Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-12-2011, n. 28937 Garanzia per i vizi della cosa venduta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notif. in data 15.4.1995 C.C., quale titolare della ditta omonima, conveniva in giudizio la sas Giuseppe Pedrotti & C. chiedendo la condanna della stessa al pagamento della somma di L. 14.409.710, oltre agli interessi legali, a titolo di pagamento di un fornitura di materiale di cartoleria. Si costituiva in giudizio la convenuta ditta Pedrotti chiedendo il rigetto della domanda ed in subordine la risoluzione del contratto per inadempimento dell’attore, con condanna dello stesso al risarcimento del danno. Deduceva che la merce fornita era difettosa in modo tale da rendere non commerciabili i prodotti e che detti difetti erano stati immediatamente contestati con l’invito a ritirare tutta la merce, che era trattenuta a disposizione. Con sentenza resa in data 12.3.2002 il tribunale di Trento, in accoglimento della domanda attrice, condannava la ditta Pedrotti al pagamento della somma di Euro 7.441,99, oltre interessi ed accessori. Il primo giudice, in conformità delle prove documentali acquisite e ritenuta la decadenza della convenuta a formulare nuove prove circa la tempestività della garanzia redibitoria richiesta, riteneva fondata la domanda del C., che dunque accoglieva.

Avverso detta sentenza proponeva appello la ditta Pedrotti insistendo nelle proprie domande ed eccezioni; si costituiva l’appellato chiedendo il rigetto dell’appello. In particolare l’appellante ditta Pedrotti lamentava che il giudice di 1^ grado l’avesse ingiustamente dichiarata decaduta dalla dedotta prova testimoniale diretta a dimostrare la tempestività della denuncia dei vizi della merce fornitale dal C.; riproponeva quindi l’eccezione d’inadempimento del venditore in relazione ai riscontrati difetti della merce acquistata, tali da renderla incommerciabile, per cui insisteva per l’accoglimento della domanda formulata in via riconvenzionale di risoluzione del contratto di compravendita.

L’adita Corte d’Appello di Trento, dopo aver trattenuta la causa in decisione, con ordinanza 24.1.2004, la rimetteva sul ruolo per l’assunzione delle prove testimoniali richieste dalle parti in primo grado. Espletato tale incombente, la stessa Corte, con sentenza n. 437/05 depositata in data 21.12.2005, dichiarava la risoluzione del contratto e rigettava la domanda attrice diretta al pagamento del corrispettivo della vendita; respingeva anche la domanda risarcitoria della ditta Pedrotti siccome non provata; condannava il C. al pagamento delle spese del doppio grado che compensava nella misura di 2/3. Secondo la corte tridentina non si era verificata alcuna decadenza dell’appellante nell’articolazione dei propri mezzi istruttori circa la tempestività della denuncia dei vizi della merce fornita, in quanto – secondo le norme processuali all’epoca vigenti – la relativa prova testimoniale (diretta dimostrare la tardività dell’eccezione di decadenza della garanzia redibitoria ex art. 1490 c.c.) era stata ritualmente dedotta da parte attrice in sede d’udienza di precisazione delle conclusioni, e quindi prima del momento della rimessione della causa al collegio. Riteneva quindi sulla base delle prove espletate, che era tempestiva e fondata la denuncia della difettosità della merce al venditore, per cui appariva fondata anche la domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto; non accoglieva tuttavia anche domanda risarcitoria avanzata dalla stessa ditta Pedrotti, ritenendola non provata.

Avverso la suddetta decisione C.C. ricorre per cassazione sulla base di n. 3 censure. La ditta Pedrotti resiste con controricorso, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il 1 motivo del ricorso l’esponente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 e 1495 c.c. e dell’art. 184 c.p.c..

La censura riguarda l’ordinanza della Corte d’Appello del 24.1.2004, che aveva rimesso la causa sul ruolo per l’espletamento della prova per testi (che ammetteva) riguardanti la tempestiva proposizione della garanzia redibitoria; in tal modo – secondo il ricorrente – il giudicante aveva violato le regole sull’onere della prova e sul principio dettato dall’art. 1495 c.c.. Per la Corte il relativo onere probatorio competeva al venditore, mentre in realtà esso gravava solo su il compratore. Osserva inoltre che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudicante, il venditore C. aveva dedotto l’eccezione di decadenza fin dalla memoria del 9.5.97 e non in sede di precisazione delle conclusioni.

Con il 2 motivo del ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 184 c.p.c. nel testo non novellato ex L. 20 dicembre 1995, n. 534. Tale norma a suo avviso entra in gioco nel caso di proposizione dei nuovi mezzi di prova e non quando, come nella fattispecie si tratti di prove già proposte e non ammesse.

Le due doglianze – congiuntamente esaminate essendo strettamente connesse – sono prive di giuridico fondamento.

La corte distrettuale ha ampiamente motivato (pag. 8-9 sentenza) circa l’ammissibilità delle prove in questione, considerate le norme processuali all’epoca vigenti ( art. 184 c.p.c. nel testo ante novella ex L. 20 dicembre 1995, n. 534) per cui era possibile dedurre prove fino all’udienza di precisazione delle conclusioni. D’altra parte, come ha rilevato il controricorrente, non v’è dubbio che trattasi di censure inammissibili, atteso che nel giudizio d’appello non era stata impugnata l’ordinanza ammissiva della prova nè era stata invocata la sua revoca, e neppure era stato eccepito alcunchè; anzi l’odierna ricorrente vi aveva fatto inequivoca acquiescenza con la richiesta della prova contraria innanzi a giudice delegato del Tribunale di Pordenone. Passando all’esame del 3 motivo del ricorso, con esso l’esponente denuncia l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione : la censura riguarda la valutazione della Corte circa le dichiarazioni testimoniali delle parti (testi Pe. e Ti.), ritenuta erronea in quanto conterrebbero delle contraddizioni. Si tratta di censura che contrasta con i principi di autosufficienza ed introduce solo questioni di merito, come tali incensurabili in sede di legittimità stante la corretta motivazione della sentenza imputata. In conclusione il riscorso dev’essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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