Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 30-06-2011) 04-08-2011, n. 31117 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.S. è stato tratto a giudizio avanti il Tribunale di Avezzano per rispondere del reato di bancarotta fraudolenta impropria, nella sua veste di liquidatore di CESAV Spa., fallita il 13.7.1995, per avere ceduto alla controllante CERAMICHE SENESI SPA. le scorte di magazzino esistenti al momento della messa in liquidazione, al prezzo di Lire 529.000.000, quando esse valevano 1.056.000.000, così come esposte nel bilancio societario. Egli è stato ivi condannato in data 24.6.2004 (mentre è stata dichiarata la sua assoluzione per l’ipotesi di falso in bilancio).

La Corte d’Appello de L’Aquila ha confermato con la decisione di condanna dell’11.2.2010 la prima sentenza.

Il ricorso, interposto avverso quest’ultima decisione, eccepisce:

– l’esistenza, tra le fallite società, di una situazione di gruppo in cui era doveroso apprezzare il comune interesse, circostanza che giustificava il sostegno offerto dal prevenuto alla pericolante CERAMICHE SENESI SPA., anche in ragione della fattispecie dettata dalla L. Fall., art. 2634, comma 3, che esclude antigiuridicità a condotte di impoverimento infragruppo;

– la omessa dichiarazione di prescrizione, ormai maturata poichè il dies a quo del relativo decorso procede dalla ammissione al concordato preventivo (23.11.1994), integrativo della figura minore della L. Fall., art. 236, non dalla dichiarazione di fallimento;

– illogicità della motivazione che non ha tenuto conto della stima dei valori, effettuata dalla CT. contabile, sul magazzino della società, che li rettificava nel senso di doverli ritenere iscritti in via prudenziale;

– violazione di legge in relazione alla durata della pena accessoria di cui alla L. Fall., art. 216, u.c..

Motivi della decisione

Il ricorso pone complesse questioni di diritto.

Non tanto il primo mezzo, poichè è ormai arresto condiviso dal giudice i legittimità che l’autonomia della masse attive, cadute nella procedura concorsuale, impedisce di fatto la meccanica trasposizione dell’art. 2634 c.c. – reato pur inserito nel catalogo della bancarotta impropria societaria – alla fattispecie fallimentare. E’ di indiscutibile evidenza che i creditori della società che si indebolisce a favore di altro ente del medesimo novero societario non hanno, nel nostro sistema, mezzo per rivalersi sull’organismo patrimonialmente incrementato, poichè la legge fallimentare – nè prima nè dopo la riforma – contempla la possibilità di provvedere ad una qualche compensazione al riguardo.

Del resto ogni ulteriore riflessione al riguardo scontra con la situazione di fatto (rilevabile dal testo della motivazione della sentenza qui impugnata) che espone profili di inconsueta anomalia:

non soltanto la società di cui il prevenuto era liquidatore soffriva di una esiziale assenza di attività, ma l’organismo che si rese acquirente era verso la prima già insolvente per pregressi crediti non onorati. L’omesso apprestamento di doverosa garanzia a cautela del puntuale pagamento costituisce, già in sè, comportamento di fraudolenza patrimoniale (cfr. da ultimo, Cass. pen., sez. 5^, 6 maggio 2008, Turci, Ced Cass., rv. 242323).

E’ delicato, invece, il quesito avanzato con il secondo motivo.

La tesi difensiva suppone che tra gli istituti di concordato preventivo ed il fallimento corra una relazione di sostanziale assorbimento, nel senso che – apertasi la prima procedura – tutto quanto consegue si sviluppi per un tracciato ormai necessitato ed unitario. Donde la fissazione della genesi della vicenda estintiva prescrizionale nel primo, in ordine di tempo, degli interventi giudiziali che consentono l’avvio di ciascuna vicenda concorsuale.

Siffatta convinzione non ha fondamento. Giovano alcune premesse.

Non può negarsi un nesso funzionale tra il concordato rispetto al fallimento, nel senso che sovente, alla denuncia di insolvenza, qualificata inizialmente come crisi, si accerti uno stato di sostanziale ed irredimibile incapacità a fronteggiare le obbligazioni di impresa. Ed è noto il fenomeno della "consecuzione" dei due riti, profilo che si fonda sull’unitarietà delle procedure, discendenti dalla situazione di difficoltà dell’impresa.

Ma. tanto non consente di omologare a tutti gli effetti le due procedure, soprattutto in ragione dell’offesa portata ai creditori, eliminando le rispettive diversità ed anche le difformità nell’ottica penalistica, dove le conseguenze sono state dal legislatore assegnate a due distinte ipotesi: per il concordato, la L. Fall., art. 236, per il fallimento, la L. Fall., art. 216/223, figure che dispongono di una propria significativa autonomia strutturale.

Il punto di contatto sta – come si è accennato – nell’insolvenza, una situazione omogenea alla crisi (cfr. L. Fall., art. 160, comma 3), in forza della quale sorge la legittimazione sia al concordato sia alla procedura fallimentare.

Ma tanto acclarato, non può che sottolinearsi il divario corrente tra i due casi. Innanzitutto con l’occhio rivolto alla dinamica procedimentale.

La natura diversa dei provvedimenti genetici (uno è decreto bisognoso di omologa, l’altro è sentenza), il che non è indifferente anche per il versante penale, perchè essi rappresentano la premessa essenziale dei reati fallimentari, secondo la costante lettura di questa Corte.

Ma, al di là della genesi e dei meri aspetti formali, è di importanza decisiva la circostanza che in sede concordataria l’imprenditore non perde il possesso dell’impresa (e mantiene l’amministrazione, art. 167 e, conseguentemente, anche gli obblighi documentativi, cfr. art. 170). L’impresa prosegue nella sua attività (tanto che, proprio in ragione di possibili atti di frode commessi in questo prosieguo di gestione, è prevista la speciale revoca dell’ammissione e la obbligatoria dichiarazione di ufficio del fallimento, art. 173). Donde, tra l’altro, anche la diversa disciplina circa il divieto di azioni esecutive, che vale soltanto per i creditori anteriori all’ammissione dell’impresa alla procedura (con riflessi in tema di prescrizione e decadenza, cfr. L. Fall., art. 168).

E’ di grande rilievo, ancora, il controllo dispiegato dai creditori nel concordato, che "pesano" con il loro voto iniziale e mantengono questa influenza durante lo sviluppo successivo.

L’organo esecutivo (il commissario giudiziale) ha poteri diversi che esercita in guisa di vigilanza sulla condotta dell’imprenditore, mentre nel caso del fallimento lo spossessamento attuato dalla procedura impedisce l’ingerenza gestoria del fallito.

In siffatta prospettiva non vi è dubbio che la procedura fallimentare, considerata la spiccata funzione liquidatoria, per così dire ricapitola in sè gli approdi a cui era giunta la precedente vicenda concordataria e, salve alcune sporadiche eccezioni, li fa propri.

A queste cospicue diversità concorsuali si prospettano – per l’ambito strettamente penalistico – non minori discrasie.

Basti osservare che le stesse fattispecie incriminatrici evidenziano limitazioni (la L. Fall., art. 236, comma 1, non è applicabile al’imprenditore societario e il comma 2 della norma è inapplicabile all’imprenditore individuale) e che soltanto una parte del catalogo dei reati fallimentari è "esportabile" in seno all’art. 236.

Ed anche per il versante processuale, non deve sfuggire che – mentre per la bancarotta l’azione penale può essere esercitata anche prima della sentenza dichiarativa di fallimento, con anticipazione degli atti istruttori rispetto allo sviluppo concorsuale – questa possibilità non è data per il concordato preventivo, ostandovi la lettera dell’art. 238 che allude soltanto alla "sentenza dichiarativa di fallimento" (senza possibilità di estensione analogica, per l’eccezionalità dell’istituto che la norma disciplina).

E’ aderente al sistema, pertanto, affermare la diversità delle due procedure, in cui quella fallimentare ingloba in sè – in buona misura – caratteristiche salienti della prima. Onde se, per alcune situazioni è ammissibile rinvenire a ritroso la data saliente per alcuni effetti concorsuali (si pensi, nella consecuzione delle procedure, la data che da avvio al periodo c.d. sospetto per l’azione revocatoria), per il rapporto che coinvolge complessivamente le masse passive, come accade negli illeciti fallimentari, siffatta uniformità non sembra proponibile.

Questo discorso, tratteggiato per sommari cenni, porta a concludere per una disuguaglianza di situazioni che non permette, ragionevolmente, di intravvedere nella successione delle vicende concorsuali la medesima connotazione e quell’uniformità che può consentire l’"assorbimento" cronologico della seconda nella prima cronologicamente intervenuta. Ma, casomai, una lettura opposta, in cui la sentenza dichiarativa di fallimento e la vicenda procedimentale che da essa sorge ricapitola in sè quanto occorso in precedenza e, per il versante penale, fornisce maggiore sostanza nell’elemento costituivo dei reati concorsuali.

Arresto che già questa Corte aveva raggiunto, per altro percorso, quando affermò che in tema di bancarotta fraudolenta, nel caso in cui alla ammissione alla proceduta di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, poichè il concorso di norme tra la L. Fall., art. 236, comma 2, n. 1, e la L. Fall., art. 223, va risolto utilizzando il principio di specialità, con l’applicazione della fattispecie di bancarotta fallimentare. Da qui la conclusione che la prescrizione decorre dalla successiva sentenza dichiarativa di fallimento (Cass. Sez. 5, 18 settembre 2007, Botticelli, CED Cass., Rv. 238183; Cass. Sez. 5, 7 giugno 1984 Cigalino, CED Cass. 165476).

Pertanto il motivo di impugnazione deve esser rigettato, non essendo, dalla pronuncia del giudice fallimentare, decorso il periodo prescrizionale del reato.

E’ fondato invece, l’ultimo motivo: come già affermato dal giudice di legittimità (Cass. Sez. 5, 31 marzo 2010, Travaini, CED Cass. 247507), la lettura costituzionalmente orientata della norma di cui alla L. Fall., art. 216, u.c., impone la limitazione della pena accessoria nella misura della pena principale. In tal senso si provvede.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla pena accessoria di cui alla L. Fall., art. 216, u.c., che determina in anni due. Rigetta nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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