T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, Sent., 14-09-2011, n. 2211 Variazioni del lavoro

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La ricorrente è società attiva nel settore del trasporto pubblico ed ha gestito fino a tempi recenti il servizio di trasporto dei prodotti postali nell’ambito delle Province lombarde.

Con lettera di invito del 19 marzo 2009, P. italiane ha avviato una procedura concorsuale ai fini dell’aggiudicazione di un accordo quadro (art. 222 del D.Lgs. n. 163 del 2006), avente ad oggetto tale ultimo servizio, suddiviso in 22 lotti: ciascun lotto si ripartisce nelle linee di servizio, caratterizzate dal percorso, dalla frequenza, dalla tipologia dei veicolo da impiegare. In particolare, tra i mezzi di trasporto richiesti, sono stati inseriti veicoli descritti dall’All. 11 (d’ora in poi, semplicemente, All. 11), avente una stazza di significative dimensioni.

La ricorrente ha partecipato alla gara con riferimento soltanto a taluni lotti, di nessuno dei quali è divenuta aggiudicataria, ritenendo, secondo quanto riferito in ricorso, eccessivamente gravoso il peso economico imposto, negli altri lotti, dalla necessità di reperire i veicoli di cui all’All. 11.

Con ricorso ritualmente notificato e depositato, essa ha impugnato: a) i provvedimenti di aggiudicazione dei servizi; b) i provvedimenti modificativi delle condizioni dell’appalto; c) i verbali di gara; d) gli artt. 1 e 2 del capitolato speciale e delle disposizioni contrattuali, nonché gli artt. 8 e 9 del capitolato tecnico e l’art. 5 della lettera di invito, chiedendone l’annullamento, e formulando domanda risarcitoria.

L’assunto da cui muove il ricorso è il seguente: a seguito dell’aggiudicazione, e prima ancora di consegnare i cosiddetti "buoni servizio", con cui esso è attivato tramite specifica dettagliata degli estremi, Ente P. vi avrebbe introdotto modifiche tali, da far ipotizzare che la procedura di gara sarebbe stata "abbandonata", e che, conseguentemente, i servizi in effetti attivati sarebbero del tutto nuovi rispetto a quelli sottoposti alla gara: essi, pertanto, sarebbero stati in realtà affidati in difetto delle necessaria e preventiva procedura concorsuale, concretando un grave vizio di legittimità.

Le modifiche, nello specifico, avrebbero interessato proprio la tipologia dei veicoli richiesti, giacchè quelli dell’All. 11 sarebbero stati sostituiti da mezzi più leggeri, con l’effetto che la ricorrente, potendolo sapere in anticipo, avrebbe senz’altro partecipato alla gara, con chance di aggiudicarsela. Ove, quindi, il Tribunale non si dovesse indurre ad annullare gli atti impugnati, sarebbe fondata la domanda risarcitoria, in riferimento alla perdita di tale chance.

Tale conclusione esaurisce il primo, e principale, motivo di ricorso (motivo a) fondato sulla violazione degli art. 2 e 11 del del D.Lgs. n. 163 del 2006, con riferimento anche ai principi comunitari in materia di gare pubbliche, e sulla violazione del capitolato speciale. Simile motivo è stato successivamente coltivato con tre ricorsi per motivi aggiunti, che sono stati via via proposti nelle more del giudizio, al fine di aggredire gli "ulteriori singoli affidamenti ai controinteressati di servizi, siccome diversi da quelli risultanti dagli accordoquadro" (con l’eccezione dei primi motivi aggiunti, ove tale precisazione manca). In ogni caso, anche con riferimento al primo ricorso recante motivi aggiunti, fin d’ora va escluso che la ricorrente abbia inammissibilmente introdotto nuove, tardive censure, come eccepito da controparte, poiché, pur richiamando altre disposizioni normative rilevanti (art. 14 della direttiva 17/2004/CE; artt. 221 e 222 del D.Lgs. 163/06) la doglianza appena descritta rimane del tutto immutata nei suoi elementi costitutivi, in fatto e in diritto.

Va aggiunto che solo a seguito di ordinanza di questo Tribunale Ente P. ha posto a disposizione i documenti di cui la ricorrente necessitava per articolare compiutamente le proprie censure: mediante i ricorsi per motivi aggiunti la ricorrente ha potuto così specificare, lotto per lotto, quali modifiche sostanziali fossero intervenute, a suo parere, tra i servizi oggetto dell’accordo quadro ed i servizi effettivamente aggiudicati. Il ricorso non è dunque né ipotetico, né generico.

Una seconda doglianza (motivo b) concerne la pretesa anomalia delle offerte risultate vincitrici, in relazione all’art. 86 del D.Lgs. n. 163/06. A propria volta, essa è stata ampiamente sviluppata in tutti i tre ricorsi per motivi aggiunti.

Con il secondo ricorso per motivi aggiunti, infine, sono state introdotte ulteriori contestazioni, in ordine a pretese "modifiche qualitative" conseguenti all’"affidamento del servizio con veicoli non conformi": benché introdotto in seno al motivo a), in tal modo si lamenta che le imprese aggiudicatarie non abbiano adempiuto agli obblighi contrattuali, impiegando ai fini del servizio veicoli inidonei, alla luce delle verifiche disposte dallo stesso Ente P.: si tratta, dunque, di una nuova censura (motivo c).

2. Si sono costituite P. italiane e le controinteressate C.D.C. s.r.l., Consorzio laziale Cooperative C., Consorzio Stabile C., chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile, e nel merito infondato.

È inammissibile, tra le eccezioni preliminari, quella di difetto di competenza territoriale di questo Tribunale, a favore del TAR Lazio, poiché non è stato proposto il regolamento di competenza ex art. 31 della L. n. 1034 del 1971, applicabile ratione temporis alla fattispecie.

Le eccezioni di inammissibilità si basano anzitutto sulla tardività del ricorso, poiché la ricorrente avrebbe dovuto impugnare nei termini il bando, ove ritenuto lesivo della facoltà di partecipare alla procedura; poi, sulla carenza di interesse, giacché è incontestato che in nessuno dei lotti per cui ha concorso la ricorrente possa vantare pretese all’aggiudicazione, essendo le relative offerte collocate in graduatoria dopo numerose altre, di cui non si è dedotta l’anomalia (con l’effetto che, se anche si dovessero escludere le aggiudicatarie, la ricorrente non potrebbe ambire all’appalto).

Tale ultima conclusione varrebbe, a maggior ragione, in riferimento ai lotti per i quali la ricorrente ha rinunciato a partecipare.

Nel merito, si osserva che P. italiane si sarebbe limitata ad esercitare lo ius variandi specificamente previsto nel capitolato speciale d’oneri all’art. 2, ove è stabilito che i quantitativi oggetto di aggiudicazione non sono impegnativi e potranno subire variazioni in ragione delle effettive esigenze dell’ente appaltante. Gli artt. 8 e 9 del capitolato tecnico precisano, poi, che è consentita a P. italiane "in corso di validità del buono di consegna" una "variazione delle prestazioni contrattuali" cui "l’impresa è tenuta" ad assoggettarsi, "nei limiti del più o meno 20% del valore del buono stesso, con contestuale adeguamento economico". L’art. 9.4 aggiunge, infine, che la variazione può riguardare la tipologia dei veicoli. Nel caso di specie, l’appaltatore si sarebbe attenuto al limite così indicato del 20%, sicché la censura principale (motivo a) sarebbe infondata.

Nel corso del giudizio, disattesa l’istanza cautelare di sospensiva, il Tribunale ha disposto verificazione, al fine di acclarare i punti in fatto controversi; si è reso, altresì, necessario un supplemento di verificazione, al termine del quale la causa va ritenuta matura per la decisione.

3.In via preliminare, vanno quindi valutate le eccezioni in rito. A tal scopo, è necessario avanzare una premessa logica, in base alla quale apprezzare l’intero ricorso. Esso contiene, infatti, un duplice ordine di doglianze. Con riferimento al motivo principale a), si lamenta una violazione consistita nell’affidamento di un servizio in difetto di gara, giacché la procedura di appalto non costituirebbe titolo idoneo a giustificare l’attribuzione di un opus radicalmente difforme, rispetto a quello sottoposto alla procedura concorsuale. In tale prospettiva, la legittimazione ad impugnare l’affidamento non ha alcun rapporto con la partecipazione alla gara, e consegue alla pacifica circostanza per cui la ricorrente è operatrice del settore, per giunta in veste di precedente affidataria, e come tale avrebbe avuto interesse a concorrere, con riguardo al servizio effettivamente attivato. Non vi è dubbio, pertanto, che le eccezioni di inammissibilità siano, in tal caso, infondate.

Invece, con i motivi b) e c) la ricorrente torna ad indossare la veste della partecipante alla gara per l’aggiudicazione dell’accordo quadro: essa, infatti, lamenta l’anomalia di offerte (b) che avrebbero dovuto condurre all’esclusione dell’aggiudicataria di tale gara, e persino (c) l’inadempimento contrattuale in cui le aggiudicatarie sarebbero incorse, mancando di prestare i mezzi richiesti dalla stazione appaltante, o comunque impegnando veicoli inidonei. Come è evidente, la censura b), per rendersi ammissibile, avrebbe dovuto basarsi sull’accertamento dell’interesse della ricorrente a conseguire l’aggiudicazione, a seguito dell’esclusione del concorrente con offerta anomala. È al contrario incontestato che tale interesse manca, posto che la ricorrente per taluni lotti non ha proposto domanda, e per altri è soccombente rispetto ad altri concorrenti, la cui offerta non è stata contestata in ricorso. Quanto, poi, alla censura c), si tratta di un profilo connesso all’esecuzione del sinallagma contrattuale, non avente alcun rapporto con la gara. Ne segue che le censure b) e c) vanno dichiarare inammissibili, e che nessun rilievo in causa hanno le deduzioni svolte sul punto dal verificatore.

4.Va pertanto esaminata nel merito la sola censura principale, nei limiti in cui è diretta a contestare la legittimità di affidamenti asseritamente non preceduti da gara, anche ai fini del risarcimento del danno, sulla base del rilievo per cui le modifiche introdotte dalle P. avrebbero stravolto l’oggetto del contratto, rispetto a quanto posto in gara.

Si tratta di un punto particolarmente sensibile della disciplina concernente gli appalti pubblici, su cui è di immediata evidenza come l’impatto del diritto dell’Unione sull’ordinamento giuridico nazionale possa determinare una palingenesi di concetti tradizionalmente maturati in senso a quest’ultimo, oramai piegati secondo le preminenti esigenze comunitarie, fino ad assumere, pur nell’identità nominalistica e nell’apparente staticità del dato di diritto positivo, una valenza del tutto nuova.

E’ noto che lo ius variandi è elemento che connota di per sé il contratto di appalto, per come esso è configurato nella disciplina codicistica di diritto comune, in ragione dell’esigenza di adeguare progressivamente l’oggetto della prestazione continuata alle mutevoli condizioni di fatto su cui si innesta la realizzazione dell’opus.

In tale contesto, l’art. 1611 cod. civ., nell’imporre un tetto quantitativo alle variazioni in aumento disposte dall’appaltante, non intende specificamente preservare l’identità della prestazione sinallagmatica, ma piuttosto si prefigge la scopo di tutelare l’appaltatore da un lievitazione dell’oggetto contrattuale, cui potrebbe non essere capace di far fronte con i mezzi che ha prevedibilmente posto a disposizione, secondo l’ordinaria diligenza, per realizzare l’opus.

Si capisce, dunque, la ragione per la quale si è da un lato tradizionalmente escluso che negli appalti privati vi siano limiti alle variazioni in diminuzione, e dall’altro si è ritenuto che le parti, nell’esercizio della propria autonomia contrattuale, ben possano accordarsi, affinchè le stesse variazioni in aumento vengano comandate dall’appaltante oltre i limiti di carattere dispositivo indicati dall’art. 1661 cod. civ.

La trasposizione di simili principi nel settore degli appalti pubblici di lavori, fin dall’art. 344 della legge n. 2248 del 1865 All. F, solo in apparenza è avvenuta preservandone integralmente la ratio civilistica.

La disciplina si arricchisce infatti, rispetto alla progenitrice di diritto comune, di una ragione ulteriore, che impinge squisitamente nei profili pubblistici implicati dal fatto che stazione appaltante è la P.A.: scopo del legislatore, in particolare, diviene vieppiù la prevenzione di un’esplosione incontrollata del prezzo dell’appalto, dipendente dalla variazione in aumento, e capace di determinare una compromissione delle esigenze di finanza pubblica (come è noto, già particolarmente drammatiche nei primi decenni dell’unità d’Italia).

Ne segue che la determinazione di limiti allo ius variandi viene accompagnata da misure procedurali che, perlomeno nelle intenzioni del legislatore, avrebbero dovuto essere in grado di limitare il ricorso a tale strumento, e comunque il superamento del cosiddetto quinto d’obbligo (ad es, art. 9 del R.d. n. 2440 del 1923). Nel contempo, il predetto limite si estende alle varianti in diminuzione, ma nella sola ottica di preservare l’interesse dell’appaltatore a conseguire il profitto posto a gara, incentivando la partecipazione alla procedura: difatti, da un lato resta comunque ammissibile un accordo tra le parti che determini lo sfondamento, anche in aumento, del tetto imposto allo ius variandi (art. 14 del d.P.R. n. 1063 del 1962, intervenuto in una fase storica di minore controllo del debito pubblico); dall’altro lato, sono consentite le variazioni in diminuzione di carattere migliorativo proposte dall’appaltatore, ex art. 11 del D.M. n. 145 del 2000, ora sostanzialmente riprodotto dall’art. 162, comma 3, del D.Lgs. n. 163 del 2006).

A monte dell’ingresso sulla scena del diritto dell’Unione la disciplina nazionale dello ius variandi nell’appalto pubblico esprime dunque una politica del diritto sensibile al contenimento dei costi ed alla tutela dell’interesse dell’appaltatore ad eseguire il contratto, e solo marginalmente intesa a garantire l’identità dell’oggetto contrattuale posto a gara con le prestazioni effettivamente rese.

Non che tale ultimo obiettivo non possa a propria volta fondarsi su esigenze degne di rilievo nell’ambito del solo ordinamento nazionale, ma, limitandosi a quest’ultimo, è certamente consentito al legislatore rendere prevalenti ulteriori, e non perfettamente coincidenti, finalità, altrettanto meritevoli di protezione.

Il diritto dell’Unione, al contrario, ben può disinteressarsi ai profili di finanza pubblica, per incentrare la propria attenzione su di un’esigenza assolutamente vitale nel proprio ambito, ovvero che sia garantita l’identità tra oggetto della gara ed oggetto del contratto effettivamente aggiudicato, e poi effettivamente eseguito in conformità all’assetto iniziale delle prestazioni pattuite. In caso diverso, infatti, sarebbe fin troppo agevole aggirare il principio di libertà di concorrenza, e le correlate regole di evidenza pubblica, costruendo un regolamento contrattuale tale da disincentivare le imprese del settore a partecipare alla gara, per poi ricondurre il contratto ad altro, più armonico equilibrio, a favore dell’aggiudicatario.

Una tale finalità viene a colorare direttamente le disposizioni nazionali vigenti, assumendo quel profilo di primazia che connota i principi del diritto dell’Unione, ed impone di interpretare il diritto nazionale in conformità ad essi. Nel contempo, se compatibili con questi ultimi, l’interprete è tenuto ad assicurare che non siano frustrati i principi, di rilevanza costituzionale, sottesi all’ordinamento dello Stato membro.

La giurisprudenza più recente, infatti, si è orientata progressivamente verso l’opinione per cui il superamento del quinto d’obbligo implichi la sopravvenienza tra le parti di un "nuovo contratto, autonomo rispetto a quello originario" (Cons. Stato, sez. IV, n. 5931 del 2004), che comporta il ricorso ad una nuova procedura concorsuale (Cons. Stato, sez. IV, n. 833 del 1988).

Ma proprio la necessità di integrare la lettura del diritto comunitario con i principi generali del diritto nazionale rende, a parere di questo Tribunale, non condivisibile e sproporzionata rispetto alle esigenze dell’Unione l’idea, pure coltivata in passato da parte della giurisprudenza, che negli appalti di servizi lo ius variandi non sia tout court configurabile (nel senso criticato, Cons. Stato, sez. V, n. 6281 del 2002).

Così ragionando, la P.A. sarebbe sottratta, in peius, ad una disciplina di diritto comune che risponde alla natura intrinseca del contratto di appalto, trovandosi in condizioni deteriori rispetto all’appaltante privato, proprio laddove non è la sola qualità della posizione delle parti nel sinallagma contrattuale, ma lo stesso interesse pubblico, implicato dalla realizzazione di un’opus conforme ai bisogni della collettività, ad imporre che così non sia.

Inoltre, non vi è motivo per ritenere l’attribuzione dello ius variandi in sé contraria al diritto dell’Unione, che non può certo disconoscere in toto la necessità di adeguamenti in corso d’opera della prestazione inizialmente pattuita.

E comunque, per quanto esso comporti una modifica all’originario assetto posto a gara, tuttavia, qualora siffatta alterazione sia marginale, ovvero sia comunque contenuta nei limiti espressamente previsti dalla legge o dal disciplinare, si resta in un campo perimetrato dal regolamento di gara, prevedibile da parte dei concorrenti nell’an e nel quantum. Ciò, a condizione che la clausola di ius variandi non sia così ampia, da vanificare ogni consequenzialità tra pattuizione originaria, e prestazione modificata.

Naturalmente, in tal modo si renderà necessaria in primo luogo una valutazione circa la congruità della clausola, anche in rapporto all’oggetto del contratto; in secondo luogo, una verifica sull’effettiva applicazione di essa, al fine di evitare lo stravolgimento dell’assetto messo a gara, in aumento o in diminuzione (anche in quest’ultimo caso, infatti, paiono presenti le esigenze comunitarie di preservazione dell’identità dell’oggetto, che solo la prospettiva nazionale di coordinamento della finanza pubblica può trascurare).

A queste condizioni, e a prescindere dall’entrata in vigore del d.P.R. n. 207 del 2010 (il cui art. 311, in attuazione dell’art. 114, comma 2, del D.Lgs. n. 163 del 2006, ha regolamentato l’esercizio dello ius variandi negli appalti di servizi), posteriore alla conclusione della gara per cui è causa, si deve ritenere legittima anche negli appalti di servizi l’apposizione di una clausola del disciplinare, che permetta alla stazione appaltante di modificare l’oggetto del contratto, purché non ne venga alterata in modo assoluto la natura ( art. 1661, comma 2, c.c.).

Nel contempo, per assicurare sul piano del diritto comunitario che la variazione non divenga uno strumento di elusione della libertà di concorrenza affidato all’esclusiva discrezionalità del soggetto pubblico, la legge (art. 25 della L. n. 109 del 1994; art. 132 del D.Lgs. n. 163 del 2006; art. 114, comma 2, del D..Lgs. n. 163 del 2006, in relazione all’art. 311 del d.P.R. n. 207 del 2010) impone che lo ius variandi sia impiegato per far fronte ad esigenze sopravvenute alla predisposizione del regolamento di gara.

Pertanto, nel perseguimento di una soluzione bilanciata tra gli interessi in gioco così riassunti, e comunque anticipando l’esito delle ulteriori questioni rilevanti in causa sul punto, si possono ipotizzare i seguenti risultati: a) alla stazione appaltante pubblica spetta lo ius variandi, purchè esso sia contenuto, sulla base della legge o comunque del regolamento di gara, entro limiti quantitativi non manifestamente sproporzionati e perciò stesso contrari al diritto dell’Unione; b) non si può escludere che, per valutare l’identità tra oggetto della gara e oggetto del contratto, a seguito di variazioni, si debba tener conto anche delle varianti in diminuzione, che a propria volta, per quanto non onerose economicamente, possano mutare il volto reale dell’affidamento alla luce del diritto dell’Unione; c) la variazione, in conformità al diritto comune, si apprezza sul piano quantitativo, con riguardo agli effetti che essa produce sul corrispettivo pattuito; d) in ogni caso, non sono ammesse varianti qualitative, pur contenute nei limiti di cui sopra, se si prova che esse stravolgano la natura dell’opera (cfr art. 1661, comma 2, cod. civ.), ovvero operino su requisiti contrattuali introdotti nel regolamento di gara dalla stazione appaltante allo scopo di circoscrivere illegittimamente la platea dei concorrenti, e con l’animo di rinunciarvi successivamente; e) le circostanze che giustificano lo ius variandi debbono manifestarsi successivamente alla predisposizione del regolamento di gara.

Si tratta, ora, di calare simili principi, posti alla confluenza del diritto dell’Unione e del diritto nazionale, nel caso di specie, non prima, tuttavia, di avere precisato che essi non si estendono invece automaticamente all’ipotesi in cui le variazioni, anziché introdotte unilateralmente dalla P.A., siano state pattuite liberamente tra le parti del contratto.

Il Tribunale dà atto a parte ricorrente, su questo piano, che una modifica sostanziale dell’assetto contrattuale che sia stata pattuita tra le parti dopo la gara deve ritenersi senz’altro illegittima (Corte di giustizia 19 giugno 2008, C. 454/06).

L’enfasi va posta, a tale proposito ed in linea con la stessa giurisprudenza europea citata dalla ricorrente, su due elementi congiunti: la novazione dell’appalto (nel linguaggio della Corte di giustizia: le "caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto a quelle dell’appalto iniziale") e "la volontà di rinegoziare i termini essenziali di tale appalto", ovvero l’incontro di due nuove volontà contrattuali, che non trovino giustificazione nel regolamento di gara.

In effetti, la circostanza che le modifiche siano l’esito di una "rinegoziazione" comprova, a contrario, che esse non corrispondono all’esercizio di un diritto potestativo della stazione appaltante, conforme a detto regolamento: ovvero, in altre parole, che esse travalicano, quando di carattere sostanziale l’originaria procedura di gara e le sue regole, per consegnare la conformazione del rapporto ad un titolo contrattuale, che non può vantare di appoggiarsi sulla gara.

Ove, invece, le modifiche fossero introdotte sulla base di quanto consentito dal regolamento di gara, e dunque entro il margine di tolleranza espressamente ammesso, il quadro muterebbe completamente, poiché non sarebbe più possibile sostenere l’estraneità di esse rispetto alla procedura ad evidenza pubblica, del cui capitolato esse sarebbero, viceversa, espressive.

Nell’esame di una censura diretta a contestare la "novità" dell’affidamento, è perciò necessario tenere distinto il caso in cui esso derivi dal diritto potestativo della stazione appaltante di apportare variazioni, dall’ipotesi in cui sia invece sopraggiunto un nuovo accordo tra le parti.

5. Interrogandosi con riferimento al caso di specie anzitutto su quest’ultimo punto, non è emerso alcun elemento da cui inferire che le modifiche imposte agli aggiudicatari fossero l’esito di trattative, con l’effetto che essi, se dissenzienti, ben avrebbero potuto sottrarvisi. Piuttosto, si è trattato dell’esercizio, da parte di P. italiane, della prerogativa riservatale dal capitolato speciale, di cui si è dato innanzi conto, rispetto alla quale le aggiudicatarie si sono trovate in stato di soggezione.

Sotto tale profilo, l’art. 8 del capitolato, nella parte in cui attribuisce alla stazione appaltante lo ius variandi nei limiti del 20%, svolge in compiuta forma un principio che deve ritenersi oramai connaturato all’appalto pubblico di servizi nel nostro ordinamento, e che si esprime nell’attribuzione all’appaltatore della potestà di adattare in corso d’opera l’oggetto del contratto in ragione delle sopravvenute esigenze, secondo un’eventualità tutt’altro che infrequente a fronte di una prestazione di facere continuata: ciò attraverso l’indicazione di una misura percentuale in linea con le previsioni legali e di natura non manifestamente irragionevole, anche alla luce dell’estrema mutevolezza delle condizioni di fatto, sulla cui base esercitare il trasporto dei servizi postali.

Come si è visto, nel settore dei lavori pubblici tale prerogativa veniva riconosciuta dall’art. 344 della L. n. 2248 del 1865, All. F, mentre analoga previsione non era riprodotta, con riferimento all’appalto di servizi. Tuttavia, l’orientamento giurisprudenziale inteso a negare lo ius variandi in tale ultimo ambito deve ritenersi superato alla luce dell’art. 114, comma 2, del D.Lgs. n. 163 del 2006, che permette al regolamento di determinare i casi in cui la variazione sia consentita in corso di esecuzione, nel rispetto, se compatibile, del successivo art. 132, relativo agli appalti di lavori. In tal senso ha infatti da ultimo provveduto l’art. 311 del d.P.R. n. 207 del 2010, inapplicabile ratione temporis alla fattispecie per cui è causa.

Perciò, in assenza di un divieto di introdurre modifiche al servizio, su cui aveva insistito (peraltro, con argomenti discutibili, alla luce delle caratteristiche intrinseche del contratto di appalto) parte della giurisprudenza, non è negabile la facoltà della stazione appaltante di introdurre nel regolamento di gara una clausola che le riservi l’esercizio dello ius variandi, purchè in forma compatibile con i principi desumibili dall’art. 132 del codice.

Secondo tale prospettiva, l’art. 8 del capitolato si adegua nella necessaria individuazione di un limite quantitativo alle varianti, rinvenendolo proprio in quel tetto del 20%, su cui si attesta tradizionalmente la normativa in tema di appalti pubblici (art. 344 della L. n. 2248 del 1865; artt. 161 e 311 del d.P.R. n. 207 del 2010).

6. Sul punto, la ricorrente evidenzia che, in ogni caso, lo ius variandi non è stato esercitato nel corso dell’appalto, a seguito di circostanze sopravvenute, ma persino prima dell’attivazione del servizio. Tale rilievo renderebbe di per sé inapplicabile l’art. 8 del capitolato.

Il Tribunale osserva in senso contrario che, quand’anche si volesse condividere la lettura offerta dalla ricorrente dell’art. 8 (ignorando la deduzione di P. italiane, circa la necessità di adeguare le linee ai mutamenti intervenuti tra la definizione del progetto logistico alla fine del 2008 e l’anno successivo di attivazione del servizio), tuttavia si sarebbe in presenza di una violazione contrattuale da parte dell’appaltante, di cui il solo appaltatore avrebbe titolo a dolersi.

In questa sede, in altri termini, assume rilievo esclusivamente la oggettiva portata delle modifiche introdotte, delle quali si deve valutare se siano, oppure no, contenute entro i limiti quantitativi che il regolamento di gara ha ritenuto ammissibili: ove si ecceda tale soglia, è coltivabile l’idea che la modifica celi, in realtà, un affidamento in difetto di gara; nel caso contrario, ci si muove nell’orbita dello ius variandi concesso all’appaltante dalle prescrizioni di gara, sicché l’effetto novativo viene a mancare.

Si aggiunga, a conforto di simile conclusione, che per definizione tali modifiche incidono su elementi che, in quanto soggetti a diritto potestativo di mutamento da parte dell’appaltante, non possono ritenersi, di per sé, né determinanti del consenso, né essenziali ai fini della definizione dell’oggetto del contratto di appalto.

In altri termini, non solo essi non sono in grado di determinare un "abbandono" della gara per mutamento dell’oggetto, come denunciato dalla ricorrente, ma neppure possono ritenersi tali, da acquisire peso decisivo ai fini della decisione di partecipare, o no, alla procedura: essi non sono, in altri termini, "condizioni che, se fossero state previste nella procedura di aggiudicazione originaria, avrebbero consentito l’ammissione di offerenti diversi rispetto a quelli originariamente ammessi" (Corte di giustizia 19/6/08 cit.).

Gli aspiranti alla gara, tra cui la ricorrente, avrebbero infatti dovuto essere ben consapevoli che l’appalto avrebbe potuto subire modifiche per "giudizio insindacabile di P." (art. 9 del capitolato), anche in riferimento alla "tipologia di veicolo" (art. 9.4), trovando scudo non già nel tipo di prestazione modificabile (nei limiti in cui non ne sia stravolta la natura), ma nel solo tetto massimo del 20% del prezzo, che le garantiva da alterazioni capaci di tradursi sull’equilibrio economicofinanziario dell’impresa.

Va aggiunto che, nell’ipotesi in cui la modifica sia imposta da obiettive circostanze sopravvenute rispetto alla predisposizione del bando, come P. italiane sostiene nel caso di specie essere accaduto, apparirebbe del tutto irragionevole che le parti stipulassero il contratto secondo le condizioni originarie, per poi consentire, immediatamente dopo, alla stazione appaltante di modificarne i termini, in applicazione dello ius variandi "in corso d’opera": clausole come quelle contenute nell’art. 8 del capitolato devono quindi interpretarsi come riferite ad evenienze senza dubbio posteriori al regolamento di gara, ma non necessariamente alla conclusione del contratto (parimenti contrario al principio di buon andamento della pubblica amministrazione sarebbe, infatti, obbligare la stazione appaltante a bandire una nuova gara, a causa non di errori commessi, come nel caso deciso dalla sentenza del Tar Lazio, sez. III, n. 76 del 2007, ma di inevitabili ed inimputabili ragioni obiettive sopravvenute).

Né pare, alla luce della giurisprudenza comunitaria sopra rammentata, che una simile clausola si ponga in contrasto con l’esigenza di assicurare l’identità della prestazione contrattuale, così da evitare un aggiramento dei principi relativi all’accesso alla gara da parte degli operatori economici interessati: una volta accertato che essa non implica di rinegoziare l’accordo, ma consente il solo adeguamento del servizio, entro un limite prestabilito, ad esigenze sopravvenute al bando (o comunque al progetto in base al quale il bando è stato compilato), la garanzia in ordine al rispetto di tali principi si esaurisce, di regola, nella verifica circa la sussistenza di simili circostanze obiettive, il cui impatto sull’assetto contrattuale avrebbe dovuto essere preso in considerazione da ciascun soggetto potenzialmente interessato all’appalto, per decidere se partecipare o no.

Una sola eccezione, come detto sopra, pare doversi segnalare: nell’ipotesi in cui la stazione appaltante abbia fraudolentemente introdotto nel bando severi requisiti, già nella prospettiva di apportarvi in seguito varianti modificative (imposte da esigenze obiettive percepibili solo in sede di esecuzione del contratto), così da scoraggiare la partecipazione di taluni operatori, a vantaggio di altri, è evidente che la sola osservanza del limite quantitativo recepito nella clausola che autorizza lo ius variandi, quand’anche la variazione sia giustificata alla luce di necessità sopravvenute, non varrebbe a preservare la legalità della procedura, che sarebbe afflitta da violazione di legge ed eccesso di potere.

Tuttavia, una simile eventualità diviene oggetto di onere probatorio in capo a chi la ponga a fondamento della propria domanda, pur essendo tale onere assolvibile in via presuntiva e con indizi gravi, precisi e concordanti, desumibili anche dall’incapacità dell’appaltante di fornire adeguate spiegazioni della propria condotta.

Nel caso di specie, parte ricorrente segnala che il bando avrebbe previsto l’impiego di veicoli pesanti, e che essi sarebbero stati in seguito sostituiti con mezzi più leggeri. Tuttavia, il verificatore ha invece accertato che, su 22 lotti, in ben 9 non sono state apportate modifiche alla tipologia dei mezzi (lotti 1, 7, 9, 14, 16, 17, 18, 20, 22), mentre in altri 5 (4, 8, 10, 11, 12) si è verificato un fenomeno esattamente opposto rispetto a quello denunciato, ovvero si sono, anche a seguito di spostamenti da una linea all’altra, richiesti almeno in parte mezzi più pesanti.

Pertanto, la denuncia di parte ricorrente si adatta solo ai residui 8 lotti (2, 3, 5, 6, 13, 15, 19, 21). Posto che la valutazione sull’eccesso di potere comporta in sé un apprezzamento non isolato, ma globale della condotta assunta dall’Amministrazione, simili dati non possono ovviamente confortare l’idea che P. italiane abbiano agito con l’intento fraudolento di cui si è detto.

Ugualmente, le variazioni introdotte sono state addebitate ad esigenze sopravvenute rispetto al bando, in riferimento ai mutamenti della rete degli sportelli e degli uffici sul territorio, che il verificatore ha stimato "verosimili".

A fronte di tali evidenze, ed in difetto di elementi probatori contrari da parte della ricorrente, va escluso che sia stato dimostrato come la richiesta nel bando di veicoli pesanti fosse accompagnata dalla volontà di apportare, successivamente, variazioni a favore degli aggiudicatari.

Infine, non si può neppure sostenere che la natura stessa dell’opera sia stata alterata in modo così profondo da comportarne la novità assoluta, giacché essa rimane caratterizzata dalla natura della prestazione (il trasporto su strada di prodotti postali) e dagli elementi costitutivi di essa (linee, orari, frequenze, mezzi impiegati, per quanto questi ultimi in parte modificati). Si tratta, perciò, sotto il punto di vista qualitativo, non già di un nuovo opus, ma di un opus meramente modificato.

7. Non resta pertanto che valutare se le modifiche apportate ai servizi di ciascun lotto siano comprese entro il limite del 20% del valore posto a gara, alla luce di quanto congruamente accertato dal verificatore (allegato n. 1 al supplemento di verificazione).

Sul punto, la ricorrente ritiene che, a tal fine, ciascuna modifica introdotta nei servizi del lotto debba essere computata sommandosi alle altre in termini aritmetici, e non algebrici. In altri termini: se viene soppressa una linea il cui prezzo sia x (prezzo che va dunque calcolato come variazione in diminuzione) e ne viene introdotto una nuova, il cui prezzo sia y (prezzo che va perciò aggiunto come variazione in aumento), la variazione complessiva è determinata dalla somma aritmetica di x e y, ovvero dalla somma che ignora il segno positivo e negativo, esprimendo il solo valore assoluto. Controparte sostiene, invece, la congruità del calcolo algebrico, che tenga conto delle compensazioni tra segno positivo e segno negativo, definendo la variazione nel corrispondente ammontare.

Tale ultima soluzione è corretta: l’art. 8 del capitolato ammette la variazione nel limite del "più o meno 20% del valore del buono (ndr: di consegna)", ovvero del prezzo del servizio affidato. Elemento essenziale dell’oggetto del contratto è, dunque, il prezzo, con riferimento al quale non sono ammesse variazioni che incidano in misura superiore al 20%, in positivo o in negativo. Per valutare se una pluralità di modifiche siano ammissibili, in ultima analisi, non rileva l’elemento contrattuale su cui esse cadono (linea, frequenza, veicolo impiegato), come si è visto modificabile dalla stazione appaltante, ma l’impatto complessivo sul prezzo che si determina di conseguenza, e che va contenuto nella fascia di oscillazione sopra indicata.

Se, dunque, nell’ambito di ciascun lotto (ognuno dei quali articolato in più servizi di linea) il prezzo non eccede il margine di tolleranza, si è al cospetto dell’esercizio dello ius variandi riservato dal capitolato alla stazione appaltante, ovvero nell’orbita della gara, che non risulta affatto "abbandonata". Ciò è sufficiente per concludere che i successivi atti di affidamento sono esecutivi dell’esito della procedura ad evidenza pubblica, e non possono venire qualificati nei termini di un’aggiudicazione senza gara.

Né aiutano la ricorrente, per invertire simile criterio, i riferimenti agli artt. 132, comma 3, del D.Lgs. 163/06 e 134 e 135 del d.P.R. 554/99 sul concetto di "variante", non solo perché riferibili agli appalti di lavori, ma anche perché non si vede come esse possano giustificare la conclusione che ogni variazione ai lavori vada sommata in modo aritmetico: dall’art. 132, comma 3, si evince solo che modifiche marginali sono considerate varianti, se comportano un aumento dell’importo del contratto.

Del resto, la conferma che il criterio algebrico è scorretto si trae anche dalla seguente osservazione, evincibile dal caso di specie: nella maggior parte dei casi, le variazioni di maggior rilievo apportate dalla stazione appaltante hanno investito la tipologia dei veicoli da impiegare lungo le linee, atteso che, innanzi al verificatore, le parti hanno concordato sulla marginalità, rispetto al prezzo, delle modifiche concernenti i percorsi. Ora, ai sensi dell’art. 9.4 del capitolato, la sostituzione di un veicolo con un altro, ferme le ulteriori modalità del servizio, comporta la cancellazione di quest’ultimo e l’inserimento di un "nuovo" servizio. Ne segue che, se lungo la linea di uno dei lotti sia stata disposta una simile variazione, il criterio propugnato da parte ricorrente imporrebbe di calcolarla due volte, ed in entrambi i casi per l’intero valore del servizio, e non già in relazione alla sola varianza sul prezzo così prodottasi, determinando in tal modo un’impennata della percentuale di variazione.

Ma, al contrario, non vi è chi non veda che in una tale ipotesi la variazione è unica, e non doppia, e consiste esclusivamente nella differenza tra il valore del servizio originario ed il valore, maggiore o minore, che esso acquisisce a seguito della modifica, in relazione al maggior o minor prezzo determinato dalla sostituzione dei veicolo: il criterio aritmetico è appunto in grado di fotografare, con riguardo al prezzo, il peso percentuale di detta variante.

Nel caso di specie, il verificatore (allegato n. 1) ha dimostrato che in nessuno dei 22 lotti posti a gara la variazione, secondo il criterio appena accolto, ha ecceduto il 20%.

Ne segue che le varianti apportate al servizio hanno la propria origine genetica nel regolamento di gara, al quale sono conformi, sicché, procedendo ad apportarle, P. italiane non ha affatto "abbandonato" l’appalto relativo all’accordo quadro, ma vi ha dato esecuzione per mezzo dei buoni consegna.

8. Il ricorso, con riguardo alla censura principale a), è pertanto infondato.

Ne segue la reiezione della domanda risarcitoria, non essendo imputabile a P. italiane alcun fatto illecito.

La complessità e la novità delle questioni trattate consentono l’integrale compensazione delle spese tra tutte le parti, ivi comprendendosi gli onorari del verificatore, che vanno liquidati, alla luce della natura dell’incarico, e delle modalità con cui è stato svolto, in Euro 5.000,00, comprensive dell’acconto (liquidazione da intendersi unica ed omnicomprensiva, con riferimento ai ricorsi connessi n. 2262, 2271, 2272, 2273, 2333 del 2009, dai quali il presente ricorso va tenuto separato, per ragioni di opportunità).

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione I

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara inammissibile il ricorso, limitatamente all’impugnazione degli atti di aggiudicazione, dei verbali di gara, del capitolato speciale, del capitolato tecnico, della lettera di invito.

Respinge per il resto ricorso principale e ricorsi per motivi aggiunti.

Respinge la domanda di risarcimento danni.

Compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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