T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 14-09-2011, n. 7240 Atti amministrativi diritto di accesso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Premetteva l’Associazione CodiciCentro per i diritti del cittadino (d’ora in poi, per brevità, l’ASSOCIAZIONE) che la Prefettura di Roma aveva avviato in data 28 febbraio 2008 una indagine volta a verificare il possesso, in capo alla ridetta associazione, dei requisiti necessari ai fini dell’iscrizione (ovvero della permanenza) nell’elenco provinciale delle associazioni e fondazioni antiracket ed antiusura ai sensi del decreto del Ministero dell’interno n. 220 del 2007.

Chiariva detta associazione che le operazioni di verifica si svolgevano in modo anomalo, in quanto l’accertamento dei requisiti era effettuato mediante comunicazioni telefoniche nel corso delle quali all’associato contattato, ovvero al proprio familiare che rispondeva, venivano formulate domande onde acquisire informazioni sul rapporto con l’Associazione, oltre ad invitarli a presentarsi presso gli uffici della Questura "al fine di dichiarare la propria appartenenza all’Associazione Codici" (così, testualmente, a pag. 1 del ricorso introduttivo).

Riferiva ancora l’ASSOCIAZIONE che in data 6 giugno 2009 essa provvedeva ad inviare una segnalazione all’Autorità garante per la protezione dei dati personali (d’ora in poi, per brevità, l’AUTORITA’) perché verificasse se il sopra descritto comportamento assunto dalla Prefettura romana fosse o meno compatibile con i principi contenuti e le disposizioni recate dal decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196 (il c.d. Codice della privacy). In quell’occasione l’ASSOCIAZIONE ebbe a richiamare all’AUTORITA" i contenuti del suindicato D.M. n. 220 del 2007 nel quale, pur essendo specificati i requisiti che consentono alle associazioni di iscriversi nell’ambito dell’elenco delle associazioni e fondazioni antiracket ed antiusura e la particolare indicazione che impedisce di essere iscritti o di mantenere l’iscrizione nel caso in cui associati o promotori siano stati condannati o siano stati sottoposti a procedimento penale per alcune fattispecie di reato (naturalmente incompatibili con i fini propri che connotano l’attività di tali associazioni), non consente, certo, che le indagini per verificare il possesso (o la permanenza) di quei presupposti e requisiti venga condotta con metodi invasivi del diritto alla tutela dei dati e delle informazioni pertinenti l’associato, circostanza che invece si riscontra in molte comunicazioni telefoniche effettuate dagli operatori della Polizia di Stato, che peraltro – e questo è il punto principale della contestazione avanzata dall’ASSOCIAZIONE ai metodi di indagine utilizzati – coinvolgono anche i rapporti che intercorrono tra il singolo associato e l’ASSOCIAZIONE, aspetti questi estranei alla verifica di cui sopra ai sensi del D.M. richiamato.

Racconta l’ASSOCIAZIONE che l’AUTORITA" ebbe ad attivare il procedimento di verifica circa la correttezza dei metodi utilizzati dagli Uffici prefettizi sollecitatole, provvedendo a comunicare l’avvio di quel procedimento alla Prefettura e che, nonostante essa avesse cercato di agevolare l’AUTORITA" nell’attività istruttoria depositando documenti, nessun seguito si realizzava, restando così inevasa la richiesta avanzata. Fu a quel punto che venne formulata dall’ASSOCIAZIONE, in data 15 dicembre 2009, istanza tesa alla ostensione dei documenti acquisiti dall’AUTORITA" nel corso della indagine svolta, in merito alla quale però l’AUTORITA" stessa non faceva seguire alcuna determinazione, per come invece richiesto dall’art. 25 della legge 7 agosto 1990 n. 241.

Da qui il presente giudizio con il quale l’ASSOCIAZIONE ha contestato la legittimità del comportamento inerte mantenuto dall’AUTORITA" in quanto violativo delle disposizioni contenute sia nella legge 7 agosto 1990 n. 241 sia nel regolamento n. 1 del 2006 che disciplina il procedimento di accesso documentale attivato presso l’AUTORITA’, chiedendo che fosse disposto il giudiziale accesso ai documenti richiesti.

2. – Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni coinvolte nella vicenda, vale a dire l’AUTORITA’, il Ministero dell’interno e la Prefettura di Roma, contestando analiticamente la fondatezza delle avverse affermazioni e chiarendo le ragioni che determinerebbero la reiezione del ricorso.

Mantenuta riservata la decisione alla Camera di consiglio dell’11 maggio 2011, il ricorso è stato trattenuto per la decisione alla Camera di consiglio del 6 luglio 2011.

3. – Il ricorso si presenta infondato per le ragioni che saranno qui di seguito indicate.

Anzitutto va definito con esattezza l’ambito del presente giudizio che vede per un verso gravata l’inerzia dell’AUTORITA" sull’istanza di accesso ad essa presentata dall’ASSOCIAZIONE in data 15 dicembre 2009 e, per altro verso, conseguentemente vede richiesto l’accesso giudiziale ai documenti a suo tempo indicati in quella istanza. Tale è l’esito dell’esatta e puntuale verifica delle conclusioni dedotte nell’atto introduttivo (cfr. la parte conclusiva della quarta pagina del ricorso proposto) rispetto alle quali va circoscritto l’ambito della domanda giudiziale proposta a questo Tribunale e necessariamente perimetrati, pur tenuto conto della peculiarità del giudizio speciale in materia di accesso ai documenti amministrativi e dei particolari poteri attribuiti al giudice amministrativo nello scrutinio della relativa domanda proposta ai sensi dell’art. 116 c.p.a., la latitudine e la portata dell’intervento giudiziale che qui di seguito si andrà realizzando.

Viene quindi subito da segnalare come nelle difese prodotte dall’Avvocatura erariale si riscontrano talune imprecisioni che qui appresso sinteticamente possono essere così elencate.

L’Avvocatura sostiene che il contenzioso verte su un "ricorso in opposizione ex art. 152 del d. lg. n. 196/2003" (così, testualmente, a pag. 1 della memoria prodotta). Se così fosse il giudice amministrativo sarebbe privo di giurisdizione, dovendosi rispettare il recentissimo arresto delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, con la sentenza 14 aprile 2011 n. 8487, hanno chiarito che ai sensi dell’art. 152 del c.d. Codice della privacy "tutte le controversie che riguardano, comunque, l’applicazione delle disposizioni del presente codice, comprese quelle inerenti ai provvedimenti del Garante in materia di protezione dei dati personali o alla loro mancata adozione, sono attribuite all’autorità giudiziaria ordinaria", facendo rientrare nella giurisdizione del giudice ordinario, nel caso che ha dato luogo alla decisione delle Sezioni Unite, una controversia relativa ad una istanza con la quale una società dedita alla raccolta e gestione di dati sulla puntualità nei pagamenti ha chiesto al Garante per la protezione dei dati personali di essere autorizzata ad esigere un contributo dai richiedenti per l’accesso ai dati.

La questione sottoposta dall’ASSOCIAZIONE all’esame di questo giudice amministrativo, al contrario e nella specie, non attiene a quella quota di doglianza – che pure si legge nel ricorso e nei documenti allegati – che avrebbe come bersaglio la inutilmente invocata applicazione dinanzi all’AUTORITA" delle disposizioni recate dal Codice della privacy (e con riferimento alla ritenuta scorretta metodologia fatta propria dagli uffici prefettizi e di cui si è sopra dato conto), bensì è diretta a contestare la (asseritamente illegittima) inerzia serbata dall’AUTORITA" stessa nei confronti di una "ordinaria" richiesta di accesso, ai sensi delle norme contenute nel Capo V della legge n. 241 del 1990, avente ad oggetto documenti da essa detenuti ed acquisiti nel corso di una verifica, questa sì, richiesta dall’ASSOZIAZIONE perché fosse perlustrato il corretto comportamento, in linea con le disposizioni recate dal Codice della privacy, assunto dalla prefettura romana e dalla Questura nei confronti degli associati.

In altri termini l’istruttoria di tutela della riservatezza degli aderenti all’ASSOCIAZIONE, da questa richiesta all’AUTORITA" nel giugno 2009 e da quest’ultima correttamente avviata (per quanto è documentalmente dimostrato), costituisce solo lo sfondo procedurale – in un contesto giuridico (questo sì) disciplinato dal Codice in materia di protezione dei dati personali – della richiesta di ostensione avanzata in data 15 dicembre 2009 avente ad oggetto gli "atti del fascicolo relativo alla segnalazione presentata e in corso di esame" (per come ricorda anche la difesa erariale a pag. 2 della memoria difensiva). Si tratta pertanto di una richiesta di accesso a documenti detenuti dall’AUTORITA" e richiesti ad essa come Amministrazione pubblica, ciò comporta che:

1) ai sensi delle norme contenute nel Titolo IV, Capo I, del Codice per la protezione dei dati personali ed in particolare nell’art. 59 "i presupposti, le modalità, i limiti per l’esercizio del diritto di accesso a documenti amministrativi contenenti dati personali, e la relativa tutela giurisdizionale, restano disciplinati dalla legge 7 agosto 1990, n. 241";

2) conseguentemente la richiesta di accesso avanzata dall’ASSOCIAZIONE, seppure i documenti sono stati acquisiti nel corso di una procedura ispettiva dell’AUTORITA’, trova quale parametro normativo quello definito nelle relative disposizioni della legge n. 241 del 1990 e non nel decreto legislativo n. 196 del 2003, non trattandosi di accesso ai dati, ma di accesso ai documenti;

3) resta ferma la giurisdizione esclusiva in materia del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. a), numero 6, c.p.a., a conoscere la questione giudiziale proposta dall’ASSOCIAZIONE;

4) il (giurisdizionalmente) competente giudice amministrativo, nello scrutinare e nel risolvere il qui presente contenzioso, dovrà quindi fare applicazione dei principi normativi, coordinati con i consolidati orientamenti giurisprudenziali in materia, regolanti l’istituto dell’accesso ai documenti richiesti da una Amministrazione, perché da questa detenuti, pur se riferiti ad atti "interni o non relativi ad uno specifico procedimento, (…) e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale" (così l’art. 22, comma 1, lett. d), della legge n. 241 del 1990);

In conclusione, l’istanza di accesso documentale presentata dall’ASSOCIAZIONE nel dicembre 2009 ed il qui richiesto accertamento del diritto all’ostensione in via giudiziale, (doveva e) debbono essere verificate nella loro fondatezza tenendo conto dell’AUTORITA" non come l’organismo preposto a svolgere l’attività ispettiva descritta negli artt. 157 e 158 del Codice in materia di protezione dei dati personali, ma come una "pubblica amministrazione" ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. e) della legge n. 241 del 1990, atteso che:

A) per un verso le disposizioni recate dal suindicato Codice in materia di attività ispettiva, di accertamento e di controllo svolte dall’AUTORITA" non fissano specifiche regole disciplinanti l’accesso ai documenti raccolti dall’AUTORITA" stessa nell’adempimento di quel compito istituzionale;

B) la stessa AUTORITA’, consapevole della circostanza che l’accesso ai documenti da essa comunque detenuti ricade nell’istituto generale disciplinato dalla legge n. 241 del 1990, ha correttamente ritenuto di dotarsi di un apposito regolamento (26 luglio 2006 n. 1, pubblicato sulla G.U. n. 183 dell’8 agosto 2006), nel quale (in particolare nell’allegato A, "che individua misure organizzative per garantire l’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi presso l’ufficio del Garante nel rispetto dei principi previsti dalla normativa vigente") espressamente si richiamano gli artt. 59 e 60 del Codice per la protezione dei dati personali onde confermare che le disposizioni sull’accesso ai documenti amministrativi detenuti dall’AUTORITA" sono quelle esportabili dalla legge n. 241 del 1990.

4. – La difesa erariale, poi, sottolinea come, proprio in applicazione a quanto prescritto dal regolamento dell’AUTORITA" n. 1 del 2006 (cfr. pagg. 3 e 4 della memoria), l’istanza di accesso non potrebbe essere accolta:

1) sotto un primo profilo, perché la richiesta "di poter accedere agli atti del procedimento (…) al fine di esercitare le facoltà previste (…)" costituirebbe una formulazione generica ed immotivata, anche sotto l’aspetto della legittimazione a formularla (ai sensi dell’art. 2, comma 2, del regolamento n. 1 del 2006);

2) sotto un diverso e più incisivo profilo perché, ai sensi degli artt. da 11 a 15 del suindicato regolamento dell’AUTORITA" ed in particolare con riguardo proprio all’art. 15, "Sono esclusi dall’accesso i documenti inerenti alla vita privata o alla riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese ed associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale o commerciale di cui siano in concreto titolari" e in particolare "i documenti contenenti dati sensibili o giudiziari se l’accesso non è strettamente indispensabile per la tutela di cui all’articolo 2, comma 2 e, se si tratta di dati relativi allo stato di salute o alla vita sessuale, nei termini previsti dall’articolo 60 del Codice in materia di protezione dei dati personali (…)".

Orbene, con riguardo a tale secondo profilo, il Ministero dell’interno, contattato dall’AUTORITA" nel corso del procedimento avviato dall’ASSOCIAZIONE, ha riferito riservatamente che i documenti richiesti contengono sia dati sensibili e giudiziari di cittadini sia dati riconducibili alle ipotesi di esclusione dall’accesso documentale ai sensi del regolamento in materia di accesso ai documenti amministrativi del ministero dell’interno di cui al D.M. 10 maggio 1994 n. 415 ed in particolare all’art. 3, comma 1, lett. a), secondo il quale sono sottratti all’accesso le "relazioni di servizio ed altri atti o documenti presupposto per l’adozione degli atti o provvedimenti dell’autorità nazionale e delle altre autorità di pubblica sicurezza, nonché degli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza, ovvero inerenti all’attività di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica o di prevenzione e repressione della criminalità, salvo che si tratti di documentazione che, per disposizioni di legge o di regolamento, debba essere unita a provvedimenti o atti soggetti a pubblicità".

Posto che l’art. 11, comma 1, lett. a) del regolamento dell’AUTORITA" stabilisce che sono esclusi dall’accesso richiesto all’AUTORITA" tutti quei documenti che essa detiene ma che sono sottratti all’ostensione dall’Amministrazione che li ha formati, conseguentemente la richiesta dell’ASSOCIAZIONE non può essere accolta.

5. – Con riferimento alla prima ragione di inaccessibilità segnalata dalla difesa erariale merita ricordare che per giurisprudenza consolidata sul punto (cfr., da ultimo e per tutte, il precedente della Sezione, 14 marzo 2011 n. 260), il diritto di accesso, oltre che alle persone fisiche, spetta anche a enti esponenziali di interessi collettivi e diffusi, ove corroborati dalla rappresentatività dell’associazione o ente esponenziale e dalla pertinenza dei fini statutari rispetto all’oggetto dell’istanza (nel caso in questione si trattava del Codacons).

Nel caso di specie si evidenzia che, per un verso l’ASSOCIAZIONE ha ampiamente e documentalmente dimostrato la sua legittimazione all’accesso di documenti che possa riguardare le posizioni soggettive degli associati, ma soprattutto essa ha dimostrato di aver anche chiesto l’ostensione documentale per tutelare una propria posizione soggettiva, quale è quella di essere correttamente sottoposta alla verifica circa il possesso dei requisiti per restare iscritta nell’elenco della associazione antiracket ed antiusura, attività di verifica che invece si sarebbe illegittimamente spinta fino a conoscere natura ed estremi dei rapporti tra gli associati e l’ASSOCIAZIONE medesima, indagine non richiesta dalla normativa di riferimento, vale a dire il D.M. interno n. 220 del 2007.

Ne consegue che anche la necessaria ed ulteriore verifica circa la sussistenza dell’interesse dell’ASSOCIAZIONE ad accedere ai documenti richiesti, obbligatoriamente parametrata agli atti incidenti sulla propria sfera soggettiva e, dunque, verificata in relazione alla idoneità di tali atti ad interferire con specificità ed immediatezza su tale posizione, si conclude nel senso della sussistenza di tale interesse (ciò, quanto meno, in via generale. Nel prosieguo si verificherà che, al contrario, con riguardo agli specifici documenti richiesti la legittimazione e l’interesse dell’ASSOCIAZIONE non sono stati da questa provati, né sono evincibili aliunde).

Quanto poi alla asserita genericità della richiesta, anche tale controdeduzione non può essere condivisa in quanto, per costante insegnamento giurisprudenziale, l’onere di precisare e puntualizzare la indicazione degli atti oggetto della richiesta di accesso non va inteso in modo eccessivamente formalistico e rigoroso, specie se si riferisce a procedimenti amministrativi molto articolati e complessi, nel qual caso gli interessati potrebbero non essere a conoscenza neppure dei singoli atti che li compongono, pertanto anche in difetto di puntuale indicazione, l’istanza deve considerarsi ammissibile allorché contenga quel minimo di elementi che consenta l’individuazione dei documenti richiesti (cfr., tra le molte, T.A.R. Lazio, Sez. III, 16 giugno 2006 n. 4667). Nel caso di specie, una volta individuato il procedimento in corso (e cioè l’indagine dell’AUTORITA" sui metodi adottati dagli Uffici competenti per la verifica sulla permanenza dei requisiti per mantenere l’iscrizione negli elenchi del Ministero dell’interno), l’associazione richiedente l’accesso aveva assolto al proprio onere.

6. – Va ora affrontato il decisivo tema, suggerito dalla difesa erariale nella puntuale memoria depositata, circa l’inaccessibilità dei documenti richiesti in quanto secretati nel regolamento del Ministero dell’interno del 1995 e per tale ragione "automaticamente e di rimbalzo" resi inaccessibili dall’AUTORITA’, per il rispetto alla specificità dell’atto attribuita dall’Amministrazione che ebbe a formare i documenti ora detenuti e quindi richiesti all’AUTORITA" medesima.

La questione ruota tutta sulla attuale portata ed efficacia dell’art. 3, comma 1, lett. a), del D.M. 10 maggio 1994 n. 415 secondo il quale sono sottratti all’accesso le "relazioni di servizio ed altri atti o documenti presupposto per l’adozione degli atti o provvedimenti dell’autorità nazionale e delle altre autorità di pubblica sicurezza, nonché degli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza, ovvero inerenti all’attività di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica o di prevenzione e repressione della criminalità, salvo che si tratti di documentazione che, per disposizioni di legge o di regolamento, debba essere unita a provvedimenti o atti soggetti a pubblicità".

Tale scrutinio appare di fondamentale rilievo ogni qualvolta una Amministrazione opponga una ipotesi regolamentare di esclusione impeditiva di un richiesto accesso documentale, tenuto conto che costituiscono ormai principi acquisiti dalla giurisprudenza amministrativa i seguenti passaggi assertivi:

a) il diritto di accesso ai documenti amministrativi, di cui all’art. 22 della legge n. 241 del 1990, posto a garanzia della trasparenza ed imparzialità della Pubblica amministrazione, trova applicazione in ogni tipologia di attività di quest’ultima e in linea di principio, dunque, l’Amministrazione detentrice dei documenti amministrativi, purché direttamente riferibili alla tutela di un interesse personale e concreto, non può limitare il diritto di accesso, se non per motivate esigenze di riservatezza (cfr. T.A.R. Lazio, Sez. III, 5 novembre 2009 n. 10838);

b) il riconoscimento nel nostro ordinamento del principio di pubblicità dei documenti amministrativi, attuato con la legge n. 241 del 1990, comporta che il segreto amministrativo, già regola, deve ora essere considerato eccezione (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 7 febbraio 1997 n. 5);

c) qualora l’accesso ai documenti amministrativi sia motivato dalla cura o la difesa di propri interessi giuridici, prevale sull’esigenza di riservatezza del terzo (cfr. T.A.R. Lazio, Sez. II, 23 dicembre 2008 n. 12300);

d) l’interesse alla riservatezza, tutelato dalla legge n. 241 del 1990 mediante una limitazione del diritto di accesso, recede quando l’accesso stesso sia esercitato per la difesa di un interesse giuridico, nei limiti in cui esso è necessario alla difesa di quell’interesse" (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 12 aprile 2007 n. 1699);

e) l’art. 8, comma 5, lett. d), del regolamento approvato con DPR 27 giugno 1992 n. 352 (ancora in vigore per quanto successivamente meglio si specificherà), pur ammettendo la possibilità di sottrarre all’accesso alcune categorie di documenti, fa comunque salva la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro stessi interessi giuridici, sicché lo specifico interesse (riconoscibile in capo ad un terzo che potrebbe essere pregiudicato dall’ostensione ovvero in capo alla Pubblica amministrazione ovvero alla generalità dei consociati) tutelato dalla normativa mediante una limitazione del diritto d’accesso è destinato a recedere quando l’accesso stesso sia esercitato per la difesa di un interesse giuridico, nei limiti in cui esso è necessario alla difesa di quell’interesse (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 11 marzo 2010 n. 1453);

f) l’accesso ai documenti amministrativi va consentito anche quando la relativa istanza sia preordinata alla loro utilizzazione in giudizio (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 28 aprile 1999 n. 6);

g) il diritto di accesso ai documenti previsto dagli artt. 22 ss. della legge n. 241 del 1990, per come confermato dal chiaro disposto dell’art. 59 del c.d. Codice della privacy, è finalizzato alla trasparenza e pubblicità dell’azione amministrativa, sicché se pure suscettibile di deroga, prevale rispetto alla tutela della riservatezza, specialmente a fronte dell’esigenza di cura e difesa di interessi giuridicamente rilevanti dei ricorrenti; pertanto tale diritto deve essere riconosciuto in merito alla richiesta volta all’ostensione di documenti necessari ai fini della proposizione di un’azione giudiziaria (cfr. T.A.R. Sardegna, Sez. I, 10 giugno 2010 n. 1435);

h) allorquando venga presentata una richiesta di accesso documentale motivata con riferimento alla necessità di tutelare i propri interessi nelle competenti sedi giudiziarie, l’accesso non può essere negato (cfr. TAR Sicilia, Catania, Sez. IV, 9 marzo 2007 n. 437);

i) comunque la posizione che legittima all’accesso non deve necessariamente possedere tutti i requisiti stabiliti per la proposizione del ricorso al giudice amministrativo avverso un atto lesivo della posizione giuridica vantata, essendo sufficiente che l’istante sia titolare di un interesse giuridicamente rilevante e che il suo interesse alla richiesta di documenti si fondi su tale posizione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 27 ottobre 2006 n. 6440);

l) la nozione di situazione giuridicamente rilevante, per la cui tutela è attribuito il diritto di accesso, è nozione diversa e più ampia rispetto all’interesse all’impugnativa e non presuppone necessariamente una posizione soggettiva qualificabile in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo; così che la legittimazione all’accesso va riconosciuta a chiunque possa dimostrare che gli atti procedimentali oggetto dell’accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l’autonomia del diritto di accesso inteso come interesse ad un bene della vita distinto rispetto alla situazione legittimante all’impugnativa dell’atto (cfr. T.A.R. Lazio, Sez. I, 8 marzo 2011 n. 2083).

7. – Può quindi affermarsi ancora una volta che:

A) (anche ai sensi del chiaro disposto di cui all’art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990) l’accesso ai documenti amministrativi, quando è strumentale alla cura ovvero alla tutela giudiziale di un interesse, prevale comunque sulla tutela della riservatezza nonché sulle ulteriori esigenze di limitazione all’accesso quando queste non siano giustificate dalla presenza di preminenti interessi (di singoli o superindividuali) da mantenere indenni dal rischio di compromissione, sempreché, in una ipotetica scala di valori, si pongano ad un livello sovraordinato rispetto alla garanzia di tutela (anche giudiziale) della posizione soggettiva del richiedente l’accesso;

B) che tale previsione di rango primario, può essere limitata nella sua applicazione soltanto da una disposizione contenuta in una fonte equiordinata;

C) che tale fonte non può essere costituita dal decreto ministeriale n. 415 del 1994, atteso che la fonte regolamentare – dovendosi necessariamente rispettare il sistema della gerarchia tra le fonti – può soltanto identificare quelle categorie di atti che la fonte normativa individua come (giustificatamente) idonei ad essere esclusi dal generale diritto di accesso nel caso in cui quest’ultimo si "indispensabile" alla cura e tutela giudiziale della posizione del richiedente l’accesso;

D) che tale interpretazione delle norme contenute nell’art. 24 della legge n. 241 del 1990 è la sola possibile, in quanto opinando diversamente non si attribuirebbe alcun valore all’intendimento legislativo che ha dimostrato di voler creare una norma di chiusura del sistema di accesso documentale (utilizzando emblematicamente l’avverbio "comunque"), pur sempre limitando l’esercizio del potere di ostensione a quanto sia "strettamente indispensabile" per la salvaguardia dei valori costituzionali di difesa del cittadino dinanzi all’azione della P.A., che trovano albergo negli artt. 24, 103 e 113 cost. nonché nel principio di parità delle parti ai sensi dell’art. 111 cost. (ed oggi anche, dell’art. 1 c.p.a.).

In conclusione, dunque, le disposizioni regolamentari ostative all’accesso ai documenti detenuti dal Ministero dell’interno, di cui (nella specie) all’art. 3, comma 1, lett. a), del D.M. n. 415 del 1994, mantengono ferma la propria efficacia impeditiva rispetto a richieste ostensive fino a quando tali documenti non abbiano contribuito a definire il presupposto per una effettiva lesione della posizione soggettiva vantata dal richiedente, in questo caso dall’ASSOCIAZIONE.

8. – Specificato quanto sopra si può ora giungere al termine della qui esercitata indagine e formulare la soluzione del contenzioso sottoposto all’esame del Collegio.

Va premesso che il percorso svolto, tenuto conto di quanto indicato nelle difese e nei documenti prodotti dalle parti controvertenti, ha avuto modo di far emergere la presenza due linee di valutazione circa la fondatezza o meno del gravame proposto dall’ASSOCIAZIONE:

A) la compatibilità della richiesta ostensiva con riferimento alla tutela della riservatezza degli associati, destinatari delle comunicazioni telefoniche degli uffici prefettizi, dal momento che i documenti richiesti ben potrebbero contenere dati sensibili e giudiziari;

B) la ridetta compatibilità con la secretazione degli atti formati dal Ministero dell’interno quando rientrino nella categoria di cui in all’art. 3, comma 1, lett. a), del D.M. 10 maggio 1994 n. 415.

Rispetto alla linea indicata sub A) va ribadito che l’accesso documentale:

a) nella necessaria comparazione concreta con la tutela della riservatezza quest’ultima deve recedere dinanzi alla provata esigenza del richiedente l’accesso di curare o difendere la propria posizione soggettiva (anche) con i documenti fatti oggetto dell’istanza ostensiva (si veda, pure sul tema, l’art. 71 del Codice per la protezione dei dati personali e, più in generale, sulla possibilità di ottenere copia di atti contenenti dati relativi alla sfera di salute di terzi, quando la situazione da tutelare attenga a sua volta a diritti di particolare rilevanza: in tal senso cfr. Cons. Stato, Sez. V, 28 settembre 2010 n. 7166 nonché T.A.R. Liguria Genova, sez. II, 26 febbraio 2004 n. 213);

b) nello stesso tempo e nel rispetto del dettato di cui all’art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990, quando i documenti richiesti contengano dati sensibili e/o giudiziari, occorre dimostrare da parte del richiedente che tali documenti (e dati) siano "strettamente indispensabili" alla cura e tutela della posizione del richiedente l’accesso (cfr. Cons. stato, Sez. V, 17 settembre 2010 n. 6953);

c) infatti il legislatore ha chiaramente specificato come non bastino esigenze di difesa genericamente enunciate per garantire l’accesso, dovendo quest’ultimo corrispondere ad una effettiva necessità di tutela di interessi che si assumano lesi; tutela ammessa solo nei limiti in cui sia la conoscenza di documenti, contenenti "dati sensibili e giudiziari", sia strettamente indispensabile (cfr. T.A.R. Lazio, Sez. III, 14 aprile 2010 n. 6915);

d) pertanto, dinanzi ad una mancanza di prova circa la stretta indispensabilità dell’ostensione richiesta, l’istante al fine di ottenere l’accesso non può neppure chiedere soccorso all’art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990, che va letto nella sua esatta portata, dovendosi sempre trovare il giusto punto di equilibrio tra diritto di difesa e diritto alla privacy. Occorre, dunque, la dimostrazione di una rigida "necessità" e non mera "utilità" del documento in questione (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 12 gennaio 2011 n. 117).

Nel caso di specie i dati che potrebbero essere contenuti nella documentazione richiesta dall’ASSOCIAZIONE, anche in virtù di quanto si evince dalla documentazione prodotta, rientrerebbero nella categoria dei dati giudiziari di pertinenza non dell’ASSOCIAZIONE, ma dei singoli associati contattati dagli uffici prefettizi e relativi alla storia giudiziaria degli stessi, rispetto alla quale l’ASSOCIAZIONE neppure quale ente esponenziale, vanta alcuna legittimazione né interesse a conoscerne i contenuti (non riscontrandosi nella specie alcuna autorizzazione specifica degli associati ad accedere per i tramite dell’ASSOCIAZIONE), sicché sotto tale profilo e per tutte le porzioni dei documenti richiesti che contengono dati inscrivibili nella categoria dei "giudiziari" (ex art. 4, comma 1, lett. d), del codice della protezione dei dati personali), il richiesto accesso documentale non può essere accolto.

D’altronde l’ASSOCIAZIONE non ha provato quale stretto ed intimo legame intercorra tra i dati giudiziari relativi agli associati e la tutela della sua posizione soggettiva, non rinvenendosene neppure embrionalmente spie nella vicenda per come è stata descritta dall’ASSOCIAZIONE stessa.

9. – Neppure può trovare accoglimento l’istanza di accesso e, conseguentemente il qui proposto ricorso, sotto il versante della prevalenza delle esigenze di tutela della posizione dell’ASSOCIAZIONE rispetto alla manifestata necessità per l’Amministrazione dell’interno di mantenere secretati i dati contenuti nella documentazione fatta oggetto di istanza ostensiva, perché coincidenti "con relazioni di servizio ed altri atti o documenti presupposto per l’adozione degli atti o provvedimenti dell’autorità nazionale e delle altre autorità di pubblica sicurezza, nonché degli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza, ovvero inerenti all’attività di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica o di prevenzione e repressione della criminalità, salvo che si tratti di documentazione che, per disposizioni di legge o di regolamento, debba essere unita a provvedimenti o atti soggetti a pubblicità".

Per quanto si è sopra chiarito, tale esigenza di segretezza dovrebbe recedere rispetto ad una istanza di accesso che manifesti una peculiare ed evidente necessità di garantire la tutela della posizione soggettiva dell’ASSOCIAZIONE, ma allo stato ed in base a quanto la stessa ASSOCIAZIONE ha avuto modo di riferire – in sede procedimentale all’AUTORITA" e nella presente sede giudiziale al Tribunale – non balza all’evidenza alcun pericolo o conseguenza che possa pregiudicare, neppure potenzialmente, la posizione soggettiva o gli interessi propri dell’ASSOCIAZIONE e dei suoi associati, non emergendo l’adozione di alcun intervento afflittivo o sfavorevole nei confronti della ridetta associazione e dei suoi aderenti che derivi dall’indagine svolta dagli uffici prefettizi e denunciata dall’ASSOCIAZIONE.

10. – Trasponendo i suesposti principi e considerazioni alla fattispecie in esame emerge l’infondatezza della richiesta di accesso avanzata dall’ASSOCIAZIONE anche nella presente sede giudiziale, con conseguente reiezione del ricorso proposto.

Stima, infine, il Collegio che sussistano gravi ragioni, in considerazione della novità e complessità delle questioni sottese alla presente decisione, per compensare integralmente tra le parti intimate le spese di giudizio, ai sensi degli artt. 92 c.p.c. novellato per come richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a..

P.Q.M.

pronunciando in via definitiva sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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