Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-05-2011) 04-08-2011, n. 31053 Giudizio d’appello sentenza d’appello

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 21.10.2010 la Corte d’Appello di Catania confermava la sentenze del Tribunale di Caltagirone che in data 21.10.2010 aveva condannato, alle pene ritenute di giustizia, T. G. e C.F. per concorso in rapina aggravata, il C. anche per violazione della sorveglianza speciale.

La Corte territoriale riteneva provata la partecipazione alla rapina di T.G., che era stato uno degli esecutori materiali, e di C.F., che aveva svolto il ruolo di palo, dal riconoscimento fotografico effettuato dagli operanti che dalle immagini, estrapolate dalle telecamere installate dentro e fuori la gioielleria, avevano riconosciuto gli attuali ricorrenti, ripresi, a volto scoperto, come due dei quattro autori della rapina (il C. era quello che era rimasto fuori, all’interno della Fiat Uno e, dopo qualche minuto, aveva bussato alla vetrina della gioielleria per invitare i complici ad accelerare le operazioni).

Il C. era stato riconosciuto fotograficamente in fase di indagine anche da S.F., riconoscimento confermato in sede dibattimentale a seguito di contestazioni ed era stato chiamato in correità dai coimputati P.M. e B.G..

Dichiarazioni intrinsecamente attendibili e riscontrate dall’esame dei filmati e da quanto direttamente accertato dagli operanti.

T.G. era stato riconosciuto anche da S.C. e da G.G., seppure in termini non di assoluta certezza, come il rapinatore con la bandana e dalla G. come quello con la testa rasata o pelata, caratteristica oggettivamente riscontrata nell’imputato.

Ricorrono per Cassazione i difensori degli imputati.

In particolare il difensore di T.G. deduce che la sentenza impugnata è incorsa in:

1. inosservanza o erronea applicazione della legge penale.

Lamenta il ricorrente che il provvedimento impugnato è pervenuto ad una decisione di condanna senza preoccuparsi di verificare l’esattezza della tesi difensiva ovvero senza tener conto delle effettive risultanze dibattimentali e soprattutto non argomentando in termini di rigorosa compatibilità con le risultanze processuali ed è comunque è privo di motivazione in ordine ai punti censurati nei motivi d’appello.

2. mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), con riguardo alle dichiarazioni dei testimoni della rapina.

Lamenta il ricorrente la mancata valutazione di elementi di ambiguità che avevano caratterizzato le indagini e che erano state sottolineate dalla difesa.

Sottolinea la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui condanna il T. e sulla scorta degli stessi elementi assolve i coimputati M.M. e SC.Gi..

3. mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione con riferimento ai motivi d’appello sub 1-B. Lamenta il ricorrente l’assoluta carenza di motivazione rispetto alle censure espresse nei motivi d’appello con riguardo alla deposizione del teste di P.G. Ispettore SA. per violazione dell’art. 194 c.p.p., comma 3.

Il difensore di C.F. deduce che la sentenza impugnata è incorsa in:

1. violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 2 – Mancanza assoluta di motivazione con riferimento ai criteri di valutazione degli indizi.

Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale ha fatto discendere la responsabilità dell’imputato da indizi incerti e la mancanza di motivazione in ordine ai motivi d’appello che contestavano la certezza degli indizi.

2. mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione con riferimento ai motivi d’appello sub 1-B – manifesta illogicità della motivazione per c.d. travisamento della prova – violazione dell’art. 192 c.p., comma 2 e art. 194 c.p., comma 3.

Lamenta il ricorrente l’assoluta carenza di motivazione rispetto alle censure espresse nei motivi d’appello con riguardo alla deposizione del teste di P.G. Ispettore SA. anche per violazione dell’art. 194 c.p.p., comma 3.

Eccepisce che la Corte territoriale è incorsa in travisamento della deposizione dibattimentale del teste indicato che ha utilizzato come "indizio grave e preciso" ed al quale ha attribuito con riguardo al C. un contenuto in realtà insussistente, considerato che nessun riconoscimento poteva essersi verificato alla luce della sua deposizione che veniva allegata al ricorso.

3. mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione con riferimento ai motivi d’appello sub 1-A – manifesta illogicità della motivazione per c.d. travisamento della prova – violazione dell’art. 192 c.p., comma 2 e art. 500 c.p.p., commi 1 e 2, art. 514 c.p.p. anche in relazione all’art. 191 c.p.p..

Sottolinea l’insussistenza ai fini del riconoscimento dei testi S.F., S.C. e G.C. di cui allega la deposizione.

4. mancanza o manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla valutazione delle chiamate in correità, all’attendibilità delle stesse e alla sussistenza di riscontri.

Contesta che le dichiarazioni di P. e B. possano essere considerate due distinte chiamate in correità e lamenta l’assenza di riscontri esterni individualizzanti.

Tali non possono essere le dichiarazioni di S. e dell’Isp. SA. perchè tali elementi probatori risultano del tutto incerti, labili e soggettivi.

Contestano entrambi i ricorrenti l’atipica ricognizione di persona effettuata dall’Isp. SA. che ha riconosciuto il T. e il C. (quest’ultimo sebbene il viso non fosse inquadrato) nelle persone ritratte dai fotogrammi estratti dalle telecamere di sicurezza presenti sul luogo della consumazione della rapina (motivo 3 ricorso C. e 2 ricorso T.).

Tanto premesso, si osserva:

Nel caso di specie il riconoscimento è stato effettuato da Agente di P.G. che conosceva gli imputati da moltissimo tempo e che quindi aveva dimestichezza con il loro aspetto fisico.

Tale riconoscimento non regolato dal codice di rito, costituisce un accertamento di fatto utilizzabile nel giudizio in base ai principi della non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice, principi che consentono l’utilizzo non solo delle cosiddette prove legali, ma anche di elementi di giudizio diversi, purchè non acquisiti in violazione di specifici divieti.

Nel riconoscimento fotografico la certezza della prova non discende dal riconoscimento come strumento probatorio ma dall’attendibilità risultante dalla deposizione di chi, avendo esaminato la foto dell’imputato, si dica certo della sua identificazione e ciò soprattutto quando questa, come nel caso in esame, venga confermata al giudice (Cass. 2^, 26.6.98 n. 7530, ud. 25.3.98, rv. 210926; Cass. 4^, 5.4.96 n. 3494, ud. 1.2.96, rv. 204956; Cass. 4.5.96 n. 4580, ud.

5.4.96, rv. 204661 (Cass., Sez. 4^, 8 ottobre 2003, n. 46024, Cass. 2^, n. 40731/09; Cass. 2^ n. 15308/2010).

Le doglianze espresse nei confronti di questo tipo di prova devono essere pertanto valutate quali doglianze relative alla deposizione testimoniale che ha avuto come contenuto detti riconoscimenti fotografici.

Per la valutazione testimoniale devono essere ricordati i principi di legittimità in ordine alla sussistenza del vizio di motivazione delle decisioni di merito.

Nel giudizio di Cassazione deve essere accertata la coerenza logica delle argomentazioni seguite dal giudice di merito nel rispetto delle norme processuali e sostanziali.

Ai sensi del disposto di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicchè dedurre tale vizio in sede di legittimità comporta dimostrare che il provvedimento è manifestamente carente di motivazione o di logica e non già opporre alla logica valutazione degli atti operata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica, degli atti processuali (Cass. S.U. 19.6.96, De Francesco).

Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Cass. S.U. 2.7.97 n. 6402, ud. 30.4.97, rv. 207944, Dessimone).

Deve aggiungersi che il giudice di merito inoltre non è tenuto a confutare ogni specifica argomentazione dedotta con l’atto di appello in quanto il concetto di mancanza di motivazione non include ogni omissione concernente l’analisi di determinati elementi probatori perchè un dato probatorio estrapolato dal contesto in cui esso si inserisce acquista un significato diverso a quello attribuibile in una valutazione completa delle prove acquisite (Cass. 1^, 22.12.98 n. 13528, ud. 11.11.98, rv. 212053).

Non può quindi dedursi vizio di motivazione per avere il giudice di merito trascurato uno o più elementi di valutazione che ad avviso del ricorrente avrebbero potuto o dovuto portare ad una diversa valutazione, perchè ciò si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità (Cass. 5^, 17.4.00 n. 2459, Garasto; Cass. 1^, 11.6.92 n. 6922, ud. 11.5.92, Cannarozzo).

Alla luce di questi principi non può non rilevarsi la piena logicità della valutazione di attendibilità prestata dalla Corte territoriale alla deposizione dell’Isp. SA. che senza ombra di dubbio ha riconosciuto nei fotogrammi T. e C. da lui personalmente conosciuti da anni.

Le considerazioni espresse portano al rigetto anche del primo motivo di ricorso della difesa T..

Il motivo sub 2 difesa T. e sub 3 e 4 difesa C. sono attinenti alla tenuta argomentativa della sentenza.

Deve ricordarsi che il controllo di legittimità sulla motivazione è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.

Deve aggiungersi che l’illogicità della motivazione, deve risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Cass., Sez. 4^, 4 dicembre 2003, Cozzolino ed altri).

Inoltre, va precisato, che il vizio della "manifesta illogicità" della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica "rispetto a se stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati.

Va altresì ricordato che, anche alla luce del nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, non è tuttora consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.

La previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal "testo" del provvedimento impugnato, anche da "altri atti del processo", purchè specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti del giudice di legittimità, il quale è tuttora giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.

In questa prospettiva il richiamo alla possibilità di apprezzarne i vizi anche attraverso gli "atti del processo" rappresenta null’altro che il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova" che è quel vizio in forza del quale la Corte, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato veicolato o meno, senza travisamenti, all’interno della decisione.

In tal senso, per chiarire, si può apprezzare il travisamento della prova nei casi in cui il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale (ad esempio, il testimone ha dichiarato qualcosa di diverso da quello rappresentato in sentenza oppure nella ricognizione il soggetto ha "riconosciuto" persona diversa da quella indicata in sentenza) (v., Sez. 4^, 14 dicembre 2006, p.c. Bambini ed altri in proc. Guarneri).

Mentre, giova ribadirlo, non spetta comunque alla Corte di cassazione "rivalutare" il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito, giacchè attraverso la verifica del travisamento della prova il giudice di legittimità può e deve limitarsi a controllare se gli elementi di prova posti a fondamento della decisione esistano o, per converso, se ne esistano altri inopinatamente e ingiustamente trascurati o fraintesi.

Per intenderci, non potrebbe esserci spazio per una rinnovata considerazione della valenza attribuita ad una determinata deposizione testimoniale, mentre potrebbero farsi valere la mancata considerazione di altra deposizione testimoniale di segno opposto esistente in atti ma non considerata dal giudice ovvero la valenza ingiustamente attribuita ad una deposizione testimoniale inesistente o che presenta un contenuto diametralmente opposto a quello recepito dal giudicante.

Ponendosi nella richiamata prospettiva ermeneutica, le doglianze dei ricorrenti, contenute nei motivi in argomento in cui lamentano il travisamento della prova con riferimento alla ricostruzione dei fatti, ai riconoscimenti operati dalle vittime si palesa manifestamente infondata, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza gravata alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva.

In ogni caso la doglianza sarebbe inammissibile anche alla luce di alcuni arresti di questa Corte (Cass. Sez. 6^ 10 maggio 2007, Contrada; Cass Sez. 4^ n. 15556/08), secondo i quali, alla luce della nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, che consente di dedurre il vizio di motivazione desumibile dagli "atti del processo" specificamente indicati, deve per vero rilevarsi che una "fonte dichiarativa" è per sua stessa definizione scandita da significanze non univoche, sì da doversi escludere che essa possa in linea di principio integrare gli "altri atti del processo" cui potrebbe o dovrebbe estendersi in sede di legittimità lo scrutinio sulla completezza e logicità della decisione impugnata.

Infatti, la testimonianza, salvi i casi limite in cui l’oggetto della deposizione sia del tutto definito o attenga alla proposizione di un dato storico semplice e non opinabile (ad esempio: il teste dice bianco, il giudice valuta la deposizione come se avesse detto nero o non avesse detto nulla), è sempre il frutto di una percezione soggettiva del dichiarante anche se attiene a fatti di sua diretta scienza, con la conseguenza che il giudice di merito, nel valutare i contenuti della deposizione testimoniale, è sempre chiamato a "depurare", in diversa misura, il dichiarato dalle cause di interferenza provenienti dal dichiarante: ossia dalla sua capacità cognitiva, dalla sua sensibilità percettiva ed emotiva, dal suo stato di coinvolgimento o meno negli accadimenti che riesuma e descrive.

Per l’effetto, affinchè il giudice di legittimità possa esprimere un eventuale giudizio sulla completezza, logicità e non contraddittorietà della motivazione in rapporto all’apprezzamento (di fatto) di una fonte testimoniale operato o non operato dal giudicante, diverrebbe necessario che avesse contezza dell’intero compendio probatorio (tutti gli atti processuali) raccolti fino al momento della decisione, sulla base dei quali svolgere l’analisi comparativa inerente la decisività o non della fonte testimoniale e della incidenza causale dalla stessa svolta (cioè della sua lacunosa o preterita considerazione) nel percorso decisionale del giudice di merito: ciò che è impraticabile in rapporto alla natura del giudizio di legittimità.

Nel caso in esame, la Corte di merito argomenta la responsabilità degli imputati facendo puntuale riferimento alle chiamate in correità dei coimputati B. e P. riscontrate dalle dichiarazioni testimoniali delle vittime e dell’Isp. SA. che hanno riconosciuto i due imputati come autori della rapina.

Deve altresì rilevarsi che non è certamente questa, del sindacato di legittimità, la sede dove possa essere rimesso in discussione l’apprezzamento fattuale, riservato ai giudici del merito, sulle circostanze caratterizzanti la credibilità soggettiva e l’intrinseca affidabilità del racconto del chiamante. Ma è precipuo compito della Corte di cassazione verificare se sia stata fatta, o non, corretta applicazione del criterio stabilito dall’art. 192 c.p.p., comma 3 ai fini della valutazione dell’effettiva consistenza probatoria delle chiamate in reità.

Risulta invero ormai compiutamente delineata nella giurisprudenza di legittimità, in tema d’interpretazione del canone di valutazione probatoria fissato dall’art. 192 c.p.p., comma 3 l’operazione logica conclusiva di verifica giudiziale della chiamata in reità, alla stregua della quale essa, perchè possa assurgere al rango di elemento di prova pienamente valido a carico del chiamato ed essere posta a fondamento di un’affermazione di responsabilità necessita, oltre che del positivo apprezzamento in ordine alla sua intrinseca attendibilità, anche di riscontri esterni, i quali debbono avere carattere "individualizzante" per il profilo dell’inerenza soggettiva al fatto, cioè riferirsi ad ulteriori, specifiche, circostanze, strettamente e concretamente ricolleganti in modo diretto il chiamato al fatto di cui deve rispondere. Ciò detto deve evidenziarsi che la Corte Territoriale ha fatto corretta applicazione dei criteri ermeneutici sopra indicati, ritenendo che i riconoscimenti operati dall’Isp. SA. e dalle vittime realizzassero riscontri individualizzanti nei confronti degli attuali imputati.

Infondato è pertanto anche il primo motivo di ricorso della difesa C..

I ricorsi devono pertanto essere rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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