Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 20-04-2011) 05-08-2011, n. 31346

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Corte d’Appello di Milano, con sentenza 23/2/2009, confermava la decisione 10/10/2007 del Tribunale di Pavia, che aveva dichiarato P.A. colpevole del reato di peculato continuato – perchè, quale amministratore del Foglio Annunzi Legali (F.A.L.) della provincia di (OMISSIS), avendo per ragione del suo ufficio la disponibilità delle somme riscosse a seguito delle inserzioni sul F.A.L., si era appropriato, nel periodo 1998/2001, la somma di circa L. 149 milioni – e lo aveva condannato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena principale di anni tre e mesi sei da reclusione (condonati anni tre ex L. n. 241 del 2006) e a quella accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici.

Il Giudice distrettuale evidenziava che la responsabilità dell’imputato era provata dalle testimonianze di E.C., Pe.Fr., S.A., dalle dichiarazioni ex art. 210 cod. proc. pen., di Sc.Ro. e soprattutto dagli accertamenti contabili espletati dalla dirigente della Prefettura di Alessandria, F.P., la quale aveva riscontrato, sulla base della documentazione esaminata, una discordanza, pari circa al 50%, tra l’importo della somme effettivamente riscosse per il servizio F.A.L., con riferimento particolare al conto giudiziale, e l’importo delle somme versate al Ministero tramite la Banca d’Italia, con un ammanco complessivo di circa L. 149 milioni, in relazione al quale il P., responsabile del servizio, non era stato in grado di fornire alcuna plausibile giustificazione, ma aveva formulato solo delle ipotesi, insinuando che altre non meglio identificate persone che lo avevano sostituito in occasione di sue assenze dal lavoro, potessero essersi appropriate del denaro.

2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, deducendo il vizio di motivazione in ordine sia al formulato giudizio di colpevolezza, affidato a mere presunzioni desunte dal constatato disordine contabile, sia all’eccessivo aumento di pena per la continuazione.

3. Il ricorso è inammissibile, in quanto le censure in esso articolate, con riferimento al giudizio di colpevolezza, mirano ad accreditare una diversa ricostruzione dei fatti, basata, peraltro, su mere ipotesi non supportate da alcun dato probatorio, operazione questa non consentita in questa sede e non idonea ad attivare la sollecitata verifica di legittimità sulla sentenza di merito, il cui percorso argomentativo, ancorato a dati di fatto oggettivi, da conto, in maniera adeguata e logica, delle ragioni che giustificano la conclusione alla quale perviene, evidenziando incisivamente che i riscontrati ammanchi, in quanto protrattisi per un lungo periodo (quattro anni), con una media costante pari al 50% delle somme riscosse, non potevano ascriversi a mero disordine contabile o all’omesso controllo dell’operato delle persone che occasionalmente avevano sostituito il P. nella gestione del F.A.L.. Non può trovare spazio in questa sede neppure la doglianza relativa alla determinazione dell’aumento di pena per la continuazione. Tale aumento, affidato alla scelta discrezionale del giudice di merito, è stato contenuto nella misura complessiva di un anno e sei mesi sulla pena base, fissata nel minimo, di anni due di reclusione (l’art. 81 cpv. cod. pen. prevede l’aumento per la continuazione fino al triplo della pena base).

4. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla cassa delle ammende della somma, che stimasi equa, di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *