Corte Suprema di Cassazione – Penale Sezione Lavoro Sentenza n. 25786 del 2006

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.S. e M.P. (quest?ultimo risulta avere transatto la lite) ricorrevano al pretore di Ancona per impugnare un provvedimento disciplinare loro irrogato in data 29/3/93: l?azienda aveva loro contestato di aver effettuato un pernottamento in località diversa dal luogo di trasferta (Groppello Cairoli anziché Milano) e di avere consumato un pasto a Genova anziché a Milano, in modo da arrecare pregiudizio al buon esito della trasferta stessa.

Il pretore adito accoglieva i ricorsi riuniti.

Proponeva appello la s.p.a. Rai e il tribunale di Ancona confermava la sentenza di primo grado, così motivando: La pretesa della Rai ha per oggetto una condotta privata del lavoratore fuori dell?orario di lavoro; una simile pesante restrizione non può ritenersi esigibile in difetto di una espressa disposizione normativa; nessuna norma positiva prevede che il lavoratore non possa pernottare in località vicina (e non coincidente) col luogo della missione; unica restrizione vigente è quella di pernottare in alberghi a tre stelle, dovendo essere motivato il ricorso ad alberghi a quattro stelle; la disposizione della società è nel senso di pernottare in alberghi il più possibile vicini alle postazioni di lavoro, ma essa si riferisce alle soluzioni offerte ai lavoratori e non ad una regola loro imposta; la tutela dell?interesse dell?azienda al raggiungimento in tempi rapidi e certi del posto di lavoro non viene in discussione, trattandosi nel caso di specie di un danno del tutto eventuale; la pretesa eccessività della spesa per il pasto non consente la valutazione sostanzialistica proposta dall?appellante, posta l?esistenza di precisi massimali al riguardo.

Ha proposto ricorso per cassazione la Rai, deducendo tre motivi.

Resiste con controricorso C.S.

Il M. è rimasto intimato.

Le parti costituite hanno presentato memorie integrative.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell?art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 2104, 2105, 2106codice civile anche in relazione all?art.

2.2 punto C delle norme per la gestione delle trasferte: richiamate tali regole, la società sostiene come per principio generale e per norma aziendale il dipendente in trasferta debba rimanere sul luogo della trasferta medesima.

Legittima appare la pretesa dell?azienda di dettare norme e limiti ai propri dipendenti in trasferta, al fine di ridurre al minimo i rischi di ritardi e contrattempi, in vista della corretta gestione del lavoro.

Il motivo è infondato.

Il giudice di merito accerta, in fatto, che la circostanza di avere pernottato in località distante trenta o quaranta km da Milano, luogo della missione, non integra gli estremi di una violazione disciplinare, anche perché nessun inconveniente si è verificato. Accerta inoltre che non esiste una norma positiva nel senso voluto dall?azienda e che la pretesa esorbitanza del costo del pasto viene limitata dai massimali apposti al relativo rimborso.

Trattasi di accertamento in fatto (distanza del luogo di pernottamento, costo del pasto, insussistenza di inconvenienti per il servizio, interpretazione della disciplina aziendale) il cui esame è precluso in questa sede se non sotto il profilo del vizio di motivazione: vizio il quale non sussiste, risultando la motivazione al riguardo della sentenza di appello esauriente ed immune da vizi o lacune logiche.

Con il secondo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell?art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 2697 cod. civ., 115 cod. proc. civ., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, ex art. 360 n. 5 c.p.c.: il tribunale ha male interpretato le direttive del datore di lavoro, come se esse implicassero meri criteri di scelta affidati al lavoratore, anziché precise norme regolamentari emanate nell?esercizio del potere imprenditoriale.

Il motivo è infondato.

Esso censura la decisione in punto di interpretazione delle direttive imprenditoriali, le quali rappresentano atti unilaterali: la loro interpretazione costituisce questione di fatto, affidata al giudice di merito.

La relativa statuizione sfugge al sindacato di questa corte di cassazione, posto che il giudice di merito ha supportato la propria decisione con motivazione esauriente, immune da vizi logici o contraddizioni, talché essa si sottrae ad ogni censura in sede di legittimità.

Con il terso motivo del ricorso, la ricorrente deduce nullità della sentenza e violazione di legge rispetto alle risultanze istruttorie: in data 7/12/99 la Rai aveva transatto la vertenza con il M. e di ciò non si è dato conto in sentenza.

Il motivo va ritenuto inammissibile per carenza di interesse: dato per pacifico che la lite è stata transatta col il M., la Rai non ha interesse giuridicamente apprezzabile all?annullamento della sentenza di appello, il cui iudicatum non incide sull?esistenza e validità della sopra riferita transazione.

Il ricorso, per suesposti motivi, deve essere rigettato.

Le spese del grado seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La corte suprema di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente Rai (Radiotelevisione italiana s.p.a.) a rifondere all?intimato controricorrente C.S. le spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 38,00 oltre euro 1500,00 per onorari, spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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