Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 12-07-2011) 08-08-2011, n. 31573

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) La Corte d’Appello di Roma, con sentenza 1 ottobre 2010, ha confermato (salvo una parziale riforma che non riguarda le persone imputate nel presente giudizio di legittimità) la sentenza 8 aprile 2010 del Tribunale di Rieti che aveva condannato alle pene ritenute di giustizia F.N.E., F.L.R., B.V.A. e C.L.C. per il delitto di furto aggravato – commesso l'(OMISSIS) in concorso tra di loro – di numerosi oggetti di valore contenuti nell’abitazione di C.R. sita in (OMISSIS) la cui porta d’ingresso era stata forzata.

I giudici di merito hanno accertato che le quattro persone indicate erano state fermate, alle ore 1,25 dell'(OMISSIS), mentre si trovavano a bordo di un’autovettura condotta da F.N.;

alle ore 1,10 precedenti gli operanti avevano ricevuto dal centro operativo una segnalazione che li avvisava che, circa mezz’ora prima, la medesima autovettura era stata segnalata nei pressi di un’abitazione dove poi si era constatato essere stato commesso un furto.

Sottoposta l’autovettura a perquisizione venivano sulla stessa rinvenuti gli oggetti sottratti nell’abitazione di C.R..

Eseguita una perquisizione nell’abitazione comune degli imputati venivano rinvenuti altri oggetti provenienti verosimilmente da furto e alcuni oggetti sottratti, il (OMISSIS), in altra abitazione della medesima località.

Entrambi i giudici di merito hanno ritenuto che esistesse la prova della partecipazione di tutti gli imputati al furto in danno di C.R. ed in particolare delle due donne.

2) Contro la sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso congiunto le sole F.L.R. e C.L. C. che hanno dedotto i seguenti motivi di censura:

– la violazione dell’art. 192 c.p.p., n. 2, e art. 546 c.p.p., lett. e), perchè, secondo le ricorrenti, le due donne sarebbero state condannate in mancanza di alcuna prova della loro partecipazione al furto commesso dai due fidanzati conviventi "certi coautori del reato"; la conferma della condanna sarebbe stata fondata su elementi del tutto "neutri" e comunque del tutto inidonei per un’affermazione di responsabilità;

– il vizio di motivazione essendo manifestamente illogico dedurre la partecipazione al delitto contestato dalla mera presenza a bordo di un’autovettura sulla quale si trovavano i due autori del furto che lo avevano commesso 45 minuti prima e peraltro fondando illegittimamente questa valutazione sull’essersi avvalse della facoltà di non rispondere all’interrogatorio che costituisce legittimo esercizio di un diritto.

3) Il ricorso è fondato. Con i motivi proposti – che, per la loro stretta connessione, possono essere congiuntamente esaminati – si censura la sentenza impugnata deducendo espressamente la violazione delle regole di valutazione della prova previste dall’art. 192 c.p.p., in quanto gli elementi indiziari utilizzati ai fini della condanna non avrebbero carattere di gravità, precisione e concordanza.

Va premesso che i fatti descritti nelle sentenze di merito devono ritenersi ormai incensurabilmente accertati e comunque si tratta di fatti che neppure con il ricorso vengono posti in discussione. Il problema che si pone ai giudice di legittimità è invece quello di verificare se i giudici di merito abbiano logicamente giustificato la loro valutazione sulla sufficienza degli elementi di natura indiziaria acquisiti al processo al fine di pervenire all’affermazione del concorso delle ricorrenti nel furto di cui trattasi.

E’ ancora da premettere che i vizi dedotti dalle ricorrenti non sono riconducibili al c.d. "travisamento del fatto" perchè l’oggetto del sindacato di legittimità è costituito, nel nostro caso, dall’individuazione dei criteri che il giudice deve utilizzare per valutare l’idoneità indiziaria dei fatti accertati e l’efficacia probatoria di questi indizi nonchè la loro capacità individualizzante. Non viene quindi in considerazione il tema della ricomposizione del quadro probatorio ormai "fotografato" con la ricostruzione del fatto compiuta dai primi giudici. Compito del giudice di legittimità non è infatti quello di ricostruire e valutare i fatti diversamente da quanto compiuto dal giudice di merito ma di sindacare la correttezza del ragionamento da questi formulato sul valore indiziario e probatorio dei fatti accertati.

Il sindacato di legittimità sul procedimento logico che consente di pervenire al giudizio di attribuzione del fatto con l’utilizzazione di criteri di inferenza non illogici è diretto a verificare se il giudice di merito abbia indicato le ragioni del suo convincimento e se queste ragioni siano plausibili. E, per giungere a queste conclusioni, è necessario verificare se siano stati rispettati i principi di completezza (se il giudice abbia preso in considerazione tutte le informazioni rilevanti), di correttezza e logicità (se le conclusioni siano coerenti con questo materiale e fondate su corretti criteri di inferenza e su sillogismi logicamente ineccepibili).

In particolare, sul tema della valutazione della gravità, precisione e concordanza della prova indiziaria, i limiti dello scrutinio di legittimità attengono alla verifica della correttezza del ragionamento probatorio compiuto dal giudice di merito che deve fornire una ricostruzione non inficiata da manifeste illogicità o compiuta su base meramente congetturale e priva di riferimenti individualizzanti ovvero con riferimenti di questo tipo palesemente inadeguati.

Si tratta, come appare del tutto ovvio, di una zona posta al confine tra il merito e la legittimità con il concreto rischio, per la Corte di cassazione, di sconfinare nella "zona proibita" della valutazione del complesso probatorio. Ma l’esercizio di queste funzioni è reso obbligato dalla natura del controllo di legittimità sul contenuto della decisione; l’art. 606, comma 1, lett. e del codice di rito preclude al giudice di legittimità di rivalutare prove e indizi; non di verificare se questa valutazione sia avvenuta secondo criteri logici, se cioè i criteri di inferenza usati dal giudice di merito possano essere ritenuti plausibili o se ne siano consentiti di diversi, idonei a fondare soluzioni alternative, parimenti plausibili.

Questo compito era attribuito al giudice di legittimità anche prima delle modificazioni introdotte, all’art. 606, lett. e, già ricordato, dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8 comma 1, lett. h, che ha ricondotto il vizio di travisamento della prova nell’alveo del vizio di motivazione senza intaccare l’ambito del sindacato di legittimità sui criteri utilizzati dal giudice di merito per la valutazione della prova consentendo però alla Corte di cassazione un limitato accesso agli atti quando il loro contenuto – senza necessità di una loro valutazione ma per la loro stessa valenza esplicativa – siano idonei a porre nel nulla, da soli, le conclusioni del giudice di merito.

E’ chiaro che, alla fine, la Corte di cassazione esprime un giudizio di valore, in particolare quando ritiene "debole" la regola di inferenza utilizzata dal giudice di merito; ma ciò rientra nell’ambito del controllo di legittimità previsto dalla norma indicata perchè una regola di inferenza "debole", su cui sia fondata la decisione, incrina irrimediabilmente la logicità della decisione.

4) Fatta questa premessa e passando all’esame del caso oggetto del presente giudizio va osservato che la sentenza di primo grado aveva fondato l’affermazione di responsabilità delle ricorrenti su questi elementi:

– il fatto che le imputate fossero state sorprese in piena notte in una località assai distante dal luogo di residenza;

– la circostanza che sull’autovettura sulla quale si trovavano fossero stati rinvenuti arnesi atti allo scasso oltre che la refurtiva sottratta poco tempo prima dall’abitazione di cui si è detto;

– il fatto che le ricorrenti si fossero avvalse della facoltà di non rispondere all’interrogatorio con ciò omettendo di fornire una tesi alternativa a quella di accusa.

A questi elementi di valutazione la Corte di merito ha aggiunto che "non vi è la prova che le due donne non si trovassero a bordo dell’autovettura dei coimputati nel momento in cui il mezzo veniva avvistato dallo Z., in quanto costui non indicava il numero delle persone che erano a bordo dell’autovettura". E’ poi ritenuto "dato probatorio rilevante" la circostanza che "a seguito della perquisizione le due donne venivano trovate entrambe in possesso di accendini (di cui non disponevano i coimputati), oggetti necessari per fare luce nel corso della perpetrazione del furto avvenuto nella notte".

La compartecipazione nel furto sarebbe infine confermata dalla circostanza che le ricorrenti e gli altri due imputati abitavano tutti nella stessa casa dove erano stati rinvenuti oggetti provenienti da altri furti.

5) Queste argomentazioni incorrono in un duplice vizio: l’illogicità manifesta e la violazione dei criteri di valutazione della prova previsti dall’art. 192, comma 2 del codice di rito nella parte in cui è stato attribuito carattere di gravità ad elementi ritenuti di natura indiziaria ma che costituiscono, in realtà, meri elementi di sospetto.

L’indizio è infatti costituito da un fatto certo che, in base a riconosciute massime di esperienza (o regole inferenziali), consente di ritenere esistente il fatto storico da provare. Ma la presenza di una persona a bordo di un veicolo sul quale si trovano chi ha commesso un furto e la refurtiva – pur costituendo un elemento di sospetto – non corrisponde ad una regola di esperienza comunemente riconosciuta secondo cui il passeggero ha concorso nel furto.

Trattandosi di mero elemento di sospetto non vale ad attribuirgli valore indiziario la circostanza che non siano state fornite giustificazioni attendibili della presenza delle ricorrenti a bordo del veicolo sul quale si trovavano le persone (i due coimputati) che certamente avevano commesso il furto.

Va infatti precisato che le giustificazioni dell’imputato, se ritenute non credibili, possono essere utilizzate per la ricostruzione di un fatto a lui attribuibile in base ad un serio quadro indiziario. Ma quando il quadro indiziario sia assolutamente insufficiente non può valere a renderlo probatoriamente idoneo (nel senso di attribuirè agli indizi carattere di gravità, precisione e concordanza) l’inesistenza di giustificazioni o un giudizio di inattendibilità delle giustificazioni fornite, per es., sulla presenza sul luogo del reato quando questa presenza non sia di per sè esplicativa dell’attribuzione della condotta all’imputato.

Nel caso in esame la presenza delle due donne sul luogo dove è stato commesso il delitto è una mera congettura priva di conferme; in una situazione in cui, anche se fosse provata la presenza sul luogo, occorrerebbe comunque pur sempre dimostrare (e in questo caso gli argomenti logici potrebbero avere una pregnanza superiore) che la loro condotta non era di mera connivenza ma in qualche modo partecipativa del delitto.

Si aggiunga che la gravità indiziaria va valutata, in particolare, con riferimento alla possibilità di ipotizzare soluzioni alternative parimenti plausibili rispetto a quella accolta. Un elemento indiziario debole può essere reso maggiormente significativo solo in presenza di ulteriori elementi che valgano a confermare l’ipotesi di accusa e la natura del tutto congetturale delle ipotesi alternative.

Siamo infatti in presenza, nel nostro caso, di un’ipotesi che ne ammette di contrarie o di diverse (in particolare che le due donne fossero salite sull’autovettura dopo che il furto era stato commesso oltre che quella, cui si è già accennato, della mera connivenza).

Ciò comporta che il giudice di merito, in presenza di altre ricostruzioni plausibili del fatto, non possa omettere di valutarle per stabilire un giudizio di equiprobabilità (che non consente la condanna dell’imputato) ovvero di maggiore, ma elevata, probabilità dell’ipotesi di accusa che consenta di pervenire all’affermazione di responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio.

La regola del ragionevole dubbio – normativamente introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 5, che ha modificato l’art. 533 comma 1 del codice di rito ma già ripetutamente affermata dalla giurisprudenza di legittimità – consente infatti che possa essere affermata la responsabilità dell’imputato a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente ipotizzabili, ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benchè minimo riscontro ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose; insomma il dubbio, per poter essere superato, non deve essere ragionevole e l’ipotesi alternativa, pur ipotizzabile, deve essere del tutto congetturale (v. in questo senso, Cass., sez. 1^, 3 marzo 2010 n. 17921, Giampà, rv. 247449; sez. 4^, 12 novembre 2009 n. 48320, Durante, rv. 245879; sez. 1^, 8 maggio 2009 n. 23813, Manickam, rv.

243801; sez. 1^, 21 maggio 2008 n. 31456, Franzoni, rv. 240763).

Ma nel caso in cui coesistano più ipotesi ricostruttive contrastanti il giudice deve verificare il grado di conferma (in senso qualitativo, non quantitativo) di ciascuna di esse dopo aver acquisito tutte le informazioni rilevanti; e se ciò è impossibile non potrà convalidare una delle ipotesi plausibili solo perchè la ritiene più convincente di altre. A maggior ragione nei casi in cui la prova è indiretta per cui è necessario individuare una regola di inferenza "forte" per ricollegare il fatto accertato a quello da provare.

Nel caso in esame le ipotesi alternative, certamente possibili, sono state escluse in modo apodittico e congetturale dai giudici d’appello i quali hanno ritenuto che la mera presenza sul veicolo dove si trovava la refurtiva e la coabitazione con gli autori del furto costituissero elementi idonei a dimostrare la loro partecipazione al furto.

Anzi la sentenza d’appello incorre anche in un errore di diritto perchè conferma la sentenza di condanna ma, nella motivazione, fonda sostanzialmente la prova della partecipazione su un’inammissibile inversione dell’onere della prova sulla non presenza delle donne a bordo dell’auto quando la medesima fu avvistata dal testimone indicando come elemento di valutazione negativo (la circostanza che il teste1 non avesse visto quante persone si trovavano a bordo dell’autovettura) un’ elemento che semmai è da ritenere favorevole alle imputate.

Come è agevole verificare la motivazione sulla fondatezza della ipotesi accolta è meramente apparente perchè alcuno degli elementi di conferma dell’ipotesi di accusa indicati è astrattamente idoneo a provare la partecipazione delle imputate al furto. Singolare è anche l’argomento tratto dal possesso degli accendini senza neppure che fosse verificato se le due imputate fossero fumatrici e se, fra gli oggetti idonei a commettere furti rinvenuti sull’auto, vi fosse anche una torcia.

In definitiva: l’unico fatto significativo accertato dai giudici di merito è costituito dalla circostanza che le ricorrenti siano state trovate all’interno di un’autovettura, occupata dagli autori di un furto commesso 45 minuti prima, al cui interno si trovava la refurtiva.

La sentenza impugnata è dunque fondata su una massima di esperienza illogica: che chi si trovi, insieme ad altre persone, a bordo di un’autovettura sulla quale venga rinvenuta refurtiva proveniente da un furto in precedenza commesso da alcuni dei presenti risponde della partecipazione al furto se non riesce a dare una convincente giustificazione della sua presenza a bordo del veicolo anche in mancanza di ulteriori elementi di conferma.

Deve dunque concludersi che alcuna delle ragioni indicate nella sentenza impugnata vale a sminuire la credibilità dell’ipotesi alternativa formulata dalle ricorrenti: ci si trova in presenza di ipotesi ugualmente plausibili che dunque non valgono a far ritenere superata la soglia del ragionevole dubbio anche per la manifesta illogicità degli argomenti posti, dai giudici di merito, a fondamento della condivisione di una delle ipotesi alternative.

5) Per le considerazioni svolte il ricorso deve essere accolto con l’annullamento della sentenza impugnata.

L’annullamento va disposto senza rinvio, per. non avere le imputate commesso il fatto, non essendo ipotizzatali, in un eventuale giudizio di rinvio, ulteriori accertamenti idonei a confermare l’ipotesi di accusa.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, Sezione 4 penale, annulla senza rinvio la sentenza impugnata per non avere, le imputate, commesso il fatto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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