Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-07-2011) 09-08-2011, n. 31611 Vendita di prodotti industriali con segni mendaci

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

p. 1. Con sentenza in data 8/03/2011 la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza pronunciata in data 20/06/2007 con la quale il Tribunale di Roma aveva ritenuto T.D. responsabile dei reati di cui agli artt. 474 e 648 c.p.. p. 2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo VIOLAZIONE degli artt. 49 – 474 – 648 C.P. per non avere la Corte territoriale rilevato che, nel caso di specie, l’imputato fu trovato in possesso "di imitazioni dozzinali di borse elegantissime e famose, ovvero di beni di lusso cui è coessenziale la destinazione ad una clientela altamente selezionata". Di conseguenza, non sarebbe configurabile alcuna lesione della fede pubblica, essendosi in presenza "di un falso esplicito e palese a tutti, in primis, all’acquirente" e allo stesso produttore. p. 3. Il ricorso è manifestamente infondato.

Infatti, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, alla quale va data continuità, "la grossolanità dei marchi contraffatti, tale da renderli inidonei a trarre in inganno una persona di media esperienza e diligenza circa la provenienza degli oggetti in commercio, non comporta l’impossibilità di configurare il reato di cui all’art. 474 cod. pen. per asserita inidoneità dell’azione, posto che il reato tutela la fede pubblica, intesa come affidamento della collettività nei marchi e segni distintivi, e quindi l’interesse non solo dello specifico compratore occasionale, ma della generalità dei possibili destinatari dei prodotti, oltre che delle imprese titolari dei marchi e dei segni contraffatti a mantenere certa la funzione distintiva e la garanzia di provenienza dei beni in commercio": SSUU. 23427/2001 – Cass. 44297/2005, rv 232769 – Cass. 31451/2006 Rv. 235214 – Cass. 11240/2008 Rv. 239478 – Cass. 40556/2008 Rv. 241723.

Di conseguenza, la sentenza impugnata, avendo fatto corretta applicazione del suddetto principio di diritto, si sottrae alla generica censura dedotta dal ricorrente in quanto i motivi di ricorso non adducono argomenti di diritto nuovi, tali da far riconsiderare la problematica. p. 4. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

DICHIARA Inammissibile il ricorso e CONDANNA il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *