Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-12-2011, n. 28915 Distanze legali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con denunzi a di nuova opera del 1990, C.U., proprietario di un terreno con sovrastante fabbricato in (OMISSIS), esponeva che il confinante L.F. stava eseguendo l’ampliamento di un suo fabbricato con violazione delle distanze e chiedeva al pretore di Anagni la sospensione dei lavori.

Nella resistenza del convenuto, l’adito Pretore, previa CTU, denegava il provvedimento cautelare e rimetteva le parti di fronte al tribunale di Frosinone per il merito; riassunto il giudizio, il C. chiedeva accertarsi la reale linea di confine tra i fondi e, comunque, subordinatamente, la demolizione del ballatoio dei balconi e delle terrazze non a distanza legale ed il risarcimento dei danni.

Procedutosi alla riassunzione del giudizio a seguito della morte del L., ed espletata nuova CTU, l’adito Tribunale, con sentenza del 2002, dichiarato il difetto di legittimazione di A.M. L., rigettava le domande attoree. Proponeva appello il C., cui resistevano L. e L.M..

La Corte di appello di Roma, con sentenza in data 25.10/14.12.2005, rigettava le domande attoree volte alla condanna dei convenuti alla costruzione di un muro di sostegno; condannava i convenuti ad adeguare il confine in conformità delle risultanze della CTU ed a demolire una parte del fabbricato ed al risarcimento dei danni.

Rigettate le eccezioni procedurali dei L., la Corte capitolina ha ritenuto possibile proporre domande nuove, non rientranti nell’azione di nunciazione, nella fase di merito, in ragione del rito applicabile ratione temporis.

Nel merito, ha ritenuto applicabili le disposizioni del PRG, e, considerate le risultanze della CTU, cui ha prestato adesione, è pervenuta alle surriportate statuizioni, in particolare ritenendo che il danno era derivato dallo sconfinamento e consisteva nella violazione delle esigenze della privacy e nella tutela della possibilità di libera veduta dal fondo, danno da liquidarsi in via equitativa.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono, sulla base di cinque motivi, i L., resiste il C. con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, si lamenta violazione di legge, relativamente alla ritenuta proponibilità, nella fase di merito di un giudizio di nunciazione di altre domande (nella specie di regolamentazione di confini ed altro), con assunta violazione dell’art. 345 c.p.c..

Il mezzo non è fondato; la sentenza impugnata non nega infatti la strumentalità della fase cautelare rispetto a quella di merito, ma la stessa viene vista e valutata nel pur sussistente rapporto tra le fasi stesse con la necessaria considerazione dell’autonomia da riconoscersi all’una come all’altra.

Ove poi, come nella specie, i tratti dell’azione (di nunciazione) diretta a tutelare l’integrità della proprietà immobiliare, devesi ritenere che nella stessa sia compresa ogni richiesta in rapporto di connessione necessaria con essa, tenuto conto dello scopo perseguito dalla parte (v. Cass. 28.4.2004, n 8128).

Poichè quanto si è verificato nella specie collima compiutamente con l’ipotesi di cui alla giurisprudenza citata, cui si presta convinta adesione, dato che le domande ulteriori discendono o comunque si riferiscono alla tematica sollevata sin dall’origine, il motivo non può trovare accoglimento.

Con il secondo mezzo si lamenta la interpretazione data dalle sentenza impugnata relativamente alla tempistica concernente la deduzione di inammissibilità di una domanda proposta ex adverso.

La domanda di merito risulta introdotta con atto notificato il 12.3.1991, sicchè risultano applicabili nella specie le norme antecedenti alla L. n. 353 del 1990, come ritenuto da questa Corte con sentenza n. 2973 del 1996; pertanto le domande proposte in sede di precisazione delle conclusioni devono ritenersi ritualmente proposte ove non venga eccepita la relativa preclusione nella stessa udienza, cosa questa non verificatasi nella specie.

E’ appena il caso di aggiungere che la deduzione secondo cui tali domande sarebbero state proposte solo con la memoria conclusionale, non risulta suffragata da alcun concreto riscontro e non può pertanto avere pregio alcuno, stante che l’esame degli atti non conferma tale tesi, peraltro mai sollevata in sede di merito.

Il terzo motivo attiene alla motivazione adottata per disporre la demolizione di parte del fabbricato di essi ricorrenti, contestandosi i metodi adottati dal CTU per pervenire ai risultati cui è improntata la relazione.

A parte il pur non irrilevante profilo secondo cui non risulta agevole individuare i profili specifici su cui la presente doglianza si basa, devesi rammentare che la sede di legittimità non consente la proposizione di censure che si risolvano in una critica alle conclusioni raggiunte dal CTU, ove le stesse non evidenzino violazioni di legge, che, pur denunziate nell’epigrafe del mezzo in esame, in realtà non sussistono se non in una ottica di valutazione che investe una posizione soggettiva che non ha trovato adesione nelle conclusioni del consulente, l’analisi delle quali non presta adito a censure che possano essere considerate incidenti rispetto alla valutazione complessiva dell’operato dell’ausiliario.

Anche tale motivo non merita pertanto accoglimento.

Con il quarto mezzo si lamenta violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., in relazione alla statuizione afferente all’obbligo di un facere, che non era stato richiesto.

Tale doglianza prescinde del tutto dal potere di interpretazione della domanda, istituzionalmente devoluto al prudente apprezzamento del giudice del merito, correttamente esercitato nella specie, e dalla portata insita nella domanda di regolamento dei confini, che contiene un implicito ma connaturato profilo di richiesta di ripristino dello stato legittimo, da attuarsi in relazione alle risultanze conseguite al riguardo.

Va comunque evidenziato che risulta dagli atti come la domanda di adeguamento al confine come determinato era stata, almeno implicitamente, proposta.

Il quinto motivo attiene alla violazione delle norme di cui agli artt. 2697 e 2043 c.c., in relazione al risarcimento del danno ed alla sussistenza stessa di un danno, oltre che alla natura della striscia di terreno di cui si era ordinata la restituzione, in quanto asseritamente insuscettibile di possesso e, quindi, di restituzione.

Devesi al riguardo osservare come attenendo ad un diritto reale, il danno, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ampiamente consolidata, va considerato in re ipsa, mentre la questione relativa allo stato della striscia di terreno investe una questione di fatto, che non può essere proposta nella presente sede di legittimità, come pure la valutazione dell’entità del danno e del conseguente risarcimento attengono ad un profilo peraltro riferito ad una valutazione equitativa, che investe il merito delle controversia.

Anche tale motivo deve essere pertanto respinto e, con esso, il ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00, per onorari, oltre agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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