Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 12-07-2011) 05-08-2011, n. 31362

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza del 28.5 – 3 0.9.2009 la Corte d’appello di Ancona definiva la fase di merito del processo nei confronti di A. D., già sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Vallo della Lucania, dopo la sentenza del GIP di Ascoli in data 15.6.2001.

Il giudizio di appello risulta essere stato differito, tra l’altro, numerose volte per impedimento legittimo del difensore, in relazione alle condizioni di salute dello stesso.

In primo grado l’imputato era stato condannato con le generiche prevalenti, la continuazione tra tutti i delitti e la riduzione per il rito, alla pena complessiva di due anni otto mesi di reclusione, essendo stato giudicato colpevole di tre reati di concussione (capi A, I, u), otto di corruzione in atti giudiziari (capi H, M, N, o, P, Q, R, S), associazione per delinquere (capo G), due di abuso d’ufficio (capi v e C1, il secondo anche con rivelazione di segreto), un reato di calunnia (capo Z), un reato di falso (capo L).

All’imputato era altresì applicata la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici.

La Corte distrettuale confermava la condanna per i capi A (ritenuto il tentativo) , G, I, L, M ed N; assolveva il D. dai capi H, 0, R, S, Z; dichiarava estinti per prescrizione i reati di cui ai capi C1, V e P, assorbito in questo il capo Q e limitatamente ai fatti precedenti la legge 86/1990. Rideterminava la pena in due anni sei mesi di reclusione (con la pena base applicata in primo grado per il più grave delitto di cui al capo I; la riduzione per le attenuanti generiche a 3 anni 4 mesi; l’aumento per la continuazione a 3 anni 9 mesi; la riduzione del terzo di legge per il rito), dichiarandola condonata, ai sensi della L. n. 241 del 2006.

Quanto all’epoca di consumazione, i reati per i quali è intervenuta condanna anche in appello vedono indicati nelle contestazioni riportate in sentenza questi tempi:

capo A, art. 317 c.p. fino al (OMISSIS) (la Corte d’appello ha ritenuto il tentativo;

capo G, art. 416 c.p., "dal (OMISSIS)";

capo I, art. 317 c.p., tra il (OMISSIS);

capo L, art. 479, 61 c.p., n. 2, (OMISSIS);

capo M, artt. 319 ter, 321 c.p., epoca prossima al (OMISSIS);

capo N, art. 319 ter, 321 c.p., dall’agosto (OMISSIS);

capo U, art. 317 c.p., tra dicembre (OMISSIS).

2. il ricorso proposto dall’imputato a mezzo del difensore fiduciario deduce i seguenti motivi:

– 1. violazione degli artt. 601 c.p.p., commi 3 e 6 in relazione all’art. 429 c.p.p., comma 1, lett. F, perchè il decreto di citazione per il giudizio di appello ancorchè per giudizio camerale non conteneva l’avvertenza della possibilità di procedere in contumacia;

2. violazione degli artt. 419 e 441 c.p.p. e totale mancanza di motivazione, in relazione all’omessa notifica all’imputato dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, ribadita nella memoria 14.4.2009 dopo essere stata proposta nella stessa udienza preliminare;

3. violazione dell’art. 157 c.p., mancanza e manifesta illogicità della motivazione; due le censure ricondotte a questa doglianza:

perchè il periodo di sospensione della prescrizione non sarebbe di due anni e 22 giorni, come ritenuto dalla Corte d’appello, ma di un anno 9 mesi 9 giorni, non dovendosi contare il periodo dal 14.4 al 26.5.2009, perchè l’impedimento del difensore per motivi di salute sarebbe assorbito dalla dedotta nullità;

perchè la decorrenza del termine di prescrizione, stante la riunione di tutti i delitti nella ritenuta continuazione, doveva datarsi agli ultimi giorni del dicembre 1993 e non al febbraio del 1994, come soluzione più favorevole per l’imputato; conseguentemente, secondo il ricorrente, questo reato sarebbe risultato prescritto già in primo grado: saltato questo, la prescrizione di tutti i reati avrebbe dovuto essere retrodatata;

4. violazione dell’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in relazione alle chiamate in correità del F.: Gip e Corte d’appello avrebbe ignorato le deduzioni difensive, pervenendo ad una valutazione di attendibilità solo apodittica;

5. in relazione al capo G, violazione dell’art. 416 c.p., mancanza e manifesta illogicità della motivazione: commentando talune espressioni del F., il ricorrente deduce che mancherebbe la prova della partecipazione della coimputata D.M., in particolare sul punto dell’effettiva ripartizione dei proventi tra D. e la donna;

6. in relazione al capo A, violazione dell’art. 317 c.p. mancanza e manifesta illogicità della motivazione, perchè le circostanze indicate a pag. 10 del ricorso smentirebbero le dichiarazioni di F. quanto alla vicenda A.; e in punto qualificazione giuridica del fatto, avendo gli A. insistito perchè la richiesta di denaro nei loro confronti si perfezionasse nonostante si fossero già rivolti alla polizia giudiziaria, dovrebbe dedursene una loro attività causalmente rilevante nella determinazione dell’evento e, quindi, uno stato d’animo paritario non succube;

7. in relazione al capo u, violazione dell’art. 317 c.p. mancanza e manifesta illogicità della motivazione, perchè la Corte distrettuale non avrebbe proceduto ad "approfondita ed esauriente verifica" delle dichiarazioni e a spiegare l’attribuzione di maggiore veridicità;

8. in relazione al capo I, violazione dell’art. 317 c.p. mancanza e manifesta illogicità della motivazione, sulla prevalenza data alle dichiarazioni di F. rispetto a quelle della persona offesa R.; "non pare sussistere", poi, il delitto di concussione perchè dalle dichiarazioni della persona offesa "emerge chiaramente" l’inesistenza di una posizione prevaricatrice, dovendosi invece ritenere configurato il reato ex art. 349 c.p., comma 2 (recte 346, comma 2);

9. in relazione al capo L, violazione dell’art. 479 c.p. mancanza e manifesta illogicità della motivazione, perchè l’interpretazione della Corte d’appello sull’applicazione al caso concreto dell’art. 360 c.p. "non pare condivisibile";

10. in relazione al capo M, violazione degli artt. 157 e 158 c.p., mancanza e manifesta illogicità della motivazione, perchè in relazione al capo di imputazione ed alle dichiarazioni di F. anche questo episodio andrebbe collocato prima della L. n. 86 del 1990;

11. in relazione al capo N, violazione dell’art. 192 c.p.p., mancanza e manifesta illogicità della motivazione, perchè le discrasie tra F. e M. escluderebbero la prova dei rapporti tra il ricorrente e C.G.; violazione anche degli artt. 157 e 158 c.p., per le medesime considerazioni del motivo precedente sul F.;

12. violazione dell’art. 597 c.p.p., comma 1, perchè pacifico l’errore del primo Giudice, che aveva prima aumentato per la continuazione e poi ridotto per le attenuanti generiche sulla pena complessiva – in assenza di impugnazione della parte pubblica il Giudice d’appello avrebbe dovuto confermare quel percorso di determinazione del trattamento sanzionatorio;

13. violazione degli artt. 317 bis, 28 e 29 c.p. perchè il GIP pur avendo determinato la pena finale, dopo la riduzione per il rito, in due anni otto mesi, aveva applicato la sospensione dai pubblici uffici per cinque anni. Nello stesso errore, avendo confermato le residue statuizioni, sarebbe incorsa la Corte d’appello, pur riducendo la pena.

3. Va innanzitutto, anche a scioglimento della riserva assunta in udienza, respinta la richiesta odierna di rinvio per legittimo impedimento del difensore, in ragione delle condizioni fisiche allegate nel certificato fatto pervenire.

Nulla infatti è dedotto nell’istanza di rinvio sull’impossibilità di farsi sostituire per la trattazione del processo. E’ invece giurisprudenza costante di questa Corte suprema che il difensore, anche in ipotesi personalmente e legittimamente impedito, ha l’onere specifico di attestare e spiegare, e in modo non apodittico e generico, l’impossibilità di una sostituzione (Sez. 5, sent. 41148 del 28.10-22.11.2010; Sez.2, sent. 25754 dell’11-25.6.2008; Sez. 1, sent. 13351 del 11.2-18.3.2004; Sez.2, sent. 48771 dell’1-19.12.2003 ; Sez. 6, ord. 12498 del 18.10.2000-28.3.2001; SU, sent. 4708 del 27.3-24.4.1992).

4. Il primo motivo è inammissibile perchè manifestamente infondato, essendo insegnamento costante di questa Corte che nel caso del giudizio camerale non va dichiarata la contumacia dell’imputato, sicchè non è necessaria la relativa avvertenza nel decreto di citazione (Sez. 1^, sent. 25097 del 19-28.6.2007; sez. 2, sent.13134 del 3.3-11.4.2005; Sez. 4, sent. 10231 del 26.1-16.3.2005).

Il secondo motivo è inammissibile perchè generico. Dal ricorso pare che la doglianza non sia stata proposta come tempestivo motivo d’appello e che l’asserita nullità si sarebbe realizzata in momento del procedimento precedente la richiesta e la celebrazione del giudizio abbreviato. Nulla deduce specificamente il ricorrente su tale ultimo aspetto, determinante laddove la richiesta di giudizio abbreviato – atto personale dell’imputato, anche quando la richiesta avvenga a seguito di precedente e pertinente procura speciale – attesta piena conoscenza della celebrazione del giudizio, in particolare su tempi e soggetto che ebbe a formulare la richiesta di abbreviato, nè al ricorso sono allegati atti idonei a ricostruire – secondo una ricostruzione di fatto che spetta alla parte proporre ed al giudice di legittimità solo verificare – la vicenda, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso.

Il quarto motivo è inammissibile perchè svolge, in modo del tutto generico, censure di merito.

Il quinto motivo è inammissibile perchè generico e con doglianze di merito: a fronte di due ricostruzioni dei fatti conformi, del primo e del secondo Giudice di merito, il ricorrente non assolve l’onere di autosufficienza del ricorso che gli incombeva con la produzione degli interi verbali da cui trae talune espressioni che commenta, sicchè la doglianza si risolve in mera e generica sollecitazione ad una rivisitazione degli atti, previo il necessario accesso diretto agli stessi, del tutto preclusa in questa fase di legittimità.

Il sesto motivo è diverso da quelli consentiti, laddove introduce elementi di fatto con dati che presupporrebbero l’inibito accesso diretto agli atti, anche per un riapprezzamento complessivo dell’intero materiale probatorio; è manifestamente infondato, laddove tende a desumere dalla condotta risoluta delle persone offese elementi per escludere la concussione, ritenuta tentata dal Giudice d’appello.

Anche il settimo motivo è inammissibile perchè prospetta e sempre in termini generici sotto il profilo dell’autosufficienza del ricorso – censure di stretto merito, la cui valutazione presupporrebbe accesso diretto agli atti e rivisitazione del complessivo materiale probatorio.

L’ottavo motivo è inammissibile perchè anch’esso generico e al tempo stesso diverso da quelli consentiti, svolgendo censure di merito su singole frasi estrapolate, senza alcun confronto specifico con l’argomentazione della Corte d’appello a pag. 29.

Il nono motivo è inammissibile per genericità, limitandosi il ricorrente alla citazione di giurisprudenza, senza deduzioni specifiche al caso concreto.

Il decimo motivo è inammissibile perchè diverso da quelli consentiti: il ricorrente censura con un generico apprezzamento di fatto la specifica valutazione, di stretto merito, che la Corte, rispondendo proprio alla medesima, e unica sul capo, censura, ha espresso.

Inammissibile è anche l’undicesimo motivo: generico e attinente al merito quanto al primo punto; infondato per quanto appena argomentato sub decimo motivo, il secondo.

Il dodicesimo motivo è manifestamente infondato. A fronte di un errore di diritto del giudice di primo grado, quale è operare la diminuzione per le attenuanti generiche non sulla pena base ma su quella complessiva, risultante dagli aumenti per la continuazione, l’unico limite che il giudice d’appello incontra quando deve rideterminare la pena, in ragione delle proprie contingenti statuizioni sui singoli reati, è quello di non potere peggiorare il trattamento conclusivo: quindi, in altri termini, irrogare pena superiore, o anche solo pari, nel caso di parziali proscioglimenti.

La correzione delle modalità di calcolo è infatti, e appunto con il solo limite appena indicato, imposta dall’obbligo di osservare principio di legalità in sede di autonoma rideterminazione del trattamento sanzionatorio.

Il tredicesimo motivo è fondato. Ancorchè la questione non sia stata dedotta tempestivamente nei motivi d’appello -secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata (che non ne da conto) e dal ricorso (che non vi fa cenno) – anche a seguito della modifica apportata autonomamente alla pena dalla Corte d’appello deve affermarsi, alla luce della precedente giurisprudenza di questa Corte suprema, che:

la riduzione per il rito abbreviato incide anch’essa nella determinazione della pena cui parametrare l’eventuale applicabilità della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici (Sez. Unite, sent. 3411 del 27.5-17.7.1998; Sez. 5, sent. 46340 del 26.11- 16.12.2008-, Sez. 4, sent. 3538 del 23.12.2003 – 29.1.2004);

essa rileva anche per il caso speciale di cui all’art. 317 bis c.p., nonostante in questa norma si richiamino espressamente le sole circostanze (Sent. su 8411/1998 cit., ultimo paragrafo della motivazione);

nel caso di interdizione temporanea ex art. 317 bis c.p., trova applicazione la regola generale posta dall’art. 37 c.p., sicchè la durata di questa corrisponde a quella della pena principale (Sez. 6, sent. 11383 del 21.1-11.3.2003) e, nel caso di ritenuta continuazione tra più reati, del solo reato più grave;

all’eventuale correzione può procedere anche il Giudice di legittimità, mancando ogni discrezionalità nel contenuto del provvedimento (Sent. 11383/2003).

Nel caso di specie, pertanto, la durata della pena accessoria va rideterminata come da dispositivo, avuto riguardo al calcolo in concreto operato dal Giudice d’appello (pena base per il capo I di cinque anni recl., riduzione per le attenuanti generiche a 3 anni 4 mesi; su tale pena va operata, ai fini della quantificazione della pena accessoria, la riduzione del terzo di legge per il giudizio abbreviato, pervenendosi a due anni due mesi venti giorni).

4.1 Da ultimo, quanto al punto della prescrizione dei reati, va osservato quanto segue.

Quanto alle doglianze contenute nel terzo motivo, la prima è inammissibile perchè generica (l’unica censura specifica al calcolo operato dalla Corte distrettuale riguarda un periodo temporale nettamente più contenuto di quello dedotto). La seconda doglianza è inammissibile per manifesta infondatezza; assorbente è la constatazione che, essendo la sentenza di primo grado stata deliberata 11 15.6.2001, in ogni caso i sette anni e sei mesi dagli ultimi giorni di dicembre 2003 si concluderebbero oltre tale data.

Neppure risulta ad oggi prescritto alcuno dei reati per i quali è intervenuta condanna in appello (aspetto che va esaminato anche d’ufficio, in ragione della non inammissibilità del tredicesimo motivo).

Infatti, anche accogliendo la deduzione del ricorso, secondo la quale il periodo di sospensione della prescrizione andrebbe limitato, rispetto a quello indicato dalla Corte d’appello, a un anno nove mesi e nove giorni, occorre considerare che la data di decorrenza della prescrizione va indicata al 13 ottobre 1994, data di deliberazione dell’ordinanza di custodia cautelare (presente nel fascicolo), che conteneva il capo di imputazione per il delitto associativo, recante l’indicazione "ancora in atto".

Sul punto, è infatti erronea l’indicazione contenuta nell’intestazione della sentenza impugnata, che reca ancora la medesima indicazione (in astratto quindi idonea a protrarre la consumazione del delitto associativo addirittura alla data della sentenza di primo grado), perchè la visione della richiesta di rinvio a giudizio attesta l’avvenuta apposizione manoscritta della locuzione "fino al 1994", con cancellazione della formula aperta di consumazione ancora in atto.

Orbene, tale indicazione va appunto coniugata con la data di emissione dell’ordinanza custodiale emessa anche per il reato associativo nei confronti di tutti i sottoposti alle indagini coinvolti nell’articolata vicenda, segnante la conclusione dell’attività di quell’associazione.

Nessun rilievo ha invece sul reato associativo la precedente ordinanza cautelare, del 18.6.1994, relativa ad un solo episodio di concussione contestato al D. ed alla D.M.: sia per il diverso contenuto (un solo delitto di concussione; il delitto associativo e la restante pluralità di delitti), sia perchè il D. risulta essere stato detenuto per quella causa per un tempo limitato, quindi senza soluzione di continuità con la seconda ordinanza.

Posta pertanto al 13.10.1994 la data di decorrenza della prescrizione, certamente non prescritti sono i delitti di concussione consumata. Ma altrettanto non prescritti sono i residui delitti, per i quali il termine massimo di prescrizione va determinato in quindici anni, secondo la disciplina applicabile in relazione alla data della sentenza di primo grado: aggiungendo infatti ad essi l’anno nove mesi e nove giorni espressamente sollecitato in ricorso, ad oggi il termine complessivo non è consumato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla durata della pena accessoria, che ridetermina in misura pari alla pena irrogata per il reato di cui al capo 1^. Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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