Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-12-2011, n. 28945 Garanzia per i vizi della cosa venduta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’impresa La Falce spa ha interposto appello avverso la sentenza del Tribunale ordinario di Roma con la quale, in accoglimento della domanda di T.E., la medesima appellante era stata condannata al pagamento della somma di Euro 9.296,22 a saldo del prezzo di acquisto di un autocarro munito di gru, nonchè del compenso per alcuni servizi di trasporto.

L’appellante denunciava l’incongruità della motivazione adottate nella sentenza gravata laddove aveva disatteso la propria domanda riconvenzionale di danno dato che aveva potuto utilizzare l’autocarro in questione solo a partire dal 1 dicembre 1994 a causa della sua non perfetta efficienza e della non conformità alle norme antinfortunistiche della gru.

Si costituiva T.E., contestando nel merito il fondamento del gravame e chiedendone il rigetto.

La Corte di Appello di Roma con sentenza n. 5102 del 2005 respingeva l’appello. A sostegno di questa decisione la Corte romana osservava:

a) che l’appellante, pur avendo messo in risalto nelle deduzioni formulate dinanzi al Tribunale circa l’esigenza che il veicolo dovesse essere consegnato in perfetta efficienza, tuttavia, non aveva poi chiarito e tanto meno dimostrato se ed in quale misura il veicolo non rispondesse ai detti requisiti d’ordine funzionale;

b) quanto alla mancanza di collaudo della gru, in verità si trattava di un incombente imposto con cadenza annuale dalla disciplina infortunistica il cui assolvimento per l’anno 1994 non risultava pattuito a carico del venditore.

La cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Roma è stata chiesta dall’impresa La Falce spa, con ricorso affidato a due motivi.

T.E. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.

Motivi della decisione

1.= Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5 con riferimento all’art. 1697 c.c. e all’art. 1453 c.c. con richiamo all’art. 1490 c.c..

Avrebbe errato la Corte romana, secondo la ricorrente, nell’applicare il disposto di cui all’art. 1453 c.c., poichè la domanda di risoluzione non poteva più trovare ingresso, avendo il compratore trattenuta la cosa compravenduta onde ovviare, ai vizi e ai difetti del bene acquistato, nei termini più veloci possibili e con interventi urgenti e diretti, non potendo più restituire la cosa.

Piuttosto, secondo la ricorrente applicabili alla fattispecie non potevano che antinfortunistiche. b) non risultava che il ricorrente avesse censurato la sentenza di primo grado, laddove disponeva il pagamento delle fatture emesse dal T. quale compenso per alcuni servizi di trasporto.

1.1.a).= Va qui osservato che, in via di principio, nell’ipotesi di garanzia di buon funzionamento della cosa venduta, il venditore deve rispondere del cattivo funzionamento in sè, cioè, del mancato conseguimento del risultato voluto, rimanendo a suo carico l’onere di provare, eventualmente, che la mancanza di risultato derivi da causa a lui non imputabile. Se, invece, l’azione esercitata va ricondotta nell’ambito della garanzia per vizi redibitori ex art. 1490 c.c., spetta al compratore, che invoca la garanzia, di provare non solo il cattivo funzionamento della cosa, ma anche i vizi dai quali esso dipenda.

Ora, nell’ipotesi di specie, l’Impresa la Falce avrebbe dovuto – e non sembra che l’abbia fatto – indicare e dimostrare quali vizi redibitori rendevano l’autoveicolo non funzionale, all’uso cui era destinato.

1.1.b).= A sua volta, è principio del nostro sistema quello secondo cui tutte le domande e le eccezioni non riproposte in appello si intendono implicitamente abbandonate. In considerazione di ciò, si reputa necessario che l’atto d’appello contenga la riproposizione analitica delle domande non accolte nel giudizio gravato, corredate dai motivi già a suo tempo esposti a supporto delle stesse.

Così come è opportuna la riproposizione, in appello, di tutti i motivi, anche di quelli non esaminati o non accolti, al fine di impedire che su questi si formi, in presenza della presunta acquiescenza della parte, il giudicato interno. Nel caso di specie, pertanto, l’impresa la Falce avrebbe dovuto – e non sembra lo abbia fatto – censurare la sentenza di primo grado, laddove, disponeva il pagamento del compenso per servizi prestati da T. e chiederne la riforma.

2.= Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa due punti decisivi della controversia. 1) Secondo la ricorrente la Corte di Appello di Napoli (rectius di Roma) avrebbe accolto la domanda di condanna dell’impresa La Falce al pagamento delle quattro fatture dell’anno 1994 nonostante T. non avesse dimostrato il fondamento di quella domanda anzi sarebbe risultato provato il contrario. E di più, la sentenza della Corte romana: non avrebbe preso in nessuna considerazione nè avrebbe accennato ai motivi di appello proposti da La Falce e, in buona sostanza, non avrebbe fornito alcuna risposta per motivarne la reiezione. 2) Avrebbe errato la Corte romana, secondo la ricorrente, per aver ritenuto la sostanziale insufficienza del mero richiamo circa l’esigenza che il veicolo dovesse essere consegnato in perfetta efficienza e (……) per aver ritenuto che la mancanza di collaudo della gru per l’anno 1994 non risultava pattuito a carico del venditore, perchè i documenti prodotti e le risultanze delle prove testimoniali acclaravano altro risultato. Specifica la ricorrente che le risultanze probatorie evidenziavano: a) che l’autocarro avrebbe dovuto essere consegnato nel termine perentorio entro il 27 giugno 1994, in perfetta efficienza; b) e invece è stato consegnato il 24 giugno 1994 ed era privo del collaudo il cui termine scadeva il 30 giugno 1994; c) la gru avrebbe dovuto essere consegnata in ottemperanza a tutte le normative antinfortunistiche vigenti sul territorio italiano ed, invece, la gru non era collaudata dagli anni 1991-92-93-94 e non è stata utilizzata sino all’1 dicembre 1994.

Pertanto, ovvio conclude la ricorrente – che l’autocarro con gru privo delle relative certificazioni di collaudo non poteva considerarsi in perfetta efficienza.

2.1.= Anche questo motivo non può essere accolto, non solo e non tanto perchè con tale censura la ricorrente si propone di ottenere un nuovo e diverso giudizio di merito inibito al Giudice di legittimità, ma, e soprattutto.

2.1.a).= 1) perchè, come è stato evidenziato dalla stessa ricorrente nel suo ricorso, non risulta che la Falce abbia contestato le fatture emesse da T. e rimaste insolute, e, comunque, come si è già detto in precedenza – non risulta che la ricorrente abbia censurato la sentenza di primo grado laddove disponeva il pagamento delle fatture emesse dal T. quale compenso per alcuni servizi di trasporto.

2.1.b).= 2) perchè la Corte romana, con giudizio di merito, fondato sulla valutazione degli atti del giudizio e degli elementi probatori acquisiti, ha chiarito che il collaudo della gru era un incombente, imposto dalla disciplina infortunistica, con cadenza annuale il cui assolvimento per l’anno 1994 non risultava pattuito a carico del venditore. Come lo stesso ricorrente ha precisato, il bene di cui si dice è stato consegnato prima del termine di scadenza per regolarizzare il collaudo, relativamente all’anno 1994, sicchè non essendo scaduto ancora il termine per la regolarizzazione del collaudo (consegnato il 24 giugno 1994 (venerdì) privo del collaudo che scadeva il 30 giugno 1994 (giovedì seguente), era necessario che fosse stato pattuito:

esplicitamente che il costo e le incombenze del collaudo fossero a carico del venditore – e, come afferma la Corte di merito, tale pattuizione non sembra ci sia stata.

2.1.c).= A sua volta, nel caso specifico regolarità ed efficienza non sono sinonimi nè equivalenti come sembra ipotizzare il ricorrente, perchè l’una (la regolarità) sta ad indicare la corretta posizione amministrativa e giuridica di un bene determinato, in quanto assolti tutti gli obblighi imposti dalla normativa di riferimento, mentre, l’altra (l’efficienza) attiene alla idoneità del bene ad assicurare la funzione economica e sociale cui è destinato.

Nel caso in esame, ammesso che il bene non avesse una posizione amministrativa regolare, era risultato efficiente dato che – come evidenziato dallo stesso ricorrente – era stato utilizzato nei cantieri operanti in (OMISSIS).

In definitiva, il ricorso va rigettato e, in ragione del principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., il ricorrente, condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione così come verranno liquidate con il dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 2000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi e oltre spese generali e accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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