Cass. pen., sez. VI 18-12-2006 (09-11-2006), n. 41370 REATI CONTRO L’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA – DELITTI CONTRO L’ATTIVITÀ GIUDIZIARIA – PATROCINIO O CONSULENZA INFEDELE- Pendenza del procedimento dinanzi all’autorità giudiziaria

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Fatto

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Messina confermava la sentenza in data 4 giugno 2003 del Tribunale di Messina, appellata da A.C., condannato, con la condizionale, alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro 500,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile da liquidare in separata sede, in quanto responsabile del reato di cui all’art. 380 c.p., perchè, quale patrocinatore di R. F. in una causa promossa in data 8 marzo 1995 con azione revocatoria ex art. 2901 c.c. nei confronti di V.G., erede di M.A., e dell’Arcidiocesi di Messina, per la declaratoria di inefficacia nei suoi confronti di un atto di donazione in data 29 luglio 1994 con cui il M. aveva beneficiato la predetta Acidiocesi di un terreno sito in ?, rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, costituiva con la parte avversa V.G. rapporti societari, aventi a oggetto l’acquisto e il trasferimento di immobili, arrecando un nocumento all’interesse del R. consistito nel fargli perdere le garanzie sul patrimonio immobiliare della V. e comunque rendendogli più difficoltosa l’azione su detti beni (in ?).

I giudici di appello, sulla base delle particolareggiate dichiarazioni della persona offesa nonchè di altre risultanze processuali, anche di natura documentale, accertavano in particolare che mentre era già in corso la causa civile promossa dal R. con il patrocinio dell’avv. A., quest’ultimo, d’intesa con la controparte V., aveva, in data 13 maggio 1996, trasferito il terreno oggetto della donazione e per il quale era in corso l’azione revocatoria alla società CM s.r.l., di cui era amministratore unico la segretaria dello studio del predetto legale, B.S..

Detta società aveva per oggetto la costruzione di fabbricati in Villafranca T., per la cui vendita era stata costituita in data 26 aprile 1996 altra società, la CMC s.r.l., di cui formalmente risultavano soci l’avv. A. al 10 per cento e B. S. al 90 per cento, mentre nella realtà quest’ultima quota faceva capo alla famiglia V.- M., come dichiarato dalla B..

Ciò posto, rilevava la Corte di appello che con tale condotta l’avv. A. aveva tradito il mandato ricevuto, con la finalità di favorire gli interessi della controparte oltre i propri, e che con l’avvenuto trasferimento del bene oggetto dell’azione revocatoria alla società CM, di cui era di fatto titolare l’avv. A., era stata vanificata la domanda del R., il quale avrebbe dovuto intraprendere una nuova azione revocatoria nei confronti sia dell’alienante sia della società acquirente.

Il tutto integrava gli elementi costitutivi del delitto contestato.

Ha proposto ricorso per Cassazione l’ A., con atto sottoscritto personalmente nonchè dal difensore avv. Adriana La Manna, con il quale si deduce:

1. Violazione dell’art. 380 c.p., per insussistenza del presupposto della collocabilità della condotta incriminata nell’ambito di un procedimento giudiziario.

Infatti all’imputato è stato contestato di essersi adoperato per realizzare il trasferimento del bene oggetto del giudizio civile a una società a lui riconducibile, il che non aveva nulla a che fare con le iniziative processuali di un patrocinatore nel corso del giudizio.

2. Vizio di motivazione in relazione all’art. 603 c.p.p..

La Corte di appello ha rigettato la richiesta difensiva di acquisizione degli atti del procedimento civile; mentre tale acquisizione sarebbe stata necessaria per stabilire l’incidenza della condotta contestata sulle sorti di quel giudizio e, quindi, la concreta offesa del bene giuridico tutelato, rappresentato dall’ordinato svolgimento della funzione giudiziaria.

3. Violazione dell’art. 157 c.p..

Posto che la condotta incriminata è consistita nel trasferimento per atto pubblico del bene oggetto del procedimento civile, è a quella data (13 maggio 1996) che si sarebbe realizzata la consumazione del reato e quindi avrebbe preso a decorrere il termine di prescrizione.

Al momento della decisione di appello erano decorsi da quella data nove anni, otto mesi e diciotto giorni; sicchè, pur tenendo conto delle sospensioni, il reato era già prescritto.

Diritto

Pur essendo il reato prescritto, come oltre si preciserà, il ricorso va esaminato ai fini degli effetti civili, a norma dell’art. 578 c.p.p..

1. Va in primo luogo osservato che la condotta contestata rientra appieno nel paradigma dell’art. 380 c.p..

Non è qui in discussione il consolidato, e comunque prevalente, orientamento giurisprudenziale e dottrinale per il quale la fattispecie di cui all’art. 380 c.p. configura un reato proprio, nel senso che soggetto attivo deve essere il "patrocinatore", qualità inscindibile dallo svolgimento di attività processuali, sicchè, ai fini della integrazione del reato in esame, non è sufficiente che un avvocato non adempia ai doveri scaturenti dall’accettazione di un qualsiasi incarico di natura legale, essendo necessaria, quale elemento costitutivo del reato, la pendenza di un procedimento nell’ambito del quale deve realizzarsi la violazione degli obblighi assunti con il mandato, poichè l’attività del patrono infedele è assunta per scelta del legislatore come lesiva dell’interesse tutelato solo nel momento dell’esercizio effettivo della giurisdizione (Sez. 6^, 21 ottobre 2004, Ariis; Sez. 6^, 28 marzo 2201, Achille; Sez. 6^, u.p. 19 maggio 1998, Bove; Sez. 6^, u.p. 8 luglio 1997, Chiaberti; Sez. 6^, u.p. 28 marzo 1995, Layne; Sez. 3^, u.p. 19 dicembre 1978, Abeatici).

Militano in tal senso diversi argomenti: in primo luogo, la lettera della norma, secondo la cui la condotta tipica è presa in considerazione in quanto si realizzi attraverso una assistenza o rappresentanza "dinanzi all’Autorità giudiziaria"; in secondo luogo, la nozione di patrocinatore – necessario soggetto attivo del reato – che non può assumere formale riconoscimento se non nell’ambito di una procedura giudiziaria; in terzo luogo, il bene tutelato dalla norma, che va individuato nell’interesse al regolare funzionamento della amministrazione della giustizia (che sarebbe pregiudicato da comportamenti sleali da parte dei patrocinatori), e solo accessoriamente (o, se si vuole, contestualmente) nell’interesse del cliente (v. in tal senso, Rel. Prog. Def., p. 177).

Ciò non significa, peraltro, che la condotta infedele del patrocinatore debba concretarsi necessariamente attraverso atti o comportamenti processuali, perchè ciò non è richiesto dalla lettera della norma, che si riferisce solo al fatto del patrocinatore che si rende "infedele ai suoi doveri professionali", e quindi a una condotta libera, eventualmente anche estrinsecantesi al di fuori del processo.

Ne è riprova la fattispecie aggravata considerata dal n. 1 del comma secondo, perfettamente attagliantesi al caso di specie (ma singolarmente non contestata in imputazione), che prevede che il fatto sia commesso "colludendo con la parte avversaria".

Il patrocinatore che realizzi, a latere del processo, le condizioni di fatto perchè il suo assistito non ottenga il risultato processuale auspicato è non meno colpevole di chi ometta volontariamente di svolgere le opportune iniziative processuali a sostegno delle ragioni del cliente.

Nel caso di specie, non è dubbio, nè è specificamente contestato, che il bene oggetto della garanzia patrimoniale, su cui si fondava l’azione di revocazione ex art. 2901 c.c. promossa dal R., sia stato in corso di causa alienato da parte avversa a una società facente capo all’avv. A., con conseguente perdita immediata, anche se non sicuramente irrimediabile, di tale garanzia, posto che, come esattamente rilevato dai giudici di merito, anche se l’alienazione del bene non era di norma efficace nei confronti dell’attore che avesse trascritto la domanda giudiziale (art. 2901 c.c., comma 4 e art. 2652 c.c., n. 5), essa comunque comportava per lui l’onere dell’esperimento di un nuovo giudizio, dall’esito incerto, nei confronti dell’alienante e dell’acquirente, con connesse spese legali e disagi morali (qui rilevanti ex art. 185 c.p.).

2. Nel presente procedimento penale non vi era necessità di acquisire gli atti del procedimento civile, una volta accertata la condotta criminosa dell’ A., immediatamente produttiva di una lesione del rapporto di fiducia intercorrente con il patrocinato e del conseguente nocumento agli interessi di questo.

Infatti, la sleale operazione di compravendita del bene ordita dall’imputato ha comportato per il R. un immediato danno, connesso alla esigenza di reimpostare ex novo la sua strategia processuale a seguito di questo fatto.

3. Ciò detto, poichè è con il trasferimento del bene, avvenuto il 13 maggio 1996, che il reato deve ritenersi essersi consumato, da tale data è ormai abbondantemente decorso il termine prescrizionale massimo di sette anni e sei mesi previsto, in ragione dei livelli sanzionatori ex art. 380 c.p., dall’art. 157 c.p., comma 1, n. 4 e art. 160 c.p., u.c..

Il termine suddetto cade il 13 novembre 2003 e, anche tenendo conto dei vari periodi in cui il corso della prescrizione è rimasto sospeso, a norma dell’art. 159 c.p., esso è spirato in data ampiamente antecedente al presente giorno.

La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio stante l’intervenuta prescrizione del reato, ferme restando le statuizioni sugli interessi civili.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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