Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 14-06-2011) 05-08-2011, n. 31357 Determinazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Ancona confermava la sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno che aveva dichiarato N.A. e S.R. responsabili di concorso in millantato credito e li aveva condannati alle pene di giustizia.

Agli imputati era addebitato di aver ottenuto denaro o la promessa di pagamenti di somme di danaro, millantando conoscenze presso ministri, parlamentari e dirigenti pubblici in grado di far ottenere posti di lavoro.

2. Avverso la suddetta sentenza, ricorrono gli imputati, per il tramite del loro difensore, con un unico atto, con il quale si deduce:

– la violazione di cui all’art. 606 C.P.P., comma 1, lett. e), in relazione all’art. 346 cod. pen., in quanto la Corte di appello non avrebbe fornito motivazione al rilevo difensivo sull’inconfigurabilità del reato, posto che le parti offese avevano riferito che il S. era in grado di far ottenere posti di lavoro, ai quali si può accedere solo per legge o concorso. Pertanto i compratori di fumo, avendo dichiarato di aver voluto ottenere dall’imputato un atto non illecito, non sarebbero vittime di frode.

– la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione all’art. 192 cod. proc. Pen., perchè la Corte di appello avrebbe valutato in maniera illogica le prove, affermando che gli atti posti in essere dagli imputati era idonei a conseguire il pagamento delle somme richieste.

– la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione agli artt. 62-bis e 133 cod. pen., per la mancata concessione delle attenuante generiche e alla dosimetria della pena, poichè la modalità della condotta dei ricorrenti avrebbe dovuto indurre il giudice del merito a concedere le suddette attenuanti ed a contenere la pena nei minimi di legge.

Motivi della decisione

1. I ricorsi sono entrambi inammissibili.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato, posto che la Corte di appello ha fatto corretta enunciazione di un principio ripetutamente affermato dai giudici di legittimità, secondo cui l’oggetto della tutela penale del millantato credito è esclusivamente il prestigio della pubblica amministrazione, con la conseguenza che unica parte offesa è quest’ultima e non colui che abbia versato somme al millantatore, che è semplice soggetto danneggiato (tra le tante, Sez. 6 n, 17642 del 19/02/2003, Di Maio, Rv. 227138).

Ai fini della configurabilità del reato pertanto è sufficiente che la condotta dell’agente, attraverso la vanteria, ossia l’ostentazione della possibilità di influire sul pubblico ufficiale, faccia apparire questi come persona avvicinabile, cioè sensibile a favorire interessi privati in danno degli interessi pubblici di imparzialità, di economicità e di buon andamento degli uffici, cui deve ispirarsi l’azione della pubblica amministrazione.

In altri termini, la condotta del soggetto attivo deve indurre a far intendere alla vittima che egli abbia la capacità di esercitare un’influenza sui pubblici poteri tale da rendere i detti principi vani e cedevoli al tornaconto personale, con la conseguenza che, alla persona del danneggiato deve apparire evidente la lesione del prestigio della pubblica amministrazione (vera parte offesa, che la norma intende proteggere) che deve emettere l’atto o tenere un determinato comportamento.

Quindi, il reato di millantato credito si differenzia da quello di truffa sia perchè oggetto della tutela penale è il prestigio della P.A., sia perchè la condotta non si concreta in artifici e raggiri, ma nella vanteria di potersi ingerire nella attività pubblica per inquinarne il regolare svolgimento, attraverso il mercimonio dell’esercizio dei poteri dei pubblici funzionari a tale attività preposti (Sez. 6 n. 35340 del 23/04/2008, Zocco, Rv. 241246).

Pertanto, per la configurabilità del delitto di millantato credito, non è richiesta necessariamente una condotta ingannatoria o raggirante (Sez. 6, n, 13479 del 17/03/2010, D’Alesio, Rv. 246734).

3. Il secondo motivo è assolutamente generico, in quanto reitera una doglianza avanzata in sede di appello, debitamente disattesa dalla Corte di merito con motivazione adeguata e priva di vizi logici- giuridici, con la quale i ricorrenti non si confrontano affatto. In ogni caso, la doglianza, nella misura in cui sollecita una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è in via esclusiva riservata al giudice del merito, non è ammissibile in sede di legittimità. 4. Anche l’ultima censura, a prescindere dalla sua genericità, tende a sottoporre al giudizio di legittimità questioni di mero fatto e valutazioni discrezionali in ordine all’entità della pena, rimesse alla esclusiva competenza del giudice di merito, che nel caso in esame ha mostrato di avere fatto corretta applicazione dei parametri suggeriti dagli artt. 132 e 133 cod. pen., e ha ampiamente giustificato il diniego delle generiche, sia pure in forma sintetica, richiamando, non solo la assenza di elementi positivi di giudizio, bensì anche i precedenti penali per gravi reati, a componente lucrativa, e il negativo comportamento processuale degli imputati.

E’ principio assolutamente pacifico che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (tra le tante, Sez. 6 n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244).

5. All’inammissibilità dei ricorsi seguono per legge la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e la condanna di ciascuno al versamento di una somma alla cassa delle ammende, equamente determinata in Euro 1000,00 ciascuno.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro mille/00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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