Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con sentenza in data 22 ottobre 2001, il Giudice di pace di Bitonto rigettava l’opposizione proposta da C. G. avverso l’ordinanza-ingiunzione emessa nei suoi confronti dal Prefetto di Bari per violazione dell’art. 176, comma 1, del Codice della strada.
Il giudice rigettava il motivo di opposizione concernente la dedotta violazione del termine di cui all’art. 204 c.s. per l’emissione dell’ordinanza-ingiunzione, rilevando che, al momento della proposizione del ricorso al prefetto (28 gennaio 2000) il termine complessivo concesso al prefetto era di 210 giorni, osservato nella specie, in quanto, avendo il prefetto ricevuto il ricorso il 13 marzo 2000, l’ordinanza era stata emessa il 19 maggio e notificata il successivo 25 luglio.
Quanto alla violazione dell’art. 24 della legge 24 novembre 1981, n. 689, sostenuta dall’opponente sulla base del rilievo che nel medesimo contesto i verbalizzanti avevano elevato anche un altro verbale per un illecito penale e che quindi vi sarebbe stata la competenza unica del giudice penale, il Giudice del merito rilevava che la citata disposizione devolve al giudice penale la cognizione di infrazioni amministrative obiettivamente connesse con un reato quando l’accertamento della violazione amministrativa costituisca l’antecedente necessario rispetto alla decisione circa l’esistenza del reato. Nella specie, all’opponente era stato contestato anche il reato di cui all’art. 186, comma 2, del Codice della strada per avere guidato in stato di ebbrezza. Sicché, tenuto conto che l’illecito amministrativo contestato era l’avere percorso in retromarcia una strada extraurbana, doveva ritenersi che non sussistesse quello specifico rapporto tra l’illecito amministrativo e quello penale, costituendo la guida in stato di ebbrezza condotta sanzionata penalmente a prescindere dalla circostanza che in detto stato possano essere commessi altri illeciti sanzionati a titolo di illecito amministrativo.
Il Giudice riteneva poi irrilevante la doglianza concernente la mancata sottoscrizione del verbale da parte di uno degli accertatori, trattandosi di irregolarità sanata dalla successiva notificazione all’opponente del verbale medesimo. Quanto, infine, alle doglianze del C. in ordine alla ricostruzione del sinistro stradale effettuata dagli operanti, il Giudice rilevava che la tesi dell’opponente non era condivisibile, non essendo compito del giudice dell’opposizione a sanzione amministrativa quello di determinare, in caso di sinistri stradali, le responsabilità civili delle persone coinvolte. In ogni caso, il Giudice osservava che i verbalizzanti, intervenuti nell’immediatezza, diedero atto della retromarcia innestata e della.luce bianca emessa dal fanale posteriore, sicché l’opponente avrebbe potuto superare tali circostanze solo proponendo la querela di falso.
Per la cassazione di tale sentenza, ricorre C. G. sulla base di due motivi; non ha svolto attività difensiva l’intimata Amministrazione. tempo, ebbero ad effettuare una ricostruzione dell’incidente contrastante con le modalità di verificazione dello stesso, desumibili dal cm inviato all’assicurazione della controparte, che era l’esclusivo responsabile dell’incidente stesso.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Come affermato da questa Corte con orientamento consolidato, che Il Collegio condivide, «il termine concesso al prefetto per l’emissione dell’ordinanza-ingiunzione di cui all’art. 204 del Codice della strada con cui viene irrogata una sanzione pecuniaria, è quello di 180 giorni, stabilito dal D.L. 2 novembre 1999 n. 391, art. 1, non convertito (mai cui effetti sono stati fatti salvi dalla L. 23 dicembre 1999 n. 391, che ha a sua volta, con l’art. 68, riportato il detto termine a 180 giorni), e non quello di 60 giorni, come originariamente previsto dall’art. 204 del detto codice». Infatti, «tale termine è applicabile in tutti i casi in cui, come nella specie, il sub-procedimento introdotto dal ricorso al prefetto non si sia ancora esaurito al momento dell’entrata in vigore di tale decreto legge, ancorché la violazione sia stata accertata precedentemente, dovendosi far riferimento alla disciplina vigente nel momento in cui l’atto viene compiuto, in forza del principio generale, in tema di formazione degli atti amministrativi, secondo cui la nuova normativa, portatrice di un’esigenza di pubblico interesse, trova immediata applicazione allorché la fase in cui si inserisce non sia ancora conclusa, mentre, «ai fini del calcolo del termine concesso al prefetto non si deve tener conto dell’attività di notificazione del provvedimento (e della data del suo compimento) ma soltanto del momento della sua adozione, restando estranea a tale fase il rischio dell’esito negativo della procedura di notificazione» (v., da ultimo, Cass., 17 novembre 2005, n. 23299; in precedenza, Cass., 17 dicembre 2003, n. 19323).
Per quanto riguarda poi la questione della possibile applicazione del termine di 90 giorni, di cui all’art. 18 della legge 24 novembre 2000, n. 340, sulla quale si incentra il motivo di ricorso in esame, deve rilevarsi che questa Corte ha già avuto modo di chiarire che «in tema di sanzioni amministrative pecuniarie per violazione di norme del Codice della strada, qualora avverso il verbale di accertamento dell’infrazione sia stato proposto ricorso al prefetto, questi – salvo che non ritenga di pronunziare ordinanza di archiviazione degli atti – deve emettere, ai sensi dell’art. 204 C.S., ordinanza-ingiunzione entro 180 giorni (termine applicabile anteriormente alla vigenza dell’art. 18, comma 3, legge 24 novembre 2000, n. 340) dalla data in cui egli ha ricevuto in trasmissione – dall’ufficio o dal comando accertatore – gli atti previsti dall’art. 203, comma secondo, dello stesso codice, non essendo necessario che entro il medesimo termine ne risulti altresì effettuata la notificazione all’interessato, quest’ultima costituendo attività ulteriore non necessaria ai fini della giuridica esistenza e della validità dell’atto amministrativo (eseguibile finché il procedimento non sia prescritto ex .art. 29 legge n. 689 del 1981), bensì posta a tutela dei diritti del destinatario e del relativo tempestivo esercizio (Cass., 13 maggio 2005, n. 10038).
Nella specie, dalla sentenza impugnata emerge che il ricorso amministrativo è stato redatto dal C. il 28 gennaio 2000, mancando in atti la prova della spedizione o della consegna al destinatario. Peraltro, posto che il ricorrente deduce che detto ricorso pervenne all’organo accertatore il 1° febbraio 2000, e che detta circostanza non contrasta con l’elemento preso in considerazione dal giudice del merito e non altera i termini della questione, appare evidente come la sentenza impugnata sia immune dal denunciato vizio, avendo il giudice del merito ritenuto applicabile la disciplina risultante dalla modificazione introdotta dalla legge n. 488 del 1999 e quindi il termine di 180 giorni dalla presentazione del ricorso per la decisione sudi esso da parte del prefetto. L’ordinanza-ingiunzione, infatti, è stata adottata il 19 maggio 2000 e quindi entro il termine di 180 giorni dalla proposizione del ricorso, non rilevando in contrario il fatto che la notifica sia avvenuta il 25 luglio 2000, giacché, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, ciò che rileva ai fini dell’ osservanza del termine di cui all’ art. 204 Codice della strada è che in detto termine l’ordinanza sia adottata e non anche notificata. In ogni caso, come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata, posto che al termine di cui all’art. 204 vanno aggiunti i trenta giorni concessi all’organo accertatore per trasmettere la documentazione (art. 203, comma 2), deve concludersi che nel termine di 210 giorni dalla presentazione del ricorso è intervenuta anche la notificazione dell’ordinanza-ingiunzione. Il motivo in esame risulta quindi privo di fondamento.
In parte infondato e in parte inammissibile è il secondo motivo di ricorso.
Nella giurisprudenza di questa Corte costituisce principio consolidato, che il Collegio condivide e al quale intende dare continuità, quello secondo cui «la connessione obiettiva dell’illecito amministrativo con un reato, ai sensi dell’art. 24 della legge 24 novembre 1981, n. 689, rileva esclusivamente, determinando lo spostamento della competenza all’applicazione al giudice penale, nel caso in cui l’accertamento del primo costituisca l’antecedente logico necessario per l’esistenza dell’altro, mentre, in difetto di tale rapporto di pregiudizialità, la pendenza del procedimento penale non fa venir meno detta competenza all’irrogazione della sanzione amministrativa» (da ultimo, v. Cass., 9 febbraio 2005, n. 2630; in senso sostanzialmente conforme, v. Cass., 3 agosto 1992, n. 9209 e Cass., 20 dicembre 1996, n. 11397, nelle quali si precisa altresì che la connessione obiettiva non ricorre neanche nell’ipotesi in cui la condotta sia parzialmente comune ad un reato e ad un illecito amministrativo).
Nel caso di specie, il giudice del merito ha, con motivazione congrua ed immune da vizi logico-giuridici, accertato l’insussistenza del suindicato rapporto rilevando come tra il reato di guida in stato di ebbrezza e l’illecito amministrativo contestato al ricorrente (violazione dell’art. 176 Codice della strada, per avere il ricorrente circolato su strada extraurbana principale in retromarcia) non ricorresse un nesso di pregiudizialità necessaria, prescindendo l’illecito amministrativo dallo stato di ebbrezza del conducente. E sul punto, il ricorrente si limita ad enunciare, ma senza in alcun modo censurare specificamente le affermazioni contenute nella sentenza impugnata, e peraltro erroneamente, che «i verbalizzanti per lo stesso fatto, hanno elevato due processi contravvenzionali, di cui uno costituente reato. Ne rinviene una competenza unica del giudice penale per ragione di connessione obiettiva della contravvenzione con il detto reato». Infatti, se è vero che unico è stato il contesto in cui sono stati accertati i due illeciti, è altresì vero che le condotte contestate sono state diverse, sicché, per la parte in cui si afferma che «per lo stesso fatto» i verbalizzanti hanno elevato due verbali, il motivo non coglie nel segno ed è, per questo profilo, infondato.
Quanto poi alle osservazioni del ricorrente, peraltro generiche, circa la ricostruzione delle modalità del sinistro stradale all’esito del quale è stato elevato il verbale di contravvenzione opposto in sede civile, vi è da rilevare che il ricorrente non prospetta vizi logici della motivazione della sentenza impugnata, ma sottopone inammissibilmente a questa Corte una ricostruzione del sinistro difforme da quella ritenuta dal giudice del merito. Questi d’altra parte, ha rilevato che dal verbale posto a base dell’ordinanza-ingiunzione emergevano circostanze di fatto (retromarcia innestata e luce bianca emessa dal fanale posteriore) che il ricorrente avrebbe dovuto contestare con querela di falso, e nel ricorso non si rinviene alcuna specifica censura sul punto.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Non avendo l’amministrazione intimata svolto attività difensiva, non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
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