T.A.R. Campania Salerno Sez. II, Sent., 13-09-2011, n. 1539 Amministrazione Pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con l’atto introduttivo del giudizio, i ricorrenti, premesso che, con decreto del 10.05.99, il Prefetto della Provincia di Salerno aveva autorizzato l’A. N. A. S. ad occupare in via temporanea e d’urgenza – per la durata di anni cinque – il fondo sito in agro di Battipaglia, di proprietà, "pro quota", dei ricorrenti medesimi, per la realizzazione dei lavori d’adeguamento dell’Autostrada Salerno – Reggio Calabria alle norme CNR/80 – Tipo 1/b – Tronco 1° – Tratto 3°; che, con comunicazione del 15.06.04, l’A. N. A. S. aveva notificato le indennità definitive, dovute a titolo d’esproprio e d’occupazione temporanea delle aree, di loro proprietà, senza, peraltro, che alcuna indennità fosse, poi, effettivamente liquidata in loro favore, e ciò, nonostante la notifica, da parte dei medesimi, d’una diffida nei confronti dell’Ente intimato; tanto, mentre l’occupazione temporanea del terreno di loro proprietà era divenuta illegittima, per la scadenza dei termini, senza che fosse seguito il decreto definitivo d’esproprio; laddove le trasformazioni, attuate con i lavori di adeguamento "de quibus", avevano reso il terreno insuscettibile di restituzione, così essendosi compiuta un’ipotesi di "occupazione acquisitiva" del fondo, da parte dell’A.N.A.S., conseguentemente tenuta a corrispondere loro il risarcimento dei danni, nella misura del valore di mercato delle aree, oltre l’indennità d’occupazione legittima; tanto premesso in punto di fatto, i ricorrenti articolavano censure d’illegittimità dell’occupazione d’urgenza, per essersi, la stessa, protratta oltre i termini autorizzati, senza l’emanazione del decreto d’esproprio, nonché di violazione di legge, per lesione del loro diritto di proprietà; e formulavano istanza di risarcimento dei danni subiti, ex art. 2043 cod. civ., oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, danni da quantificarsi anche a mezzo c. t. u., di cui chiedevano l’espletamento.

Si costituivano, rispettivamente in data 27.03.09 e 10.08.07, con atto di forma, il Ministero dell’Interno e l’A. N. A. S. s. p. a. – Ente N.P.L.S., con il patrocinio dell’Avvocatura Erariale.

Con ordinanza n. 63/09, emessa all’esito dell’udienza in camera di consiglio del 12.03.09, il Tribunale rilevava come, ai fini della decisione ovvero dell’eventuale ulteriore istruzione della causa, occorresse, anzitutto, acquisire una documentata relazione di chiarimenti, circa i fatti dedotti in giudizio, da parte dell’Amministrazione intimata (A. N. A. S. s. p. a.), la quale, pur essendovi tenuta, non aveva ottemperato all’obbligo di deposito degli atti e dei documenti, pertinenti al ricorso, ex art. 21, co. 4°, l. 1034/71; detta documentata relazione di chiarimenti doveva pervenire, in Segreteria, nel termine perentorio di giorni trenta, decorrente dalla notificazione a cura di parte, ovvero dalla comunicazione, in via amministrativa, della suddetta ordinanza.

All’udienza pubblica del 25 giugno 2009 si verificava che la predetta relazione di chiarimenti non era pervenuta, laddove era pervenuta al Tribunale, in data 3.06.09, da parte dell’A. N. A. S., documentazione pertinente al ricorso; in pari data, erano prodotte note d’udienza, nell’interesse dei ricorrenti.

Con ordinanza, n. 133/09, la Sezione reiterava l’ordine istruttorio, contenuto nella predetta ordinanza della Sezione, ordine da eseguirsi, da parte dell’A. N. A. S., nell’ulteriore termine, improrogabile, di giorni trenta, restando impregiudicata ogni questione in rito, merito e sulle spese.

In data 21 luglio 2009 perveniva, da parte dell’A. N. A. S., in risposta peraltro alla precedente ordinanza del Tribunale, del 12.3 – 2.04.09, n. 63/09 di prot., una relazione, prot. n. 370 del 15.06.09, a firma del "consulente tecnico di parte" dell’A. N. A. S. e vistata dal Responsabile del procedimento.

L’ordinanza della Sezione, n. 113/09 del 25 – 29.06.09, era invece notificata, all’A. N. A. S. s. p. a., in data 2.10.09, e prodotta in giudizio, nell’interesse dei ricorrenti, in data 15.10.09.

All’esito dell’udienza pubblica del 16.12.09, il Tribunale rilevava ulteriormente che, al fine di pervenire alla decisione della controversia, occorreva espletare ulteriore attività istruttoria, e in particolare acquisire dall’A. N. A. S. s. p. a., nel termine perentorio di giorni trenta dalla comunicazione, in via amministrativa, ovvero dalla notificazione, a cura di parte, della stessa ordinanza, l’atto della stessa A. N. A. S., di proroga dei termini dell’espropriazione "de qua", costituito dalla disposizione, n. 1765 dell’1.07.2004, nonché il decreto dell’A. N. A. S., n. 24 del 17.09.07, d’approvazione del progetto dei lavori e di dichiarazione di p. u. i. u. dei medesimi, con fissazione in 2520 giorni del termine per il completamento delle espropriazioni; nonché, ancora, il decreto n. 230/USCS/S./14 del 27.04.1999, d’approvazione della perizia di variante dei lavori; detti atti dovevano pervenire, al Tribunale, in copia conforme, come pure in copia conforme dovevano essere trasmesse al T. A. R., nello stesso termine perentorio di cui sopra, le disposizioni dell’A. N. A. S., prot. 74203 – P del 19.07.2006 e 104234 – P del 28.07.2008, presenti in atti, ma in fotocopia semplice.

Rilevava, altresì, il Collegio come la "consulenza tecnica di parte", prot. 370 del 15.06.2009, trasmessa al Tribunale, in data 21.07.09, facesse riferimento, in calce, ad alcuni allegati, i quali, tuttavia, non erano stati allegati alla medesima; il Tribunale riteneva, quindi, necessario ordinarne l’acquisizione, da parte dell’A. N. A. S. s. p. a., nello stesso termine perentorio di cui sopra, sempre restando impregiudicata ogni questione in rito, in merito e sulle spese.

La documentazione richiesta perveniva, dall’Amministrazione, in data 29.03.2010.

In data 25.06.2010 i ricorrenti producevano in giudizio memoria conclusiva, in cui sottolineavano come le proroghe, disposte dall’A. N. A. S., fossero state adottate dopo la scadenza del termine finale per i lavori; e quanto alla misura del risarcimento dei danni richiesto, allegavano consulenza tecnica di parte.

In data 26.06.2010 la difesa dell’Amministrazione depositava scritto difensivo, in cui evidenziava, al contrario, la validità delle proroghe disposte, di cui alla documentazione in atti.

All’udienza pubblica dell’8.07.2010 la causa era rinviata, d’ufficio, al 9.12.2010, al cui esito il Tribunale, alla luce degli elementi già acquisiti e al fine della decisione, o dell’eventuale ulteriore istruzione della causa, disponeva che l’A. N. A. S. trasmettesse una relazione dettagliata di chiarimenti; in detta relazione occorreva che la stessa Amministrazione chiarisse, se del caso mediante la redazione di un idoneo specchio riepilogativo, con riferimento ai provvedimenti – anche di proroga – adottati nel corso della procedura, lo svolgersi dei termini per il compimento delle espropriazioni e dei lavori, e riferisse se, nel termine dell’11.08.2010, da ultimo fissato per il compimento delle espropriazioni, le stesse erano state, o meno, completate, mercé l’adozione dei relativi provvedimenti definitivi; nella stessa relazione l’A. N. A. S. avrebbe chiarito, inoltre, se e quando i lavori, concernenti le particelle di proprietà dei ricorrenti, fossero stati eventualmente completati.

Detta relazione doveva pervenire al Collegio nel termine perentorio di giorni quarantacinque, decorrente dalla notificazione a cura di parte ovvero dalla comunicazione in via amministrativa della suddetta ordinanza.

Restava ferma ed impregiudicata la risoluzione di ogni questione, in rito, merito e sulle spese.

Il deposito della relazione, richiesta all’A. N. A. S., avveniva in data 16.03.2011, ed era seguito dalla produzione di memorie difensive, nell’interesse della stessa Amministrazione e dei ricorrenti.

All’udienza pubblica del 14 luglio 2011, il ricorso era trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

Ritiene, preliminarmente, il Tribunale che sia necessaria una premessa: l’oggetto del presente giudizio (identificato tramite i tre elementi tradizionali delle "personae", del "petitum" e della "causa petendi") consiste nell’azione, esercitata dai ricorrenti, contro l’A. N. A. S. s. p. a. ed il Ministero dell’Interno, volta alla declaratoria dell’illegittimità della procedura d’esproprio, svolta dalla prima, relativamente al fondo di loro proprietà, sito in Battipaglia alla località Serroni, ed alla condanna dell’Amministrazione al pagamento "delle somme spettanti a titolo risarcitorio per la perdita del diritto di proprietà del bene, nonché per la diminuzione di valore delle superfici residue, con interessi e rivalutazione monetaria, da liquidarsi anche con l’ausilio di c. t. u."; tanto, sul presupposto che "l’occupazione da parte della resistente del fondo de quo integri la fattispecie dell’illegittima occupazione acquisitiva", attesa la mancata emanazione, da parte della P. A., nei termini, di un legittimo decreto d’esproprio, conclusivo della procedura espropriativa in oggetto.

L’azione, per così dire principale, esercitata dalla ricorrente, è rivolta ad ottenere, in pratica, ex art. 2043 cod. civ., il risarcimento dei danni subiti per effetto dell’illegittima – in tesi – ablazione del bene di proprietà dei ricorrenti.

Ciò presuppone, ovviamente, l’accertamento che la P. A. procedente abbia posto in essere una condotta illecita, generatrice di danno ingiusto e pertanto, in primis, come del resto si ricava dalla stessa articolazione del ricorso, l’accertamento dell’illegittimità della procedura espropriativa "de qua".

La predetta azione, così individuata, rientra sicuramente nella sfera giurisdizionale del G. A.

Cfr., in proposito, la seguente massima: "La controversia avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno relativa all’illegittima occupazione del terreno di proprietà della ricorrente, a seguito della vana scadenza del termine assegnato per l’emissione del decreto di esproprio, ha ad oggetto comportamenti dell’Amministrazione connessi all’esercizio dei pubblici poteri che, in considerazione delle previsioni dell’art. 34, d. lg. n. 80 del 1998 e dell’art. 53, d. P. R. n. 327 del 2001 e sulla base dei principi sanciti dalla Corte costituzionale con le sentenze 6 luglio 2004 e 11 maggio 2006 n. 191, è devoluta alla giurisdizione del g. a." (T. A. R. Calabria Catanzaro, sez. I, 15 aprile 2010, n. 467; nello stesso senso, da ultimo, si veda anche la sentenza di questa Sezione, del 27 giugno 2011, n. 1182).

Diversamente si deve ritenere – come meglio emergerà dal seguito della motivazione – per altra azione, che i ricorrenti hanno inteso cumulare nello stesso atto introduttivo del presente giudizio, vale a dire quella, rivolta al pagamento dell’indennità da occupazione legittima.

Concentrando, per ora, l’attenzione alla domanda, per così dire principale, esercitata nel presente giudizio, osserva il Collegio come la ragione dell’illegittimità della procedura espropriativa sia stata ravvisata, dai ricorrenti, unicamente nel superamento, da parte dell’Amministrazione, del termine finale per l’emissione del decreto definitivo d’esproprio.

Pur essendosi i ricorrenti lamentati, nelle memorie difensive in atti, anche del superamento, da parte della P. A., del termine per il compimento dei lavori, pur tuttavia dette doglianze non sono state palesate nella forma dei motivi aggiunti, ritualmente notificati, e di esse non può pertanto tenersi conto.

Tanto, conformemente all’indirizzo, chiaramente espresso nella massima che segue: "Il giudice amministrativo, anche in sede di giurisdizione esclusiva, è vincolato ai motivi dedotti nel ricorso ed agli eventuali motivi aggiunti, senza possibilità per il ricorrente di introdurre una "mutatio libelli", mediante formulazione di censure o richieste nuove in successivi scritti difensivi non notificati o nel corso della discussione" (T. A. R. Marche, 25 gennaio 1991, n. 11).

Così delimitato l’oggetto della controversia, osserva il Tribunale che nella censura, rubricata sub 1), s’è dedotto, in particolare, quanto segue: "Il fondo de quo è stato occupato a seguito di dichiarazione di pubblica utilità, ed ha subito una irreversibile trasformazione in esecuzione dei lavori di ammodernamento dell’Autostrada Salerno – Reggio Calabria senza che, tuttavia, sia intervenuto il decreto di esproprio o altro atto idoneo a produrre l’effetto traslativo della proprietà"; mentre nella successiva doglianza, rubricata sub 2) (ma costituente, in realtà, null’altro che una ulteriore specificazione dell’unica azione, in esso esercitata), i ricorrenti hanno lamentato "la perdita del diritto dominicale conseguente al verificarsi d’una ipotesi d’occupazione acquisitiva, nella quale l’acquisto della proprietà da parte della società intimata (leggi: A. N. A. S. s. p. a.) si collega all’irreversibile trasformazione del fondo "de quo" derivante dalla realizzazione dell’opera pubblica, attuata nell’ambito di un procedimento di espropriazione che non si è concluso con un decreto di espropriazione emesso nei termini, avente alla base una valida ed efficace dichiarazione di pubblica utilità".

Occorre, quindi, anzitutto verificare se effettivamente, come dedotto in ricorso, nella specie il decreto d’esproprio sia mancato e/o sia stato emesso, oltre il termine finale per il compimento degli atti espropriativi.

La circostanza, attesa la sua decisività ai fini della risoluzione della controversia, è stata oggetto di un’approfondita e reiterata istruttoria da parte del Collegio, i cui esiti sono compendiati, da ultimo, nella relazione prot. UCS – 0008424P del 15.03.2011, depositata il 16.03.2011, a firma congiunta del Responsabile dell’Unità Legale e del Capo Compartimento dell’A. N. A. S. s. p. a.

Dalla lettura di detta nota, e dall’esame dei documenti in essa allegati o citati (perché già in precedenza prodotti in giudizio – cfr., in particolare, la documentazione allegata alla memoria difensiva dell’Avvocatura Erariale del 26.06.2010), risulta, specificamente, quanto segue.

Con riferimento al lavori di ammodernamento ed adeguamento al tipo I b delle norme CNR/80 – Tronco I – Tratto 3 – Lotto Unico (dal km. 23+000 al km 30+000), vale a dire ai lavori cui si riferisce la procedura ablativa in analisi, nella prefata nota si poneva in evidenza che, con disposizione del 17.09.07, era stato approvato il progetto relativo al tratto di autostrada in oggetto, era stata dichiarata la p. u. ed era stato determinato il termine entro cui dovevano compiersi le procedure espropriative in 2520 giorni, vale a dire con scadenza all’11.08.2004; prima di detta scadenza, tuttavia, era intervenuta la disposizione n. 1765 dell’1.07.2004, con cui tale termine era stato prorogato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 13, comma 2, della l. 2359/1865, fino all’11.08.2006; sempre prima delle ulteriori scadenze, erano poi seguite altre proroghe, sempre adottate ai sensi della prefata disposizione legislativa (art. 13 cpv. L. 2359/1865), disposte in particolare con le disposizioni n. 74203 del 19.07.2006 (fino all’11.08.2008), n. 104234 del 28.07.2008 (fino all’11.08.2010), n. 110709 del 30.07.2010 (fino al 7.02.2011) e n. CDG16033P del 3.02.2011 (fino al 7.08.2011).

Sempre dalla suddetta relazione emergeva, altresì, che i lavori in oggetto, per la realizzazione dei quali era stata avviata la procedura espropriativa, concernente il fondo di proprietà dei ricorrenti, erano stati ultimati, in data 31.12.2002, come attestato dal certificato predisposto dal direttore dei lavori e sottoscritto dall’impresa esecutrice.

In conformità a tali esiti istruttori, la difesa Erariale concludeva nel senso dell’inammissibilità dell’azione, essendo ancora pendente, al momento in cui la causa è stata trattenuta in decisione, il termine per l’emanazione del decreto d’espropriazione (tanto, in virtù delle numerose proroghe, disposte dall’Amministrazione).

Si prescinde in questa sede, perché superflua (per le ragioni che appariranno chiare dal seguito della motivazione) da qualsivoglia considerazione circa la legittimità delle motivazioni, addotte dall’A. N. A. S. s. p. a., a sostegno delle predette proroghe.

Sta di fatto, però, che la ricostruzione dei fatti, riguardanti il procedimento ablativo "de quo", dev’essere necessariamente integrata con ulteriori osservazioni, non emergenti peraltro dall’esame della relazione di chiarimenti depositata dall’A. N. A. S., bensì dall’analisi della documentazione, prodotta in giudizio dalla stessa P. A., in data 26.06.2010.

Da tale documentazione risulta che, con decreto dell’Ente N.P.L.S., prot. n. 230 del 27.04.1999 era stata approvata, "anche agli effetti della dichiarazione di pubblica utilità nonché di urgenza ed indifferibilità", una perizia di variante tecnica (senza aumento di spesa per le somme a disposizione dell’Amministrazione per le espropriazioni, fissate in Lire 5.285.567.570), redatta dall’Ufficio per l’Autostrada SA – RC in data 30.03.99, n. 6567; che, in detto decreto, erano espressamente confermati i termini per l’inizio ed il compimento dei lavori, già stabiliti con la disposizione n. 24 del 17.09.1997 (ogni questione al riguardo, giusta quanto sopra osservato sopra, esula dal fuoco della presente decisione); ma, soprattutto, in detto decreto erano determinati, "ex novo", i termini per l’inizio ed il compimento delle espropriazioni, ora fissati, rispettivamente, in giorni 260 ed in giorni 1800, a decorrere dalla data dello stesso decreto.

Il termine finale per gli espropri (il cui superamento, si ribadisce, ha determinato, secondo i ricorrenti, l’illegittimità della procedura ablativa "de qua") rimaneva quindi definitivamente fissato, per effetto della novazione dell’originario termine, stabilito nel 1997, alla data del 12.04.2004 (1800 giorni, a decorrere dal 27.04.1999).

Orbene, rispetto a tale scadenza, la (prima) proroga disposta dalla P. A. (vale a dire quella, intervenuta con la disposizione n. 1765 dell’1.07.2004, con cui tale termine sarebbe stato prorogato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 13, comma 2, della l. 2359/1865, fino all’11.08.2006), è "tamquam non esset", essendo ormai decorso il termine per l’emanazione dell’esproprio, (ri)fissato dall’Amministrazione nel 1999 (con innegabili effetti innovativi della scadenza, originariamente disposta).

Vige, infatti, pacificamente in materia il principio, secondo il quale: "Il prolungamento dell’efficacia di un termine presuppone necessariamente che il termine da prorogare non sia ancora scaduto, per cui i termini fissati nella dichiarazione di pubblica utilità dall’art. 13, l. n. 2359 del 1865 possono essere prorogati dall’Amministrazione al fine di prolungare l’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità stessa, a condizione che la proroga si perfezioni prima della scadenza del termine che si intende prorogare" (T. A. R. Campania Napoli, sez. V, 4 maggio 2010, n. 2509).

La circostanza, del resto, è stata puntualmente rilevata dai ricorrenti, nello scritto difensivo depositato il 25.06.2010 ("Ad ogni buon conto il summenzionato provvedimento di proroga dell’1.07.2004, risulta addirittura tardivo rispetto alla scadenza dei termini fissati dall’A. N. A. S. ai sensi del citato art. 13, con l’approvazione della perizia di variante tecnica del 27.04.1999, prot. n. 230"), e non è stata fatta segno di deduzione difensiva alcuna, da parte dell’Amministrazione, in particolare nella relazione di chiarimenti da ultimo depositata in data 16.03.2011, nella quale è stata tenuta presente, ai fini della dimostrazione della perdurante vigenza – perché prorogato – del termine per il compimento delle espropriazioni, l’originaria scadenza fissata con la disposizione n. 24 del 17.09.1997, pretermettendo del tutto la modificazione di detta scadenza, portata dalla successiva approvazione della perizia di variante tecnica, avvenuta il 27.04.1999.

Del resto, che detta modificazione sia intervenuta, è provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, da due argomenti testuali, rinvenienti dalla lettura della prefata disposizione n. 230/1999: a) all’art. 1 del dispositivo, la perizia di variante in questione era approvata, "anche agli effetti della dichiarazione di pubblica utilità"; b) soprattutto, all’art. 2 del dispositivo, laddove si confermavano "i termini per l’inizio e il compimento dei lavori, già stabiliti con la disposizione in data 17.09.1997 n. 24", i termini "entro i quali le espropriazioni dovranno (iniziarsi e) compiersi" erano viceversa oggetto di modifica, nei sensi, più volte riferiti (1800 giorni, a decorrere "dalla data della presente disposizione").

Stabilito, pertanto, che la (prima) proroga del termine, per il completamento finale della procedura ablativa è intervenuta, "contra ius", dopo la scadenza del termine, a tal scopo fissato dalla stessa P. A., ne deriva: 1) che anche le successive proroghe, tutte parametrate sulla prima, non hanno di conseguenza potuto esercitare alcuna efficacia, al fine del prolungamento del termine per il compimento degli espropri; 2) che, pertanto, l’irreversibile trasformazione del bene, in assenza di un valido decreto d’espropriazione (a tutt’oggi, a dire il vero, non ancora emanato, e che sarebbe comunque viziato, "ab origine", dalla rilevata scadenza dei termini), configura, almeno in astratto, un fatto illecito, causativo di danno risarcibile, in favore dei ricorrenti (in applicazione del principio, affermato in giurisprudenza, secondo cui: "In caso di mancata proroga, la scadenza del termine entro il quale può essere emanato il decreto di esproprio determina l’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità" – T. A. R. Valle d’Aosta, sez. I, 13 novembre 2009, n. 93).

Prima di passare oltre, va peraltro sgombrato il campo dall’eccezione, sollevata dall’Avvocatura Erariale, secondo cui la domanda di risarcimento dei danni, subiti per effetto dell’illegittima apprensione del bene, sarebbe tuttavia inammissibile, per non essere stati ritualmente impugnati, dai ricorrenti, i prefati provvedimenti di proroga dei termini, emanati (illegittimamente, giusta quanto sopra rilevato) dall’Amministrazione.

L’eccezione è infondata: ritiene, infatti, il Collegio che, in senso contrario, sia da condividere l’argomento, ricavato dalla seguente massima: "I provvedimenti di proroga della vigenza della dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e di urgenza delle opere emessi dopo la scadenza dei termini di vigenza sia della dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori originariamente adottata, sia dei termini di durata dell’occupazione del fondo, parimenti per la prima volta fissati, sono viziati da assoluta carenza di potere, con la conseguenza che gli stessi sono "ex se" insuscettibili di affievolire la posizione soggettiva del privato; è del tutto irrilevante l’omessa loro impugnazione nei termini decadenziali fissati in via generale dall’art. 21, comma 1, l. 6 dicembre 1971 n. 1034, posto che anche la giurisprudenza del g. a. riconosce che la nullità in senso tecnico dell’atto amministrativo, intesa come "illegittimità forte" dell’atto stesso – intrinsecamente diversa dalla mera illegittimità, che è la qualificazione tradizionale del provvedimento non conforme a legge – risponde all’esigenza di tutela della legalità, con spostamento della garanzia dal polo privatistico a quello pubblicistico, e lede con effetti continuativi principalmente interessi pubblici, con la conseguenza che la qualificazione di illegittimità, anche e soprattutto per l’improbabile esercizio da parte dell’amministrazione di poteri di autotutela, non sarebbe idonea alla tutela della legalità, e che la nullità stessa può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse ed anche essere rilevata di ufficio dal giudice, à sensi dell’art. 1421 c. c. se sia in contestazione l’applicazione e l’esecuzione di un atto la cui validità rappresenta un elemento costitutivo della domanda, stante il divieto di pronunce "ultra petita" (T. A. R. Veneto Venezia, sez. I, 12 febbraio 2009, n. 347).

In parte motiva, la prefata sentenza ribadisce del resto, con fermezza, la sussistenza della giurisdizione del G. A. ("in quanto l’occupazione dell’area e la susseguente costruzione della strada sono state inizialmente supportate dalla dichiarazione di pubblica utilità, dalla fissazione dei termini per l’espropriazione e dall’emissione del decreto di occupazione di urgenza, e la procedura ablatoria è solo susseguentemente divenuta illegittima in dipendenza della mancata emissione del decreto di esproprio: ossia si configura – per tutto quanto detto innanzi – una chiara fattispecie di "comportamento" della Pubblica Amministrazione discendente, comunque, dall’esercizio di una pubblica funzione"), giurisdizione del giudice amministrativo "estesa a tutta la fattispecie dedotta in giudizio".

Stabilito, pertanto, definitivamente che la domanda di risarcimento del danno per l’illegittima trasformazione del fondo di proprietà dei ricorrenti, a seguito d’occupazione non seguita nei termini dall’emissione del decreto d’esproprio, è idonea ad integrare, sotto il profilo oggettivo, una fattispecie di danno risarcibile, ex art. 2043 cod. civ., a carico dell’A. N. A. S. s. p. a. (posto che: "L’illegittimità lamentata dai ricorrenti si è di fatto consumata in via irreversibile per effetto del primo venir meno della vigenza della pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori e dei termini per l’occupazione del fondo" – cfr., ancora, la prefata sentenza del T. A. R. Venezia, n. 347/2009 – e che, quindi, un eventuale futuro decreto d’espropriazione risulterebbe, comunque, tardivamente adottato), quanto alla ricorrenza, nella specie, dell’elemento soggettivo della responsabilità aquiliana, il Tribunale ritiene che la sua dimostrazione risieda nella stessa circostanza dell’aver lasciato, l’A. N. A. S., decorrere inutilmente il termine per l’emanazione dell’atto conclusivo del procedimento, sintomatica di un atteggiamento negligente da parte della stessa Amministrazione, e tanto conformemente a quanto statuito, in generale, nella seguente massima: "La sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa, in particolare, è da ritenersi provata nell’ipotesi in cui l’adozione della determinazione illegittima, che apporti lesione all’interesse del soggetto, si sia verificata in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione a cui deve ispirarsi l’attività amministrativa nel proprio esercizio, ovvero quando l’azione amministrativa sia caratterizzata da negligenza nell’interpretare ed applicare la vigente normativa" (T. A. R. Campania Napoli, sez. III, 7 dicembre 2010, n. 27083).

Per ciò che concerne il nesso di causalità tra la condotta (negligente) e il danno, la stessa deriva, intuitivamente, dalla stessa conformazione del procedimento in oggetto, per cui alla scadenza del termine fissato per l’esproprio, senza l’adozione del provvedimento definitivo (in assenza, giusta quanto sopra rilevato, di una proroga validamente disposta), l’occupazione del fondo di proprietà dei ricorrenti s’è connotata, per ciò stesso, in termini d’illegittimità, come affermato costantemente in giurisprudenza.

Ciò posto, relativamente a quella che, all’inizio, s’è definita come l’azione principale, esercitata dai ricorrenti, e prescindendo per il momento dal discorso relativo alla quantificazione dei danni subiti dai medesimi, occorre ora occuparsi dell’ulteriore richiesta, costituente – accanto all’azione risarcitoria suddetta – il "petitum" del presente giudizio, vale a dire l’azione, rivolta a conseguire l’indennità da occupazione legittima.

Orbene, il Tribunale ritiene che tale ulteriore azione sia estranea alla sfera di giurisdizione del G. A.

Si tenga presente, riguardo al riparto di giurisdizione in materia, la seguente massima: "Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo l’azione con la quale i proprietari di un’area hanno chiesto la restituzione del fondo o in subordine il risarcimento dei danni, deducendo la sopravvenuta illegittimità degli atti di occupazione, ancorché originariamente avvenuti a seguito di una corretta dichiarazione di pubblica utilità; rientra, invece, nella giurisdizione del giudice ordinario la domanda relativa alla richiesta dell’indennità di occupazione legittima, senza che l’eventuale connessione tra tale domanda e quella di risarcimento del danno possa giustificare l’attribuzione di entrambe le domande allo stesso giudice, essendo indiscusso in giurisprudenza il principio generale dell’inderogabilità della giurisdizione per motivi di connessione" (Consiglio Stato, sez. IV, 4 febbraio 2011, n. 804).

Essa si presenta quindi, giusta la giurisprudenza testé citata, irriducibile alla sfera di giurisdizione del G. A. e sulla stessa dovrà quindi pronunziarsi, previa applicazione delle regole in tema di riproposizione del processo, dettate, ora, dall’art. 11 c. p. a., il giudice civile, fornito di giurisdizione in merito.

Stabilito, pertanto, che ai ricorrenti spetta il diritto al risarcimento dei danni subiti, per effetto dell’occupazione del fondo di loro proprietà, protrattasi oltre i termini stabiliti, senza che sia seguita l’emanazione del provvedimento conclusivo della procedura espropriativa, per la relativa quantificazione il Tribunale ritiene opportuno avvalersi dall’istituto, ora disciplinato dall’art. 34 comma 4° c. p. a., e, prima dell’entrata in vigore del codice di diritto processuale amministrativo, dall’art. 35 comma 2° del d. l.vo 80/98.

Stabilisce, infatti, l’art. 34 comma 4° c. p. a. che: "In caso di condanna pecuniaria, il giudice può, in mancanza di opposizione delle parti, stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo, ovvero non adempiono agli obblighi derivanti dall’accordo concluso, con il ricorso previsto dal Titolo I del Libro IV, possono essere chiesti la determinazione della somma dovuta ovvero l’adempimento degli obblighi ineseguiti".

S’è osservato, al riguardo, in giurisprudenza, che: "In sede di quantificazione del danno il giudice amministrativo, in assenza di opposizione delle parti, può applicare d’ufficio la norma di cui all’art. 34, comma 4, d. lg. 104/2010" (T. A. R. Liguria Genova, sez. I, 1 dicembre 2010, n. 10721).

Quanto alla fissazione dei criteri, in base ai quali l’Amministrazione deve proporre ai ricorrenti il pagamento della somma dovuta a titolo risarcitorio, appare opportuno il riferimento alla seguente decisione: "Ai fini del risarcimento del danno derivante da occupazione divenuta sine titulo, il valore venale di riferimento deve essere quello proprio del bene al tempo della cessazione dell’occupazione legittima, poiché la previsione, nell’art. 43, T.U. n. 327 del 2001, degli interessi moratori a decorrere dal giorno in cui il terreno sia stato occupato senza titolo, dimostra che la sorte capitale deve essere riferita a quel momento pregresso per essere poi attualizzata al tempo della condanna. In base ai principi generali sulla liquidazione dell’obbligazione risarcitoria, alle somme dovute a titolo risarcitorio vanno aggiunti la rivalutazione monetaria, secondo l’indice ISTAT dei prezzi al consumo, e gli interessi legali sulle somme anno per anno rivalutate" (T. A. R. Campania Napoli, sez. V, 1 settembre 2009, n. 4865).

Nell’effettuare detta proposta, l’A. N. A. S. s. p. a. terrà, altresì, conto della relazione di stima, circa i danni subiti dai ricorrenti, redatta dal consulente di parte dei medesimi, ing. Caggiano, e depositata in giudizio il 25.06.2010, motivando circa gli eventuali scostamenti della somma di denaro proposta, rispetto alla stima, ivi operata.

Appare congruo assegnare all’A. N. A. S., ai fini di cui all’art. 34 comma 4° c. p. a., il termine perentorio di mesi tre, per la formulazione della detta proposta ai ricorrenti, termine decorrente dalla notificazione a cura di parte ovvero dalla comunicazione, in via amministrativa, della presente sentenza.

Va da sé che la scelta del Collegio, d’avvalersi del suddetto sistema per addivenire alla quantificazione del danno da risarcire, da parte dell’A. N. A. S., ai ricorrenti, implica il venir meno della necessità di disporre la c. t. u., inizialmente richiesta, dai medesimi, a tal fine.

Quanto al governo delle spese processuali, le stesse seguono la soccombenza dell’Amministrazione procedente (A. N. A. S. s. p. a.) e sono liquidate come in dispositivo, laddove sussistono validi motivi per compensare le stesse, quanto al Ministero intimato.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, l’accoglie, nei sensi di cui in parte motiva, e per l’effetto condanna l’A. N. A. S. s. p. a. a risarcire, in favore dei ricorrenti, i danni subiti, per la causale di cui in parte motiva, danni da quantificarsi mediante il sistema di cui all’art. 34 comma 4° c. p. a., secondo i criteri e nel termine perentorio, pure indicati in parte motiva.

Dichiara inammissibile, per difetto di giurisdizione del G. A., l’azione volta a conseguire l’indennità da occupazione legittima, indicando il G. O. come giudice, fornito di giurisdizione in merito.

Condanna l’A. N. A. S. s. p. a. al pagamento, in favore dei ricorrenti, delle spese, delle competenze e degli onorari del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre I. V. A. e C. N. A. P. come per legge.

Spese compensate, quanto alle altre Amministrazioni intimate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso, in Salerno, nella camera di consiglio del giorno 14 luglio 2011, con l’intervento dei magistrati:

Luigi Antonio Esposito, Presidente

Ferdinando Minichini, Consigliere

Paolo Severini, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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