Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 05-07-2011) 04-08-2011, n. 31137 Circolazione stradale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.M. ricorre contro la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza di primo grado che lo aveva riconosciuto responsabile, sia pure con il concorso di colpa della vittima- determinato nella misura del 50%- del reato di omicidio colposo conseguente ad incidente stradale, commesso in danno di R.C., che viaggiava a bordo di un ciclomotore e lo aveva condannato, concesse le attenuanti genetiche prevalenti sulla contestata aggravante, alla pena di otto mesi di reclusione.

Il C. era stato chiamato a rispondere del reato in questione nella qualità di conducente di un’autovettura, in quanto, in data 18 dicembre 1999, violando gli obblighi posti dagli artt. 141 e 142 C.d.S., di regolare la velocità del veicolo in relazione alle caratteristiche della strada di percorrenza, nonchè il divieto di oltrepassare nei centri urbani la velocità di 50 Km/h, entrava in collisione con il motofurgone Ape condotto dal R. che, procedendo in opposta direzione di marcia, aveva effettuato la manovra di svolta a sinistra per accedere alla propria abitazione. A seguito della collisione il motofurgone venne scaraventato a circa otto metri dal punto di impatto ed al R., trasportato in ospedale,venne riscontrato un trauma cranico con frattura del parietale di sinistra ed ematoma epidurale concomitante nonchè emorragia sub aracnoidea consecutiva a traumatismo, con decesso avvenuto l’8 dicembre 2002.

La Corte territoriale, nel confermare la sentenza di primo grado, fondava la responsabilità dell’imputato sulla violazione del comportamento prudenziale da parte dello stesso, il quale, viaggiava ad una velocità di circa 60 Km/h in un luogo in cui, anche a prescindere dal contestato limite di 30 km/h, richiamato dal giudice di primo grado, vigeva l’obbligo del C. di adeguare la velocità del mezzo allo stato dei luoghi, caratterizzato dall’esistenza di diverse abitazioni contigue.

La Corte confermava altresì il concorso di colpa della vittima per l’omesso rispetto della precedenza dell’autovettura, ai fini della graduazione della pena.

In merito alla tesi difensiva prospettante quale causa alternativa della morte l’errore del sanitari nella prestazione delle cure alla vittima dell’Incidente stradale, la Corte di merito richiamava la giurisprudenza di legittimità secondo la quale per il principio di equivalenza delle cause l’eventuale colpa dei medici, anche se grave, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente – tale da irrompere il nesso causale ex art. 41 c.p.p., comma 2 – tra il comportamento di colui che ha causato l’incidente e la successiva morte del ferito.

Il ricorrente articola due motivi.

Con il primo motivo, lamenta la manifesta illogicità della sentenza con riferimento al seguente duplice profilo.

Si sottolinea che la sentenza merita censura laddove avrebbe sottovalutato i dubbi prospettati dalla difesa sulla sussistenza del nesso eziologico tra l’Incidente e la morte del R., il quale era morto a casa per trombo embolia della polmonare dopo essere stato curato e dimesso datì ospedale, in tal modo reiterando in questa sede l’ipotesi dell’eventuale errore dei sanitari, anche sotto il profilo di una intempestiva dimissione dall’ospedale.

Lamenta, inoltre, che i giudici di merito non avrebbero adeguatamente tenuto conto del comportamento gravemente imprudente del conducente del motofurgone, che aveva violato le norme del codice della strada tagliando imprevedibilmente la strada all’imputato.

Con il secondo motivo si duole della carenza di motivazione in relazione all’entità della pena irrogata.

Motivi della decisione

Prima di passare ad esaminare il ricorso, con il quale si contestano le valutazioni rese sul punto di responsabilità, non è inutile ricordare, in via preliminare, i rigorosi limiti del controllo di legittimità sulla sentenza di merito.

Ai sensi di quanto disposto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne nè la ricostruzione dei fatti nè l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Con l’ulteriore precisazione che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente ("manifesta illogicità"), cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento (ex pluribus, Sez. I, 26 settembre 2003, Castellana ed altri).

In altri termini, l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è solo quella "evidente", cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivi di impugnazione consentono una trattazione unitaria vertendo, a ben vedere, tutti sulla ritenuta erroneità, sotto il profilo della illogicità, dell’affermato giudizio di responsabilità.

I termini della questione non paiono mutati neppure a seguito della nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), intervenuta a seguito della L. 20 febbraio 2006, n. 46, laddove si prevede che il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la motivazione della pronuncia: a) sia "effettiva" e non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;

b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo ricorso per cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

Ritiene il Collegio che i vizi dedotti non sono riscontrabili nella sentenza impugnata con la quale la Corte di merito ha dimostrato di avere analizzato tutti gli aspetti essenziali della vicenda, pervenendo a conclusioni sorrette da argomentazioni logico giuridico.

Il ricorrente ha inammissibilmente prospettato a fondamento della tesi difensiva, due distinte ipotesi alternative, integranti, secondo tale impostazione, cause sopravvenute da sole sufficienti a determinare l’evento. La giurisprudenza di legittimità ha più volte precisato (v. sentenza Sezione 4^, 29 aprile 2009,n. 26020; Cipiccia ed altri), che ai fini dell’apprezzamento dell’eventuale interruzione del nesso causale tra la condotta e l’evento ( art. 41 c.p., comma 2), il concetto di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento non si riferisce solo al caso di un processo causale del tutto autonomo, giacchè, allora, la disposizione sarebbe pressochè inutile, in quanto all’esclusione del rapporto causale si perverrebbe comunque sulla base del principio condizionalistico o dell’equivalenza delle cause (condido sine qua non) di cui all’art. 41 c.p., comma 1. La norma, invece, si applica anche nel caso di un processo non completamente avulso dall’antecedente, nel senso che è l’agente, con la sua condotta (attiva od omissiva), ad avere posto in essere un fattore causale del risultato, vale a dire un fattore senza il quale il risultato medesimo nel caso concreto non si sarebbe avverato, pur tuttavia non ne risponde se ed in quanto la verificazione di questo risulti in concreto dovuto al concorso di fattori sopravvenuti eccezionali (cioè rarissimi). Deve trattarsi, in altri termini, di fattori completamente atipici, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, che non si verificano se non In casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta. In proposito, dovendosi escludere che possa assumere tale rilievo eccezionale la condotta di un soggetto, pur negligente, la cui condotta inosservante trovi la sua origine e spiegazione nella condotta di chi abbia creato colposamente le premesse su cui si innesta il suo errore o la sua condotta negligente.

Applicando tali principi in materia di circolazione stradale, al fine di escludere la responsabilità del conducente è, perciò, necessario che lo stesso si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare la vittima; occorre, inoltre che nessuna infrazione alla norme della circolazione stradale ed a quelle di comune prudenza sia riscontrabile nel suo comportamento.

Tali principi sono stati correttamente applicati nella sentenza impugnata. Nella fattispecie, in vero, i giudici di merito, hanno puntualmente evocato le circostanze del fatto rilevanti e non illogicamente individuato i profili di colpa ascrivibili al C. nella velocità eccessiva tenuta dallo stesso, confermata dalla lunga traccia di frenata, in ogni caso (cioè anche a prescindere dal contestato limite dei 30 Km/h) non adeguata allo stato dei luoghi (caratterizzato dall’esistenza di diverse abitazioni con i relativi cancelli d’ingresso, immettenti direttamente sulla carreggiata).

La Corte di merito, inoltre, pur confermando "il giudizio benevolo" del primo giudice con riferimento ai concorso di colpa della vittima, ha escluso, anche questa volta con motivazione esente da censure, che il comportamento della vittima fosse qualificabile come repentino ed improvviso, alla luce della natura dei danni riportati dai mezzi (parte anteriore dell’autovettura e parte posteriore destra dell’abitacolo ed anteriore destra del cassone del motofurgone), indicativa del fatto che al momento dell’impatto il veicolo condotto dalla vittima aveva completato la manovra di svolta a sinistra.

Correttamente, pertanto, i giudici di appello hanno ritenuto che, pur a fronte di un comportamento colposo del conducente del motofurgone (che nell’effettuare la manovra di svolta a sinistra non aveva dato la precedenza) inequivoca fu la colpa del C., che, con una velocità adeguata, avrebbe potuto avvistare il motofurgone ed evitare l’impatto.

Il giudizio espresso sul punto attiene al merito dei fatti e non è sindacabile in sede di legittimità perchè frutto di un apprezzamento delle emergenze processuali, in ordine alla condotta di guida del ricorrente, ai profili di colpa in essa ravvisati e alla loro incidenza sotto il profilo causale, del quale è stata data congrua e coerente giustificazione.

E’ manifestamente infondato anche il motivo di doglianza riguardante la pretesa interruzione del nesso causale tra le lesioni personali colpose riconducibili alla condotta dell’imputato ed il decesso del R. (che sopraggiungeva 17 giorni dopo l’incidente per tromboembolia polmonare massiva), fondata dal ricorrente sulla ipotizzata responsabilità dei sanitari dell’ospedale che avevano avuto in cura la vittima.

Il ricorrente dimentica di considerare che, in conformità al principi più volte espressi da questa Corte (v. da ultimo, Sez. 4^, 2 marzo 2007, Basta), nel caso di lesioni personali cui sia seguito il decesso della vittima, l’eventuale colpa dei medici, anche se grave, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente – tale da irrompere il nesso causale ex art. 41 c.p.p., comma 2, – rispetto al comportamento dell’agente, perchè questi, provocando tale evento (le lesioni), ha reso necessario l’intervento dei sanitari, la cui imperizia e negligenza, non costituisce un fatto imprevedibile ed atipico, ma un’ipotesi che si inserisce nello sviluppo della serie causale.

Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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