Corte Costituzionale sentenza n. 88 SENTENZA 07 – 11 marzo 2011 .

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 12 del 16-3-2011

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’articolo 8, comma 2
della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 17 febbraio 2010, n.
5 (Valorizzazione dei dialetti di origine veneta parlati nella
Regione Friuli-Venezia Giulia), promosso dal Presidente del Consiglio
dei ministri con ricorso notificato il 20-23 aprile 2010, depositato
in cancelleria il 27 aprile 2010 ed iscritto al n. 63 del registro
ricorsi 2010.
Visto l’atto di costituzione della Regione Friuli-Venezia Giulia;
udito nell’udienza pubblica del 25 gennaio 2011 il Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano, sostituito per la redazione della
sentenza dal Giudice Ugo De Siervo;
uditi l’avvocato dello Stato Diego Giordano per il Presidente del
Consiglio dei ministri e l’avvocato Giandomenico Falcon per la
Regione Friuli-Venezia Giulia.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato il 23 aprile 2010 e depositato il
successivo 27 aprile (iscritto al reg. ric. n. 63 del 2010), il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento
agli artt. 3, secondo comma, 6 e 117, secondo comma, lettera h),
della Costituzione, nonche’ all’art. 37, comma 2-bis, del decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), e
alla legge 15 febbraio 1999, n. 482 (Norme in materia di tutela delle
minoranze linguistiche storiche), questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 8, comma 2, della legge della Regione
Friuli-Venezia Giulia 17 febbraio 2010, n. 5 (Valorizzazione dei
dialetti di origine veneta parlati nella Regione Friuli-Venezia
Giulia).
Il ricorrente premette che la Regione Friuli-Venezia Giulia ha
emanato la legge regionale in esame in attuazione dell’art. 9 Cost.,
al fine di promuovere e sostenere «la valorizzazione culturale e la
conoscenza dei dialetti di origine veneta parlati nel territorio
regionale, elencati nel successivo articolo 2». L’impugnata
disposizione, a sua volta, stabilisce che «la Regione sostiene gli
enti locali e i soggetti pubblici e privati che operano nei settori
della cultura, dello sport, dell’economia e del sociale per
l’utilizzo di cartellonistica, anche stradale, nei dialetti di cui
all’articolo 2».
2. – Il ricorrente ricorda che, a livello nazionale, e’ stata
adottata la legge n. 482 del 1999, che all’art. 2, comma 1, recita:
«In attuazione dell’articolo 6 della Costituzione e in armonia con i
principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali,
la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni
albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle
parlanti il, francese, il franco provenzale, il friulano, il ladino,
l’occitano e il sardo»; cio’ mentre all’art 3 di questa legge
individua i territori nei quali si applicano le disposizioni a tutela
delle sopra citate minoranze linguistiche. Sempre in questa legge
l’art. 10 prevede che «nei comuni di cui all’articolo 3, in aggiunta
ai toponimi ufficiali, i consigli comunali possono deliberare
l’adozione di toponimi conformi alle tradizioni e agli usi locali».
3. – Cio’ premesso, l’Avvocatura generale dello Stato sottolinea
come, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, la tutela
delle minoranze linguistiche costituisce un principio fondamentale
della Costituzione, da preservare in particolare alla luce «del
principio pluralistico» riconosciuto dall’art. 2 Cost., oltre che
«del principio di eguaglianza» ex art. 3 Cost. La stessa
giurisprudenza riconosce come il legislatore statale abbia inteso,
altresi’, valorizzare, accanto alle culture minoritarie, il
patrimonio culturale ed artistico della lingua italiana (sentenza n.
159 del 2009).
4. – Alla luce di quanto sopra ricordato – prosegue il ricorrente
– la denunciata previsione legislativa regionale si porrebbe
chiaramente in contrasto con l’art. 10 della legge n. 482 del 1999,
il quale consente l’adozione di toponimi solo per quelle minoranze
linguistiche previste dall’art. 2 della stessa legge per i residenti
nei territori indicati dal successivo art. 3, nel cui ambito non
rientrano i dialetti elencati nell’art. 2 della legge reg. n. 5 del
2010 in esame.
Infatti, le lingue minoritarie di cui alla legge n. 482 del 1999
devono distinguersi sia dai c.d. «dialetti» (ovvero «idiomi»
territorialmente caratterizzati), sia dal «vernacolo» (quale modo di
parlare limitato ad una precisa zona geografica ed usato
specificamente dal popolo).
4.1. – Inoltre, l’art. 18 della legge n. 482 del 1999 prevede, al
comma 1, che le Regioni a Statuto speciale possono introdurre le
disposizioni piu’ favorevoli previste dalla legge statale in oggetto
solo attraverso «norme di attuazione dei rispettivi statuti», mentre
non si autorizza il legislatore regionale ad introdurre norme che
vengano a derogare ai principi stabiliti dalla legge n. 482 del 1999
(cosi’ la gia’ ricordata sentenza n. 159 del 2009).
Per l’Avvocatura dello Stato, il legislatore regionale avrebbe
travalicato le sue competenze regionali, prevedendo in materia di
toponomastica (peraltro attraverso una disposizione che non
costituisce norma di attuazione dello Statuto della Regione
Friuli-Venezia Giulia) una tutela piu’ ampia di quella stabilita dal
legislatore statale,.
5. – Per il ricorrente, l’impugnata disposizione, «stabilendo
[…] implicitamente l’uso esclusivo di tali dialetti per i cartelli
relativi alla segnaletica stradale» e, pertanto, incidendo «nella
competenza esclusiva statale in materia di circolazione stradale,
della quale la segnaletica stradale fa parte, secondo quanto
affermato da codesta Corte nella sentenza n. 428 del 2004»,
violerebbe sia l’art. 3, secondo comma, sia l’art 117, secondo comma,
lettera h), Cost., poiche’ si porrebbe in contrasto con l’art. 37,
comma 2-bis, del d.lgs. n. 285 del 1992, secondo cui i Comuni e gli
altri enti indicati nel comma 1 «possono utilizzare, nei segnali di
localizzazione territoriale del confine del comune, lingue regionali
o idiomi locali presenti nella zona di riferimento in aggiunta alla
denominazione nella lingua italiana».
6. – Nel giudizio davanti alla Corte si e’ costituita la Regione
Friuli-Venezia Giulia in persona del Presidente della Giunta
regionale, che ha dedotto l’inammissibilita’ e l’infondatezza delle
censure.
6.1. – La resistente precisa che l’impugnata disposizione non
disciplinerebbe affatto l’uso della cartellonistica sia stradale sia
non stradale, che rimarrebbe regolata dalle rispettive discipline
(codice della strada, toponomastica, legislazione pubblicitaria e
cosi’ via), ma si limiterebbe semplicemente a contemplare un sostegno
economico ad attivita’, lecite e legittime, degli enti locali e dei
soggetti sia pubblici che privati, i quali operano «nei settori della
cultura, dello sport, dell’economia e del sociale», attraverso il
«Fondo regionale per la valorizzazione dei dialetti di origine
veneta» (di cui all’art. 11 della legge regionale n. 5 del 2010),
fondo destinato appunto al finanziamento degli interventi di
valorizzazione previsti nel capo II della stessa legge regionale,
capo di cui fa anche parte la disposizione censurata.
La difesa regionale conclude – riservandosi di allegare ulteriori
eccezioni ed argomentazioni – che la norma impugnata non violerebbe
alcuna competenza statale, poiche’ si tratterebbe di disposizione «di
puro finanziamento di attivita’».
7. – In prossimita’ dell’udienza pubblica, la difesa della
Regione Friuli-Venezia Giulia ha depositato una memoria, nella quale
– dopo aver richiamato quanto svolto nell’atto di costituzione –
insiste per l’infondatezza delle questioni.
7.1. – In particolare, riguardo alla lamentata violazione
dell’art. 10 della legge n. 482 del 1999, la difesa della resistente
ribadisce che l’art. 8, comma 2, e’ «una mera legge di spesa», che
non detta una disciplina sostanziale della cartellonistica, in
particolare sull’uso dei toponimi, e, quindi, non prevede ne’
trasferisce «alcun potere regolativo»: la denunciata disposizione
opera su di un piano del tutto diverso da quello della legge n. 482
del 1999, prevedendo solo contributi finanziari per la tutela del
patrimonio culturale regionale, senza creare alcuna sovrapposizione a
quanto stabilito dalla legge n. 482 del 1999.
7.1.1. – Il comma 2 dell’art. 8, inoltre, non opera in materia di
toponomastica, come reso evidente dal comma 1 dello stesso articolo,
il quale prevede che «nel settore della toponomastica, la Regione
sostiene indagini e partecipa alle iniziative di studio e ricerca
promosse dai Comuni, anche in collaborazione con le universita’ degli
studi del Friuli-Venezia Giulia e gli istituti culturali della
regione».
In ogni caso – prosegue la difesa regionale – anche se si volesse
interpretare la norma denunciata nel senso voluto dal ricorrente, la
questione sarebbe parimenti infondata in quanto, secondo la costante
giurisprudenza costituzionale – «le leggi non si dichiarano
costituzionalmente illegittime perche’ e’ possibile darne
interpretazioni incostituzionali ma perche’ e’ impossibile darne
interpretazioni costituzionali».
Pertanto, improprio sarebbe l’accostamento, proposto dal
ricorrente, alla questione relativa all’art. 11, comma 5, della legge
della Regione Friuli-Venezia Giulia 18 dicembre 2007, n. 29 (Norme
per la tutela, valorizzazione e promozione della lingua friulana),
che, stante il contenuto, «si sovrapponeva – come oggetto – all’art.
10 1. 482/1999» e che e’ stata accolta dalla Corte costituzionale con
la sentenza n. 159 del 2009. Semmai, la norma qui impugnata sarebbe
simile all’art. 4 della legge della Regione Piemonte 7 aprile 2009,
n. 11 (Tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio linguistico
del Piemonte), il cui dubbio d’incostituzionalita’ e’ stata dalla
Corte costituzionale rigettato con la sentenza n. 170 del 2010.
Relativamente a questa norma – osserva il resistente – la Corte ha,
infatti, affermato che questa si giustifica «nello specifico contesto
della tutela dell’originale patrimonio culturale e linguistico
regionale e delle sue espressioni considerate piu’ significative»
(Considerato in diritto, punto 10), dal momento che tendeva a
valorizzare l’idioma locale a scopo di tutela del patrimonio
culturale e storico.
Inoltre, mentre la disposizione della legge regionale piemontese
pone l’uso dell’idioma locale «in aggiunta alla denominazione nella
lingua italiana», il denunciato art. 8, comma 2, della legge reg. n.
5 del 2010, fa riferimento solo, genericamente, alla
«cartellonistica, anche stradale», e non prevede il solo uso del
dialetto, ne’ altera le preesistenti norme sull’uso della lingua.
La difesa regionale nega, inoltre, che la disposizione sospettata
d’incostituzionalita’ si riferisca a toponimi, ma comunque ritiene
che anche una ipotetica sentenza di questa Corte, che ritenga incisa
l’area della toponomastica, dovrebbe eventualmente censurare solo
questo profilo.
7.1.2. – In piu’, prosegue la difesa regionale, essendo volta
soltanto a finanziare attivita’ di promozione del patrimonio
culturale regionale, la disposizione in oggetto si sottrarrebbe alle
doglianze del ricorrente, in quanto, anche prima della riforma
costituzionale del 2001, la Corte costituzionale aveva riconosciuto
la legittimita’ di leggi regionali che finanziavano determinate
attivita’ anche al di fuori dell’allora numero chiuso delle materie
di competenza regionale, ritenendo che «la Regione e’ ente
esponenziale della comunita’ regionale», cioe’ rappresentante
generale dei suoi interessi (sentenza n. 829 del 1988). A maggior
ragione, quindi, cio’ sarebbe possibile nel caso di specie, dal
momento che la legge reg. n. 5 del 2010 ha lo scopo precipuo di
sviluppare la cultura e l’art. 9 Cost. attribuisce «lo sviluppo della
cultura e la tutela dei beni culturali e del paesaggio alla
Repubblica in tutte le sue articolazioni, e non soltanto allo Stato»
(sentenza n. 405 del 2006)».
La difesa regionale sottolinea, inoltre, che le Regioni ordinarie
e anche quelle speciali ex art. 10 della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della
Costituzione) hanno competenza concorrente in materia di «promozione
e organizzazione di attivita’ culturali», per cui non sarebbe neppure
necessario invocare la competenza residuale di cui all’art. 117,
quarto comma, Cost.
Per quanto riguarda specificamente la Regione Friuli-Venezia
Giulia, la legittimita’ delle leggi di spesa e’ stata confermata
anche dalla sentenza n. 159 del 2009, sull’uso della lingua friulana,
in relazione alla questione relativa all’art. 18, comma 4, della
citata legge reg. n. 7 del 2009.
7.2. – Riguardo alla seconda questione, relativa alla lamentata
lesione della competenza esclusiva statale in materia di circolazione
stradale, la difesa regionale, in via preliminare, ritiene
inammissibile la doglianza basata sull’art. 3 Cost. per plurimi
motivi. Specificamente, l’inammissibilita’ della censura deriverebbe
«sia perche’ tale parametro non e’ richiamato nella delibera del
Consiglio dei ministri, sia per genericita’ perche’ (a parte il
richiamo del comma secondo, invece che del comma primo dell’art. 3
Cost., che si ritiene erroneo) l’Avvocatura non illustra per quale
ragione sarebbe violato il principio di uguaglianza».
7.2.1. – La questione prospettata in relazione all’art. 117,
secondo comma, lettera h), Cost., invece, sarebbe palesemente
infondata, in quanto la norma regionale denunciata si riferirebbe
all’utilizzo di «cartellonistica, anche stradale», e non di
«segnaletica stradale», che serve a tutelare l’incolumita’ delle
persone. Pertanto, l’impugnata disposizione non sarebbe riconducibile
– come ritenuto dal ricorrente – alla materia dell’«ordine pubblico e
sicurezza», di cui all’art. 117. secondo comma, lettera h), Cost.
Con riguardo, poi, proprio alla sentenza n. 428 del 2004, citata
dall’Avvocatura generale dello Stato, la Regione ritiene che la
stessa nulla proverebbe al riguardo, anzi potrebbe costituire prova a
contrario di quanto sostenuto dal ricorrente.
Conclusivamente, per la Regione resistente, la questione
risulterebbe anche contraddittoria e percio’, inammissibile, perche’
il ricorrente lamenterebbe la violazione della competenza statale in
materia di sicurezza e, «in particolare», dell’art. 37, comma 2-bis
del d.lgs. n. 285 del 1992, attinente alla toponomastica, che e’
materia nella quale la Regione Friuli-Venezia Giulia ha competenza
concorrente.

Considerato in diritto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 8, comma 2, della legge della
Regione Friuli-Venezia Giulia del 17 febbraio 2010, n. 5
(Valorizzazione dei dialetti di origine veneta parlati nella Regione
Friuli-Venezia Giulia), in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 6
e 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione, nonche’
all’art. 37, comma 2-bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n.
285 (Nuovo codice della strada), e alla legge 15 febbraio 1999, n.
482 (Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche
storiche).
L’impugnata disposizione, secondo cui «la Regione sostiene gli
enti locali e i soggetti pubblici e privati che operano nei settori
della cultura, dello sport, dell’economia e del sociale per
l’utilizzo di cartellonistica, anche stradale, nei dialetti di cui
all’articolo 2», violerebbe, in primo luogo, l’art. 6 Cost. sotto due
profili. Innanzitutto, essa confliggerebbe con l’art. 10 della legge
n. 482 del 1999, attribuendo «con riferimento alla toponomastica, una
tutela piu’ ampia di quella che il legislatore statale, in attuazione
dell’art. 6 Cost., ha riconosciuto alle sole lingue minoritarie con
la legge n. 482 del 1999 tra le quali essi dialetti, comunque, non
rientrano». Inoltre, il denunciato art. 8, comma 2, violerebbe l’art.
18 della legge n. 482 del 1999, poiche’, stabilendo quest’ultimo per
le Regioni a Statuto speciale che «l’applicazione delle disposizioni
piu’ favorevoli previste dalla presente legge e’ disciplinata con
norme di attuazione dei rispettivi statuti» e non essendo la
disposizione impugnata norma di attuazione, il legislatore regionale
avrebbe ecceduto dalle sue competenze.
In secondo luogo, l’impugnata disposizione, consentendo
«implicitamente l’uso esclusivo di tali dialetti per i cartelli
relativi alla segnaletica stradale», violerebbe l’art. 117, secondo
comma, lettera h), Cost., giacche’ l’art. 37, comma 2-bis, del d.lgs.
n. 285 del 1992 stabilisce che «i Comuni e gli altri enti indicati
nel comma1 possono utilizzare, nei segnali di localizzazione
territoriale del confine del comune, lingue regionali o idiomi locali
presenti nella zona di riferimento in aggiunta alla denominazione
nella lingua italiana».
Infine, e’ contestata la violazione dell’art. 3, secondo comma,
Cost., «per la lesione del principio del rispetto della eguaglianza
di cittadini del Paese».
2. – In accoglimento all’eccezione sollevata dalla Regione
resistente, in via preliminare va dichiarata inammissibile la
questione di legittimita’ costituzionale sollevata in riferimento
all’art. 3, secondo comma, Cost. per la evidente carenza di ogni
motivazione a supporto della prospettata doglianza, tanto piu’
necessaria in un giudizio in via principale (fra le molte, sentenze
n. 278, n. 119 e n. 10 del 2010).
3. – La questione di legittimita’ costituzionale, promossa in
riferimento all’art. 6 Cost., non e’ fondata.
Per il ricorrente, la Regione Friuli-Venezia Giulia non avrebbe
potuto adottare la denunciata disposizione, dal momento che questa,
da un lato, eccederebbe quanto previsto dall’art. 10 della legge n.
482 del 1999, in tema di toponimia, e, dall’altro, non e’ stata
approvata secondo il procedimento di adozione delle norme di
attuazione, cui rinvia l’art. 18 della medesima legge n. 482 del
1999.
Questa doglianza riposa su di una inesatta ricostruzione del
contenuto della legge n. 482 del 1999, considerata dal ricorrente
come disciplina che esaurisce ogni forma di riconoscimento e sostegno
del pluralismo linguistico. Al contrario, l’evocata legge si
riferisce esclusivamente alla «tutela delle minoranze linguistiche
storiche», caratterizzate non solo dalla loro particolare origine
storica, ma anche dal loro significativo insediamento in precise aree
territoriali. Sicche’, essa attribuisce ai loro appartenenti una
serie di speciali diritti, i quali necessitano di una disciplina che,
puntualmente, ne garantisca un ragionevole bilanciamento con
l’assetto istituzionale di riferimento, da un lato, e con le
situazioni giuridiche soggettive degli altri cittadini, dall’altro.
Peraltro, la speciale legislazione di «tutela delle minoranze
linguistiche storiche» non esaurisce la disciplina sollecitata dalla
notoria presenza di un assai piu’ ricco e variegato pluralismo
culturale e linguistico, che va sotto i termini di «lingue regionali
ed idiomi locali», per utilizzare il linguaggio usato dal legislatore
statale nell’art. 1 del decreto legge 27 giugno 2003, n. 151
(Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito in
legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 1° agosto 2003, n.
214, o di «dialetti», «idiomi» o anche «vernacoli», come si esprime
l’Avvocatura generale dello Stato.
Rispetto a questa piu’ ampia e diffusa fenomenologia, la
giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che la tutela attiva delle
minoranze linguistiche costituisce principio fondamentale
dell’ordinamento costituzionale, ai sensi non solo dell’art. 6 Cost.
ma anche di «principi, talora definiti "supremi", che qualificano
indefettibilmente e necessariamente l’ordinamento vigente (sentenze
n. 62 del 1992, n. 768 del 1988, n. 289 del 1987 e n. 312 del 1983):
il principio pluralistico riconosciuto dall’art. 2 – essendo la
lingua un elemento di identita’ individuale e collettiva di
importanza basilare – e il principio di eguaglianza riconosciuto
dall’art. 3 della Costituzione, il quale, nel primo comma, stabilisce
la pari dignita’ sociale e l’eguaglianza di fronte alla legge di
tutti i cittadini, senza distinzione di lingua e, nel secondo comma,
prescrive l’adozione di norme che valgano anche positivamente per
rimuovere le situazioni di fatto da cui possano derivare conseguenze
discriminatorie» (sentenze n. 159 del 2009 e n. 15 del 1996).
Non a caso, sia prima che dopo la legge n. 482 del 1999, sono
state adottate apposite leggi regionali di sostegno dei diversi
patrimoni linguistici e culturali delle Regioni, attraverso la
costituzione o il sostegno di strutture organizzative a cio’
congeniali e per il tramite di variegate forme di finanziamento. La
stessa legge regionale di cui fa parte la disposizione oggetto
dell’odierno scrutinio, adottata in esplicita «attuazione dell’art. 9
della Costituzione e in armonia con i principi internazionali di
rispetto delle diversita’ culturali e linguistiche» (art. 1 della
legge reg. n. 5 del 2010), esprime la medesima portata finalistica,
mirando a promuovere la vitalita’ del patrimonio dialettale senza
contraddire l’evocata disciplina statale.
D’altra parte, di recente questa Corte ha affermato che se una
legge regionale non puo’ procedere «a individuare come meritevole di
tutela una lingua non riconosciuta come tale dal legislatore statale
con la legge generale della materia», tuttavia non sono contrastanti
con la Costituzione disposizioni legislative regionali che, in
relazione ad una lingua minoritaria, si inquadrino «nello specifico
contesto della tutela dell’"originale patrimonio culturale e
linguistico regionale" e delle sue espressioni considerate piu’
significative» (sentenza n. 170 del 2010).
Anche la legge reg. n. 5 del 2010 dispone, pertanto, in ambiti
riferibili all’art. 9 Cost. Ne’ la disposizione impugnata,
attribuendo alla Regione la facolta’ di sostenere gli enti locali e i
soggetti pubblici e privati, che operano "nei settori della cultura,
dello sport, dell’ economia e del sociale per l’utilizzo di
cartellonistica, anche stradale, nei dialetti di cui all’articolo 2»,
incide sulla toponomastica, cui si riferisce l’invocato art. 10 della
legge n. 482 del 1999. Invero, palesemente il legislatore regionale
non ha inteso interferire con la determinazione dei nomi dei luoghi
che si realizza attraverso l’apposizione dei segnali stradali di
localizzazione territoriale. Al contrario, la denunciata disposizione
mira genericamente ad incentivare il ricorso ai dialetti nella
"cartellonistica", vale a dire in quell’insieme di rappresentazioni
destinate a diffondere altre informazioni negli ambiti a cui si
riferisce la disposizione.
A conforto di tale interpretazione soccorre la previsione, non
impugnata, del comma 1 dello stesso art. 8, il quale invece contempla
espressamente interventi regionali di sostegno economico ai Comuni in
materia di toponomastica.
Cosi’ definito l’ambito di operativita’ della denunciata
previsione, si rivela inconferente l’evocazione dell’art. 18 della
legge n. 482 del 1992.
4. – Non e’ neppure fondata la questione di legittimita’
costituzionale sollevata in riferimento all’art. 117, secondo comma,
lettera h), Cost.
Sostiene il ricorrente che, prevedendo l’uso esclusivo dei
«dialetti per i cartelli relativi alla segnaletica stradale»,
l’impugnata disposizione avrebbe leso la competenza esclusiva del
legislatore statale in materia di circolazione stradale.
Peraltro, correttamente intesa, la disposizione in oggetto non si
riferisce alla segnaletica stradale (art. 38 del d.lgs. n. 285 del
1992), ne’ la "cartellonistica" ivi prevista puo’ essere assimilata
ad un «segnale di localizzazione territoriale del confine del
comune», come recita l’evocato art. 37, comma 2-bis, del d.lgs. n.
285 del 1992.
Cio’ non preclude, in ogni caso, che, ove la "cartellonistica" si
rivelasse in concreto tale da ingenerare confusione con la
segnaletica stradale o da renderne difficile la comprensione o
ridurne la visibilita’ o l’efficacia, o comunque ponesse in pericolo
la sicurezza della circolazione, si applichino le norme sanzionatorie
previste in materia (art. 23 del d.lgs. n. 285 del 1992).

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 8, comma 2, della legge della Regione
Friuli-Venezia Giulia 17 febbraio 2010, n. 5 (Valorizzazione dei
dialetti di origine veneta parlati nella Regione Friuli-Venezia
Giulia), sollevata, con riferimento all’art. 3, secondo comma, della
Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il
ricorso in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimita’ costituzionale
dello stesso art. 8, comma 2, sollevate, con riferimento agli artt. 6
e 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione, dal Presidente
del Consiglio dei ministri col medesimo ricorso.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2011.

Il Presidente: De Siervo

Il redattore: De Siervo

Il cancelliere: Melatti

Depositata in cancelleria l’11 marzo 2011.

Il cancelliere: Melatti

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *