Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-06-2011) 04-08-2011, n. 31092 Relazione tra la sentenza e l’accusa contestata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 13 maggio 2008, il Tribunale di Bologna ha condannato M.A. alla pena di tre anni e sei mesi di reclusione per il reato di circonvenzione di incapace consumato ai danni di P.A.. In particolare, all’imputato è contestato di aver indotto il P. a rilasciargli – in data 13 giugno 2003 – una delega ad operare con firma disgiunta sul suo conto corrente; delega poi utilizzata per prelevare dal conto della vittima l’importo di Euro 460.000,00, impiegato per stipulare due assicurazioni sulla vita a proprio nome, di cui infine riscattava il premio appropriandosene.

In data 17 settembre 2010 la Corte d’appello di Bologna ha integralmente rigettato l’appello proposto dal M., il quale – contro tale sentenza – ha proposto ricorso per cassazione allegando quattro motivi almeno in parte connessi.

Col primo motivo, il M. si duole della circostanza che il fatto contestatogli e ritenuto nei primi due gradi di giudizio è diverso da quello accertato processualmente. Ed infatti, i giudici di merito hanno tutti ritenuto – conformemente al capo di imputazione – che egli avrebbe prelevato l’importo occorrente per la sottoscrizione delle due polizze vita a suo nome facendo uso della delega ad operare sul conto del P., laddove dall’istruttoria sarebbe emerso che fu invece lo stesso P., recatosi personalmente in banca, a disporre i prelievi. La circostanza è dedotta, in sè, quale autonomo vizio della sentenza impugnata sub specie di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per travisamento della prova, ma essa si pone anche a fondamento degli ulteriori motivi di ricorso.

Ed infatti col secondo motivo, il M. lamenta che la corte territoriale, dando erroneamente per scontato che la delega fosse l’unico atto dispositivo compiuto dalla vittima, ha del tutto omesso di motivare sul nesso causale fra questa ed il depauperamento subito dal P., verificatosi invece per effetto dei prelievi personalmente disposti dal medesimo in banca.

Col terzo motivo, l’imputato censura la sentenza di merito nella parte in cui individua il tempo cui riferire la verifica dello stato di incapacità naturale del P. e della sua riconoscibilità da parte di terzi al 13 giugno 2003 (data di sottoscrizione della delega) anzichè ai mesi successivi in cui sono stati effettivamente compiuti i prelievi.

Il quarto motivo, infine, attiene alla mancata assunzione di una prova decisiva, costituita nel non aver disposto l’espletamento di una perizia psichiatrica in ordine all’incapacità del P. che tenesse conto dell’effettiva dinamica dei fatti dispositivi compiuti dallo stesso e non fosse invece circoscritta alla data di sottoscrizione della delega alle operazioni bancarie.

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Tutte le censure mosse ruotano intorno ad un certo scollamento fra il fatto contestato e quello emerso in esito all’istruttoria dibattimentale. In particolare, sebbene il M. avesse una procura ad operare sul conto corrente del P., è emerso che i prelievi effettuati sul conto della vittima sono stati eseguiti personalmente dal P., recatosi in banca in compagnia del M..

Tale circostanza, tuttavia, non da luogo al vizio denunziato col primo motivo di ricorso. Occorre in proposito premettere che, a prescindere dal nomen iuris impiegato dalla difesa, col primo motivo il M. in realtà contesta l’inosservanza di una norma processuale e, segnatamente, dell’art. 521 c.p.p., a mente del quale vi deve essere correlazione fra il fatto contestato all’imputato e quello per il quale si perviene alla condanna.

Questa Corte ha chiarito che il principio di correlazione fra l’imputazione contestata e la sentenza è posto a salvaguardia del diritto di difesa dell’imputato. Il precetto non risulta quindi violato qualora il fatto sia contestato in modo da consentire comunque la difesa in relazione ad ogni elemento di accusa (Cass. 10 giugno 2010, n. 38991; Cass. 25 febbraio 2004, n. 34289).

Nella specie, non vi è dubbio che – pur in presenza di marginali differenze fra la condotta naturalistica descritta nell’imputazione e quella realmente accertata – il M. ha avuto ampia facoltà di difesa, dal momento che è stato proprio egli stesso a prospettare ai giudici del merito la diversa dinamica dei fatti. L’imputato, peraltro, non ha mai negato – stante l’evidenza documentale – di essersi impossessato del denaro prelevato dal P. dal suo conto, di averlo utilizzato per sottoscrivere due assicurazioni sulla vita a proprio nome e di averle infine riscattate.

Non vi è stata, quindi, alcuna effettiva minorazione della difesa nè la violazione dell’art. 521 c.p.p. Il primo motivo di ricorso è quindi infondato.

Stante la stretta connessione fra la prima censura esposta dal M. e le successive – che della prima costituiscono, nella sostanza, dei corollari – risultano parimenti infondati tutti gli altri motivi di ricorso.

La doglianza relativa alla mancata motivazione sul nesso causale fra la delega ad operare sul conto corrente del P. ed il danno patrimoniale da questi subito è destituita di coerenza logica, dato che per ammissione dello stesso M., il danno alla vittima è derivato dai prelievi dal medesimo personalmente effettuati presso lo sportello bancario, anzichè dall’uso indebito della (più volte menzionata) delega del 13 giugno 2003.

La terza censura mossa alla sentenza di condanna riguarda l’individuazione dell’esatto momento al quale doveva essere riferito l’accertamento delle capacità mentali della vittima; accertamento che, secondo la difesa, è stato erroneamente connesso ad un giorno (13 giugno 2003: sottoscrizione della delega bancaria) diverso da quello in cui il P. ha realmente disposto del proprio patrimonio. L’argomento non coglie nel segno, dal momento che i giudici di merito hanno dato atto della circostanza che, in data di poco successiva alla sottoscrizione della delega in favore del M., il P. manifestò vistosi segni di incapacità naturale. In particolare, l’episodio delittuoso che lo vide protagonista il 16 giugno 2003 evidenzia chiari segni di un disturbo mentale. La questione dell’eventuale, ma improbabile, regressione dei disturbi mentali nel breve tempo che intercorse fra quell’episodio ed il giorno in cui il P. prelevò dal proprio conto le somme di cui il M. si appropriò, riguarda il merito della decisione e non è censurabile in questa sede.

Per le medesime ragioni, è inammissibile la doglianza relativa all’omesso espletamento di una perizia psichiatrica che tenesse conto dell’effettiva datazione degli atti dispositivi sposti in essere dal del P.. La prova non raccolta, sprovvista del carattere della decisi vita, è supplita dalla presunzione di non regressione dei disturbi mentali chiaramente evidenziati il P. a partire dal 16 giugno 2003.

AI rigetto del ricorso segue la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile, liquidate nella misura di seguito indicata.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè quelle sopportate dalla parte civile P. A. liquidate in Euro 2.500,00 per onorari, oltre rimborso spese generali, i.v.a. e cpa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *