Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 28-12-2011, n. 29243 Assegno di invalidità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 19 gennaio 2007 la Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Roma del 28 giugno 2001, ha condannato il Ministero dell’Interno al pagamento in favore di F.B. dell’assegno mensile di cui alla L. n. 118 del 1971, art. 13, a decorrere dal dicembre 1991, nonchè della pensione di inabilità di cui all’art. 12 della stessa legge a decorrere dall’ottobre 2000. La Corte territoriale ha motivato tale decisione sulla base della consulenza tecnica d’ufficio disposta nel giudizio di appello e le cui risultanze sono state ritenute pienamente condivisibili. Inoltre la stessa Corte d’Appello ha ritenuto la sussistenza dei requisiti reddituali e di incollocazione dei riconosciuti benefici considerando che la loro sussistenza non è mai stata contestata dal Ministero appellato.

Il Ministero dell’Interno ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze hanno proposto ricorso per cassazione avverso questa sentenza articolandolo su quattro motivi.

Resiste con controricorso F.B. che propone ricorso incidentale condizionato articolato su due motivi.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze resiste con controricorso al ricorso incidentale avversario.

Motivi della decisione

I ricorsi vanno riuniti essendo stati proposti avverso la medesima sentenza.

Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 4, con riferimento al riconoscimento del diritto all’assegno di invalidità mai richiesto dalla ricorrente in primo grado ed appellante in secondo grado.

Con secondo motivo si deduce violazione o falsa applicazione della L. n. 18 del 1971, artt. 12 e 13, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, assumendosi la mancanza di alcuni elementi costitutivi del diritto all’assegno di invalidità ed essendosi limitata la Corte d’Appello di Roma ad accertare il solo requisito sanitario.

Con terzo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, in ordine alla mancata prova circa gli elementi costitutivi del diritto all’assegno ed alla pensione di invalidità non avendo l’appellante mai assolto all’onere probatorio sulla sussistenza di detti elementi costitutivi.

Con il quarto motivo si deduce omessa motivazione su un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, con riferimento alla omessa verifica della sussistenza del requisito economico e della incollocazione della L. n. 118 del 1971, ex artt. 12 e 13.

Con il primo motivo del ricorso incidentale si lamenta violazione della L. n. 118 del 1971, art. 12, e, in subordine, difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia con riferimento all’accoglimento delle risultanze della CTU che non avrebbe considerato la presenza di gravi patologie anche in epoca antecedente all’ottobre 2000 e che comportavano l’inabilità del 100%.

Con secondo motivo si deduce violazione dell’art. 62 cod. proc. civ. e art. 51 cod. proc. civ., e segg., per avere la Corte d’Appello affidato la nuova consulenza al medesimo CTU che aveva già espresso il proprio parere sul caso nell’ambito di una consulenza poi dichiarata nulla per motivi procedurali.

Il primo motivo del ricorso principale è infondato. Dalla sentenza impugnata emerge che, con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, la ricorrente ha chiesto, in via subordinata, il riconoscimento del proprio diritto all’assegno mensile di cui alla L. L. n. 118 del 1971, art. 13, per cui il motivo non ha ragion d’essere essendo la circostanza di fatto su esso è fondato, smentita dalla narrativa della stessa sentenza.

Gli altri motivi del ricorso principale, che riguardano tutti il mancato accertamento dei presupposti per il riconoscimento del diritto all’assegno in questione, possono essere trattati congiuntamente. I motivi sono fondati. Il requisito reddituale e lo stato di in collocazione al lavoro costituiscono, al pari della riduzione della capacità lavorativa, elementi costitutivi del diritto alla prestazione, la cui prova è a carico del soggetto richiedente la prestazione stessa ex art. 2697 cod. civ.. Tale onere probatorio non può essere superato attraverso il richiamo al principio di non contestazione, come invece operato dal giudice di merito, in quanto il principio di non contestazione non può essere invocato nei casi in cui l’attore non abbia provato gli elementi costitutivi della fattispecie. Questa Corte ha affermato al riguardo che l’art. 167 cod. proc. civ., imponendo al convenuto l’onere di prendere posizione sui fatti costitutivi del diritto preteso dalla controparte, considera la non contestazione un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato e dovrà ritenerlo sussistente, in quanto l’atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti. Tuttavia, in tanto può porsi il problema della contestazione del fatto ed assumere rilievo la non contestazione – quale indice, in positivo e di per sè, di una linea difensiva incompatibile con la negazione del fatto, -in quanto l’allegazione del fatto, con tutti gli elementi costituenti il suo contenuto variabile e complesso, risulti connotata da precisione e specificità, tali da renderla conforme al modello postulato dalla regola legale o contrattuale per l’attribuzione del diritto;

altrimenti, il fatto resta, per ciò stesso, estraneo al potere – dovere di contestazione, atteso il collegamento con quello di allegazione (di cui costituisce riflesso processuale) posto dal citato art. 167 cod. proc. civ., e la sua omessa deduzione (nella estensione dovuta) lo restituisce interamente al "thema probandum" come disciplinato dall’art. 2697 cod. civ. (Cass. 8 aprile 2004 n. 6936).

Il primo motivo del ricorso incidentale è infondato in quanto si risolve in una censura sul giudizio diagnostico operato dal giudice di merito sulla base della consulenza tecnica d’ufficio le cui risultanze sono state ritenute condivisibili con giudizio incensurabile in questa sede essendo stato compiutamente e logicamente motivato.

Anche il secondo motivo è infondato in quanto non vi è stata ricusazione del CTU che sarebbe stata necessaria in caso di contestazione della scelta del consulente; nè vi è stata tempestiva eccezione della nullità della consulenza tecnica che viene contestata solo in questa sede di legittimità.

La sentenza impugnata va pertanto cassata con riferimento ai motivi del ricorso principale accolti, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, che si atterrà ai principi di diritto sopra esposti provvedendo all’accertamento degli elementi costituivi del diritto all’assegno di invalidità in questione, e provvedere anche per le spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione riunisce i ricorsi; rigetta il primo motivo del ricorso principale ed accoglie gli altri motivi;

Rigetta il ricorso incidentale condizionato;

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese di giudizio, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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