Cass. civ. Sez. I, Sent., 27-12-2011, n. 28866 Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

che il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi avverso il provvedimento emesso dalla Corte d’appello di Roma depositato in data 29.9.08 con cui esso Ministero veniva condannato al pagamento in favore di A.S., B.D., Ca.An., C.D., D.P.B., Fe.An., F.V., N.F., e T.C. della somma di Euro 5000,00 a favore di ciascuno a titolo di equo indennizzo ex lege n. 89 del 2001 per l’eccessiva durata di un procedimento fallimentare svoltosi innanzi al tribunale di Nola; che gli intimati hanno resistito con controricorso; che la Corte ha optato in camera di consiglio per la motivazione semplificata.

Motivi della decisione

Il decreto impugnato, rilevato che il giudizio presupposto era durato nove anni, per cui, sulla base di una ragionevole durata di anni quattro, il periodo di durata irragionevole doveva ritenersi di anni 5, ha riconosciuto un equo indennizzo pari a 5000,00 Euro in favore di ciascuno degli odierni resistenti. Con il primo motivo di ricorso il Ministero ricorrente deduce la mancanza di legittimazione attiva dei resistenti in quanto questa spetterebbe al Fondo di Garanzia dell’INPS legittimato a surrogarsi nel credito dei dipendenti e comunque la mancanza di patimento psicologico potendo comunque il lavoratore ottenere quanto spettante gli dal fondo di garanzia.

Con il secondo motivo lamenta l’eccessività della liquidazione.

Con il terzo motivo deduce la mancanza di motivazione in ordine alla complessità del procedimento concorsuale.

Il primo motivo è infondato.

Invero la Corte d’appello nel procedere all’esame del ricorso degli odierni resistenti ha implicitamente riconosciuto la loro legittimazione attiva.

Tale valutazione risulta del tutto corretta.

Questa Corte ha già avuto occasione di chiarire in ripetute occasioni che l’azione del lavoratore nei confronti dell’INPS – Fondo di Garanzia che in caso di fallimento del lavoratore ha infatti natura previdenziale, ha una portata assai limitata (il TFR e gli ultimi tre mesi di retribuzione) ed insorge solo "a valle" dell’apertura della procedura concorsuale (dopo il deposito dello stato passivo, includente i crediti del lavoratore), come ha avuto occasione di rammentare questa Corte in ripetute occasioni (Cass. n. 4183 del 2006, n. 13930 del 2006, n. 11945 del 2007 e n. 10713 del 2008).

Il creditore lavoratore, dunque, deve chiedere l’ammissione al passivo e solo all’esito del deposito del decreto del Giudice può azionare la garanzia dell’INPS, parziale e condizionata, diretta alla percezione sollecita e sostenuta da finalità previdenziale di quanto ex lege previsto. (Cass 26421/09).

Discende da ciò la piena legittimazione dei ricorrenti a presentare l’istanza di ammissione al passivo e la sussistenza del danno non patrimoniale per il ritardo nello svolgimento del giudizio di ammissione al passivo e di liquidazione degli importi dovuti dalla massa.

Nè la possibilità di ricorso alla garanzia dell’INPS può rilevare nella sede della valutazione del danno da irragionevole durata del procedimento concorsuale, sia in relazione alla misura dell’indennizzo e sia in relazione alla sua stessa insorgenza.

E’ stato già sottolineato a tale proposito che "negligenze, indifferenza e ritardo nel far ricorso a strumenti che possano consentire la realizzazione alternativa dell’interesse alla base della azione-originante il processo irragionevolmente durato, sono certamente dati rilevanti nella sede della liquidazione dell’indennizzo, che, secondo il costante indirizzo di questa Corte, ben può – ove tali situazioni emergano – essere operata ragionevolmente decurtando il minimo annuo indicato dalla Corte Europea. Ma altrettanto certamente è onere dell’Amministrazione convenuta allegare e provare tali situazioni e non certo pretendere che tanto spetti all’attore, al medesimo incombendo solo di sottoporre al Giudice dell’equa riparazione la durata del processo che lo abbia coinvolto. Il che è quanto dire che il lavoratore creditore del fallito non deve far altro che dimostrare il fallimento del proprio datore di lavoro e la ammissione delle proprie ragioni di credito, restando onere dell’Amministrazione allegare la pretesa inerzia nell’attivazione dei crediti verso il Fondo di Garanzia (provando la assenza di richiesta o sollecitando il Giudice a richiedere informazioni all’INPS) onde argomentare da tal inerzia nel senso della bassa sofferenza dell’attesa". (Cass 26421/09).

Il secondo motivo è manifestamente infondato, essendosi la Corte d’appello mantenuta nei parametri Cedu avendo fissato l’ammontare dell’indennizzo ad Euro mille per anno.

Anche il terzo motivo è infondato, avendo la Corte d’appello stabilito la durata ragionevole in anni quattro tenuto conto delle domande di insinuazione al passivo e della complessità delle operazioni di realizzazione dell’attivo. Trattasi di valutazione discrezionale che risulta adeguatamente motivata sia pure in modo sommario onde la stessa non risulta scrutinabile in questa sede di legittimità.

In conclusione il ricorso va respinto. Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna l’Amministrazione ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore dei resistenti liquidate in Euro 700,00 per onorari oltre Euro 100,00 per esborsi ed oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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