Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-06-2011) 04-08-2011, n. 31094

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 19 ottobre 2010 la Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bologna, sezione distaccata di Imola, ha inflitto a C.M. la pena di anni uno di reclusione ed Euro 300,00 di multa per tre truffe commesse fra il (OMISSIS). Tale sentenza è stata gravata da ricorso per cassazione fondato su due motivi.

Col primo motivo, il C. deduce – in relazione al solo episodio di cui al capo A) dell’imputazione (truffa ai danni di P. M.) – che la mancata acquisizione della prova positiva dell’incasso degli assegni che egli si era procurato avrebbe dovuto portare alla derubricazione del delitto da consumato a tentato.

Col secondo motivo, censura il provvedimento impugnato per vizio di motivazione nella parte in cui gli sono state negate le attenuanti generiche.

Il primo motivo di ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Sostiene l’imputato che la semplice presentazione dell’assegno all’incasso non assicura al portatore il conseguimento di un vantaggio patrimoniale, essendo comunque possibile che – per varie ragioni (ad esempio, se l’assegno è privo di provvista oppure è stato bloccato o sequestrato) – non faccia seguito l’effettivo accreditamento del corrispondente importo.

Richiama a sostengo un recente arresto di questa Corte che, con riferimento alla competenza territoriale, afferma che la consumazione del delitto di truffa il cui profitto consista in assegni bancari ha luogo al momento in cui il corrispondente importo è addebitato (deminutio patrimonii) sul contro del traente (Cass. 12 novembre 2009, n. 45836).

Si tratta, peraltro, di una pronunzia che si pone sul solco già tracciato da un noto precedente delle Sezioni unite, che sul punto osservano: "poichè la truffa è reato istantaneo e di danno, che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell’autore abbia fatto seguito la deminutio patrimonii del soggetto passivo, nell’ipotesi di truffa contrattuale il reato si consuma non già quando il soggetto passivo assume, per effetto di artifici o raggiri, l’obbligazione della datio di un bene economico, ma nel momento in cui si realizza l’effettivo conseguimento del bene da parte dell’agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato. Ne consegue che, qualora l’oggetto materiale del reato sia costituito da titoli di credito, il momento della sua consumazione è quello dell’acquisizione da parte dell’autore del reato, della relativa valuta, attraverso la loro riscossione o utilizzazione, poichè solo per mezzo di queste si concreta il vantaggio patrimoniale dell’agente e nel contempo diviene definitiva la potenziale lesione del patrimonio della parte offesa (Cass. sez. un., 21 giugno 2000, n. 18). Negli stessi termini si pone, da ultimo, anche Cass. 22 gennaio 2010, n. 5428, per la quale il reato di truffa, qualora l’oggetto materiale del reato sia costituito da assegni, si consuma nel momento in cui l’autore del reato acquisisce la relativa valuta attraverso la loro riscossione o negoziazione, restando invece irrilevante, ai fini del vantaggio patrimoniale dell’agente, il momento della consegna dei titoli da parte del deceptus.

Così chiarita la questione in punto di diritto, occorre tuttavia rilevare che la censura dedotta innanzi a questa Corte è infondata, in quanto poggia su una ricostruzione alternativa in punto di fatto, meramente ipotetica.

E’ certo che il C. ha presentato all’incasso gli assegni de quibus, come ammesso dallo stesso e come, del resto, si ricava dalla firma sul retro e dal timbro della banca. L’affermazione secondo cui l’accreditamento della valuta avrebbe potuto anche non esserci (perchè gli assegni potevano essere, in ipotesi, privi di provvista oppure bloccati o sequestrati) non trova, invece, alcun riscontro reale. Lo stesso imputato non nega di aver conseguito la valuta, ma si duole semplicemente del fatto che non è stato effettuato un apposito accertamento bancario per verificare il buon fine dell’accredito.

In sostanza, nel primo grado di giudizio non è apparso necessario compiere ulteriori indagini per scandagliare un’ipotesi remota e la cui sussistenza non era neppure prospettata. La Corte d’appello ha condiviso l’operato del giudice di prime cure, risultando l’accertamento bancario in questione prova tutt’altro che decisiva, dal momento che mancava (e manca tuttora) una espressa negazione da parte del C. di aver riscosso la valuta degli assegni che costituiscono oggetto materiale della truffa di cui al capo A). Si è dunque ritenuto che la presentazione all’incasso dei titoli da parte dell’imputato fosse atto sufficiente a far presumere il conseguimento dell’ingiusto profitto ed il conseguente danno patrimoniale per la vittima, ossia la piena consumazione del reato.

Non si ravvisa dunque, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, alcuna erronea applicazione della legge penale. La questione focalizzata nel primo motivo di ricorso non attiene – a prescindere da come è stata prospettata dal C. – alla corretta definizione della fattispecie criminosa di truffa consumata, bensì alla sufficienza degli elementi di prova necessari per ritenere che l’autore abbia effettivamente acquisito la valuta. La questione, quindi, si sposta dal piano dell’applicazione della legge penale a quello della completezza della motivazione. Profilo, quest’ultimo, non dedotto fra i motivi del gravame e comunque non suscettibile di effettive e fondate censure.

Il secondo motivo di ricorso, che attiene alla mancata concessione delle attenuanti generiche, è invece inammissibile.

Infatti, la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62-bis c.p. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purchè non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Cass. 24 settembre 2008, n. 42688). Ne consegue il rigetto del ricorso.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *