Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 01-07-2011) 05-08-2011, n. 31170 Reati commessi a mezzo stampa diffamazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Perugia, con sentenza 12.4.2007, condannò C. G., giornalista de "La Provincia" riconoscendolo colpevole del delitto di diffamazione a mezzo stampa in danno di D.G. R., magistrato allora in servizio presso il Tribunale di Cassino. C.U., direttore responsabile del predetto quotidiano fu riconosciuto colpevole del delitto ex art. 57 c.p. e per esso condannato. I due predetti e il responsabile civile, Cooperativa editoriale Effe spa, al risarcimento del danno, equitativamente liquidato in Euro 35.000.

Sul predetto quotidiano fu pubblicato in data 4 maggio 2002 un articolo dal titolo "Si ferma il giudice e lui resta sordo. Il magistrato aveva incrociato le braccia contro il governà, nel quale si assumeva che la D.G., giudice del lavoro, aveva rinviato numerose udienze (tra le quali una relativa a una controversia di lavoro di un operaio che aveva riportato gravi danni fisici nello svolgimento delle sue mansioni) per protestare contro la politica e i programmi del governo Berlusconi, giudicati sfavorevoli alla autonomia della magistratura. Secondo il giornalista, il magistrato avrebbe reso noto il suo proposito mediante l’affissione di un volantino sulla porta della sua stanza in ufficio.

Sull’argomento erano poi stati pubblicati altri due articoli: il 15 e il 21 maggio dello stesso anno.

Il Tribunale ritenne non correttamente esercitato il diritto di cronaca per mancanza del requisito della verità della notizia, atteso che l’assenza dal lavoro della D.G. era stata originata dalla necessità di sottoporsi a operazione chirurgica e non da motivi di protesta politica.

Avverso la predetta pronunzia proposero appello gli imputati e il responsabile civile.

Propose appello incidentale la PC..

Con la sentenza di cui in epigrafe, la CdA di Perugia, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato ndp nei confronti degli imputati per essere il reato estinto per prescrizione, ha confermato le statuizioni civili, riconoscendo alla PC la decorrenza degli interessi e della somma liquidata a far tempo dalla data del fatto (e non dalla data della pronunzia come stabilito dal primo giudice).

Ricorrono per cassazione, con unico atto a firma del difensore, gli imputati e il responsabile civile.

Si deduce contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. La CdA sostiene che, se fosse stato vero quanto scritto nell’articolo, la condotta della D.G. sarebbe stata passibile di sanzione, non solo disciplinare, ma anche penale; aggiunge che, in ogni caso, il giornalista avrebbe dovuto accertare le vere ragioni dell’assenza della D.G. dal lavoro.

Ebbene la prima considerazione è inconcludente, atteso che non si comprende perchè un siffatto comportamento non avrebbe potuto essere oggetto di cronaca. Certo non è impossibile che un magistrato commetta un illecito disciplinare o un reato.

La seconda considerazione è contraddittoria, atteso che la ragione della assenza della D.G. è risultata solo ex post. Secondo la CdA il giornalista avrebbe dovuto accertare le vere ragioni della assenza chiedendo in cancelleria, dimenticando che i funzionari mai avrebbero, per ragioni di privacy, indicate il vero motivo dell’assenza del magistrato.

La vera ragione dell’assenza si è conosciuta a seguito di una attestazione "postuma" del Presidente del Tribunale. Il C. viceversa trovò il volantino affisso sulla porta dell’ufficio della D.G. e costatò che le cause erano rinviate a seguito dell’assenza della predetta.

Non è dunque possibile dubitare della buona fede degli imputati.

Si deduce ancora contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla richiesta di riduzione della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno. La CdA ha confermato le statuizioni civili ignorando le doglianze contenute nell’atto di appello, ovvero risolvendo in maniera illogica le questioni poste. E’ stato ignorato, invero, che il danno è stato cagionato anche (o comunque accresciuto) dall’imprudente comportamento della PO. Quello che il giudici del merito definiscono riduttivamente un documento che riassume la situazione di disagio della magistratura,conteneva un vero e proprio attacco politico al governo e faceva riferimento a uno sciopero indetto dalla Associazione magistrati per il 6 giugno 2002.

Non aver chiarito la reale ragione della assenza dal lavoro costituisce da parte della D.G. condotta concorrente alla verificazione del danno.

E’ poi illogica la scarna analisi della Corte in ordine alla smentita prontamente pubblicata dal giornale.

Infine la sentenza è palesemente contraddittoria nella parte in cui, pur convenendo con la difesa circa il ristretto ambito di diffusione della notizia, non apporta alcuna modifica al quantum risarcitorio.

Ha depositato memoria il difensore della PC., con la quale chiede il rigetto dei ricorsi.

Motivi della decisione

La prima censura è manifestamente infondata.

Gli stessi ricorrenti ricordano come nel volantino si desse notizia di uno sciopero proclamato dall’Associazione magistrati per il 6 giugno. Non si comprende dunque come possa essere ritenuto giustificabile il presunto errore del C., che ha inteso collegare l’assenza dal lavoro del magistrato D.G., verificatasi nel mese di maggio, con il contenuto del predetto documento.

La CdA, poi, afferma che, se fossero state rispondenti al vero le notizie pubblicate su "La Provincia", la D.G., avendo messo in atto una sorta di "sciopero individuale", avrebbe commesso una grave mancanza disciplinare e un vero e proprio reato.

Dalla trama argomentativa si evince con assoluta chiarezza – contrariamente quel che i ricorrenti hanno voluto o saputo intendere- che la considerazione non è stata formulata per introdurre una sorta di ragionamento per assurdo (una argomentazione del tipo: non è possibile che un magistrato abbia potuto fare ciò, quindi la notizia è falsa), ma per sottolineare che, data la gravità dell’accusa, il controllo circa la sua fondatezza avrebbe dovuto essere particolarmente accurato. La sentenza impugnata, poi, pone in evidenza (come anticipato) che il C. è "tornato in argomento" per ben altre due volte (11 e 17 giorni dopo), mettendo in atto una sorta di "campagna stampa" e, dunque, perseverando nella diffusione di una notizia (di contenuto negativo) non vera.

Se, pertanto, omissione di accertamento vi è stata (e dunque dolo eventuale, piuttosto che, come anche sembra possibile, dolo intenzionale), tale omissione si è protratta nel tempo. Ai proposito è appena il caso di notare, trattandosi di jus receptum, che il delitto di diffamazione ben può essere connotato, appunto, anche da dolo eventuale, che si concreta anche quando l’autore dello scritto diffamante non abbia proceduto ad adeguata verifica.

Conseguentemente, nella ipotesi in cui una simile verifica sia impossibile (ma nel caso in esame, per altro, certamente non lo era), il giornalista deve astenersi dal pubblicare la notizia, ma, se intende comunque pubblicarla, accetta il rischio che essa non corrisponda a verità (ASN 200131957-RV 219638). Il C., invero, non solo non accertò positivamente la ragione della assenza dal lavoro della D.G. (in Cancelleria, senza violare la privacy, avrebbero potuto semplicemente rispondere che detta assenza nulla aveva a che fare col volantino), ma neanche trasse le corrette conclusioni dalla lettura del volantino medesimo (che, come anticipato, preannunziava lo stato di agitazione per il successivo mese di giugno). Ebbene è noto (da ultimo cfr. ASN 201027106-RV 248032) che l’esimente putativa del diritto di cronaca può essere invocata in caso di affidamento del giornalista su quanto appreso dalla fonte, quando abbia, però, provveduto, comunque, a verificare i fatti narrati, e abbia, poi, altresì, offerto la prova della cura posta negli accertamenti svolti per stabilire la veridicità dei fatti stessi.

Ebbene, nel caso in esame, il giornalista: a) ha malamente utilizzato la fonte, b) non ha compiuto alcun controllo o accertamento a riscontro, c) ha arbitrariamente collegato due fatti (la proclamazione dello sciopero per il mese giugno, l’assenza dal lavoro della D.G. nel mese di maggio), d) ha insistito per altre due volte nel diffondere una notizia falsa.

Di tutto ciò, così come della condotta colpevolmente omissiva del C., la sentenza fornisce adeguata illustrazione/giustificazione.

La seconda censura è infondata, sia perchè la smentita, come premesso, fu preceduta da una protratta "insistenza" sulla notizia falsa e denigratoria, sia perchè, correttamente, i giudici del merito non hanno ravvisato alcun profilo di colpa nella condotta della D.G., la quale, da un lato, non aveva alcun motivo di diffondere erga omnes le ragioni per le quali si sarebbe assentata dal lavoro, dall’altro, affiggendo il volantino (che, come ampiamente chiarito, dava notizia di una astensione dal lavoro della intera categoria, che si sarebbe verificata oltre un mese dopo), non poteva ingenerare alcun equivoco in persone di media diligenza, onestà e/o intelligenza. Non vi è poi contraddizione tra la considerazione della scarsa diffusione territoriale del giornale e il mantenimento del quantum risarcitorio, atteso che la CdA ha, per converso, sottolineato, la gravità del danno di immagine causato (la D. G., come detto, è stata accusata della commissione di un reato continuato) e il fatto che la notizia falsa e denigratoria si è diffusa, in particolare, come è ovvio, nell’ambiente di lavoro della PO, intaccando potenzialmente il prestigio che deve sempre assistere la figura e l’operato di un magistrato.

In sintesi, la Corte perugina ha voluto chiarire che la scarsa dimensione quantitativa del danno (limitata diffusione della notizia) è stata "compensata" dalla dimensione qualitativa dello stesso (gravità della accusa ingiustamente formulata). Conclusivamente, i ricorsi meritano rigetto e i ricorrenti vanno singolarmente condannati alle spese del grado.

Vanno anche condannati – in solido – al ristoro delle spese sostenute in questo grado di giudizio dalla PC, spese che si liquidano come da

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali; condanna inoltre in solido i ricorrenti al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro duemila (2.000), oltre accessoria come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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