Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-05-2011) 04-08-2011, n. 31061 Giudizio abbreviato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

L.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza, in data 23 giugno 2010, della Corte d’appello di Torino, con cui, in parziale riforma della sentenza del tribunale di Torino, in sede di giudizio abbreviato, del 21 gennaio 2010, e in accoglimento dell’appello proposto dalla parte civile, è stata dichiarata responsabile ai soli effetti civili, dei reati ascritti ed è stata condannata al pagamento delle spese processuali nonchè della somma di Euro 20.000 a titolo di risarcimento integrale dei danni a favore della medesima parte civile.

A sostegno del ricorso la ricorrente ha dedotto due motivi che possono essere così riassunti:

a) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per inosservanza della legge penale sostanziale e processuale in relazione all’art. 603 c.p.p..

La ricorrente lamenta l’acquisizione della documentazione medica integrale della persona offesa e delle fotocopie relative agli assegni bancati, non presente nel fascicolo in sede di giudizio abbreviato; la responsabilità della prevenuta, valutata ai fini della sussistenza della responsabilità civile sarebbe stata affermata in base ad un travisamento delle prove esistenti nel fascicolo processuale ed attraverso una indebita parziale rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, che avrebbe portato poi oltre all’affermazione della sua responsabilità, ad una quantificazione del risarcimento sganciata da dati concreti, in base ai quali individuare l’iter logico seguito dalla Corte.

I motivi sono infondati e il ricorso deve essere rigettato.

Secondo la Corte nel caso di specie i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione dei principi relativi da un lato alla natura del giudizio del rito abbreviato e, dall’altro, della assoluta necessità dell’integrazione probatoria per la definizione del giudizio.

Sotto il primo profilo deve sottolinearsi che l’imputato ha fatto richiesta di giudizio abbreviato. Orbene la richiesta dell’imputato di rito abbreviato formulata comporta l’accettazione del giudizio allo "stato degli atti" e rappresenta il limite oltre il quale il quadro probatorio già esistente non è suscettibile di modificazioni, ferme restando le possibilità di integrazione istruttoria dell’interrogatorio dell’imputato e del ricorso ai poteri d’ufficio del giudice ai sensi dell’art. 441 c.p.p., comma 5 (Cass., sez. 6^, 8 ottobre 2008, n. 45806, C.E.D. 241766).

D’altra parte la valutazione della "necessità" dell’integrazione probatoria nel rito abbreviato, non è condizionata alla sua complessità o alla lunghezza dei tempi dell’accertamento probatorio, e non si identifica con l’assoluta impossibilità di decidere, o con l’incertezza della prova, ma presuppone da un lato l’incompletezza di un’informazione probatoria in atti, dall’altro una prognosi di positivo completamento del materiale a disposizione per il tramite dell’attività integrativa, valutazione insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivata (Cass., sez. 2^, 18 ottobre 2007, n. 43329, C.E.D. cass., 238833). E d’altra parte è pur vero che appare costante in giurisprudenza il principio in base al quale l’istituto della rinnovazione del dibattimento in appello, anche nell’ipotesi della richiesta di parte oltre che in quella d’ufficio, costituisce un’eccezione rispetto alla presunzione di completezza dell’istruzione dibattimentale di primo grado, ma rimane fermo che ad essa può e deve farsi ricorso, su istanza di parte o d’ufficio, quando il giudice lo ritenga assolutamente necessario al fine del decidere nel senso che non sia altrimenti in grado di farlo allo stato degli atti. (Cass., sez. 4^, 9 ottobre 1996, n. 11019, C.E.D. cass., n. 206324).

Nel caso in esame peraltro, in apparenza si deduce un vizio attinente alla contraddittorietà della motivazione inerente ad una scorretta valutazione delle prove relative alla commissione del fatto reato e di conseguenza concernenti la responsabilità civile della ricorrente, ma, in realtà, si prospetta, peraltro in modo generico, una valutazione delle prove diversa e più favorevole alla ricorrente, ciò che non è consentito nel giudizio di legittimità;

si prospettano, cioè, questioni di mero fatto che implicano una valutazione di merito preclusa in sede di legittimità, a fronte di una motivazione esaustiva, immune da vizi di logica, coerente con i principi di diritto enunciati da questa Corte, come quella del provvedimento impugnato che, pertanto, supera il vaglio di legittimità (Cass. sez. 4, 2.12.2003, Elia ed altri, 229369; SU n 12/2000, Jakani, rv 216260), in particolare con il vaglio operato nei confronti del contenuto delle indagini, delle querele proposte, del numero degli assegni incassati, con il relativo importo cui logicamente deve ricondursi la determinazione della somma liquidata a favore della stessa parte civile, della ulteriore documentazione acquisita in appello, la cui incidenza e decisività sulla decisione è stata valutata in maniera approfondita, con spirito critico ed in modo esaustivo (si vedano le considerazioni contenute nelle p. 3, 4, 5 e 6 della sentenza d’appello). Appare pertanto pienamente condivisibile il giudizio della Corte d’appello in ordine all’affermazione della responsabilità civile formulata nei confronti della ricorrente e la sua condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita.

Alla luce delle suesposte considerazioni l’impugnazione va rigettata.

Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *