Cass. civ., sez. III 09-11-2006, n. 23917 Danno patrimoniale da invalidità temporanea o permanente – Reddito da prendere in considerazione – Lavoratore autonomo – Reddito risultante dalla dichiarazione dei redditi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 18 dicembre 1991 M.R. conveniva davanti al tribunale di Cremona R.B., la s.p.a. RAS e M.Z. per sentirli condannare al risarcimento dei danni, anche alla persona, subiti a seguito di incidente stradale.

Il tribunale dichiarava l’esclusiva responsabilità di M.Z. e condannava i convenuti in solido al risarcimento dei danni in favore dell’attore, liquidati in ulteriori lire 233.897.300, dato atto che la Ras aveva già pagato in acconto la somma di lire 180 milioni.

Avverso questa sentenza proponeva appello la Ras.

La Corte d’appello di Brescia, con sentenza 148/2002, rigettava la censura relativa all’affermata responsabilità del conducente assicurato nonché quella relativa al danno alla salute, mentre accoglieva la censura relativa al danno patrimoniale da diminuita capacità lavorativa dell’attore, ritenendo che il reddito netto da lavoro, da porre a base del calcolo per la liquidazione di questo danno, ai sensi dell’art. 4 della l. 37/1977, dovesse essere quello al netto delle deduzioni, ma al lordo delle detrazioni; che nella fattispecie il reddito complessivo così calcolato era pari a lire 49.300.000 e non a lire 59.515.000, come ritenuto dal tribunale.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’attore.

Resiste con controricorso la Ras s.p.a., che ha anche presentato memoria.

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 4 l. 37/1977, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., in quanto, pur avendo la corte territoriale premesso di voler esattamente interpretare ed applicare tale norma, ricomprendendo nel reddito netto, dichiarato ai fini dell’imposta sul reddito, anche le ritenute di acconto, tuttavia aveva poi detratto da tale reddito anche gli oneri detraibili, che non trovavano causa nell’attività lavorativa.

2.1. La censura del ricorrente è fondata e deve essere accolta.

Detta l’art. 4 l. 37/1977: «Nel caso di danno alle persone, quando agli effetti del risarcimento si debba considerare la incidenza dell’inabilità temporanea o della invalidità permanente su di un reddito di lavoro comunque qualificabile, tale reddito si determina per il lavoro dipendente sulla base del reddito maggiorato dei redditi esenti e delle detrazioni di legge, e per il lavoro autonomo sulla base del reddito netto risultante più elevato tra quelli dichiarati dal danneggiato ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche degli ultimi tre anni ovvero, nei casi previsti dalla legge, dalla apposita certificazione rilasciata dal datore di lavoro, ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. 600/1973».

Atteso dunque il valore probatorio primario e privilegiato attribuito dalla citata norma alla dichiarazione Irpef del danneggiato (cfr. Cassazione n. 5 1094/1991), occorre far capo alla normativa che, agli effetti della denunzia dei redditi percepiti dal lavoratore autonomo nell’anno 1990 fissava i criteri di individuazione dei concetti di reddito lordo e di reddito netto ed in coerenza ad essi disciplinava la compilazione del modello 740 ed in particolare dei quadri E-E1.

2.2. E’ necessario pertanto risalire al dettato dell’art. 50 del d.P.R. 597/1973 a tenore del quale il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra i compensi percepiti nel periodo d’imposta e le spese inerenti all’esercizio dell’arte o professione effettivamente sostenute nel periodo stesso.

La norma legittima la detrazione – dall’ammontare dei proventi da lavoro autonomo al lordo delle eventuali ritenute d’imposta – delle spese per l’acquisto di beni strumentali, dei costi e degli oneri in genere (quali contributi previdenziali, compensi a terzi, interessi passivi sui finanziamenti, premi di assicurazione ed esborsi in genere inerenti all’esercizio dell’arte o della professione e corredati da idonea specifica documentazione) sì da consentire, attraverso la sottrazione del totale dei costi dall’ammontare dei ricavi, l’individuazione del reddito netto.

In base all’art. 3 del d.l. 953/1982, convertito con modificazioni nella l. 53/1983, il possessore di redditi da lavoro autonomo – se derivanti dall’esercizio di arti e professioni e non superiori a lire 18 milioni – anziché provvedere alla indicazione analitica delle spese, contributi ed oneri deducibili, era facultato ad indicare forfetariamente il proprio reddito netto secondo coefficienti di redditività (pari al 70% dell’ammontare dei compensi nel periodo d’imposta conseguiti sino a lire 10 milioni, al 75% per la parte dei compensi superiore ai 10 milioni ma non ai 14, all’80% per la parte dei compensi superiori a 14 ma non a 18 milioni) e cioè avvalendosi di un conteggio in cui costi, spese ed oneri venivano espressi in percentuali (del 30, del 25 e del 20) rispetto a tre scaglioni (sino a 10, sino a 14 e sino a 18 milioni) di ricavi lordi, anziché essere in modo analitico specificati.

Ma tanto nel caso in cui il percettore del reddito da lavoro autonomo si fosse avvalso della determinazione analitica quanto nel caso che si fosse giovato di quella forfetaria, all’obbligo di denunziare l’importo dei proventi al lordo delle ritenute, si congiungeva sempre, ai fini della determinazione della imposta dovuta, l’onere di indicare – separatamente dal confronto tra ricavi e costi – le ritenute d’acconto subite.

Le ritenute di acconto operate sui redditi che concorrono a formare il reddito complessivo del contribuente si scomputano dall’importo della imposta da lui dovuta e non si sommano con le spese ed i costi inerenti alla formazione del provento netto da lavoro autonomo.

2.4. Ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. 917/1986 ("Oneri deducibili") dal reddito complessivo si deducono, se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo, i seguenti oneri sostenuti dal contribuente. Tra questi oneri deducibili si annoverano:

a) i canoni, livelli, censi ed altri oneri gravanti sui redditi degli immobili;

b) gli interessi passivi per i quali sia indicato il domicilio, la residenza o la stabile organizzazione del percipiente e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, salvo quanto stabilito nel comma 4 dell’art. 58;

c) i contributi previdenziali e assistenziali;

d) i premi per assicurazioni sulla vita, contro le malattie e contro gli infortuni;

e) i contributi previdenziali ed assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge, nonché quelli versati facoltativamente alla gestione della forma pensionistica obbligatoria di appartenenza;

f) le spese per cure mediche e chirurgiche;

g) gli assegni periodici corrisposti al coniuge separato o divorziato;

h) gli assegni periodici corrisposti al beneficiario in forza di testamento o di donazione modale;

i) le spese di frequenza di corsi di istruzione;

l) elargizioni liberali in favore di determinati enti.

Ne consegue che non possono essere detratti dal reddito netto di lavoro i suddetti oneri deducibili, poiché essi attengono a categorie che non hanno concorso alla formazione di tale reddito.

Ove si passasse, ai fini della determinazione del reddito netto da lavoro, alla detrazione dei suddetti oneri si giungerebbe alla conseguenza inaccettabile di risarcire il danno patrimoniale da riduzione della capacità lavorativa in misura diversa a seconda se il danneggiato sia una persona separata o divorziata, o abbia sostenuto spese mediche o di istruzione o abbia effettuato elargizioni liberali o versi in una delle condizioni di cui al suddetto art. 10 d.P.R. 917/1986.

2.5. Nel caso in esame, poiché la sentenza impugnata – nello stabilire l’incidenza dell’inabilità temporanea e della invalidità permanente sul reddito da lavoro autonomo del ricorrente R.M. – ha ritenuto che questo reddito fosse da identificare attraverso la sottrazione – dal reddito netto di lavoro dichiarato – dell’ammontare di tutti gli oneri deducibili nella loro generalità e totalità, la sentenza deve essere per questa parte cassata.

La causa deve essere rimessa, per nuovo esame, al giudice del rinvio che si atterrà nel decidere al seguente principio di diritto: «Agli effetti previsti dall’art. 4 della l. 39/1977 per reddito netto da attività professionale, dichiarato dal danneggiato ai fini dell’Irpef, deve intendersi quello risultante dalla differenza tra il totale dei compensi conseguiti (al lordo delle ritenute d’acconto) ed il totale dei costi inerenti all’esercizio professionale – analiticamente specificati o, se per legge consentito, forfetariamente conteggiati -, senza che l’importo risultante da tale differenza possa essere ulteriormente decurtato non solo dell’ammontare delle ritenute d’imposta, ma anche degli oneri che siano deducibili solo dal reddito complessivo (art. 10 d.P.R. 917/1986) e non dalla determinazione delle singole voci di reddito».

Il giudice del rinvio, che si designa in altra sezione della corte di appello di Brescia, provvederà anche sulle spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa, in relazione, l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della corte di appello di Brescia.

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