Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-12-2011, n. 28940 Opposizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 1.3.1997 P.B. proponeva opposizione avverso il decreto ing. n. 46/96 con il quale il Pretore di Barcellona P.G. sezione distac. di Lipari gli aveva ingiunto il pagamento, in favore dell’istante Edilvab snc, della somma di L. 6.000.300, oltre interessi e spese legali, a titolo di saldo de corrispettivo ad essa dovuto per i lavori di ricostruzione e demolizione di un solaio in località (OMISSIS).

Deduceva l’opponente di non essere debitore delle somme richieste per avere interamente pagato il prezzo dei lavori in questione, tramite n. 2 assegni circolari emessi dalla Banca del Sud rispettivamente di L. 6.000.000 e L. 2.000.000. Chiedeva quindi l’annullamento o la revoca del provvedimento monitorio e la condanna dell’Edilvab al pagamento delle spese processuali. Si costituiva la società opposta chiedendo il rigetto dell’apposizione e la conferma del d.i. deducendo che la somma corrisposte dall’opponente erano state imputate ad altri lavori e non alla fattura di cui al provvedimento monitorio opposto. L’adito tribunale, espletata l’istruttoria, con sentenza del 4.10.2001, rigettava la proposta opposizione, condannando l’opponente al pagamento delle spese processuali. Secondo il primo giudice a fronte della sussistenza di più debiti ed in assenza di dichiarazione d’imputazione espressa da parte del debitore, sarebbe stato onere di quest’ultimo provare ex art. 2697 c.c. che il pagamento effettuato si riferiva proprio al debito oggetto di lite, prova che, nella fattispecie, non era stata raggiunta.

Avverso tale sentenza proponeva appello il P. che insisteva per il rigetto delle domande formulate dalla controparte. La soc. Edilvab nel costituirsi domandava la reizione dell’appello.

L’adita Corte d’Appello di Messina con la sentenza n. 471/05 depositata in data 21.10.2005, in riforma dell’appellata decisione, dichiarava che nessuna somma era dovuta dal P. in ordine al credito del provvedimento monitorio opposto, che pertanto revocava.

Secondo la Corte siciliana nella fattispecie occorreva fare riferimento non all’art. 2697 c.c. ma art. 1193 c.c., comma 2, per cui era onere della ditta creditrice provare le dedotta diversa imputazione ed in particolare che il debito di cui al provvedimento monitorio (lavori di via (OMISSIS)) al momento in cui venne effettuato il pagamento di L. 6.000.000 era scaduto rispetto a quello dei lavori in località (OMISSIS). Il P. aveva invero dimostrato che i versamento di tale importo era idoneo ad estinguere il debito per cui era stato tratto a giudizio, con a conseguenza che spettava alla soc. ricorrente (che aveva opposto che quel versamento si riferiva all’estinzione di altro credito), fornire la prova dell’imputabilità del versamento ad un credito diverso da quello azionato.

Proponeva ricorso per la cassazione di tale sentenza l’EDILVAB snc sulla base di 4 mezzi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.;

resiste con controricorso il P..

Motivi della decisione

Con il 1 motivo l’esponente denuncia la violazione dell’art. 1193 c.c., comma 2 nonchè vizio motivazionale.

Osserva che la Corte siciliana sulla base di una non condivisibile interpretazione delle emergenze istruttorie (v. dichiarazione testi P. e Z.) avrebbe erroneamente ritenuto l’esistenza di un debito scaduto, costituto dal corrispettivo per i lavori eseguiti nel fabbricato in loc. (OMISSIS), cui ha imputato il pagamento di L. 6.000.000, effettuato a mezzo assegno, mentre in realtà avrebbe dovuto considerare tutte le somme versate, come prassi, dal creditore P. alla stregua di acconti per i lavori eseguiti sia nel predetto fabbricato di loc. (OMISSIS) che nell’altro ubicato in via (OMISSIS). Per cui tenuto conto dell’art. 1193 c.c., u.c. "poichè i debiti erano ugualmente onerosi, l’imputazione dei pagamenti doveva essere fatta proporzionalmente ad entrambi i debiti.

Con il 2 motivo l’esponente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2721, 2726 c.c.; degli artt. 246 e 329 c.p.c., nonchè vizio della motivazione. La censura è diretta a contestare l’attendibilità, ritenuta dalla Corte, di alcuni dei testi escussi Z.V. e P.G.. Anche con il 3 motivo (vizio di motivazione; violazione dell’art. 2697 c.c.) l’esponente ritorna sulle dichiarazione dei menzionati testi e critica il giudicante quando aveva "tentato di giustificare il saldo in contanti per l’avvenuto integrale pagamento di tutte le forniture a differenza di quanto sostenuto dalla Edilvab che vi era ancora un importo da saldare. Invero "la prova del saldo dell’intero importo non doveva essere data attraverso l’imputabilità dei pagamenti ma attraverso il principio della regola di cui all’art. 2697 c.c.. In tal caso la prova dell’avvenuto integrale pagamento di tutte le fatture doveva essere fornita dal soggetto passivo del rapporto obbligatorio che questi nel caso in esame non aveva assolto all’indicato onere.

Le censure – congiuntamente esaminate essendo strettamente connesse – non sono fondate.

La Corte messinese ha correttamente proceduto all’imputazione dei pagamenti, in conformità dell’indirizzo giurisprudenziale di questa corte regolatrice in tema di onere probatorio. Va ricordato infatti che secondo questa S.C. "in tema di pagamento, allorchè una parte agisca per l’adempimento di un proprio credito e l’altra parte dimostri di aver pagato somme di denaro senza imputare il pagamento a quel credito, spetta al creditore, il quale intenda sostenere che quel pagamento doveva essere imputato ad altro credito già scaduto, dare la prova dell’esistenza di quest’ultimo" (Cass. n. 8066 del 31/03/2007; Cass. : N. 1064 del 2005). Le conclusioni cui è giunto il giudicante sulla base di un’ampia disamina e valutazione di tutte le emergenze istruttorie ( dichiarazione dei testi e delle parti, documenti ecc.) non possono essere contestate in questa sede di legittimità, atteso che i denunciati vizi di motivazione e le pretese violazioni di legge si risolvono in definitiva in mere questioni di merito. Secondo il costante insegnamento di questa S.C. "il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento , e, all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. (Cass. n. 1014 del 19/01/2006).

Si osserva ancora a proposito della contestata valutazione dei testi escussi, che …."l’interesse che da luogo ad incapacità a testimoniare, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., è solo quello – giuridico, personale e concreto – che comporterebbe, in ipotesi, la legittimazione del teste alla proposizione dell’azione ovvero all’intervento o alla chiamata in causa. Il relativo giudizio sulla sussistenza o meno di detta incapacità a testimoniare è rimesso – così come quello inerente all’attendibilità dei testi e alla rilevanza delle deposizioni – al giudice del merito, che è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Cass. n. 1101 del 20/01/2006).

Infine con il 4 motivo il ricorrente denuncia la falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., nonchè l’errata o contraddittoria motivazione.

Lamenta che la corte ha compensato le spese del doppio grado che a suo avviso dovevano gravare tutte sul P.. La doglianza è chiaramente infondata perchè le spese processuali per il principio della soccombenza non potevano evidentemente gravare sulla parte vincitrice (il P.).

In conclusione il riscorso dev’essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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