Corte Costituzionale sentenza n. 79 SENTENZA 07 – 11 marzo 2011 .

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 12 del 16-3-2011

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’art. 4, commi 6, 7 e
8, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40 (Disposizioni urgenti
tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali
internazionali e nazionali operate, tra l’altro, nella forma dei
cosiddetti «caroselli» e «cartiere», di potenziamento e
razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento
alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al
finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in
particolari settori), promosso dalla Regione Emilia-Romagna con
ricorso notificato il 25 maggio 2010, depositato in cancelleria il 1°
giugno 2010 ed iscritto al n. 81 del registro ricorsi 2010.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 22 febbraio 2011 il Giudice
relatore Gaetano Silvestri;
Uditi gli avvocati Franco Mastragostino e Andrea Manzi per la
Regione Emilia-Romagna e l’avvocato dello Stato Pierluigi Di Palma
per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato il 25 maggio 2010 e depositato il
successivo 1° giugno, la Regione Emilia-Romagna ha promosso questione
di legittimita’ costituzionale dell’art. 4, commi 6, 7 e 8, del
decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40 (Disposizioni urgenti tributarie e
finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali
e nazionali operate, tra l’altro, nella forma dei cosiddetti
«caroselli» e «cartiere», di potenziamento e razionalizzazione della
riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa
comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento
di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari
settori), nel testo anteriore alla conversione in legge, operata, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 maggio 2010, n.
73. La questione e’ stata promossa per violazione degli artt. 70, 77,
97, 117, terzo e quarto comma, e 118 della Costituzione.
Le tre disposizioni censurate prevedono: a) la revoca del
finanziamento statale, gia’ concesso e deliberato dal CIPE, per la
realizzazione del «Sistema di trasporto rapido di massa a guida
vincolata» (metropolitana) del Comune di Parma (comma 7); b) il
riutilizzo, per diverse finalita’, delle risorse a tal fine
stanziate, al netto degli importi necessari a far fronte agli
obblighi giuridici sorti a seguito della individuazione del soggetto
attuatore (societa’ Metro Parma s.p.a., costituita dal Comune di
Parma) e del contraente generale, come determinati in sede di
transazione fra questi ultimi (comma 7); c) la devoluzione, con
decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con
il Ministro competente, della quota di finanziamento statale residua
ad altri investimenti pubblici, su richiesta dell’ente pubblico di
riferimento del beneficiario originario (comma 8); d) la destinazione
dell’ulteriore parte residua del finanziamento al «Fondo per le
infrastrutture portuali», destinato alla realizzazione di opere
infrastrutturali nei porti di rilevanza nazionale (comma 6).
La ricorrente lamenta che il Governo abbia disposto
unilateralmente la revoca di un finanziamento statale (deliberato dal
CIPE nel 2005), volto alla realizzazione di una infrastruttura
strategica, concordata fra lo Stato e la Regione Emilia-Romagna,
nell’ambito della procedura prevista dalla legge 21 dicembre 2001, n.
443 (Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti
produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle
attivita’ produttive). La revoca del finanziamento sarebbe, invero,
il frutto di una serie di decisioni assunte unicamente dal Comune di
Parma e dal Governo, al di fuori degli accordi quadro stipulati sin
dal 2003 fra lo Stato e la Regione Emilia-Romagna.
1.1. – Prima di esaminare il merito delle questioni, la difesa
regionale riassume le vicende che hanno preceduto l’adozione delle
norme impugnate. In data 19 dicembre 2003 e’ stata stipulata – ai
sensi dell’art. 13, comma 3, della legge 1 agosto 2002, n. 166
(Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti), modificativo
dell’art. 1, comma 1, della legge n. 443 del 2001 – l’Intesa Generale
Quadro fra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ed il
Presidente della Regione Emilia-Romagna, avente ad oggetto le
infrastrutture approvate dal CIPE con la deliberazione 21 dicembre
2001, n. 121 (Legge obiettivo: 1° Programma delle infrastrutture
strategiche), da realizzare nel territorio regionale.
Con l’Intesa in questione sono state integrate le previsioni
contenute nella precedente delibera CIPE e, fra le «infrastrutture
aggiuntive "di interesse regionale per le quali concorre l’interesse
nazionale"», e’ stato inserito il trasporto rapido di Parma.
La ricorrente sottolinea come l’Intesa Generale Quadro sia stata
formulata e sottoscritta anche alla luce di quanto affermato dalla
Corte costituzionale nella sentenza n. 303 del 2003. La Regione
Emilia-Romagna richiama altresi’ il contenuto del primo e del secondo
Atto aggiuntivo all’Intesa, rispettivamente, del 17 dicembre 2007 e
del 1° agosto 2008, con i quali sono stati confermati la rilevanza
strategica delle infrastrutture gia’ previste nell’Intesa medesima e
il quadro delle opere prioritarie per l’Emilia-Romagna, fra cui il
trasporto rapido (metropolitana) di Parma.
La Regione Emilia-Romagna, in base a quanto stabilito dall’art.
161 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in
attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), ha quindi
partecipato a tutte le fasi inerenti alle attivita’ di progettazione
dell’opera da realizzare. Al contempo, con le delibere CIPE 27 maggio
2005, n. 64 (1° Programma delle opere strategiche – legge n. 443/2001
– Sistema di trasporto rapido di massa a guida vincolata per la
citta’ di Parma) e 2 dicembre 2005, n. 158 (Primo programma delle
opere strategiche – legge n. 443/2001 – Sistema di trasporto rapido
di massa a guida vincolata per la citta’ di Parma – Modifica soggetto
aggiudicatore), e’ stato assegnato un finanziamento, in termini di
volume di investimento, di 172.112.022 euro ed e’ stato modificato il
soggetto aggiudicatore (individuato nella Metro Parma s.p.a.).
Successivamente, con delibera CIPE 29 marzo 2006, n. 92 (1° Programma
delle infrastrutture strategiche – legge n. 433/2001 – Sistema di
trasporto rapido di massa a guida vincolata per la citta’ di Parma)
e’ stato approvato un "primo" progetto definitivo.
A questo punto, secondo la difesa regionale, sarebbero emerse «le
prime dissonanze nel comportamento dei soggetti che a livello
centrale sono coinvolti nel procedimento di approvazione di tale
opera». La Regione Emilia-Romagna asserisce di non aver potuto
esprimere il proprio parere sul "nuovo" progetto definitivo, redatto
dalla Metro Parma s.p.a., e di aver appreso, solo in sede di
valutazione del progetto definitivo, della maggiorazione del costo
complessivo dell’opera.
La difesa regionale colloca in questa fase della progettazione lo
svolgimento di trattative fra Governo e Comune di Parma, volte a
concordare una rinuncia alla realizzazione dell’opera. In
particolare, la ricorrente richiama una nota informativa predisposta
dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per la seduta del
CIPE del 17 dicembre 2009, nella quale si precisa che, nella riunione
del 31 luglio 2009 del medesimo organo, si e’ fatto «esplicito
riferimento» all’art. 9-bis del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78
(Provvedimenti anticrisi, nonche’ proroga di termini), convertito in
legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 3 agosto
2009, n. 102.
Il citato art. 9-bis prevede che i mutui concessi dalla Cassa
depositi e prestiti s.p.a., interamente o parzialmente non erogati,
possono essere oggetto di rinuncia, anche parziale, a seguito di
deliberazione del soggetto beneficiario o dell’ente pubblico di
riferimento.
La Regione Emilia-Romagna sottolinea, altresi’, che solo dopo
essere venuta in possesso del documento sopra citato, predisposto per
la seduta del CIPE del 31 luglio 2009, ha appreso della decisione del
Comune di Parma di rinunciare al finanziamento statale per la
realizzazione dell’opera in questione. In tal modo, l’ente comunale
avrebbe stravolto un impegno gia’ programmato, approvato e
finanziato, rientrante fra gli obiettivi comuni del Programma delle
infrastrutture e dei progetti strategici, di preminente interesse
nazionale e concorrente interesse regionale. In particolare, la
difesa regionale stigmatizza il comportamento del Comune di Parma, il
quale non avrebbe potuto esercitare alcuna azione, indipendentemente
da una congiunta, reciproca e condivisa valutazione da parte della
Regione Emilia-Romagna. Peraltro, secondo quest’ultima, la decisione
di rinunciare al finanziamento sarebbe stata assunta sulla base di
una erronea applicazione dell’art. 9-bis del d.l. n. 78 del 2009.
Le norme oggetto dell’odierno giudizio costituirebbero, pertanto,
«la conclusione di una procedura del tutto inusitata, che presenta
numerosi profili di illegittimita’ costituzionale».
1.2. – Nel merito, secondo la ricorrente, le norme impugnate
violerebbero, innanzitutto, gli artt. 70 e 77 Cost.
Al riguardo, la difesa regionale premette di essere consapevole
della giurisprudenza della Corte costituzionale secondo cui sono
inammissibili le questioni sollevate per contrasto con norme
costituzionali non attinenti alle attribuzioni delle Regioni, qualora
le asserite infrazioni non riverberino, a loro volta, sulle
competenze di queste ultime.
Cio’ nondimeno, nel presente caso sarebbero evidenti «le strette
connessioni e l’interdipendenza causale» fra la violazione dei
parametri costituzionali evocati e la lesione delle attribuzioni
regionali.
La Regione Emilia-Romagna sottolinea come l’abuso dello strumento
della decretazione d’urgenza assuma rilievo rispetto agli interessi
della Regione, in quanto e’ «solo attraverso il dibattito pubblico,
che costituisce la principale e insostituibile caratteristica che
conferisce valore alla procedura nelle Assemblee parlamentari, che
gli interessi pubblici possono essere rappresentati e tenuti nel
debito conto nell’assunzione delle decisioni collettive». Pertanto,
la scelta del procedimento di approvazione (parlamentare o mediante
decretazione d’urgenza) di una norma lesiva delle attribuzioni
regionali non sarebbe affatto indifferente per la ricorrente.
Da quanto appena detto discenderebbe l’interesse della Regione a
contestare l’introduzione, in un decreto-legge, di una disposizione
che la riguarda direttamente e che e’ palesemente sprovvista dei
requisiti di necessita’ ed urgenza. Infatti, le tre norme impugnate
costituirebbero «un corpo estraneo in un decreto-legge la cui
necessita’ ed urgenza e’ motivata dalla contingenza della crisi
economica, […] rispetto alla quale ne’ la risoluzione di una
convenzione per la realizzazione di un’opera pubblica, ne’ il
reinvestimento delle somme che ne residuano, assume alcuna
rilevanza». Lo stesso fondo, previsto nel comma 6, non servirebbe a
sostenere gli altri interventi previsti nel decreto-legge per i
settori in crisi. Inoltre, le norme impugnate non avrebbero effetti
immediati, in quanto, come evidenziato dalla stessa relazione
governativa al decreto-legge, l’ammontare degli importi reinvestibili
potra’ essere conosciuto solo a conclusione dell’intero procedimento
amministrativo, della transazione con l’affidatario e delle decisioni
autonomamente assunte dalla Amministrazione comunale.
In definitiva, secondo la difesa regionale, le norme impugnate
non avrebbero nulla in comune con il titolo del decreto, ne’ con il
suo oggetto, ne’ con le motivazioni addotte per giustificarne la
straordinarieta’, la necessita’ e l’urgenza.
Nel caso di specie, poi, la ricorrente ritiene che il generale
interesse dell’ente regionale al rispetto delle attribuzioni
parlamentari e alla delimitazione rigorosa della decretazione di
urgenza assuma una colorazione del tutto peculiare. A suo dire,
infatti, il Governo avrebbe fatto ricorso all’espediente di inserire
le disposizioni contestate nel corpo di un decreto-legge, per
rivestire della forza di legge una decisione che non avrebbe alcuna
natura normativa ma costituirebbe un semplice provvedimento
amministrativo. Cio’ sarebbe avvenuto al solo scopo di aggirare le
procedure di leale collaborazione, altrimenti vincolanti. La difesa
regionale richiama, in proposito, la giurisprudenza costituzionale
consolidata secondo cui per il legislatore ordinario non sussistono
obblighi di leale collaborazione, salvo che non sia possibile farli
risalire ad un vincolo costituzionale.
La ricorrente evidenzia altresi’ che se la revoca del
finanziamento per la metropolitana di Parma fosse stata disposta con
una delibera CIPE, quest’ultima sarebbe stata dichiarata illegittima
in sede di conflitto di attribuzione per violazione del principio di
leale collaborazione (e’ citata la sentenza n. 233 del 2004 della
Corte costituzionale). Nella specie si sarebbe realizzato, pertanto,
«un caso plateale di "truffa delle forme giuridiche" ossia dell’uso
di forme legislative […] per aggirare i vincoli procedimentali che
[…] discendono proprio dalla giurisprudenza di questa Corte,
facendo cosi’ venir meno le garanzie costituzionali che la Corte
riconosce alle Regioni in sede di chiamata in sussidiarieta’».
1.3. – La Regione Emilia-Romagna impugna le norme in oggetto
anche per violazione dell’art. 117, terzo e quarto comma, Cost. e
dell’art. 118 Cost.
Preliminarmente, la difesa regionale asserisce che la materia di
pertinenza delle norme impugnate e’ quella dei "trasporti locali",
«di sicura competenza residuale delle Regioni», con la conseguenza
che sarebbe illegittimo l’intervento della legge statale, come pure
la previsione di fondi autonomi o di finanziamenti vincolati.
La ricorrente evidenzia come la Corte costituzionale, nella
sentenza n. 303 del 2003, abbia riconosciuto allo Stato la
possibilita’ di impiegare, per la realizzazione delle grandi opere
infrastrutturali – rispetto alle quali e’ configurabile una
competenza legislativa concorrente (trattandosi di grandi reti di
trasporto) – lo strumento della cosiddetta "chiamata in
sussidiarieta’" delle funzioni amministrative. La validita’ di
siffatto meccanismo e’ pero’ subordinata al rispetto delle regole di
leale collaborazione, che vincolano l’azione del Governo sia nella
fase di programmazione generale delle opere e della loro
distribuzione sul territorio nazionale, attraverso una procedura di
intesa "forte" in Conferenza Stato-Regioni, sia nella fase di
applicazione del programma generale nelle singole Regioni, attraverso
un’intesa con ciascuna di esse.
Secondo la ricorrente, dallo stesso principio dell’intesa
deriverebbe l’impossibilita’ per lo Stato di sovvertire con una
decisione autonoma quanto concordato con la Regione. In questo senso,
la sentenza n. 233 del 2004 della Corte costituzionale, relativa
all’analogo caso della metropolitana di Bologna, costituirebbe un
precedente specifico.
La difesa regionale ritiene che il Governo abbia deciso di
sovvertire, con un atto avente forza di legge, quanto stabilito sul
piano amministrativo, proprio per sottrarsi all’obbligo dell’intesa.
In proposito, non rileverebbe il fatto che lo Stato abbia agito
su richiesta dell’amministrazione comunale di Parma, in quanto
l’accordo tra Stato e Comune non puo’ comunque derogare alle
attribuzioni costituzionali delle Regioni.
1.4. – La violazione delle regole procedurali, appena descritta,
determinerebbe, ad avviso della Regione Emilia-Romagna, un ulteriore
profilo di illegittimita’ costituzionale, derivante dal contrasto con
l’art. 97 Cost., sotto il profilo della buona amministrazione e della
razionalita’ della spesa pubblica.
La revoca del finanziamento e quindi la rinuncia alla
realizzazione dell’opera comportera’, infatti, un rilevante esborso a
carico del bilancio statale per rifondere le spese di progettazione
dell’opera. Peraltro, quanto disposto dalle norme impugnate non
potrebbe essere giustificato in termini di contenimento della spesa
pubblica o di riconversione delle risorse liberatesi, poiche’ i
finanziamenti revocati sono stornati verso altre opere non ricadenti
nella Regione.
A questo proposito, la ricorrente asserisce che l’assenza di un
vincolo di destinazione dei fondi residui, a favore di opere da
realizzarsi in Emilia-Romagna, determini la violazione di uno dei
principi impliciti nella gia’ richiamata sentenza n. 303 del 2003,
laddove essa fa carico al Governo di concordare con tutte le Regioni
in sede di Conferenza, il Piano degli investimenti. In particolare,
la difesa regionale rileva come il consenso espresso in sede di
Conferenza dalle singole Regioni sia collegato, anche se non solo, ai
benefici derivanti dagli investimenti pubblici nel proprio
territorio.
1.5. – Da ultimo, la ricorrente prospetta la violazione dell’art.
117, terzo comma, Cost. da parte dell’impugnato comma 6.
L’istituzione del «Fondo per le infrastrutture portuali» in una
materia di potesta’ concorrente («porti e aeroporti civili»)
determinerebbe, infatti, la lesione delle regole della leale
collaborazione, il cui rispetto e’ richiesto per giustificare un
intervento in sussidiarieta’. In particolare, la difesa regionale si
duole del fatto che non sia previsto alcun coinvolgimento delle
Regioni, in qualsiasi fase del procedimento, ne’ la destinazione ad
infrastrutture portuali della Regione Emilia-Romagna delle somme
residue a seguito della revoca del finanziamento per la metropolitana
di Parma.
2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si e’ costituito in
giudizio chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o
manifestamente infondate.
2.1. – In via preliminare, la difesa statale deduce
l’inammissibilita’ delle questioni prospettate in rapporto agli artt.
70 e 77 Cost.; in particolare, la censura rispetto all’art. 70
sarebbe immotivata e generica, mentre il contrasto con il secondo dei
parametri indicati non ridonderebbe in una lesione delle attribuzioni
regionali.
L’Avvocatura generale rileva altresi’ come non sia dimostrato
l’assunto da cui muove la Regione, cioe’ che il ricorso allo
strumento del decreto-legge costituisca un espediente per aggirare le
procedure di leale collaborazione.
Nel merito, non vi sarebbe l’evidente carenza dei presupposti di
necessita’ e di urgenza che possono determinare, secondo la
giurisprudenza della Corte costituzionale, l’illegittimita’ delle
norme impugnate. In proposito, la difesa statale sottolinea come
l’esigenza di rilanciare l’economia, evitando la stagnazione della
domanda interna attraverso la spesa pubblica, configuri un valido
presupposto per un intervento di urgenza, sebbene il completamento
degli investimenti richieda tempi non brevi. Pertanto, le norme
impugnate avrebbero lo scopo di accelerare la realizzazione degli
investimenti pubblici, collocandosi armonicamente in un decreto-legge
contenente disposizioni a sostegno della domanda.
Quanto all’asserita natura di legge provvedimento delle
disposizioni impugnate, la difesa statale richiama la giurisprudenza
costituzionale secondo cui e’ ammessa l’approvazione di una legge a
contenuto particolare e concreto, sia pure entro i limiti del
rispetto della funzione giurisdizionale in ordine alla decisione
delle cause in corso, e del principio di ragionevolezza e non
arbitrarieta’.
Peraltro, nel caso di specie i suddetti limiti non sembrerebbero
violati, anche alla luce del fatto che gia’ in altri casi sono state
approvate leggi a contenuto singolare in materia di finanziamento di
infrastrutture strategiche (sono richiamati l’art. 1, comma 981,
della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2007», e l’art. 2, comma 255, della legge 24 dicembre
2007, n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008»).
2.2. – In merito al secondo motivo di censura, il Presidente del
Consiglio ritiene che non possa essere condiviso l’inquadramento
delle norme impugnate nella materia del trasporto pubblico locale.
Piuttosto, le norme in esame rappresenterebbero un caso di chiamata
in sussidiarieta’, trattandosi della revoca di un finanziamento in
materia di infrastrutture strategiche di interesse nazionale, per le
quali la citata sentenza n. 303 del 2003 ha ammesso la conformita’ a
Costituzione dell’attrazione in sussidiarieta’ da parte statale.
Al riguardo, dopo aver riassunto la normativa in materia di
infrastrutture strategiche, l’Avvocatura generale sottolinea come
l’intesa con la Regione riguardi solo gli aspetti di localizzazione
delle opere, non quelli finanziari. Di conseguenza, nel caso di
finanziamenti statali individuati e stanziati in vista della
realizzazione di un programma che lo Stato assume in base ai principi
di sussidiarieta’ e di adeguatezza, non sarebbe apprezzabile alcuna
lesione dell’autonomia finanziaria delle Regioni (e’ richiamata la
sentenza n. 303 del 2003 della Corte costituzionale).
Del resto, prosegue la difesa statale, la garanzia procedimentale
dell’intesa e’ assicurata nella sola fase amministrativa, non in
quella legislativa. Infatti, il principio di leale collaborazione non
e’ invocabile, quale requisito di legittimita’ costituzionale, a
proposito dell’esercizio della funzione legislativa, poiche’ non e’
riscontrabile un fondamento costituzionale dell’obbligo di adottare
procedure collaborative atte a condizionare la funzione suddetta.
2.3. – In relazione alla presunta violazione dell’art. 97 Cost.,
la difesa statale ritiene la questione inammissibile per difetto di
interesse, in quanto non e’ prospettata una lesione delle competenze
legislative regionali ma l’inefficienza e lo sperpero di risorse
pubbliche.
Inoltre, la censura risulterebbe contraddittoria, in quanto non
sarebbe chiaro se la ricorrente solleciti una sentenza additiva, che
imponga di destinare tutte le risorse residue alla Regione
Emilia-Romagna, o la mera illegittimita’ della norma.
2.4. – Quanto all’impugnativa dei commi 6 e 8, l’Avvocatura
generale asserisce che la ricorrente non potrebbe trarre nessuna
utilita’, diretta ed immediata, da un’eventuale declaratoria di
illegittimita’ costituzionale; cio’ in ragione del fatto che il
destinatario del finanziamento revocato non e’ la Regione stessa ma
la Metro Parma s.p.a.
Al contrario, l’indennizzo a favore del contraente generale e lo
spostamento delle risorse risulterebbero coerenti con il principio di
buona amministrazione e con un razionale utilizzo delle risorse
disponibili. Al riguardo, secondo la difesa statale, la Regione
avrebbe dovuto provare il cattivo uso delle risorse, dimostrando che
l’utilizzo delle stesse, previsto dalle norme impugnate, sia meno
efficiente del finanziamento revocato.
Infine, la pretesa della Regione di interloquire in merito alla
destinazione delle risorse resesi disponibili potrebbe ritenersi
soddisfatta dalla previsione secondo cui siffatte risorse possono
essere devolute, su richiesta dell’ente pubblico di riferimento del
beneficiario originario, ad altri investimenti (comma 8).
2.5. – Infine, in relazione all’ultima censura, il Presidente del
Consiglio rileva come la Corte costituzionale abbia piu’ volte
ribadito che il titolo di competenza statale, che permette
l’istituzione di un fondo con vincolo di destinazione, non debba
necessariamente identificarsi in una delle materie espressamente
elencate nel secondo comma dell’art. 117 Cost., ma possa consistere
anche nella pertinenza del fondo medesimo a materie oggetto di
"chiamata in sussidiarieta’" da parte dello Stato.
Nel caso di specie, trattandosi di porti di rilevanza nazionale,
la disciplina impugnata sarebbe riconducibile ad una materia di
competenza esclusiva statale per chiamata in sussidiarieta’, di
talche’ il vincolo di destinazione apposto al finanziamento non
sarebbe in contrasto con la Costituzione.
Peraltro, aggiunge la difesa statale, in caso di accoglimento
dell’impugnazione, la Corte dovrebbe inserire nella disposizione in
oggetto l’obbligo di sentire le Regioni nel corso del procedimento di
riparto delle risorse.
3. – In prossimita’ dell’udienza, la Regione Emilia-Romagna e il
Presidente del Consiglio dei ministri hanno depositato memorie nelle
quali insistono nelle conclusioni gia’ rassegnate, rispettivamente,
nel ricorso e nell’atto di costituzione.

Considerato in diritto

1. – La Regione Emilia-Romagna ha promosso questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 4, commi 6, 7 e 8, del
decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40 (Disposizioni urgenti tributarie e
finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali
e nazionali operate, tra l’altro, nella forma dei cosiddetti
«caroselli» e «cartiere», di potenziamento e razionalizzazione della
riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa
comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento
di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari
settori), nel testo anteriore alla conversione in legge, operata, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 maggio 2010, n.
73. La questione e’ stata promossa per violazione degli artt. 70, 77,
97, 117, terzo e quarto comma, e 118 della Costituzione.
La Regione Emilia-Romagna ha impugnato le suddette norme nella
parte in cui dispongono la revoca del finanziamento statale previsto
per l’opera «Sistema di trasporto rapido di massa a guida vincolata
per la citta’ di Parma» (metropolitana), prevedono la riassegnazione
delle somme e rimettono ad una transazione la tacitazione di ogni
pretesa del soggetto affidatario, mediante indennizzo.
2. – Preliminarmente, deve essere rilevata l’inammissibilita’
delle questioni prospettate in relazione agli artt. 70 e 97 Cost.
In particolare, la censura formulata riguardo all’art. 70 Cost.
risulta priva di un’adeguata motivazione, mentre, con riferimento
all’art. 97 Cost., la ricorrente non indica le ragioni per le quali
l’asserita violazione ridonderebbe in una lesione delle attribuzioni
costituzionali della Regione.
3. – La questione prospettata con riferimento all’art. 117,
quarto comma, Cost. non e’ fondata.
La ricorrente invoca la propria competenza legislativa residuale
in materia di "trasporto pubblico locale", per chiedere la
dichiarazione di illegittimita’ costituzionale delle norme impugnate.
Si deve pero’ osservare che l’inserimento, con il consenso della
stessa Regione, della metropolitana di Parma nel Programma
Infrastrutture Strategiche ha determinato la cosiddetta attrazione in
sussidiarieta’ allo Stato sia delle funzioni amministrative in
materia, sia di quelle legislative, con la conseguenza che non e’
piu’ possibile oggi, da parte della Regione, rivendicare la potesta’
legislativa residuale, che si e’ trasferita allo Stato per il motivo
anzidetto.
Altre e distinte questioni concernono la validita’ della revoca
del finanziamento statale ed i suoi effetti, di cui si trattera’ nei
paragrafi seguenti.
4. – La questione relativa alla presunta violazione dell’art. 77
Cost. non e’ fondata.
La ricorrente si duole dell’uso improprio dello strumento del
decreto-legge, che avrebbe consentito al Governo di aggirare le
procedure di leale collaborazione, rese necessarie – secondo le
regole fissate da questa Corte sin dalla sentenza n. 303 del 2003 –
dall’avvenuto spostamento della competenza legislativa dalla Regione
allo Stato. In termini piu’ espliciti, lo Stato avrebbe fatto leva
sulla giurisprudenza costituzionale, che esclude le procedure di
leale collaborazione per l’esercizio della funzione legislativa, allo
scopo di raggiungere l’obiettivo di porre nel nulla un’intesa con la
Regione, riguardante la progettazione e la realizzazione di un’opera
pubblica. La mancata acquisizione del preventivo assenso della
Regione avrebbe prodotto la conseguenza di rompere la simmetria tra
fase costitutiva e fase estintiva, assoggettando la Regione stessa
agli effetti di un atto unilaterale dello Stato. A tale
considerazione si collega l’ulteriore osservazione della ricorrente
circa l’estraneita’ delle norme impugnate rispetto all’oggetto del
decreto-legge in cui sono state inserite; cio’ dimostrerebbe, secondo
la giurisprudenza di questa Corte invocata dalla difesa regionale,
l’evidente mancanza dei presupposti di necessita’ e urgenza richiesti
dall’art. 77 Cost. per l’esercizio della potesta’ legislativa da
parte del Governo, in assenza di delega.
Ove tali doglianze fossero fondate, l’eventuale uso improprio del
decreto-legge produrrebbe, come effetto immediato, una lesione della
sfera di attribuzioni costituzionalmente garantite della Regione. Si
deve pertanto rigettare l’eccezione di inammissibilita’, sollevata
dalla difesa statale, relativa alla estraneita’ della censura,
riferita all’art. 77 Cost., rispetto alle competenze regionali
tutelabili in sede di giudizio in via principale.
Nel merito, occorre tuttavia notare che il titolo stesso del
decreto-legge in questione contiene un riferimento, ancorche’
generico, alle norme impugnate, laddove si legge che l’atto stesso e’
volto anche alla «destinazione dei gettiti recuperati al
finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno alla domanda in
particolari settori». L’uso della parola «gettito» deve intendersi
riferito a tutte le somme disponibili nel bilancio dello Stato, che
vengono riutilizzate per effetto delle disposizioni contenute nel
medesimo decreto-legge. Si deve inoltre rilevare che le norme
impugnate non sono state inserite nel suddetto atto con forza di
legge in sede di conversione parlamentare, ma erano presenti nel
testo originario, nel complesso indirizzato al recupero di risorse
per il sostegno della domanda interna, secondo una riconsiderazione,
da parte del Governo nazionale, delle necessita’ e delle priorita’.
Il fatto che le somme rese disponibili dalla revoca del
finanziamento della metropolitana di Parma non siano ancora
quantificabili, dovendosi attendere l’esito della prevista
transazione con la societa’ aggiudicataria, non incide sulla
necessita’ e urgenza di destinare altrimenti il finanziamento gia’
deliberato. Non e’ manifestamente irragionevole che sia stato
ritenuto necessario e urgente bloccare il proseguimento
dell’erogazione dei fondi per le successive fasi di realizzazione,
nelle more del perfezionamento delle procedure di intesa o del
procedimento ordinario di formazione della legge. Una ulteriore
dilatazione delle spese, connessa al progressivo avanzamento
dell’opera, si sarebbe posta in contrasto con la nuova valutazione
politico-economica del Governo nazionale, che avrebbe perso in
effettivita’ riguardo ai diversi obiettivi da finanziare.
Per le ragioni sopra esposte non e’ riscontrabile, nella
fattispecie, quella «evidente mancanza» dei presupposti di necessita’
e di urgenza, che legittima questa Corte a sindacare la scelta
governativa di avvalersi di tale strumento legislativo (ex plurimis,
sentenze n. 128 del 2008 e n. 171 del 2007).
5. – Secondo la Regione ricorrente, le norme impugnate
violerebbero il principio di leale collaborazione, al cui rispetto e’
subordinata la validita’ di quel particolare processo di spostamento
della competenza legislativa dalle Regioni allo Stato, noto ormai con
l’espressione sintetica di "chiamata in sussidiarieta’".
Occorre innanzitutto ricordare che questa Corte, con
giurisprudenza costante, ha affermato che le procedure collaborative
tra Stato e Regioni non rilevano ai fini del sindacato di
legittimita’ degli atti legislativi (ex plurimis, tra le piu’
recenti, sentenze n. 278 del 2010, n. 371 del 2008 e n. 387 del
2007), salvo che l’osservanza delle stesse sia imposta, direttamente
o indirettamente, dalla Costituzione (sentenze n. 33 del 2011 e n.
278 del 2010). L’esclusione della rilevanza di tali procedure, che e’
formulata in riferimento al procedimento legislativo ordinario, «vale
a maggior ragione per una fonte come il decreto-legge, la cui
adozione e’ subordinata, in forza del secondo comma dell’art. 77
Cost., alla mera occorrenza di "casi straordinari di necessita’ e
d’urgenza"» (sentenza n. 298 del 2009).
Dalla prospettazione della ricorrente si ricava che, nel caso di
specie, il rispetto del principio di leale collaborazione sarebbe
imposto indirettamente dalla Costituzione, nella forma dell’intesa
con la Regione, a causa dell’attrazione in sussidiarieta’ delle
funzioni amministrative e della relativa competenza legislativa,
operata a seguito dell’inserimento fra le infrastrutture strategiche,
di interesse nazionale, della progettazione e realizzazione della
metropolitana di Parma. D’altra parte, il pieno coinvolgimento della
Regione interessata, richiesto dall’art. 1 della legge 21 dicembre
2001, n. 443 (Delega al Governo in materia di infrastrutture ed
insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il
rilancio delle attivita’ produttive), non potrebbe negarsi
nell’ipotesi di sopravvenuto dissenso di una delle due parti sulla
realizzazione dell’opera.
Si deve rilevare, in contrario, come la necessita’ di osservare
le procedure collaborative, che sfociano nell’intesa tra Stato e
Regione, riguardi soltanto la fase di decisione e di localizzazione
dell’opera, la quale astrattamente rientrerebbe nella competenza
residuale delle Regioni, ma che, in seguito all’attrazione in
sussidiarieta’ determinata dal suo inserimento tra le infrastrutture
strategiche, si sposta nell’ambito della competenza statale. La
deroga alla competenza regionale si accompagna, in definitiva, alla
classificazione dell’opera tra quelle di valore strategico nazionale
ed alla conseguente provvista, da parte dello Stato, dei mezzi
finanziari per realizzarla.
Da questa premessa scaturisce la logica conclusione che non e’
possibile che lo Stato "costringa" una Regione alla realizzazione,
sul proprio territorio, di un’opera rientrante nella sua competenza
residuale, dalla Regione stessa non voluta o voluta in un sito
diverso da quello proposto. Allo stesso modo pero’ non e’ ammissibile
che la Regione "costringa" lo Stato a mantenere una qualificazione di
importanza strategica ad un’opera che, in seguito a successiva
valutazione politico-economica (presa peraltro in accordo con l’ente
locale direttamente interessato), ha perso tale carattere. L’intesa
nella fase di progettazione e di localizzazione e’ indispensabile per
dare validita’ ad uno spostamento di competenza legislativa ed
amministrativa; la stessa intesa, uguale e contraria, non e’ invece
necessaria se lo Stato decide di revocare il proprio finanziamento,
senza tuttavia impedire alla Regione di esercitare la sua competenza,
legislativa e amministrativa, sul medesimo oggetto.
La decisione statale di escludere l’opera dal novero di quelle
ritenute strategiche sul piano nazionale – e di revocare, di
conseguenza, il relativo finanziamento – non incide pertanto sulle
competenze legislative e amministrative della Regione, in quanto non
impedisce a quest’ultima di realizzarla con fondi propri, ne’ si
concretizza in un intervento unilaterale nella sfera regionale, come
sarebbe avvenuto, ad esempio, nell’ipotesi di dirottamento delle
risorse su altre opere, non concordate, da realizzarsi nel territorio
regionale, o di mutamento della localizzazione della stessa opera
oggetto dell’intesa. Con la revoca del finanziamento statale – a
seguito di valutazione di politica economica non censurabile in sede
di sindacato di legittimita’ costituzionale – vengono meno le ragioni
che avevano giustificato l’attrazione in sussidiarieta’. L’assetto
dei rapporti tra Stato e Regione, per questo particolare profilo,
ritorna cosi’ nell’alveo ordinario, quale tracciato dall’art. 117
Cost.
6. – La questione relativa al comma 6 dell’art. 4 del d.l. n. 40
del 2010, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., e’ fondata
nei termini di seguito specificati.
La suddetta disposizione istituisce, presso il Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti, il «Fondo per le infrastrutture
portuali», destinato a finanziare le opere infrastrutturali nei porti
di rilevanza nazionale. Per la ripartizione di tale Fondo e’ previsto
il parere del CIPE, ma non e’ prevista ne’ l’intesa con la Conferenza
Stato-Regioni, ne’ l’intesa con le singole Regioni interessate.
In proposito occorre considerare che il suddetto Fondo si
riferisce ad interventi che rientrano nella materia «porti e
aeroporti civili», rimessa alla competenza legislativa concorrente
dal terzo comma dell’art. 117 Cost. Tuttavia, poiche’ si tratta di
porti a rilevanza nazionale, si deve ritenere che la competenza
legislativa in materia sia attratta in sussidiarieta’ allo Stato.
Al riguardo, va ricordato che questa Corte ha ritenuto
ammissibile la previsione di un fondo a destinazione vincolata anche
in materie di competenza regionale, residuale o concorrente,
precisando che «il titolo di competenza statale che permette
l’istituzione di un Fondo con vincolo di destinazione non deve
necessariamente identificarsi con una delle materie espressamente
elencate nel secondo comma dell’art. 117 Cost., ma puo’ consistere
anche nel fatto che detto fondo incida su materie oggetto di
"chiamata in sussidiarieta’" da parte dello Stato, ai sensi dell’art.
118, primo comma, Cost.» (sentenza n. 16 del 2010, in conformita’ a
sentenza n. 168 del 2008).
Dalla giurisprudenza costituzionale sopra richiamata discende,
nel caso di specie, l’illegittimita’ della norma impugnata nella
parte in cui non prevede alcuna forma di leale collaborazione tra
Stato e Regione, che deve invece esistere per effetto della deroga
alla competenza regionale. Fermo restando pertanto il potere dello
Stato di istituire un Fondo per le infrastrutture portuali di
rilevanza nazionale, si deve aggiungere che la ripartizione di tale
fondo e’ subordinata al raggiungimento di un’intesa con la Conferenza
Stato-Regioni, per i piani generali di riparto delle risorse allo
scopo destinate, e con le singole Regioni interessate, per gli
interventi specifici riguardanti singoli porti.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 4, comma 6,
del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40 (Disposizioni urgenti
tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali
internazionali e nazionali operate, tra l’altro, nella forma dei
cosiddetti «caroselli» e «cartiere», di potenziamento e
razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento
alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al
finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in
particolari settori), nella parte in cui non prevede che la
ripartizione delle risorse del «Fondo per le infrastrutture portuali»
avvenga previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni, per i
programmi nazionali di riparto, e con le singole Regioni interessate,
per finanziamenti specifici riguardanti singoli porti;
Dichiara inammissibili le questioni di legittimita’
costituzionale dell’art. 4, commi 6, 7 e 8, del d.l. n. 40 del 2010,
promosse, in riferimento agli artt. 70 e 97 della Costituzione, dalla
Regione Emilia-Romagna, con il ricorso indicato in epigrafe;
Dichiara non fondate le questioni di legittimita’ costituzionale
dell’art. 4, commi 6, 7 e 8, del d.l. n. 40 del 2010, promosse, in
riferimento agli artt. 77, 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost.,
dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso indicato in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2011.

Il Presidente: De Siervo

Il redattore: Silvestri

Il cancelliere: Melatti

Depositata in cancelleria l’11 marzo 2011

Il cancelliere: Melatti

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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