Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-05-2011) 04-08-2011, n. 31059

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 21 luglio 2009 la Corte di appello di Roma, in camera di consiglio, dichiarava l’improcedibilità dell’azione penale, per intervenuta remissione di querela, nei confronti di C.E. in ordine al reato di appropriazione indebita del quale con la sentenza appellata, emessa il 16 ottobre 2007 dal Tribunale di Roma, il C. era stato dichiarato colpevole e condannato alla pena di mesi nove di reclusione ed Euro 700,00 di multa oltre le spese La Corte territoriale condannava "il remittente alle spese del grado".

La remissione di querela era stata sottoscritta dagli eredi della parte civile C.A. presso il commissariato di P.S. Palazzo di giustizia in data 22 giugno 2009 ed era stata accettata dall’imputato in data 10 luglio 2009 presso la stazione dei Carabinieri di Bracciano.

Avverso la predetta sentenza gli eredi della parte civile C. A., anche in qualità di remittenti della querela, hanno proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

Sulla tempestività del ricorso e sull’impugnabilità della sentenza si deduce:

1) la nullità ovvero l’omessa notifica alle parti civili (eredi della querelante parte civile C.A., deceduta il 28 luglio 2008 nelle more della fissazione del giudizio di appello) nonchè remittenti della querela dell’avviso di deposito della sentenza emessa in camera di consiglio il 21 luglio 2009 che risultava notificato al procuratore della defunta parte civile avv. Carlo Longari, nominato ai sensi dell’art. 121 c.p. e art. 338 c.p.p., e non al difensore della stessa avv. Francesco Bianchi ai sensi dell’art. 154 c.p.p., comma 47 (secondo il quale le notifiche alla parte civile vanno effettuate presso il difensore); del resto l’avv. Longari, a seguito del decesso della signora C. nei cui diritti erano subentrati gli eredi, aveva cessato ogni sua funzione e rappresentanza; la sentenza non poteva pertanto ritenersi passata in giudicato non essendo stata ritualmente notificata alle parti civili, che ne avevano avuto conoscenza solo nell’agosto 2010 attraverso la notifica da parte dell’Ufficio recupero crediti della Corte di appello di Roma della richiesta delle spese del procedimento ammontanti ad oltre 19.000.000 Euro;

2) l’omessa notifica alle parti remittenti (anche se non parti civili) dell’avviso di deposito della sentenza emessa in camera di consiglio, parti remittenti nei cui riguardi la sentenza produce effetti giuridici e quindi legittimate all’impugnazione presentata tempestivamente (entro i quindici giorni, computando la sospensione feriale dei termini, dall’effettiva conoscenza dell’atto avvenuta nell’agosto 2010); vi sarebbe una violazione degli artt. 2 e 111 Cost. se si ritenesse la non legittimazione dei remittenti ad impugnare la sentenza, in adesione alla giurisprudenza che ritiene i querelanti legittimati solo in caso di assoluzione dell’imputato perchè il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto in quanto l’art. 542 c.p.p. prevede il deposito della sentenza di condanna del querelante alle spese (con possibilità quindi di ricorso) solo in tali casi;

3) si chiede, ove fosse necessaria, la restituzione nel termine per impugnare per la parte civile e per gli eredi remittenti.

Con i motivi di ricorso si deduce:

1) l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in riferimento all’art. 340 c.p.p., comma 4 che prevede, salvo diversa convenzione nell’atto di remissione (presentato nel caso di specie dagli eredi della persona offesa querelante ai sensi dell’art. 156 c.p. così come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 151 del 1975), che le spese del procedimento siano a carico del querelato; nel caso di specie nell’atto di remissione non era stata data alcuna indicazione diversa rispetto a quella prevista dalla legge;

2) la violazione dell’art. 127, art. 128 c.p.p., lett. c), in relazione all’omessa notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza in camera di consiglio all’esito della quale era stata emessa la sentenza impugnata, sentenza predibattimentale di proscioglimento che il giudice di appello non avrebbe potuto emettere;

3) si chiede la correzione dell’errore materiale nella parte in cui i remittenti sono stati condannati al pagamento delle "spese del grado", rectius delle spese processuali, in luogo del querelato.

Per l’imputato è stata presentata una memoria difensiva in cui si rileva:

– che l’art. 340 c.p.p. è norma processuale la cui inosservanza non è prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza e la sua asserita violazione non potrebbe formare oggetto di ricorso;

– che le parti civili non hanno interesse ad impugnare in ordine all’inosservanza della legge processuale relativa all’adozione della sentenza impugnata senza preventivo avviso alle parti, in quanto l’ipotetico annullamento della sentenza per tale motivo non eliminerebbe l’effetto pregiudizievole della condanna alle spese;

– la sentenza impugnata è stata correttamente emessa in relazione alla condanna dei remittenti al pagamento delle spese processuali, perchè rispondente all’allegato atto di divisione ereditaria e transazione stragiudiziale in cui gli eredi impugnanti si obbligavano a rimettere a loro cura e spese la querela; la correzione dell’errore materiale non sarebbe comunque praticabile in quanto nel caso di specie si tratterebbe di operare un giudizio discrezionale attraverso l’interpretazione dell’accordo transattivo intervenuto tra le parti.

Il ricorso è stato proposto tempestivamente dagli eredi della costituita parte civile, legittimati a proporlo.

Va premesso che la morte della persona costituitasi parte civile è un evento che, in mancanza di specifica disciplina nel codice di rito penale, deve ritenersi disciplinato dall’art. 111 cod. proc. civ. e dal quale tuttavia non conseguono gli effetti interruttivi del rapporto processuale previsti dall’art. 300 cod. proc. civ., inapplicabili al processo penale che è ispirato all’impulso di ufficio. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. 5^ 21 gennaio 2009 n. 15308, Picierro; sez. 5^ 19 maggio 2005 n.23676, Tosato; sez. 5^ 7 ottobre 2003 n.46200, Palazzese; sez. 5^ 6 giugno 2003 n. 43478, Maffucci; sez. 4^ 4 luglio 1989 n. 13080, Piatti), la costituzione pertanto resta valida ex tunc e gli eredi del defunto titolare del diritto possono pertanto intervenire nel processo senza effettuare una nuova costituzione, ma semplicemente spendendo e dimostrando la loro qualità di eredi, trovando applicazione, in mancanza di una specifica disciplina, l’art. 84 c.p.p., comma 4, che sancisce gli effetti permanenti della costituzione di parte civile per tutta la durata del processo.

Nel caso in esame il decesso della parte civile C.A. era noto alla Corte di appello, facendosi riferimento nel provvedimento impugnato agli eredi della parte civile che avevano sottoscritto la remissione di querela.

Va inoltre rilevato che il giudice di appello non può pronunciare sentenza predibattimentale di proscioglimento giacchè il rinvio operato dall’art. 598 cod. proc. pen. alle norme del giudizio di primo grado non comprende la procedura, di natura eccezionale, prevista dall’art. 469 cod. proc. pen. la cui disciplina è inapplicabile nel giudizio di appello, come si desume dal combinato disposto degli artt. 598, 599 e 601 cod. proc. pen.. In particolare l’art. 601 introduce una disciplina degli atti preliminari in appello autonoma rispetto al primo grado, mentre l’art. 599 enuclea i casi tassativi nei quali si può procedere con rito camerale, non richiamando l’ipotesi del proscioglimento prima del dibattimento (Cass. sez. 1^ 19 giugno 2008 n.26815, Karwowski; sez. 3^ 27 giugno 2007 n. 35577, De Bortoli; sez. 4^ 28 febbraio 2007 n. 12001, Palumbo; sez. 4^ 20 settembre 2006 n. 34497, Muti; sez. 3^ 26 ottobre 2005 n. 43310; sez. 2^ 6 ottobre 2004 n. 41498, Morgante).

Peraltro nel caso in esame la Corte di appello ha adottato, in camera di consiglio, la sentenza dichiarativa dell’improcedibilità dell’azione penale per intervenuta remissione del reato omettendo gli adempimenti che avrebbero consentito alle parti, ai sensi degli artt. 469 e 127 c.p.p., di esprimere il consenso alla pronuncia di proscioglimento prima del dibattimento e, comunque, la sentenza non risulta essere stata ritualmente notificata alle parti che avrebbero avuto diritto all’avviso ai sensi dell’art. 127 c.p.p., comma 1 (che prevede la comunicazione o notifica alle parti, alle altre persone interessate e ai difensori). Infatti la notifica dell’avviso di deposito della sentenza emessa de plano dalla Corte territoriale, notifica che nel caso di specie era dovuta quanto meno per assicurare a posteriori il contraddittorio, è stata eseguita, per la parte civile, all’avv. Carlo Longari che era il procuratore speciale della defunta parte civile, e non al suo difensore avv. Francesco Bianchi come previsto dall’art. 154 c.p.p., comma 4. Deve pertanto ritenersi tempestivo il ricorso presentato entro i quindici giorni, tenuto anche conto della sospensione del periodo feriale, dalla data in cui, nell’agosto 2010, gli eredi di C.A. avevano ricevuto la richiesta di pagamento delle spese processuali cui erano stati condannati, quali remittenti, nella sentenza impugnata.

Quanto alla legittimazione al ricorso, la Corte rileva che la parte civile nel caso in esame rappresenta un interesse concreto con riferimento alla condanna al pagamento delle spese del procedimento che la Corte territoriale, per mera svista, nella sentenza impugnata indica come "spese del grado", mentre tale interesse difetta in ordine alla violazione procedurale consistente nell’omessa notifica dell’avviso relativo alla fissazione della camera di consiglio non avendo la parte civile ricorrente indicato sotto quale profilo la predetta violazione abbia inciso in maniera negativa sulla sua posizione (posto che non si contesta in alcun modo che la remissione della querela sia intervenuta e sia stata accettata, nè si prospetta una possibile diversa definizione del processo).

Sussiste, a parere della Corte, la violazione di legge dedotta con riferimento all’art. 340 c.p.p., comma 4, come sostituito dalla L. 25 giugno 1999, n. 205, art. 13, quanto meno sotto il profilo della totale mancanza di motivazione in ordine alle ragioni che nel caso di specie hanno indotto il giudice di appello a ritenere, con l’attribuzione "al remittente" anzichè a carico del querelato delle spese del procedimento, che nell’atto di remissione fosse stato convenuto un regime diverso da quello legale.

Non rileva che, come dedotto nella memoria difensiva, le parti in data 8 giugno 2009 avessero raggiunto un accordo in base al quale gli eredi di C.A. si obbligavano a rimettere "o loro cura e spese" la querela. Detta pattuizione, che peraltro sembrerebbe riguardare le eventuali spese relative alla remissione più che le (non trascurabili) spese del procedimento, non risulta essere stata a conoscenza del giudice di appello nè comunque se ne fa menzione nell’atto di remissione da cui la Corte territoriale avrebbe potuto eventualmente dedurre la volontà delle parti di discostarsi da quanto previsto in via generale dall’art. 340 c.p.p., comma 4, circa l’attribuzione del pagamento delle spese del procedimento. Il silenzio delle parti nell’atto di remissione e in quello di accettazione doveva essere inteso nel caso concreto nel senso che nulla era dovuto dai remittenti, i quali peraltro ben potevano avere risarcito o restituito per altro verso le spese indicate nell’accordo allegato alla memoria difensiva.

La Corte ritiene pertanto che la sentenza impugnata debba essere annullata senza rinvio limitatamente all’omessa condanna del querelato alle spese del procedimento, che vanno poste a carico di C.E.. Secondo quanto previsto dall’art. 620 c.p.p., comma 1, lett. i) può infatti provvedersi in questa sede all’integrazione della sentenza con la statuizione omessa, trattandosi di statuizione obbligatoria di natura accessoria e a contenuto predeterminato che non prevede margini di discrezionalità una volta esclusa la sussistenza di diversi accordi tra il remittente e il querelato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna del remittente alle spese del procedimento, che pone a carico di C.E..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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