T.A.R. Campania Napoli Sez. I, Sent., 14-09-2011, n. 4392 Igiene degli abitati e delle abitazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. L’A.N.P.R.I.C., associazione di categoria delle strutture sanitarie operanti nell’ambito della riabilitazione, e i centri ricorrenti, provvisoriamente accreditati nel settore della riabilitazione, impugnano la delibera giuntale n. 2157 del 30 dicembre 2005, con cui la Regione Campania ha determinato i volumi massimi di prestazioni sanitarie erogabili ed i correlati limiti di spesa per l’anno 2005, per una serie di ragioni attinenti alla violazione della normativa nazionale in materia sanitaria e della legge sul procedimento amministrativo, alla violazione dei principi del giusto procedimento, di affidamento e di buona fede, di concertazione e di irretroattività degli atti amministrativi, nonché all’eccesso di potere sotto svariati profili.

L’impugnativa è estesa anche agli atti, meglio in epigrafe indicati, che costituiscono il supporto motivazionale e contenutistico della delibera in questione.

La Regione Campania, costituitasi in giudizio, eccepisce nella propria memoria difensiva l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza del gravame.

Parte ricorrente insiste nelle proprie tesi con ulteriore memoria difensiva.

All’udienza pubblica dell’11 maggio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

2. Il Collegio prescinde dallo scrutinio delle eccezioni di rito formulate dalla difesa regionale, giacché il ricorso si presenta infondato nel merito.

Si riassume di seguito il corredo delle censure articolate in gravame:

– la delibera impugnata si è tradotta in un’acritica conferma del regime transitorio dei tetti di spesa 2005 fissato con la precedente delibera giuntale n. 2105/2004, ed in particolare dei limiti finanziari relativi al biennio precedente (2003 e 2004), rinunciando a provvedere alla programmazione sanitaria in funzione dell’analisi dei bisogni assistenziali;

– non è stata verificata l’idoneità delle misure di contenimento della spesa a garantire i livelli minimi di assistenza sanitaria, "con grave compromissione del diritto alla salute dei cittadini ed in violazione dell’art. 1, comma 169, della legge n. 311/2004";

– l’amministrazione regionale ha definito i limiti finanziari disponendo l’invarianza delle tariffe per le prestazioni sanitarie, nonostante fosse tenuta all’adozione del nuovo piano tariffario in forza di sentenza di questo giudice, e non riconoscendo l’incremento del 2% dei costi di produzione previsto dall’art. 1, comma 173, lett. e), della legge n. 311/2004 in funzione dell’accesso al finanziamento integrativo a carico dello Stato;

– non è stata avviata alcuna attività di monitoraggio della spesa sanitaria e di verifica della qualità, efficienza ed appropriatezza delle prestazioni con oneri a carico del S.S.N., in violazione dell’art. 1, comma 173, della legge n. 311/2004 nonché dell’accordo Stato – Regioni del 23 marzo 2005, impedendo, di conseguenza, la compiuta analisi delle ragioni del disavanzo della spesa sanitaria e l’indicazione "di un serio e ragionevole percorso di risanamento";

– il sistema di regressione tariffaria introdotto con la delibera gravata non si presenta assistito da congruo supporto motivazionale, che renda comprensibile il meccanismo applicativo;

– tale sistema introduce un regime tariffario variabile in ragione delle esigenze di risparmio di ciascuna azienda sanitaria e, dunque, a seconda della residenza del paziente, in violazione del divieto di trattamento tariffario differenziato prescritto dall’art. 1, comma 171, della legge n. 311/2004;

– la clausola della delibera impugnata, con cui si subordina la remunerazione delle prestazioni erogate dai soggetti provvisoriamente accreditati alla sottoscrizione di appositi contratti, è illegittima non solo perché tali contratti sono privi di ogni crisma di consensualità, essendo i relativi schemi stati predeterminati unilateralmente dall’amministrazione regionale, ma anche perché il modello contrattuale si attaglia solo al sistema dell’accreditamento istituzionale e non a quello, ancora vigente in Campania, dell’accreditamento provvisorio;

– la delibera in questione viola il criterio di libera scelta, poiché il paziente viene indirizzato verso le strutture pubbliche aziendali a scapito di quelle private provvisoriamente accreditate;

– le strutture private e quelle pubbliche aziendali sono assoggettate a due regimi di contenimento della spesa differenziati: il primo fondato su accordi contrattuali e su limiti finanziari invalicabili ed il secondo caratterizzato dall’assenza di moduli contrattuali e da più flessibili obiettivi di risparmio, peraltro non accompagnati da meccanismi sanzionatori in caso di loro sforamento, con conseguente violazione dell’art. 8 quinquies del d.lgs. n. 502/1992, dei principi di correttezza e buona fede nonché di parità di trattamento tra strutture pubbliche aziendali e private in regime di accreditamento;

– è mancata un’idonea ed effettiva partecipazione, anche in termini concertativi, delle associazioni di categoria al procedimento di determinazione dei volumi e dei limiti di spesa, atteso che del contributo da queste reso in occasione degli incontri precedenti l’adozione della deliberazione non vi è stata alcuna considerazione da parte della Regione;

– non è stato previsto alcun incremento delle prestazioni erogabili da parte dei centri privati in virtù del loro minor costo rispetto a quelle rese dal circuito assistenziale pubblico;

– la gravata delibera è stata adottata quando l’attività da regolamentare era stata già svolta da parte dei centri privati, assumendo, pertanto, un illegittimo carattere retroattivo.

3. Le suddette doglianze non meritano condivisione per le ragioni esplicitate nel prosieguo della trattazione.

3.1 La connessione fra obiettivi di risparmio 2006 e livello dei costi raggiunti nel consuntivo dell’esercizio 2004 è stata rigidamente predeterminata dalla delibera di Giunta Regionale n. 1843 del 9 dicembre 2005 (non impugnata in questa sede) e poi ribadita, in maniera altrettanto stringente, dalla coeva legge regionale 29 dicembre 2005 n. 24 (art. 3, comma 1), senza che residuassero spazi per valutazioni discrezionali dell’amministrazione sulla concorrente rilevanza di altri aspetti collegati alle nuove emergenze del fabbisogno assistenziale.

In tale cornice, non è irragionevole, nè implica una acritica conferma dei limiti finanziari pregressi, la decisione dell’amministrazione regionale di ribadire per il 2005, in via transitoria rispetto agli obiettivi prefissati per l’anno successivo, i tetti di spesa già definiti per l’esercizio 2004 dalla delibera giuntale n. 048/2003, essendo tale esercizio stato assunto dalla normativa di settore come punto di riferimento per l’attività di programmazione relativa alle annualità successive.

Inoltre, non è superfluo rilevare che la scelta dell’amministrazione trova ulteriore supporto nella pacifica considerazione, esplicitata a pag. 6 della delibera impugnata, che i volumi delle prestazioni programmati per il 2005 erano sostanzialmente stabili rispetto a quelli consuntivati nel 2004.

3.2 Proprio in virtù di tale ultima osservazione, deve essere sconfessata la tesi attorea che non sia stata verificata la compatibilità tra tetti di spesa e livelli essenziali di assistenza. Peraltro, parte ricorrente non indica alcuna concreta ragione da cui inferire che la programmazione finanziaria prevista nella delibera gravata non garantirebbe il rispetto degli standard minimi assistenziali imposti dalla legge.

3.3 La fissazione dei tetti di spesa è obbligo ineludibile della Regione e deve accompagnare ogni esercizio finanziario al fine di consentire la corretta programmazione della spesa sanitaria, in base alle prestazioni preventivate ed alle disponibilità finanziarie. Ne deriva che la definizione di un nuovo piano tariffario non assume alcun valore pregiudiziale rispetto alla fissazione dei limiti di spesa, che rispondono, viceversa, a logiche di contenimento dei costi e di salvaguardia degli equilibri di bilancio.

Quanto al censurato omesso incremento dei costi di produzione, il Collegio si limita ad osservare che l’art. 1, comma 173, della legge n. 311/2004 non prescrive l’obbligatorietà dell’incremento del 2% dei costi di produzione, ma introduce solo un dato eventuale di crescita che incide, insieme ad altri, a tratteggiare le condizioni di erogabilità del finanziamento integrativo. D’altronde, è nell’ottica della stessa intesa stipulata tra Stato e Regioni in data 23 marzo 2005, in attuazione della citata disposizione normativa, promuovere comportamenti virtuosi delle amministrazioni regionali che non comportino lievitazioni della spesa sanitaria, come avvenuto nella realtà campana con la programmazione per il 2005.

3.4 Si presenta inammissibile per genericità la censura con cui si stigmatizza il mancato avvio dell’attività di monitoraggio della spesa sanitaria e di verifica della qualità delle prestazioni. Peraltro il mancato o il ritardato adempimento di questa prestazione non esclude la potestà dell’amministrazione sanitaria di contenere la remunerazione complessiva delle prestazioni nei limiti fissati, né comporta l’obbligo per l’amministrazione sanitaria di acquistare prestazioni sanitarie impiegando risorse superiori a quelle disponibili.

3.5 Vale osservare che il sistema di regressione tariffaria delineato dalla gravata delibera, che si è adeguata al disposto dell’art. 1, comma 171, della legge n. 311/2004, ha individuato un meccanismo di regressione tariffaria unica (R.T.U.) basato sulla determinazione del contributo di ciascun centro provvisoriamente accreditato al superamento del tetto di spesa aziendale secondo i criteri esposti nell’allegato n. 3 – nota tecnica, criteri sufficientemente chiari e di semplice applicazione, peraltro accettati dagli stessi rappresentanti dei centri in sede di protocollo di intesa del 27 dicembre 2005.

In base a tali criteri, si procede a determinare l’apporto di ciascun centro privato: 1) al consuntivo delle prestazioni effettuate ai residenti della ASL in cui opera il centro; 2) al consuntivo delle prestazioni effettuate ai residenti di ciascuna altra ASL. Successivamente, confrontando i consuntivi complessivi per ASL con i tetti di spesa stabiliti si ottiene proporzionalmente l’ammontare del fatturato del singolo centro che ha concorso all’eventuale superamento del tetto di spesa della ASL in cui opera e delle altre ASL. Infine, il contributo complessivo di ciascun centro al superamento del tetto di spesa aziendale viene rapportato al fatturato totale del centro, per ottenere la R.T.U. da applicare a quel centro per quella specifica branca.

Ne deriva che è congruamente esplicitato e perfettamente comprensibile il meccanismo applicativo della regressione tariffaria introdotto dalla delibera in questione.

3.6 Il sistema di regressione progressiva del rimborso tariffario delle prestazioni sanitarie che eccedono il tetto massimo prefissato, pur non essendo esplicitamente contemplato dalle norme di legge che regolano i poteri regionali in materia, è espressione del potere autoritativo di fissazione dei tetti di spesa e di controllo della spesa sanitaria in funzione di tutela della finanza pubblica, affidato alle stesse Regioni, e trova giustificazione concorrente nella possibilità che le imprese fruiscano di economie di scala nonché effettuino opportune programmazioni della rispettiva attività (cfr. TAR Campania Napoli, Sez. I, 3 febbraio 2010 n. 537 e 11 dicembre 2009 n. 8648).

La regressione tariffaria si risolve, quindi, in un meccanismo di controllo e contingentamento della spesa sanitaria, volto a porre rimedio al superamento dei limiti finanziari stabiliti in sede di programmazione, senza costituire anche un criterio determinativo e differenziale delle tariffe disciplinate dalla normativa nazionale e regionale.

In ogni caso, non è rinvenibile nella disciplina nazionale e regionale di settore un principio di immodificabilità assoluta delle tariffe, anche perché le stesse costituiscono un elemento causalmente determinante degli assetti sia della spesa programmata che di quella da contingentare; e che le tariffe siano anche funzione degli obiettivi di spesa nazionale e regionale è confermato dall’art. 8 sexies, quinto comma, del d.lgs. n. 502/1992 nella attuale formulazione, secondo cui "lo stesso decreto stabilisce i criteri generali, nel rispetto del principio del perseguimento dell’efficienza e dei vincoli di bilancio derivanti dalle risorse programmate a livello nazionale e regionale, in base ai quali le regioni adottano il proprio sistema tariffario, articolando tali tariffe per classi di strutture secondo le loro caratteristiche organizzative e di attività, verificate in sede di accreditamento delle strutture stesse. Le tariffe massime di cui al presente comma sono assunte come riferimento per la valutazione della congruità delle risorse a carico del Servizio sanitario nazionale. Gli importi tariffari, fissati dalle singole regioni, superiori alle tariffe massime restano a carico dei bilanci regionali". Ed ancora, il sesto comma della citata disposizione, nel disciplinare il procedimento ed i criteri di revisione periodica del sistema di classificazione delle prestazioni e di aggiornamento delle relative tariffe, impone di tenere conto, oltre che dell’innovazione tecnologica e organizzativa, nonché dell’andamento dei costi dei principali fattori produttivi (aspetti tipici del libero mercato e del sistema concorrenziale), anche della definizione dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza e delle relative previsioni di spesa.

Ne consegue che se la fissazione degli obiettivi di spesa può incidere sul regime tariffario, non è affatto illegittimo, per esigenze di coerenza interna ed efficienza del sistema, prevedere meccanismi di riequilibrio e di salvaguardia dei limiti stabiliti in sede di programmazione che siano destinati ad operare solo in via eventuale e successiva. E il condizionamento dell’operatività della regressione al verificarsi di presupposti emergenti e verificabili solo a consuntivo, esclude che, dal punto di vista concorrenziale e, quindi, di capacità di attrazione dell’offerta di prestazioni sanitarie, i singoli centri possano subire pregiudizi di sorta in base alla residenza del paziente; d’altronde, essendo il costo della prestazione a carico del S.S.R., la libera scelta dell’assistito non risulta condizionata dalla convenienza economica della stessa, ma prevalentemente da esigenze di ubicazione territoriale della struttura e di sua idoneità operativa.

3.7 L’art. 8 quater, comma 2, del d.lgs. n. 502/1992 prevede che "la qualità di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, al di fuori degli accordi contrattuali di cui all’articolo 8quinquies". Ne discende che solo in presenza di un contratto – rispetto al quale è fisiologica alle immanenti esigenze di contingentamento e riduzione della spesa sanitaria una maggiore rigidità nella proposta regionale di acquisito di prestazioni di branca o macroarea nei confronti dei soggetti provvisoriamente accreditati – è possibile ritenere la parte pubblica obbligata alla corresponsione del corrispettivo delle prestazioni erogate dalle strutture in favore di assistiti del S.S.R., indipendentemente dalla tipologia (provvisoria o definitiva) di accreditamento posseduto (cfr. TAR Campania Napoli, Sez. I, 15 gennaio 2008 n. 215).

Invero, non avendo ancora avuto pratica attuazione in Campania il sistema dell’accreditamento istituzionale, è tuttora operante il regime dell’accreditamento provvisorio introdotto dall’art. 6, comma 6, della legge n. 724/1994 sulla falsariga dei rapporti convenzionali in essere. Nondimeno, non vi è motivo di ritenere che, a causa di tale ritardo, sia da escludere l’applicabilità dell’art. 8 quinquies e degli accordi contrattuali ivi regolati alle strutture che hanno visto trasformate le antiche convenzioni in rapporti di accreditamento provvisorio (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 19 febbraio 2003 n. 924).

Infatti, in attesa dell’attuazione dell’accreditamento istituzionale, alle strutture provvisoriamente accreditate non possono che applicarsi lo "status" e le medesime condizioni di esercizio delle attività sanitarie nell’ambito del servizio sanitario nazionale.

3.8 Non è ipotizzabile la dedotta violazione del criterio di libera scelta, dal momento che nella delibera impugnata non è dato cogliere alcuna disposizione che disciplini una sorta di accesso preferenziale del paziente nei riguardi delle strutture pubbliche aziendali.

Né i limiti finanziari stabiliti a carico dei centri privati possono operare in tal senso, atteso che il diritto di libera scelta riconosciuto dal servizio sanitario nazionale non è incondizionato, ma è soggetto all’osservanza del tetto di spesa imposto contrattualmente alla struttura sanitaria accreditata a cui l’assistito intende rivolgersi, come chiaramente si evince dal chiaro tenore dell’art. 8 bis, comma 1, del d.lgs. n. 502/1992, a termini del quale "Le regioni assicurano i livelli essenziali e uniformi di assistenza di cui all’articolo 1 avvalendosi dei presidi direttamente gestiti dalle aziende unità sanitarie locali, delle aziende ospedaliere, delle aziende universitarie e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, nonché di soggetti accreditati ai sensi dell’articolo 8quater, nel rispetto degli accordi contrattuali di cui all’articolo 8quinquies.".

La lamentata disparità di trattamento tra strutture pubbliche aziendali e strutture private quanto all’individuazione dei rispettivi meccanismi di contingentamento della spesa in realtà non sussiste, se si pone mente alla differente posizione organizzativa e funzionale dei presidi dipendenti dalle ASL rispetto a quella rivestita dai centri in regime di accreditamento, atteso che i primi sono istituzionalmente deputati ad erogare prestazioni sanitarie in via continuativa sulla base della semplice richiesta dell’utenza, mentre i secondi non hanno l’obbligo di rendere le prestazioni agli assistiti se non nel quadro di un accordo contrattuale ed entro il limite di spesa da questo previsto (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 30 aprile 2003 n. 2253).

3.9. Peraltro, nella evoluzione della legislazione tendente a garantire l’osservanza dell’equilibrio economicofinanziario della spesa sanitaria ed il ripiano dei disavanzi, si è progressivamente affievolita l’originaria tendenziale equiparazione delle condizioni operative tra la sanità pubblica e quella privata, determinata nelle intenzioni della riforma sanitaria dalla aspirazione ad un modello concorrenziale, dal principio della libera scelta e da un sistema di remunerazione in base alle prestazioni erogate.

La realtà dei gravi squilibri prodotti nella gestione della sanità regionale ha progressivamente imposto la necessità di distinguere e di affrontare con misure diverse le problematiche afferenti, da una parte, all’efficienza ed alla produttività del settore pubblico e, dall’altra, al contenimento ed alla razionalizzazione delle risorse disponibili per l’acquisito di servizi erogati dai privati operanti in regime di accreditamento.

In tale contesto è da escludere che la eventuale inadeguatezza o insufficienza degli interventi di riqualificazione del comparto pubblico si rifletta di per sé, con efficacia viziante, sulla legittimità delle determinazioni sui limiti di spesa, travolgendo misure che sono comunque indefettibili avuto riguardo alle dimensioni assunte dal disavanzo.

3.10 L’attività di programmazione, poi rifluita nella delibera impugnata, è stata arricchita dal contributo offerto in appositi incontri dalle associazioni di categoria, come risulta dai verbali delle riunioni del 15 e del 27 dicembre 2005, costituenti l’allegato n. 4 del deliberato e richiamati a pagina 4, terz’ultimo capoverso; rileva il Collegio che la piana lettura di tali atti conferma l’effettiva partecipazione delle associazioni di categoria all’istruttoria amministrativa, essendo state sollevate ed affrontate varie problematiche riguardanti le strutture provvisoriamente accreditate, alle quali è stato fornito adeguato riscontro nello stesso testo della delibera (cfr. ultimi due capoversi di pagina 4 e primo capoverso di pagina 5).

In ogni caso, essendo la programmazione finanziaria esercizio di una funzione partecipata e non anche negoziata, non costituisce vizio di legittimità la circostanza che l’amministrazione regionale, titolare di potere autoritativo in materia, abbia alla fine unilateralmente provveduto alla fissazione dei volumi e limiti di spesa, anche perché essa stessa risulta di fatto vincolata da rigide esigenze di contenimento e riduzione dei costi derivanti dalla complessa situazione finanziaria che ha colpito il settore della sanità regionale.

3.11 La normativa di settore non contempla alcun vincolo conformativo all’incremento delle prestazioni dei centri privati in ragione del loro minor costo, per cui la questione resta sostanzialmente confinata nell’ambito del merito amministrativo, come tale sottratto al sindacato giurisdizionale di legittimità.

3.12 Infine, in ordine alla censura di retroattività dei tetti di spesa, è sufficiente richiamare quanto stabilito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella decisione del 2 maggio 2006, n. 8, secondo cui "la retroattività dell’atto di determinazione della spesa non vale ad impedire agli interessati di disporre di un qualunque punto di riferimento regolatore per lo svolgimento della loro attività. È evidente che, in un sistema nel quale è fisiologica la sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa solo in epoca successiva all’inizio di erogazione del servizio, gli interessati potranno aver riguardo – fino a quando non risulti adottato un provvedimento – all’entità delle somme contemplate per le prestazioni dei professionisti o delle strutture sanitarie dell’anno precedente, diminuite, ovviamente, della riduzione della spesa sanitaria effettuata dalle norme finanziarie dell’anno in corso. La linea interpretativa rappresentata in questa sede è, d’altra parte, la sola che consente di garantire il raggiungimento dell’obiettivo di carattere primario e fondamentale del settore sanitario che è la garanzia di quella che la sentenza n. 509 del 2000 della Corte Costituzionale chiama "nucleo irriducibile" del diritto alla salute".

4. In conclusione, resistendo gli atti impugnati a tutte le censure prospettate, il ricorso deve essere respinto per infondatezza.

Sussistono giusti motivi, in ragione della complessità delle questioni esaminate, per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese e degli onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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