Corte Suprema di Cassazione – Penale Sezione III Sentenza n. 41609 del 2006 deposito del 20 dicembre 2006

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

In fatto e in diritto

1. Con sentenza del 5 maggio 2005 il Tribunale monocratico di Roma:

– ha condannato Antonella A. alla pena di 2. 000 euro di ammenda, con i doppi benefici di legge, avendola giudicata colpevole dei reati previsti e puniti dagli articoli 21,22 e 89 D.Lgs. 626/94 (capi a e b della imputazione), perché ? quale amministratore unico della ? ? ? Spa ? aveva omesso di informare adeguatamente il lavoratore dipendente A. D. R. sui rischi per la sicurezza e la salute, e di fornire al medesimo una adeguata formazione in materia di sicurezza e igiene del lavoro, relativamente alle sue mansioni e al suo posto di lavoro, in particolare sull’uso delle scale;

– ha assolto la stessa A. perché il fatto non sussisteva dal reato di cui agli articoli 4 lettera c) e 389 lettera c) Dpr 547/55, contestandole al capo c) perché aveva omesso di vigilare, attraverso un preposto, sulla corretta procedura di lavoro seguita dal dipendente D. R. nell’uso di una scala a libro adoperata per la installazione di alcuni punti luce sul soffitto dello stabilimento; e dal reato di cui all’articolo 590, commi 1, 2 e 3 Cp, contestandole al capo D perché, per colpa e in particolare per violazione delle suddette norme antinfortunistiche, aveva cagionato lesioni gravi guaribili in oltre 40 giorni (frattura scomposta del polso destro) al dipendente D. R., il quale, mentre installava un punto luce sul soffitto utilizzando una scala a libro alta circa tre metri, perdeva l’equilibrio cadendo a terra. In Roma il 7 giugno 2002.

Al riguardo il giudice monocratico ha osservato:

– non sussisteva il reato sub D, perché la caduta del D. R. era stata causata da una improvvisa perdita di equilibrio, mentre eseguiva il suddetto lavoro su una scala munita di gommini antisdrucciolo e tenuta ai piedi dal suo collega di lavoro F. C. : non sussisteva quindi alcun nesso causale tra la violazione delle norme antinfortunistiche di cui ai capi A e B e le lesioni personali;

– non sussisteva neppure il reato sub C, giacché alla esecuzione del menzionato lavoro era presente F. C., che per la sua più alta qualifica e maggiore esperienza svolgeva il ruolo di preposto, addetto alla vigilanza;

– sussistevano invece le contravvenzioni sub A e B, giacché dal verbale dell’ultima riunione del 18.1.2002, dedicata alle informazioni antinfortunistiche, il D. R. non risultava presente. I colloqui informali successivi che, secondo alcuni testi a difesa (in particolare S. e R.), erano intervenuti col dipendente sulla materia non erano sufficienti a escludere i reati, giacché occorreva la prova non solo che ?se n?era parlato? ma anche di ?come? e di ?che cosa? s?era parlato, e inoltre occorreva dimostrare ?quando? se n?era parlato, giacché gli obblighi di formazione e di informazione prevenzionale richiedono un adeguato aggiornamento, in modo da consentire ai lavoratori di acquisire le tecniche antinfortunistiche più moderne e di mantenere viva la loro attenzione per la sicurezza e la salute del lavoro.

2 – l’imputata ha presentato personalmente ricorso, chiedendo l’annullamento della sentenza sulla base di due motivi.

2.1 – Col primo motivo deduce erronea applicazione degli articoli 21 e 22 D.Lgs. 624/94, giacché il giudice monocratico ha ritenuto integrati i reati solo perché il D. R. non era presente, per motivi personali, alla riunione informativa del 18.1.2002, senza considerare che l’obbligo informativo può essere assolto anche fuori dalle sedi formali.

Al riguardo la sentenza impugnata non ha adeguatamente valutato che lo stesso D. R., all’udienza del 20.12.2004, dichiarò di essere stato informato verbalmente dal capotecnico S. e dal collega C. che l’avevano in particolare ragguagliato sull’uso delle scale; che il rappresentante per la sicurezza aziendale, M. M., escusso alla udienza del 1.2.2005, aveva dichiarato che nella riunione indetta il venerdì seguente al predetto 18.1.2002 egli aveva personalmente reso edotto il D. R. sugli argomenti affrontati nella riunione precedente (pagg. 41 e 42 trascr.); che siffatte circostanze erano state confermate dal teste V., direttore tecnico commerciale e marito della imputata (udienza 1.2.2005, pagg. 52 e ss.) e dalla segretaria R. (pag. 60 ud. 1.2.2005). Sottolinea infine la ricorrente che il datore di lavoro può legittimamente delegare gli obblighi di informazione e formazione prevenzionale a personale dipendente, affidabile nella soggetta materia.

2.2 – Col secondo motivo la ricorrente lamenta mancanza e manifesta illogicità della motivazione, sia laddove la sentenza impugnata ha ritenuto la sussistenza dei reati A e B in base a un esame sommario e incompleto degli elementi probatori, ignorando le doglianze difensive, sia in ordine alla dosimetria della pena.

3 – Giova premettere che ai sensi del D.Lgs. 626/94 il datore di lavoro deve ?provvedere? a che i lavoratori siano informati sui rischi per la sicurezza e la salute a cui sono sottoposti in relazione alle mansioni svolte (articolo 21, comma 1, lettera a) e c)); e deve ?assicurare? che i lavoratori ricevano formazione prevenzionale adeguata con riferimento alle loro specifiche mansioni (articolo 22, comma 1).

I verbi adoperati dal legislatore (provvedere, assicurare) indicano chiaramente che il datore di lavoro può assolvere (e generalmente assolve) i suoi obblighi anche tramite terze persone competenti e in particolare attraverso le figure tipiche dei suoi collaboratori aziendali in materia di sicurezza e igiene del lavoro.

Inoltre, la formazione prevenzionale deve essere impartita in occasione della introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie (articolo 22, comma 2 letto c)); e deve essere periodicamente ripetuta in relazione alla evoluzione dei rischi o all’insorgenza di nuovi rischi (articolo 22, comma 3).

Sotto questi ultimi profili, la pubblica accusa non ha provato – com?era suo onere – e anzi non ha neppure prospettato che, per le mansioni svolte dal D. R., erano state introdotte nuove attrezzature di lavoro, ovvero erano insorti nuovi rischi o si erano aggravati quelli preesistenti.

Alla luce dei principi suddetti il giudice di merito doveva verificare se l’imputata direttamente o tramite i suoi collaboratori – aveva regolarmente assolto i suoi obblighi di informazione e formazione del lavoratore dipendente D. R.. Egli però ha esercitato il suo compito secondo criteri giuridicamente impropri.

Infatti, sia dalla impugnata sentenza, sia dagli atti specificamente indicati nel ricorso (ex articolo 606 lettera e)) c.p.p., come novellato dall’articolo 8 della legge 46/2006), risulta che il D. R., pur non essendo stato presente alla riunione informativa del 18.1.2002, era stato poi reso edotto sugli argomenti trattati dal rappresentante per la sicurezza aziendale, M. M. (secondo la deposizione testimoniai e dello stesso M.); e inoltre che anche il capotecnico S. e il collega di lavoro C. avevano riferito al D. R. del contenuto della riunione, in particolare ragguagiandolo sull’uso delle scale (v. deposizione testimoniale dello stesso D. R.).

Resta così provato che il D. R. fu informato sulle precauzioni antinfortunistiche per l’uso delle scale; mentre manca del tutto la prova – che incombeva alla pubblica accusa – che egli non abbia ricevuta una adeguata formazione prevenzionale in relazione alle sue mansioni. Nonostante queste risultanze probatorie, il giudice ha ritenuto ugualmente la sussistenza dei residui reati contestati, genericamente osservando che mancava la prova di ?che cosa? e ?come? era stato detto al lavoratore. Ma una volta acquisito che il D. R. era stato comunque ragguagliato sul corretto uso delle scale, il giudice doveva semmai accertare quale altra informazione o formazione prevenzionale il Pm imputava al datore di lavoro di non aver impartito.

Inoltre, il giudice di merito non poteva esigere un aggiornamento delle informazioni antinfortunistiche (?quando?), dal momento che mancava (la prova di) un qualsiasi presupposto per tale aggiornamento, come la introduzione di nuovi attrezzi o la evoluzione del rischio.

In buona sostanza, la sentenza impugnata ha accertato la sussistenza dei residui reati contestati sub A e B in base a criteri giuridici erronei, mentre già risultava agli atti che il fatto non sussisteva, o mancava del tutto la prova che il fatto sussistesse.

Il motivo sulla pena (peraltro fondato) resta assorbito.

P.Q.M.

La corte suprema di cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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