Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-05-2011) 04-08-2011, n. 31055

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 25 febbraio 2009 il Tribunale di Salerno dichiarava R.F. colpevole dei reati continuati di concorso in violenza e resistenza a pubblico ufficiale (capo A: artt. 81 cpv. e 110 c.p., art. 112 c.p., n. 1, art. 339 c.p., commi 1 e 2, artt. 336 e 337 c.p.) e di concorso in lesioni personali aggravate (capo B: artt. 81 cpv. e 110 c.p., art. 112 c.p., n. 1, art. 61 c.p., n. 10, artt. 582 e 585 c.p., art. 576 c.p., n. 1 in relazione all’art. 61 c.p., n. 2, art. 577 c.p., nn. 3 e 4 in relazione all’art. 61 c.p., n. 4) – reati entrambi aggravati anche ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7 conv. dalla L. n. 203 del 1991 e commessi il 5 novembre 2006 – nonchè dei reati di tentata estorsione aggravata (capo H: artt. 81 cpv. e 110 c.p., art. 112 c.p., nn. 1 e 2, art. 56 c.p., art. 629 c.p., commi 1 e 2) e di lesioni personali aggravate (capo L: artt. 81 cpv. e 110 c.p., art. 112 c.p., n. 1, art. 61 c.p., n. 10, artt. 582 e 585, art. 576 c.p., n. 1 in relazione all’art. 61 c.p., n. 2, art. 577 c.p., nn. 3 e 4 in relazione all’art. 61 c.p., n. 4) – reati aggravati anche ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7 conv. dalla L. n. 203 del 1991 e commessi il 29 ottobre 2006 – e del reato di partecipazione ad associazione di stampo camorristico (capo U: art. 416 bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 5 e 8), accertato in Salerno dalla seconda metà dell’anno 2006.

Ritenuta la continuazione, il R. veniva condannato alla pena di anni nove di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa, con le pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell’interdizione legale durante l’esecuzione della pena.

Con la medesima sentenza A.L. veniva dichiarato colpevole dei reati ai capi A e B, esclusa per quest’ultima imputazione l’aggravante di cui all’art. 577 c.p., n. 3, e, ritenuta la continuazione, con le circostanze attenuanti generiche equivalenti, veniva condannato alla pena di anni tre, mesi dieci di reclusione, con la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per anni cinque.

Entrambi gli imputati venivano condannati al risarcimento dei danni, da liquidarsi separatamente, e alla rifusione delle spese in favore delle parti civili.

I reati contestati ai capi A e B, ascritti ad entrambi gli imputati in concorso con altri soggetti giudicati separatamente, riguardavano il "pestaggio", avvenuto in occasione dei disordini verificatisi il 5 novembre 2006 presso la discoteca (OMISSIS) di Salerno ai danni dei carabinieri C.L., N.A. e di altri tutori dell’ordine appartenenti alla Polizia di Stato intervenuti successivamente.

I reati contestati ai capi H ed L, contestati al solo R. in concorso con altri soggetti nei cui confronti si procedeva separatamente, avevano ad oggetto la tentata estorsione ai danni dei gestori della discoteca (OMISSIS) di Salerno e le lesioni personali patite da B.A., M.A. e A. A. (presenti alla formulazione, il 29 ottobre 2006, delle richieste estorsive da parte del gruppo di cui faceva parte il R.) nello stesso contesto temporale.

Con sentenza in data 19 gennaio 2010 la Corte di appello di Salerno escludeva per l’ A. l’aggravante prevista dal D.L. n. 152 del 1991, art. 7 conv. dalla L. n. 203 del 1991 e rideterminava nei suoi confronti la pena in anni tre di reclusione; quanto alla posizione del R., ritenuta per il capo U l’ipotesi dell’art. 416 c.p., commi 1, 2, 3, 5 e ritenuta l’aggravante prevista dal D.L. n. 152 del 1991, art. 7 conv. dalla L. n. 203 del 1991 nella modalità del metodo mafioso, con le circostanze attenuanti generiche equivalenti, rideterminava la pena in anni cinque, mesi sette di reclusione ed Euro 1.700,00 di multa, revocando la misura di sicurezza della libertà vigilata per anni due.

Avverso la predetta sentenza gli imputati hanno proposto, personalmente, separati ricorsi per cassazione.

Con il ricorso del R. si deduce:

1) e 2) la carenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in quanto:

– per i reati contestati ai capi A e B le persone offese C. e N. avevano ricostruito i fatti collocando l’intervento del R. solo nella parte iniziale dell’episodio (l’imputato si sarebbe limitato a dare un calcio al N.), mentre nessun altro testimone aveva riferito di una condotta particolarmente aggressiva posta in essere dal ricorrente nei confronti delle forze dell’ordine;

– relativamente ai reati di tentata estorsione e lesioni personali contestati ai capi H ed L vi sarebbero contraddizioni tra le dichiarazioni delle persone offese B. e M. circa le richieste estorsive e, inoltre, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia C.W. presenterebbero discrasie; si osserva, inoltre, che il teste D.M. aveva ritrattato in dibattimento le iniziali dichiarazioni rese circa la partecipazione del R. al "pestaggio" di Ab.An.;

– secondo il ricorrente in relazione ad entrambi gli episodi a suo carico vi sarebbero solo l’appartenenza al sodalizio capeggiato da S., I. e Ma. e la sua presenza nei luoghi in cui si erano svolti i fatti; in particolare, quanto all’episodio del 29 novembre 2006 (rectius, 29 ottobre 2006), nell’occasione in cui era stata reiterata la precedente richiesta estorsiva a D. M. da parte di D.F., egli si sarebbe limitato ad accompagnare come autista il D. presso la discoteca (OMISSIS) e ad attenderlo nell’autovettura; erroneamente, sulla base della mera presenza all’esterno del locale, nella sentenza impugnata sarebbe stato ritenuto il suo concorso nel tentativo di estorsione;

in data 9 novembre 2006 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Salerno aveva peraltro rigettato, per difetto di gravi indizi di colpevolezza, la richiesta di applicazione nei suoi confronti della misura cautelare della custodia in carcere in ordine al reato di lesioni personali ai danni dell’ Ab.;

3) con riferimento al reato contestato al capo U, l’erronea applicazione della legge e la carenza, illogicità, incoerenza e contraddittorietà della motivazione essendo stata dedotta la partecipazione all’associazione per delinquere dalla mera frequentazione del R. con gli altri imputati pur difettando sotto il profilo oggettivo e soggettivo il carattere della continuità, della stabilità e dell’affectio al sodalizio;

4) con riferimento alla circostanza aggravante speciale prevista dal D.L. n. 152 del 1991, art. 7 l’erronea applicazione della legge e l’illogicità, incoerenza e contraddittorietà della motivazione; si osserva che nei confronti dei coimputati la Corte di appello di Salerno, con sentenza in data 30 marzo 2009, aveva riqualificato la condotta originariamente ascritta ai sensi dell’art. 416 bis c.p. in associazione per delinquere semplice ed aveva escluso l’aggravante del D.L. n. 152 del 1991, art. 7; anche per il R. l’originaria imputazione ex art. 416 bis era stata derubricata in associazione per delinquere semplice, ma la Corte di appello aveva tuttavia ritenuto sussistente per gli altri delitti a lui ascritti, venuta meno la connotazione dell’agevolazione per non essere stati ravvisati gli estremi dell’associazione per delinquere di stampo mafioso, l’aggravante dell’art. 7 cit. sotto il profilo dell’uso del metodo mafioso che, secondo il ricorrente, richiederebbe comunque il collegamento ad un’associazione mafiosa, a nulla rilevando le caratteristiche dell’atto violento se avulso dalla forza intimidatrice del vincolo associativo; con particolare riferimento al reato associativo, il ricorrente osserva che per i coimputati giudicati separatamente, con la sentenza n. 505/2009 della Corte di appello di Salerno emessa in data 30 marzo 2009, non era stata ritenuta applicabile, in relazione alla ritenuta ipotesi dell’art. 416 c.p., l’aggravante in questione che è inconciliabile con l’ipotesi di associazione per delinquere semplice.

Con il ricorso dell’ A. (capi A e B) si deduce la carenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in quanto la persona offesa N. aveva dichiarato che l’ A. si era limitato a condurre via lo S. a bordo della sua autovettura dopo le aggressioni e i pestaggi, mentre la persona offesa C. lo aveva indicato come uno degli aggressori senza specificare tuttavia il ruolo da lui svolto; l’ex carabiniere Sa. invece l’aveva indicato come uno degli aggressori del N. e del C.; non vi sarebbero quindi i presupposti per affermare la responsabilità dell’ A., che era intervenuto quando gli atti di violenza erano terminati portando via lo S. a bordo del proprio mezzo, "al di là di ogni ragionevole dubbio".

Nell’interesse dell’ A. è stata depositata una memoria difensiva con la quale si sostiene, nel ribadire le ragioni esposte nel ricorso, la violazione degli artt. 192 e 530 c.p.p..

I ricorsi sono infondati e vanno rigettati.

Quanto al ricorso presentato dal R. la Corte osserva quanto segue.

Le doglianze proposte con il primo e il secondo motivo riproducono pedissequamente gli argomenti prospettati nell’atto di appello, ai quali la Corte territoriale ha dato adeguate e argomentate risposte, esaustive in fatto e corrette in diritto, che il ricorrente non considera nè specificatamente censura.

Il giudice di appello per affermare l’infondatezza della tesi difensiva dell’intervento solo iniziale e marginale del R. nell’episodio del 5 novembre 2006 ha infatti, con argomentazioni ineccepibili sia logicamente che giuridicamente, evidenziato le convergenti dichiarazioni dei testi N., C., Sa., F., P., Io. e R. sul ruolo attivo svolto dal R. nel violento pestaggio ai danni del N. e degli altri tutori dell’ordine intervenuti in ausilio, aggiungendo che "se anche dovesse ritenersi, contro le emergenze probatorie…, che il contributo materiale dato dal R. ai fatti criminosi debba circoscriversi al calcio dato al tesserino esibito dal N., in ogni caso detta circostanza sarebbe del tutto irrilevante ai fini di escluderne la responsabilità: ed infatti in tema di concorso di persone nel reato hanno rilievo anche i contributi esclusivamente morali che si manifestino sotto forma di istigazione o rafforzamento del proposito criminoso".

Il giudice di merito ha a questo riguardo posto in rilievo anche le ulteriori emergenze processuali (intercettazioni ambientali eseguite nell’autovettura di Sa.Gu. sulle ragioni della presenza dei componenti del gruppo presso la discoteca il 5 novembre 2006) da cui poteva desumersi che la violenta aggressione ai danni delle forze dell’ordine fosse strumentale ad una ricerca di affermazione dell’organizzazione criminale facente capo a S.G., di cui il R. era partecipe, al fine di costringere il gestore della discoteca (OMISSIS) a soggiacere a richieste estorsive.

Quanto all’episodio del 29 ottobre 2006, il giudice di merito ne compie una ricostruzione – fondata su plurimi, concreti e convergenti elementi probatori (dichiarazioni di D.M., Pe.

C., V.R., mar. Ti., M., B., Ci., Me., Ga.; servizio di osservazione predisposti dalla P.S) e logicamente coerente- ponendo in particolare in evidenza che il R. era arrivato presso la discoteca (OMISSIS) con I.F. e D.F., ove si era incontrato anche con Ma.Do. e S.G. (il quale nel medesimo contesto aveva picchiato l’ Ab., genero di D.M., aveva costretto ad inginocchiarsi un giovane nella strada adiacente l’ingresso ed aveva percosso un cliente della discoteca), e si trovava all’interno della discoteca quando S. e I. avevano picchiato i gestori del locale, M. e B., dopo aver fatto una richiesta estorsiva con l’intimazione di non chiamare la Polizia, aggiungendo che il R. aveva accompagnato in macchina successivamente presso la discoteca alle ore 23,00 il D. attendendolo mentre costui chiedeva al D.M., proprietario del locale adibito a discoteca, il versamento della somma di 15.000,00 Euro rinnovando le richieste estorsive già formulate alle ore 6,30 e 21,30 da altri componenti del gruppo criminoso ( Sa.

G., V.M.).

La Corte territoriale ha posto in rilevo che la successione degli episodi in stretta connessione temporale non poteva che essere oggetto di una valutazione unitaria che rendeva manifesto lo scopo unitario di portare a termine l’estorsione ai danni del proprietario e dei gestori della discoteca, scopo al quale ciascuno degli imputati, e tra questi il R. che era stato presente nelle fasi salienti dell’azione criminosa unitamente ai capi del gruppo criminoso di cui faceva parte ( S., I., Ma.), aveva fornito il proprio contributo materiale, o anche solo morale, a segmenti della condotta particolarmente significativi e rilevanti.

Quanto alla circostanza che D.M. in sede dibattimentale avesse ritrattato il riconoscimento della partecipazione del R. all’aggressione del genero Ab. e alla pretesa estraneità del R. all’aggressione ai danni del M. e del B., il giudice di merito ha infatti sottolineato che il R., per la condivisione del programma dell’organizzazione criminale che agiva secondo un modus operandi ben delineato e messo in atto in altri locali pubblici, non poteva essere ignaro della richiesta estorsiva che con la sua presenza all’interno della discoteca e con l’accompagnamento del D. nella fase finale dell’azione aveva quanto meno agevolato.

Nella sentenza impugnata, infine, si esclude che tra le dichiarazioni delle persone offese M. e B. vi fossero contraddizioni, avendo entrambi i testi confermato la richiesta estorsiva loro rivolta, con l’unica differenza che il primo aveva detto di non conoscere gli aggressori e il secondo li aveva riconosciuti.

Irrilevanti venivano poi considerate le discrasie nella versione dei fatti del collaboratore di giustizia C.W., a fronte delle inequivoche dichiarazioni delle persone offese e dei testi oculari che consentivano di individuare con certezza le singole responsabilità.

Tale specifica e dettagliata motivazione il ricorrente non prende nemmeno in considerazione, limitandosi a ribadire i rilievi già formulati nei motivi di appello e confutati, con diffuse e ragionevoli argomentazioni, nella sentenza impugnata in cui le conclusioni circa la sua responsabilità risultano adeguatamente giustificate dal giudice di merito attraverso una puntuale valutazione delle prove, che ha consentito una ricostruzione dei fatti esente da incongruenze logiche e da contraddizioni.

Tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede non essendo il controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile.

Il terzo motivo è generico.

Peraltro nella sentenza impugnata, con un’ampia motivazione che richiama per relationem anche quella del giudice di primo grado, si è posto in evidenza che l’esistenza di un gruppo criminale avente un programma delittuoso comune e come primo obiettivo quello di effettuare estorsioni ai danni di gestori di discoteche e operatori dei mercati rionali comunali doveva ritenersi provato in base al contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali, che confermava i contatti tra i componenti dell’organizzazione per organizzare attività delittuose, e alle dettagliate dichiarazioni del collaboratore di giustizia C.W. e degli altri collaboratori T.D., F.A., R. R., L.P.C. riscontrate dall’attività investigativa effettuata fin dal marzo 2006, avente ad oggetto tra l’altro disordini provocati da componenti del gruppo in discoteche e denunzie di richieste estorsive.

Elementi significativi circa l’appartenenza del R. all’organizzazione criminale sono stati inoltre individuati, con motivazione adeguata, nella presenza e nella partecipazione del R., insieme agli altri componenti del gruppo criminale, agli episodi criminosi presso le discoteche di Salerno, nella sua presenza con S.G., I.F. e Ma. presso l’ospedale (OMISSIS) il 27 ottobre 2006 (ove, come emergeva dalle intercettazioni ambientali nell’autovettura di Sa.

G., era stata progettata l’esecuzione di una rapina amano armata) e presso il locale (OMISSIS) di Eboli nel settembre 2006 in relazione ad un’altra richiesta estorsiva, nelle frequentazioni con gli altri associati presso il (OMISSIS) di Salerno risultanti dai servizi di osservazione predisposti dalla polizia giudiziaria, nelle dichiarazioni di C.W. circa il ruolo da lui ricoperto nell’associazione criminale e la sua partecipazione ad una riunione in cui lo S. aveva parlato di attività delittuose.

Il quarto motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte – ribadita anche recentemente nella sentenza emessa dalla prima sezione penale il 13 aprile 2010 (n. 16883, Stellato) nell’ambito del procedimento a carico dei coimputati dei ricorrenti R. e A. (riguardante anche gli episodi criminosi oggetto del presente procedimento) e pienamente condivisiva da questo collegio – la circostanza aggravante a effetto speciale del metodo mafioso, prevista dal D.L. n. 152 del 1991, art. 7 convertito dalla L. 12 luglio 1991 n. 203, prescinde pacificamente dal requisito della appartenenza del soggetto attivo del reato ad un’associazione di tipo mafioso e inerisce alla modalità di perpetrazione del delitto, in funzione della conformità del modus operandi alla metodologia criminale tipizzata dell’art. 416 bis c.p..

Nella citata sentenza la Corte ha rammentato che è operante in proposito il principio di diritto che l’aggravante è integrata dalla condotta delittuosa "idonea ad esercitare una particolare coartazione psicologica (…) con i caratteri propri dell’intimidazione derivante dall’organizzazione criminale della specie considerata (..) nel senso che la condotta stessa, per le modalità che la distinguono, sia già di per sè tale da evocare (…) l’esistenza di consorterie e sodalizi amplificatori della valenza criminale del reato commesso", a prescindere dalla loro concreta ed effettiva esistenza (Cass. sez. 1^, 18 marzo 1994 n. 1327, Torcasio), cioè mediante la ostentazione "in maniera evidente e provocatoria" di atteggiamenti di "particolare coartazione e (…) conseguente intimidazione (…) proprie delle organizzazioni della specie considerata" (Cass. sez. 6^ 19 febbraio 1998 n. 582, Primasso; sez. 1^ 9 marzo 2004, n. 16486, Totaro), sicchè la aggravante consiste nel solo fatto che la violenza o la minaccia assumano la veste propria della violenza o della minaccia mafiosa, quella cioè ben più penetrante, energica ed efficace che deriva dalla prospettazione della sua provenienza da un tipo di sodalizio criminoso (Cass. sez. 2^ 31 marzo 1998 n. 2204, Parreca).

Nella sentenza impugnata si è correttamente evidenziato che l’accertamento del ricorso al metodo mafioso deve essere condotto in maniera oggettiva, tenendo conto del contesto in cui si svolge l’azione, ma soprattutto analizzando il tipo di comportamento posto in essere.

Coerentemente si è rilevato che le condotte del gruppo di cui faceva parte il R. si erano manifestate secondo le modalità proprie delle organizzazioni criminali avente carattere mafioso, per questo idonee ad ingenerare nelle persone offese una particolare condizione di intimidazione ed omertà.

A questo riguardo sono state poste in rilievo la brutalità e la violenza esercitate nelle due discoteche da parte degli aggressori, che avevano agito a viso scoperto "e dunque con la spavalderia di coloro che si ritengono intoccabili perchè appartenenti ad un’entità criminale forte ed in grado di indurre le vittime a non denunciare gli autori delle condotte delittuose per evitare il pericolo di ulteriori ritorsioni" e sono stati evidenziati ulteriori specifici elementi che comprovavano l’uso del metodo mafioso (le violenze nei confronti di appartenenti alle forze dell’ordine, cui si era cercato di togliere la pistola, all’interno della discoteca (OMISSIS); le violenze attuate nella discoteca (OMISSIS) non solo nei confronti dei gestori e dell’ Ab., ma anche nei confronti di un cliente e, all’esterno del locale, di un’altra persona non identificata che era stata costretta ad umiliarsi inginocchiandosi; le ripetute minacce nei confronti del M. e del B., con l’invito ad astenersi dal chiamare le forze dell’ordine altrimenti "sarebbero stati guai", realizzando una condizione di assoggettamento derivante dalla forza di intimidazione della evocata camorra locale e confermata dalla reticenza delle persone offese, dalla mancata denuncia delle richieste estorsive da parte di Mo.Lo. (gestore della discoteca (OMISSIS)), dal mancato intervento degli addetti al servizio di vigilanza delle discoteche, dalla ritrattazione in dibattimento da parte di D. M. del riconoscimento del R..

La Corte ritiene che non possa ravvisarsi alcuna contraddizione tra il riconoscimento del metodo mafioso, riconducibile anche al contesto ambientale oltre che al concreto modus operandi dei singoli autori nella commissione dei reati-fine, e le ragioni ben distinte per le quali nel giudizio di appello era stata esclusa la mafiosità del sodalizio criminoso capeggiato dallo S., che come gruppo non aveva ancora consolidato o una sua propria capacità di intimidazione (nulla escludendo che singoli componenti in concreto adottassero un "metodo mafioso").

Quanto infine al preteso riconoscimento dell’aggravante prevista dal D.L. n. 152 del 1991, art. 7 anche in relazione al reato associativo ( art. 416 c.p., come derubricato il reato previsto dall’art. 416 bis c.p. originariamente contestato), la Corte rileva che – come si desume dalla motivazione della sentenza impugnata in cui, a f. 8, si afferma che l’appello è fondato "con esclusivo riferimento alle doglianze aventi ad oggetto la derubricazione del delitto di cui all’art. 416 bis c.p. nel delitto di cui all’art. 416 c.p., l’esclusione dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 relativamente alla posizione di A.L. e la concessione delle attenuanti generiche a R.F." e, a f. 28, che la pena per il R. va rideterminata "riqualificato il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. in quello di cui all’art. 416 c.p., commi 1, 2, 3, 5, e ritenuta l’aggravante contestata di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 nella modalità del metodo mafioso"- l’aggravante in questione non è stata ritenuta dalla Corte territoriale relativamente al reato previsto dall’art. 416 c.p. (come derubricato il reato di cui all’art. 416 bis c.p. originariamente contestato al capo U per il quale, ovviamente, l’aggravante non era stata mai contestata), ma solo per gli altri reati in ordine ai quali l’aggravante era stata contestata anche sotto il profilo dell’agevolazione dell’associazione di stampo mafioso (la pena per il R. risulta determinata con riferimento alla pena base per il più grave reato di tentata estorsione aggravata D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7, aumentata ai sensi dell’art. 81 c.p. di mesi tre di reclusione ed Euro 200,00 di multa per ciascuno dei reati in continuazione).

In questo caso l’esame della motivazione consente pertanto di ricostruire inequivocabilmente il procedimento seguito dal giudice (Cass. sez. 1^ 7 ottobre 2010 n.37536, Davilla; sez. 4^ 18 settembre 2008 n. 40796, Marchetti) nella riqualificazione del reato associativo contestato al capo U e di chiarire con certezza il contenuto del dispositivo che risulta impreciso nella parte in cui si fa riferimento all’"ipotesi di cui all’art. 416 c.p., commi 1, 2, 3, 5 aggravata L. n. 203 del 1991, ex art. 7".

Anche il ricorso dell’imputato A. è infondato.

Nella sentenza impugnata è stato attribuito all’ A. un ruolo attivo, unitamente al R., nella commissione dei reati ascritti ai capi A e B, pur essendo stata esclusa per il predetto imputato l’aggravante prevista dal D.L. n. 152 del 1991, art. 7 non risultando che egli avesse fatto parte dell’associazione criminosa facente capo a S.G. e ne avesse comunque frequentato assiduamente i componenti.

A questa conclusione il giudice di appello è pervenuto attraverso le dichiarazioni dei testi C., Sa., P. che avevano indicato l’ A. come facente parte del gruppo degli aggressori.

Il fatto che la persona offesa N. si fosse limitato ad indicare l’ A. come la persona che aveva condotto via lo S. a bordo di un’autovettura direttasi verso il centro di Salerno non appare un elemento che comprometta, in modo decisivo, la tenuta logica e l’interna coerenza della motivazione per quanto riguarda la ricostruzione dei fatti di cui peraltro il teste – sottoposto ad una violenta aggressione, colpito alla testa con una bottiglia e trascinato anche all’esterno del locale – sembrerebbe aver avuto una percezione limitata.

L’aver favorito l’allontanamento dalla discoteca di colui che si era distinto nella violenta aggressione e che era il capo riconosciuto del gruppo è stato inoltre ragionevolmente ritenuto un significativo elemento di conferma della partecipazione al "pestaggio" – riferita da ben tre testi – dell’ A., intervenuto a dar manforte alle persone con le quali occasionalmente si era recato nella discoteca.

Le deduzioni contenute nella memoria difensiva sono, infine, del tutto generiche e ripetitive.

Al rigetto del ricorsi consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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