valutazione di un motivo di appello) il travisamento di prove in relazione al contenuto della rogatoria U.S.A. essendosi la Corte d’appello rifatta alla informativa dello SCO 1.4.2003 ed alla mancata presenza di Vi. alla riunione 28.12.2001 presso la Vip Moda.

Tuttavia, in forza della regola della "autosufficienza" del ricorso, operante anche in sede penale, il ricorrente che intenda dedurre in sede di legittimità il vizio di motivazione con riferimento ad atti del procedimento specificamente indicati ha l’onere di trascrivere o allegare tali atti al ricorso o, quantomeno, di indicare la loro esatta collocazione nell’incarto processuale, in modo da consentire alla Corte di cassazione di poter richiedere ed esaminare gli atti richiamati. (V. Sez. 4^, Sentenza n. 3360 del 16.12.2009 dep. 26.1.2010 rv 246499; in tema di ipotesi di travisamento di dichiarazioni V. Cass. Sez. 4^, Sentenza n. 37982 del 26.6.2008 dep. 3.10.2008 rv 241023).

Per le stesse ragioni esposte in relazione al terzo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Vi.Ma. è manifestamente infondato anche il sesto motivo di ricorso proposto nell’interesse dello stesso per la parte relativa all’omessa motivazione.

Il motivo è peraltro formulato in termini generici.

Il secondo motivo di ricorso proposto dal difensore di Be.

C., Be.Gi. e F.G. (per la parte relativa alla trattazione cumulativa delle intercettazioni), avv. Ercole Ragozzini è manifestamente infondato e svolge censure di merito.

La Corte territoriale ha richiamato considerazioni comuni, ma ha motivato specificamente per ciascuna posizione.

6. Venendo all’esame delle doglianze relative alle affermazioni di responsabilità per il reato associativo, va rilevato che il primo ed il terzo motivo di ricorso proposto nell’interesse di B. P., il primo motivo di ricorso proposto dal difensore di Be.Ci., avv. Raffaele Esposito, il primo, il secondo (per la parte relativa alla motivazione dell’elemento soggettivo del reato in capo a F.G.), il quarto ed il quinto motivo di ricorso proposti dal difensore di Be.Ci. e F. G., avv. Ercole Ragozzini, il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di C.A., il primo motivo proposto nell’interesse di Co.Ed., il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di L.A., il secondo motivo di ricorso proposto da La.Gi., il primo, secondo, terzo e quinto motivo di ricorso proposti nell’interesse di Li.

V., il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di R.G., il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Se.Lu., il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Si.Ga., il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di V.C., il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso proposti nell’interesse di Vi.Ma. sono manifestamente infondati e svolgono censure di merito.

Per quanto riguarda l’associazione di cui all’art. 416 bis c.p., la Corte territoriale ne ha motivato la sussistenza in ragione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Gi.Gu., Gi.Lu., Gi.Ra., Fi.Gi., Av.Pa., Pa.Gr., Gu.Ga., nonchè in ragione delle risultanze delle sentenze irrevocabili (elencate alle pagine 26 e 27 della sentenza impugnata) e delle intercettazioni effettuate.

Sulla scorta di tali risultanze la Corte d’appello ha ritenuto provata l’esistenza di una struttura denominata Alleanza di Secondigliano, costituita da una federazione dei clan Ucciardi, Contini, Bocchetti, dotata di una cassa comune in cui affluivano i proventi delle attività delittuose, poi ripartiti in quote.

In tale struttura, secondo il Giudice d’appello, si inseriva il "direttorio" economico, il quale operava con lo scopo di acquisire il controllo di attività economiche in taluni settori imprenditoriali, come quelli della produzione ed esportazione di capi di abbigliamento in pelle e commercializzazione di prodotti industriali e apparecchiature tecnologiche, utilizzando la forza di intimidazione per creare posizioni di monopolio (v. p. 27 e 28 sentenza impugnata).

La struttura economica, ad avviso dei giudici di merito, era caratterizzata dalla localizzazione in Napoli delle imprese destinate alla produzione di capi di abbigliamento con marchi contraffatti ed all’importazione dall’Asia di trapani, macchine fotografiche ed altro su cui venivano apposti marchi contraffatti di note case produttrici.

In Francia, Gran Bretagna, Germania, Australia e U.S.A. vi erano depositi gestiti da uomini di fiducia dei clan, nei quali affluiva la merce, poi venduta da una rete di magliari obbligati a rifornirsi presso tali depositi.

I proventi delle illecite attività venivano fatti rientrare in Italia attraverso l’effettuazione di operazioni idonee ad ostacolare l’identificazione della provenienza del denaro, (p. 31 sentenza impugnata).

La Corte territoriale ha indicato poi l’attività a favore degli associati ed i casi di uso della forza di intimidazione da parte dell’associazione (p. 31 e seguenti sentenza impugnata).

In tale motivazione non vi è alcuna manifesta illogicità, contraddittorietà e mancanza che la renda sindacabile in questa sede.

In ordine alla ritenuta appartenenza dei singoli ed esaminando le singole doglianze va rilevato quanto segue:

B.P. è stato ritenuto con R.G. il gestore della Gruppo V Ltd di Londra, come tale addetto alla commercializzazione in Gran Bretagna dei prodotti, sulla scorta di intercettazioni e della sua presenza ad una riunione presso la Vip Moda il 28.12.2001.

Le censure svolte nel primo motivo di ricorso proposto nel suo interesse si risolvono in una prospettazione alternativa a quella ritenuta dai giudici di merito, come tale inammissibili, mentre quelle di cui al terzo motivo di ricorso sono manifestamente infondate; quelle relative alla mancanza dell’uso della forza di intimidazione sono smentite dal richiamo alle intercettazioni nella sentenza impugnata, mentre le considerazioni sulla non attualità dell’uso dell’intimidazione sono di merito; quelle relative ai contrasti fra le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, attengono a minime discrasie inidonee ad inficiare l’impianto motivazionale complessivo.

Be.Ci. è stato ritenuto associato in quanto titolare della Vip Moda, considerata una delle imprese di riferimento del sodalizio per la produzione dei giubbini in finta pelle, con marchio idoneo ad ingenerare confusione negli acquirenti.

Con le doglianze di cui al primo motivo proposto dall’Avv. Raffaele Esposito, sotto l’apparente deduzione della mancanza o illogicità di motivazione, si prospetta in realtà che Be.Ci. sarebbe autonomo rispetto all’associazione, ma ciò integra una prospettazione alternativa inammissibile in questa sede.

Quanto alla richiesta di derubricazione del reato in quello di cui all’art. 416 c.p. la risposta è implicita nel richiamo all’uso della forza di intimidazione.

Le doglianze di cui al primo motivo di ricorso dedotto dall’Avv. Ercole Ragozzini in punto di sussistenza dell’associazione sono manifestamente infondate e relative al merito, a fronte di quanto richiamato circa la motivazione della sentenza impugnata in ordine alla ritenuta sussistenza dell’associazione. Prospettazione di fatto alternativa (e quindi inammissibile) è quella di cui al quinto motivo di ricorso presentato dall’Avv. Ercole Ragozzini.

C.A. è stato ritenuto intestatario della AC New World costituita con un capitale di 80.000.000 di lire consegnati da Bu.Ma., indicato come esponente di rilevo dell’associazione.

In ordine all’elemento soggettivo (per il quale si deduce mancanza di motivazione nel primo motivo di ricorso nell’interesse di C.) la Corte territoriale ha specificamente motivato desumendolo oltre che dall’uso del marchio specifico, dalle minacce rivolte a V..

Per il resto le doglianze di cui al menzionato motivo di ricorso sono di merito.

Co.Ed. è stato ritenuto uno degli elementi di spicco dei clan federati nell’Alleanza di Secondigliano, sia in ragione della precedente sentenza di condanna irrevocabile che in base all’intercettazione di conversazioni nelle quali a lui si fa riferimento, dalle quali è stata desunta l’attualità della partecipazione.

Pertanto è manifestamente infondata la doglianza di cui al primo motivo di riscorso proposto nel suo interesse secondo la quale la perdurante partecipazione si fonderebbe solo sulla precedente condanna, che invece l’avrebbe interrotta anche per il regime speciale di detenzione.

F.G., responsabile della società Moda Italiana Emporio, è stato ritenuto il referente del sodalizio sul mercato australiano per la commercializzazione di capi di abbigliamento e di utensili con marchi contraffatti. Circa le doglianze di cui al primo ed al terzo motivo di ricorso proposto dall’Avv. Ercole Ragozzini, si è già detto che non si ravvisa violazione di legge nè vizio di motivazione circa la sussistenza dell’associazione, mentre le doglianze sul significato delle intercettazioni e l’autonomia della condotta dell’imputato sono di merito.

La Corte territoriale ha anche specificamente motivato sul perchè ha differenziato la posizione di F. da quella del coimputato Pe. (v. p. 88 sentenza impugnata). La motivazione sull’elemento soggettivo del reato è implicita nel riferimento alle modalità di trasferimento dei profitti finalizzata ad eludere i controlli ed a rendere difficoltosa l’individuazione dei destinatari.

Nella motivazione è anche implicitamente disattesa la tesi difensiva dell’imputato.

L.A., titolare della L. Moda Italia e della L.A., con sede in Berlino, è stato ritenuto partecipe dell’associazione in ragione del fatto che si sarebbe sempre attenuto alle indicazioni del direttorio e dei suoi contatti con pa., poi arrestato a Praga in compagnia del latitante Li.Pi..

A fronte di tale valutazioni le doglianze espresse nel primo motivo di ricorso proposto nel suo interesse da un lato non sono attinenti al cuore della motivazione e dall’altro svolgono censure di merito.

In ordine all’interpretazione della conversazione fra L. A. e Bu. del 24.5.1999 ore 11.30, di cui al secondo motivo di ricorso, va ricordato che è possibile prospettare in sede di legittimità una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito soltanto in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile. (Cass. Sez. 2^ sent. n. 38915 del 17.10.2007 dep. 19.10.2007 rv 237994).

Della attualità dell’uso della forza di intimidazione promanante dal vincolo associativo la Corte territoriale ha trattato nella parte generale.

La.Gi. è stato ritenuto partecipe dell’associazione sulla scorta di elementi in parte comuni a quelli di L. A. ed in parte relativi ai contatti con Li.Pi., il quale aveva disposto che fosse messa a sua disposizione la somma di L. 5.000.000 ed al quale aveva prestato assistenza logistica durante la latitanza.

Nel secondo motivo di ricorso proposto da questo imputato si afferma che la Corte territoriale avrebbe ritenuto che l’assistenza ai latitanti potrebbe essere prestata solo da intranei all’associazione.

In realtà la Corte d’appello ha fondato il suo convincimento in basa alla provata fiducia, tanto che egli si sarebbe sentito offeso dal compenso ricevuto.

Le doglianze sono perciò manifestamente infondate ed attengono a questioni di merito non consentite in questa sede.

Li.Vi. è stato ritenuto capo e promotore del’Alleanza di Secondigliano non solo in ragione della condanna pronunziata dal Tribunale di Napoli il 17.11.1994 per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., ma per il perdurare della condotta anche dopo tale condanna, desunto anzitutto dalla lettera inviata al direttorio con la quale, ad avviso del Giudice d’appello, chiedeva conto dei profitti delle illecite attività. Le doglianze di cui al primo, secondo, terzo e quinto motivo di ricorso proposto nell’interesse di Li.Vi. prospettano una lettura alternativa delle risultanze, rispetto a quella ritenuta dai giudici di merito, inammissibile in questa sede.

E’ irrilevante che nessuno dei collaboratori di giustizia lo abbia menzionato, giacchè devono essere valutate le prove acquisite ed il mero silenzio su un fatto (a differenza dell’esclusione dello stesso) non può essere considerata una prova. La Corte territoriale ha dato conto anche dell’attualità dell’uso della forza di intimidazione, il che esclude la derubricazione del reato nell’ipotesi cui all’art. 416 c.p..

La perdurante qualità di capo è stata fatta discendere dalla lettera al direttorio e non solo dalla precedente condanna.

R.G. è stato ritenuto partecipe dell’associazione in quanto, insieme a B. gestì la Londra Gruppo V Ltd, struttura per l’espansione dell’attività illecita in Gran Bretagna.

A suo carico sono state richiamate le intercettazioni indicate alle p. 83 e 84 della sentenza impugnata, sicchè è irrilevante la doglianza di cui al primo motivo di ricorso proposto nel suo interesse, secondo la quale egli non è menzionato nelle sentenze irrevocabili e dai collaboratori. Quanto alle intercettazioni si è già detto come non sia consentito prospettare in questa sede letture alternative a quelle del giudice di merito. Anche le altre doglianze attengono al merito. La decisione del Tribunale in sede di prevenzione è stata valuta dalla Corte territoriale che ha revocato la confisca ritenendo i beni acquisiti prima della costituzione della società menzionata (e quindi dell’inizio dell’attività per conto dell’associazione camorrista).

Se.Lu. è stato ritenuto partecipe dell’associazione in quanto titolare della ditta Style Italiano, operante nel New Jersey (U.S.A.), si sarebbe interessato alla vendita di giubbini e di trapani con marchi contraffatti. A suo carico sono state richiamate varie intercettazioni (p. 89 e successive sentenza impugnata).

Le doglianze di cui al primo motivo di ricorso proposto nel suo interesse prospettano una lettura degli elementi di prova alternativa a quella data dai giudici di merito e quindi sono inammissibili in questa sede.

Si.Ga. è stato ritenuto partecipe dell’associazione in quanto operante nel mercato americano in stretto contatto con Bu. ed A. ed attivo nella vendita di utensili con marchi contraffatti.

A suo carico sono richiamate intercettazioni e la partecipazione ad una riunione presso la Vip Moda. L’elemento soggettivo del reato non è stato tratto, come si afferma nel secondo motivo di ricorso proposto nel suo interesse, da conversazioni fra altri soggetti alle quali egli non partecipò, ma dalla conversazione 2.12.2001 fra l’imputato e Bu. (v. p. 94 sentenza impugnata).

La predetta doglianza è perciò manifestamente infondata, mentre le altre censure sono di merito, richiamando ipotesi alternative a quelle ritenute dalla Corte d’appello.

V.C. è stato ritenuto partecipe dell’associazione in quanto avrebbe continuato a gestire la società di famiglia Gruppo V S.r.l., della quale erano amministratori i figli p. e s., giudicati con rito abbreviato. A suo carico sono richiamate numerose conversazioni ed il fatto che l’impresa menzionata era la fornitrice delle società estere amministrate dagli altri imputati. Le doglianze svolte nel primo motivo di ricorso proposto nel suo interesse sono di merito prospettando una inammissibile diversa lettura delle intercettazioni.

Vi.Ma., direttore della M & V Diffusion Ltd con sede a Chicago, è stato ritenuto partecipe dell’associazione in quanto referente della stessa in territorio U.S.A. La Corte territoriale ha richiamato la informativa 1.4.2003 dello SCO sulla scorta della quale ha ritenuto che i "magliari" si appoggiassero a Vi. ed al suo socio di fatto Ma..

Le doglianze esposte nel secondo e nel quarto motivo di ricorso sono di merito, contestando l’identificazione in Vi. di " Ma." ed il significato delle conversazioni intercettate, nonchè prospettando ipotesi alternative a quelle ritenute dai giudici di merito.

7. In ordine all’aggravante dell’essere l’associazione armata, il secondo motivo di ricorso proposto dal difensore di Be.Ci., Avv. Raffaele Esposito, il secondo motivo di ricorso proposto dal difensore di Be.Ci., Avv. Ercole Ragozzini, il terzo motivo di ricorso proposto nell’interesse di C.A., il quarto motivo di ricorso proposto nell’interesse di Co.Ed., il terzo motivo di ricorso proposto nell’interesse di L.A., il quinto motivo di ricorso proposto nell’interesse di Li.

V., il terzo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Si.Ga. ed il settimo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Vi.Ma. sono manifestamente infondati.

La Corte territoriale ha motivato la sussistenza della circostanza aggravante dell’essere l’associazione armata "anzitutto, dalle sentenza passate in giudicato dove sono ricostruiti gli episodi di sangue e scontri a fuoco che hanno caratterizzato l’Alleanza di Secondigliano, di cui l’associazione oggetto del presente processo è la naturale prosecuzione essendovi continuità nella struttura di vertice e nelle finalità illecite perseguite", oltre che dalla considerazione che non sarebbe ragionevole ritenere che un’associazione di tipo camorristico non sia armata, (p. 34 sentenza impugnata.

Non si tratta di motivazione astratta, stante il richiamo alle sentenze irrevocabili ed agli episodi in esse ricostruiti, mentre il riferimento non è alle associazioni di tipo mafioso astrattamente previste dalla norma, ma a quella concretamente ravvisata sulla base delle indicazioni fornite.

Non vi è in tale motivazione nè violazione di legge nè manifesta illogicità.

Quanto alla ignoranza della circostanza aggravante dedotta dal difensore di Be.Ci., Avv. Raffaele Esposito e dal difensore di Si.Ga. va rilevato che la doglianza è inammissibile non essendo stata dedotta con i motivi di appello.

In ogni caso la doglianza è stata implicitamente rigettata con il riferimento alla concreta associazione ravvisata ed alla sequenza di atti di violenza caratterizzati dall’uso delle armi.

Circa la doglianza dedotta dal difensore di L.A., secondo la quale delle armi non sarebbe stato fatto uso in Germania, va ricordato che le circostanze aggravanti del reato di associazione di tipo mafioso, consistenti nell’avere l’associazione la disponibilità di armi e nella destinazione del prezzo, prodotto o profitto dei delitti al finanziamento delle attività economiche di cui gli associati intendano assumere o mantenere il controllo, hanno natura oggettiva sicchè dette circostanze devono essere riferite all’attività dell’associazione e non alla condotta del singolo partecipe. (Cass. Sez. 6^, Sentenza n. 42385 del 15.10.2009 dep. 4.11.2009 rv 244904. Nella fattispecie la Corte ha riconosciuto l’applicabilità delle menzionate aggravanti anche al concorrente esterno consapevole dei fatti oggetto delle medesime o che per colpa le ignori).

Pertanto è irrilevante che delle armi non sia stato fatto uso dall’imputato e che ne sia stato fatto uso in Germania.

8. In relazione alla circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis c.p., comma 6 il terzo motivo di ricorso proposto dal difensore di Be.Ci., Avv. Raffaele Esposito, il secondo motivo di ricorso proposto dal difensore di Be.Ci., Avv. Ercole Ragozzini, il quinto motivo di ricorso proposto nell’interesse di Co.Ed., il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di R.G. sono manifestamente infondati ed in parte svolgono censure di merito.

La Corte territoriale ha affermato che l’organizzazione perseguiva il controllo delle attività economiche attraverso tutte le attività delittuose ascrivibili ai clan federati, proventi ritenuti incorporati nelle somme investita da Li. e Co. tramite Bu., Be. e At., indicando anche le conversazioni intercettate poste a base di tale convincimento (p. 34 e 35 sentenza impugnata).

Vi è quindi specifica motivazione (anche rispetto alle precedenti sentenze irrevocabili) non manifestamente illogica anche riguardo all’elemento soggettivo di Be., mentre per quanto attiene alla doglianza relativa al fatto che l’attività commerciale di R. non sia stata finanziata in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti, è sufficiente ricordare che la destinazione del prezzo, prodotto o profitto dei delitti al finanziamento delle attività economiche di cui gli associati intendano assumere o mantenere il controllo, ha natura oggettiva sicchè detta circostanze deve essere riferite all’attività dell’associazione e non alla condotta del singolo partecipe (Cass. Sez. 6^, Sentenza n. 42385 del 15.10.2009 dep. 4.11.2009 rv 244904, già richiamata a proposito della circostanza aggravante dell’essere l’associazione armata).

9. Devono essere ora esaminate le doglianze relative all’affermazione di responsabilità per il reato di riciclaggio, il primo motivo di ricorso presentato da Le.Ma. ed il primo motivo proposto da S.L. sono manifestamente infondati.

In tali motivi si sostiene che i ed. magliari siano responsabili del reato di cui all’art. 517 c.p., in quanto incaricati della vendita di prodotti già contraffatti e tale reato sarebbe presupposto di quello di riciclaggio, perchè se la merce contraffatta non fosse stata anche venduta non vi sarebbero stati proventi, i quali deriverebbero perciò sia dal reato di cui all’art. 473 che da quello di cui all’art. 517 c.p..

L’assunto è palesemente errato.

Il reato di cui all’art. 517 c.p. non riguarda la vendita di prodotti il cui marchio sia stato contraffatto, che integra invece il delitto di cui all’art. 474 c.p..

Infatti questa Corte ha chiarito che il reato di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi richiede, per la sua configurabilità, la riproduzione degli elementi essenziali del marchio registrato nella loro interezza, laddove per l’integrazione del reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci è sufficiente la mera imitazione del marchio, anche non registrato, purchè idonea a trarre in inganno l’acquirente. (Cass. Sez. 5^, Sentenza n. 13322 del 23.1.2009 dep. 25.3.2009 rv 243937).

Si deve quindi ritenere che si sia in presenza di distinte condotte:

da un lato il concorso nella contraffazione dei marchi di taluni prodotti (ad esempio i trapani con marchio contraffatto Bosch) e dall’altro la vendita di prodotti con marchi idonei ad ingannare l’acquirente.

Ne consegue che risponde di riciclaggio del denaro rinveniente dal reato di cui all’art. 473 c.p. chi non sia concorso in tale reato, anche se abbia venduto altri prodotti con il marchio solo imitato.

La provenienza dall’uno o dall’altro delitto è questione di merito e peraltro non è dedotta nei menzionati motivi di ricorso.

Il primo motivo di ricorso proposto dal difensore di Be.

G., Avv. Raffaele Esposito, il terzo motivo di ricorso proposto dal difensore di Be.Gi., Avv. Ercole Ragozzini, il secondo ed il terzo motivo di ricorso proposti da Le.Ma., il secondo ed il terzo motivo di ricorso proposti da S.L. sono manifestamente infondati e svolgono censure di merito.

E’ irrilevante, ai fini dell’esclusione del delitto di cui all’art. 648 bis c.p., che le somme avessero come mittenti o destinatari persone legate da vincoli di parentela e che il denaro circolasse tra loro senza attività di ripulitura, dal momento che ciò che integra il delitto in questione è anche il trasferimento finalizzato ad occultare la provenienza.

Sono manifestamente infondate e presuppongono censure di merito le doglianze relative all’asserita mancanza di motivazione in ordine all’assenza di prova che i trasferimenti di denaro riguardino capitali riciclati destinati all’associazione.

La Corte territoriale ha specificamente motivato (richiamando quanto esposto a proposito della posizione di Ba.) sulla natura illecita dei capitali in ragione degli importi e delle cautele, oltre che dell’attività dell’associazione.

La provenienza delittuosa delle somme è stata ricondotta alla contraffazione dei marchi e non all’evasione fiscale conseguente alla sottofatturazione.

Quanto a S. la esclusione della circostanze aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 non riposa su argomenti inconciliabili con la finalità di occultamento della provenienza delle somme.

10. Debbono quindi essere esaminate le doglianze relative alla contraffazione dei marchi ed alla vendita di prodotti con marchi idonei ad ingannare gli acquirenti.

Il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Co.

E. è manifestamente infondato.

La Corte territoriale ha rilevato che non può si dubitare della contraffazione del marchio Bosch sui trapani fabbricati in Cina, mentre per quanto attiene ai capi di abbigliamento in finta pelle erano apposti marchi atti ad ingenerare confusione, quali l’etichetta della ditta V., idonea a creare confusione con quella "Gianni Versace" e la "A" capovolta dell’impresa di C., idonea ad ingenerare confusione con i marchi Valentino e Versace.

Ciò è conforme all’orientamento di questa Corte secondo il quale il reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci è integrato dalla mera attitudine del marchio "imitato" a trarre in inganno il consumatore sulle caratteristiche essenziali del prodotto, non essendo necessaria nè la registrazione o il riconoscimento del marchio, nè la sua effettiva contraffazione nè, infine, la concreta induzione in errore dell’acquirente sul bene acquistato. (Cass. Sez. 3^, Sentenza n. 23819 del 30.4.2009 dep. 9.6.2009 rv 244023.

Conformi, Sez. 3^, n. 23818, n. 23819, n. 23820, n. 23821, n. 23822, n. 23823, n. 23824, n. 23825, n. 23826 e n. 23827 del 2009, non massimate).

Il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Li.

M., il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di T.A. ed il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di V.C. sono manifestamente infondati e svolgono censure di merito.

I motivi di ricorso proposti nell’interesse di Li.Ma. e T.A. si risolvono infatti in una valutazione alternativa a quella dei giudici di merito delle risultanze processuali e del significato di una conversazione intercettata.

Anche le doglianze relative all’estraneità di V. ed all’inidoneità dei marchi ad ingannare gli acquirenti sono censure di merito, peraltro manifestamente infondate alla luce della sua ritenuta appartenenza all’associazione con il ruolo specifico della produzione di capi di abbigliamento contraffatti.

11. In relazione alla circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 legge n. 203/1991 il quarto motivo di ricorso proposto dal difensore di Be.Ci., Avv. Raffaele Esposito, il secondo motivo di ricorso presentato dal difensore di Be.

G., Avv. Raffaele Esposito, il secondo ed il terzo motivo di ricorso presentati dal difensore di Be.Gi., Avv. Ercole Ragozzini, il sesto motivo di ricorso proposto nell’interesse di Co.Ed., il quarto motivo di ricorso proposto da Le.Ma., il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Li.Ma., il quarto motivo di ricorso proposto nell’interesse di Li.Vi. ed il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di T.A. sono manifestamente infondati e svolgono censure di merito.

Non è vero che la circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 sia stata applicata a Be.Ci. (come si sostiene nel quarto motivo di ricorso proposto nell’interesse di costui dall’Avv. Raffaele Esposito) per mero automatismo, discendendo invece dal ruolo centrale di costui nell’associazione.

Quanto a Be.Gi. (secondo motivo proposto dall’Avv. Raffaele Esposito per la stessa) la Corte territoriale ha richiamato le considerazioni relative all’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 svolte a proposito di Ba. e Le. (p. 103 e 104 sentenza impugnata) circa la compenetrazione tra l’attività di trasferimento del denaro ed il cuore dell’attività associativa che rendeva evidente sia la consapevolezza di agevolare l’associazione che dell’uso del metodo mafioso, con ciò ritenendo provato l’elemento soggettivo (secondo e terzo motivo di ricorso proposto dall’Avv. Ercole Ragozzini per Be.Ci. e B. G.).

In tale valutazione sono implicitamente disattese le doglianze relative all’inesistenza di legami fra l’imputata e l’associazione.

Sono censure di merito, peraltro irrilevanti, quelle relative al fatto che Be.Gi., avrebbe preferito non rispondere se avesse immaginato la contestazione dell’attività a favore dell’associazione.

Quanto a Co.Ed. (sesto motivo di ricorso proposto nell’interesse di costui) la sussistenza della circostanza aggravante è stata motivata con il richiamo all’interessamento dell’imputato, anche tramite At., alla gestione degli affari economici del sodalizio.

In relazione al quarto motivo di ricorso proposto da Le.

M., in cui si afferma che costui avrebbe potuto agire allo scopo di agevolare Be.Ci. e non l’associazione di tipo camorristico, va rilevato che la Corte territoriale, a fronte della compenetrazione tra l’attività dell’imputato ed il trasferimento del denaro, ha ritenuto sia la volontà di agevolare l’associazione che la consapevolezza dell’uso del metodo mafioso, sicchè l’ipotesi alternativa svolta nel motivo di ricorso è censura di merito non consentita.

In relazione al secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Li.Ma. ed al secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di T.A., la circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 è stata ritenuta in ragione sia dell’uso del metodo mafioso che della consapevolezza di agevolare l’associazione, alla luce del ruolo attribuito agli imputati e dall’esistenza di una cassa comune in cui affluivano i proventi.

La dedotta mancanza di prove sul punto è censura di merito.

Con riferimento al quarto motivo di ricorso proposto nell’interesse di Li.Vi., l’ipotesi che l’uso del "voi" si riferisse non all’associazione ma al nucleo familiare è censura di merito, mentre trattando del reato associativo sono già state disattese le ulteriori doglianze.

Il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Se.Lu. ed il quarto motivo di ricorso proposto nell’interesse di Si.

G. svolgono censure di merito inammissibile in questa sede, come già evidenziato trattando del reato associativo.

12. Il quinto motivo di ricorso proposto nell’interesse di Si.Ga. relativo all’asserita abolitio criminis della diserzione è manifestamente infondato.

La sentenza di condanna per il reato di diserzione di cui all’art. 148 c.p.m.p., n. 2 (nell’ipotesi del militare che legittimamente assente non si presenti senza giusto motivo nei cinque giorni successivi a quello prefissato) divenuta irrevocabile non può essere oggetto di revoca ai sensi dell’ar.t 673 c.p.p. in quanto la L. 23 agosto 2004 n. 226, che dispone la sospensione dell’obbligo di prestare il servizio di leva, non ha abrogato l’ipotesi delittuosa sopra indicata, ma ha determinato una semplice successione di leggi lasciando inalterata la menzionata fattispecie criminosa, che continua ad applicarsi a speciali situazioni e in determinate ipotesi: ne consegue che, qualora il fatto sia stato commesso prima della modifica legislativa di cui alla citata L. n. 226 del 2004, deve ritenersi applicabile dell’art. 2 c.p., il comma 4 e non il comma 2 che disciplina il caso dell’"abolitio criminis". (Cass. Sez. 1^, Sentenza n. 3463 del 16.11.2006 dep. 30.1.2007 rv 236187).

Come si è già detto è irrilevante che non vi sia motivazione sul punto nella sentenza impugnata perchè nel giudizio di legittimità il vizio di motivazione non è denunciabile con riferimento alle questioni di diritto decise dal giudice di merito. (Cass. Sez. 2^, sent. n. 3706 del 21.1.2009 dep. 27.1.2009 rv 242634).

13. Venendo all’esame delle doglianze relative al diniego delle attenuanti generiche ed alla misura della pena, il quinto motivo di ricorso proposto del difensore di Be.Ci., Avv. Raffaele Esposito, il settimo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Co.Ed., il terzo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Li.Ma., il sesto ed il settimo motivo di ricorso proposti nell’interesse di Li.Vi., il terzo motivo di ricorso proposto nell’interesse di R.G., il terzo motivo di ricorso proposto nell’interesse di T.A. ed il terzo motivo di ricorso proposto nell’interesse di V. C. sono manifestamente infondati.

Quanto alle doglianze relative al diniego delle attenuanti generiche si deve rammentare che, secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, in tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevoiezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza.

Al contrario, è la suindicata meritevoiezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda. (Cass. Sez. 1^, sent. n. 11361 del 19.10.1992 dep. 25.11.1992 rv 192381).

La sentenza impugnata ha escluso la concessione delle attenuanti generiche a Be.Ci. e V.C. in ragione del "ruolo centrale" "nella struttura organizzativa" (p. 68 e 70).

Per Li.Vi. non consta che vi fosse stato motivo di appello sulle attenuanti generiche e comunque il rigetto è implicito nella ritenuta posizione apicale e nei precedenti penali.

Infatti secondo l’orientamento di questa Corte condiviso dal Collegio, in tema di diniego della concessione delle attenuanti generiche, la "ratio" della disposizione di cui all’art. 62 bis c.p. non impone al giudice di merito di scendere alla valutazione di ogni singola deduzione difensiva, dovendosi, invece, ritenere sufficiente che questi indichi, nell’ambito del potere discrezionale riconosciutogli dalla legge, gli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti.

Ne consegue che le attenuanti generiche possono essere negate anche soltanto in base ai precedenti penali dell’imputato, perchè in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalità. (Cass. Sez. 4^ sent. n. 08052 del 6.4.1990 dep. 1.6.1990 rv 184544).

In relazione alle residue doglianze sulla entità della pena, va considerato che la determinazione in concreto della pena costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicchè l’obbligo della motivazione da parte del giudice dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata l’irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva.

Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 c.p. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d’appello. (Cass. Sez. 6^, sent. n. 10273 del 20.5.1989 dep. 12.7.1989 rv 181825. Conf. mass. N. 155508; n. 148766; n. 117242).

14. Quanto alle doglianze in tema di confisca il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di C.A. è manifestamente infondato e generico.

A pagina 73 della sentenza di appello si legge, quanto a C., che la conferma della condanna per il reato associativo comporta la conferma della disposta confisca ed in tale motivazione è implicita la reiezione della doglianza relativa al mancato dissequestro dei beni.

Non sono allegate nel motivo di ricorso ragioni per la quale la confisca non avrebbe dovuto essere disposta.

Anche il sesto motivo di ricorso proposto nell’interesse di Si.Ga. è manifestamente infondato, generico e svolge censure di merito non consentite.

A p. 96 della sentenza impugnata si legge che vengono confermate le statuizioni relative alla confisca dell’immobile in sequestro in quanto acquistato proprio nel periodo in esame e da ritenersi perciò acquistato con i profitti derivanti dalla illecita attività.

Tale valutazione è di per sè di merito e come tale insindacabile in questa sede.

Quanto alla dedotta carenza di motivazione il motivo di ricorso è generico, giacchè in ragione del principio di autosufficienza del ricorso non è possibile limitarsi a richiamare i motivi di appello o una memoria presentata nel giudizio di primo grado, essendo necessario articolare specificamente le doglianze.

15. Il sesto motivo di ricorso proposto nell’interesse di Vi.Ma. per la parte relativa all’intervenuta prescrizione del reato di cui al capo B ( artt. 473 e 517 c.p.) è manifestamente infondato e generico.

Al momento della pronunzia di appello (20.10.2009) la prescrizione non era maturata per tutti i reati di cui al capo B. Infatti il Tribunale aveva disposto la sospensione del termine di custodia cautelare per il giudizio di primo grado (v. sentenza di primo grado p. 2) che dispiega efficacia anche ai fini della sospensione del corso della prescrizione ai sensi dell’art. 159 c.p..

Inoltre la Corte d’appello in data 19.11.2008 su richiesta di varie difese differì il procedimento al 5.2.2099 e con ordinanza 5.2.2009 la Corte territoriale dispose la sospensione del termine di custodia cautelare per tutta la durata del procedimento di appello.

Nel ricorso non sono precisati, anche con richiamo agli atti processuali a fondamento dell’assunto, i periodi di commissione dei singoli reati in continuazione, per i quali si assume sarebbe maturata la prescrizione al momento in cui è intervenuta la pronunzia del giudice d’appello e che non sono desumibili dal testo del provvedimento impugnato.

16. I ricorsi, tranne il motivo di L.A. relativo alla mancata estradizione per il reato di cui al capo B), devono pertanto essere dichiarati inammissibili.

Da ultimo il Collegio osserva che non possono trovare applicazione le norme sulla prescrizione del reato, dal momento che – secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte – l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla mancanza, nell’atto di impugnazione, dei requisiti prescritti dall’art. 581 c.p.p., ovvero alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. (cfr: Cass. Sez. Un., sent. n. 21 del 11.11.1994 dep. 11.2.1995 rv 199903; Cass. Sez. Un., sent. n. 32 del 22.11.2000 dep. 21.12.2000 rv 217266).

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, gli imputati che li hanno proposti (fatta eccezione per L.A.) devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – ciascuno al pagamento a favore della Cassa delle Ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Alla inammissibilità dei ricorsi consegue altresì la condanna di tutti gli imputati (compreso L.A. per l’inammissibilità delle doglianze relative al reato associativo) in solido alla rifusione a favore della parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, con pagamento allo Stato delle spese della parte civile (ammessa al patrocinio a spese dello Stato) per questo grado di giudizio nella misura che sarà liquidata dal giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 83.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado nei confronti di L.A. limitatamente al reato di cui al capo B, nonchè il relativo aumento di pena per continuazione di mesi 4 di reclusione, perchè l’azione penale non poteva essere esercitata o proseguita per difetto di estradizione, con trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli per quanto di competenza.

Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di L.A., chiara inammissibili i ricorsi degli altri imputati e condanna i ricorrenti diversi da L.A. al pagamento delle spese processuali e ciascuno versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle Ammende.

Condanna tutti i ricorrenti in solido alla rifusione a favore della parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, con pagamento allo Stato delle spese per questo grado di giudizio nella misura che sarà liquidata dalla Corte d’appello di Napoli.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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