Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 27-12-2011, n. 28984 Cassa integrazione guadagni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Bari ha confermato la decisione di primo grado del Tribunale della stessa città, che aveva rigettato l’opposizione a decreto ingiuntivo emesso a favore di G.N. contro l’INPS per il pagamento dell’indennità di cassa integrazione ordinaria per i mesi di ottobre – novembre – dicembre 2001, oltre interessi legali.

Il giudice di appello ha ritenuto, in adesione agli orientamenti giurisprudenziali in materia, che, se è vero che il provvedimento di ammissione alla CIG obbliga il datore di lavoro ad anticipare il relativo trattamento ai dipendenti interessati, tuttavia tale obbligo riguarda i rapporti tra l’INPS e il medesimo datore di lavoro, che nei confronti dei lavoratori ricopre la figura dell’adiectus solutionis causa, con la conseguenza che in caso di suo inadempimento legittimato passivo nei confronti del lavoratore è l’INPS, tenuto al pagamento senza che al riguardo vi sia l’onere del lavoratore di una previa domanda amministrativa. Nell’ambito della motivazione ha precisato che gli interessi decorrevano dalla data di ammissione della datrice di lavoro alla cassa integrazione.

Con riguardo alle spese la Corte di Appello ha disposto la compensazione di quelle di primo grado, dando rilievo alle difficoltà che aveva incontrato l’INPS nell’identificare i singoli beneficiari e nel verificare se fosse intervenuto o meno il pagamento da parte del datore di lavoro. La stessa Corte ha compensato anche le spese di appello. Il lavoratore ricorre per cassazione con otto motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

L’INPS ha depositato procura in calce al ricorso notificato.

Viene autorizzata da parte del Collegio motivazione semplificata.

Motivi della decisione

1. Con il primo, secondo, terzo, sesto, settimo e ottavo motivo il ricorrente lamenta sostanzialmente erroneità della pronuncia di compensazione delle spese del primo e secondo grado; con il quarto motivo contesta la decisione di appello per aver fatto decorrere gli interessi legali – dovuti sugli importi di integrazione salariale- dalla data del provvedimento di ammissione alla CIG in assenza di alcuna domanda dell’INPS e conseguentemente per avere considerato tale statuizione ai fini dell’operata compensazione; con il quinto motivo denuncia vizio di motivazione per avere ritenuto erroneamente il giudice di appello che le parti concordassero sulla configurazione giuridica della fattispecie, riguardando il dissenso solo le concrete modalità di attuazione sotto il profilo degli accessori sul capitale e delle spese processuali.

2. Il ricorso è fondato nei limiti delle seguenti considerazioni (cfr. Cass. n. 16309 del 2010 relativa alla stessa vicenda).

Occorre premettere che la riforma della decisione di primo grado, come risulta dalla motivazione e dal dispositivo della sentenza di appello, ha riguardato esclusivamente la statuizione della condanna dell’INPS al pagamento delle spese di giudizio, essendo stata invece confermata, per il resto, la decisione del Tribunale; in particolare la precisazione- di cui al quarto motivo del ricorso- riguardante la decorrenza degli interessi (dalla data di ammissione alla CIG)- non configura alcuna modifica della corrispondente statuizione della sentenza appellata, nè costituisce una ragione giustificativa del provvedimenti di compensazione, conseguendone, in tale profilo, l’inammissibilità della censura ex art. 112 c.p.c., perchè non pertinente rispetto al decisum.

3. La sentenza impugnata, cosi esattamente individuata non si sottrae nondimeno alla censura di violazione dell’art. 112 c.p.c., per la diversa ragione- puntualmente evidenziata nel ricorso- che la statuizione di primo grado in ordine alle spese di quel giudizio non era stata investita dall’impugnazione proposta dall’istituto. Invero l’atto d’appello dell’INPS, come risulta dalle conclusioni riferite nella sentenza della Corte territoriale, riguardava il merito della controversia, con conclusiva richiesta di revoca del decreto ingiuntivo opposto e la condanna del lavoratore a pagare le spese processuali. Nè la configurazione di una impugnazione sulle spese potrebbe conseguire al riferimento, contenuto nello stesso atto di appello, alla eventuale rilevanza "ai fini……. delle spese di giudizio" delle difficoltà prospettate relative alla liquidazione degli importi dovuti ai lavoratori, trattandosi di riferimenti generici e come tali non idonei ad individuare specifiche censure, finalizzate ad inficiare il fondamento logico-giuridico della statuizione del giudice di primo grado e a fissare con certezza i limiti della controversia.

Sotto tale profilo il ricorso va accolto, con assorbimento delle restanti censure relative alle ragioni dell’operata compensazione ex art. 92 c.p.c..

La sentenza impugnata pertanto va cassata senza rinvio ex art. 382 c.p.c., essendosi formato il giudicato interno sul punto della statuizione del Tribunale sulle spese di primo grado.

4. Sulla base delle precedenti considerazioni può ritenersi fondato il ricorso anche con riguardo alla statuizione di compensazione delle spese del giudizio di secondo grado, che vanno poste a carico dell’INPS soccombente, unitamente a quelle del giudizio di cassazione, da liquidarsi come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e cassa senza rinvio la sentenza impugnata. Condanna l’INPS a rimborsare al ricorrente le spese del giudizio di appello, liquidate in Euro 500,00, di cui Euro 150,00 per diritti, nonchè quello del giudizio di cassazione , liquidate in Euro 40,00 per esborsi e in Euro 700,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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