Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-07-2011) 09-08-2011, n. 31601

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 21/06/2010, la Corte di Appello di Firenze confermava la sentenza pronunciata in data 21/01/2009 dal g.m. del Tribunale di Arezzo – sezione distaccata di Montevarchi – nella parte in cui aveva ritenuto G.G. responsabile del delitto di truffa "perchè con artifizi e raggiri consistiti nel far credere a V.L. che il contratto di compravendita relativo al terreno edificabile sito in località (OMISSIS), che questi doveva acquistare unitamente a lui per poi rivenderlo, sarebbe stato posto in essere successivamente alla data prevista in quanto si dovevano eseguire delle verifiche contrattuali, induceva in errore lo stesso V. così estromettendolo dall’atto di acquisto e successiva vendita ed in tal modo, procurandosi l’ingiusto profitto derivante dall’aver egli solo effettuato l’acquisto e la successiva alienazione a terzi del bene, con equivalente danno per la Savim s.r.l. della quale V.L. è legale rappresentante e con equivalente danno per la Omega s.r.l. della quale M.O.M.L. è legale rappresentante.

Fatto commesso in (OMISSIS) nel mese di marzo 2004. (capo di imputazione così modificato, su richiesta del Pubblico Ministero all’udienza del 9.7.2008)". 2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo dei suoi difensori, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:

2.1. violazione dell’art. 8 c.p.p.: ad avviso del ricorrente (motivo sub 2 ricorso avv.to Talarico e motivo sub 5 ricorso avv.to Gambogi), competente a decidere sarebbe il Tribunale di Firenze e non quello di Arezzo.

Infatti, la pretesa deminutio patrimoniale subita dalla parte civile non derivò "dalla mancata stipula del rogito, ma dalla mancata esecuzione, da parte della sign.ra T. (legale rappresentante della società Europa s.r.l.) della scrittura privata del 31/12/2002 che prevedeva che, in ogni caso gli utili derivanti dall’affare dovessero essere divisi tra le parti. E’ nel momento in cui la sign.ra T. ha percepito i profitti dell’affare (momento successivo senz’altro all’acquisto del terreno oggetto di processo) e non li ha divisi con il V. che può dirsi cagionato il danno eventualmente subito dalle parti civili".

Pertanto la competenza territoriale doveva essere attribuita al tribunale di Firenze (luogo di residenza di tutte le parti) e non a quello di Arezzo.

2.2. violazione dell’art. 238 bis c.p.p. (motivo sub 3 ricorso avv. Talarico e motivo sub la ricorso avv.to Gambogi) per avere il giudice di primo grado "acquisito ed utilizzato per la decisione, la sentenza civile pronunciata nei confronti della Europa s.r.l. senza giustificare in alcun modo tale agire e con l’opposizione della difesa". 2.3. violazione dell’art. 192 c.p.p. (motivo sub 5 ricorso avv. Talarico e motivo sub 1b ricorso avv.to Gambogi) per non avere la Corte territoriale riscontrato con il dovuto vaglio critico le dichiarazioni rese dalla parte civile V. (che aveva un notevole interesse economico nella vicenda) nonchè dal teste D.S. che era uno stretto collaboratore del suddetto V..

2.4. Violazione dell’art. 603 c.p.p. (motivo sub 4 ricorso avv. Talarico e motivo sub 2 ricorso avv.to Gambogi) per non avere la Corte ritenuto necessaria l’assunzione di una prova decisiva, consistente nell’acquisizione del tabulato telefonico Vodafone Onmitel contenente il dettaglio delle chiamate inviate e ricevute dal numero di telefonia cellulare (OMISSIS) intestato ed utilizzato dall’imputato.

L’importanza di tale documento sarebbe assoluta, sia per valutare la credibilità del teste, persona offesa, V.L., sia per introdurre possibili elementi di chiarezza sulla circostanza fondamentale sulla quale si fonda l’intero processo, ovvero la telefonata effettuata dall’imputato al V., in data 16 marzo 2004, il cui contenuto avrebbe costituito l’artifizio o raggiro della truffa contestata.

Ad avviso del ricorrente, la durata della conversazione sarebbe, infatti, del tutto incompatibile con le deposizioni dei testi di accusa. Sul punto, la Corte territoriale, nonostante uno specifico motivo di gravame, aveva omesso ogni motivazione.

2.5. Omessa pronuncia su alcune questioni sollevate in merito alla ricostruzione dei fatti (motivo sub 3 ricorso avv.to Gambogi):

sostiene il ricorrente che la Corte territoriale, nonostante fossero state dedotte numerose questioni di fatto (cfr pag. pag. 16 ricorso) la Corte non aveva ritenuto di addurre alcuna motivazione non consentendo, quindi, di comprendere nè se le questioni sollevate fossero state esaminate e valutate nè il motivo per cui, in concreto, sarebbero ininfluenti.

2.6. Violazione dell’art. 640 c.p. (motivo sub 1 ricorso avv. Talarico e motivo sub 4 ricorso avv.to Gambogi) per essere insussistente sia il requisito dell’artificio e/o raggiro ("il prospettare una possibilità, seppure menzognera, non può certo dirsi integrante quella artificiosa rappresentazione della realtà tanto da manipolare l’altrui sfera psichica"), sia l’idoneità della condotta ad arrecare il danno.

Il ricorrente, sul punto, premette che la scrittura privata (stipulata tra la s.r.l. Europa – facente capo alla moglie del G., sign.ra T. – e le società Savim s.r.l. e Omega s.r.l. – facenti capo al V. -), "datata 31.12.2002, prevede due statuizioni fondamentali.

La prima, che pur prevedendosi che la Signora T. si recasse al rogito munita delle procure di tutte le Società – incluse quelle delle due Parti Civili – l’immobile dovesse figurare acquistato a nome dell’Europa S.r.l.. La seconda, che in ogni caso gli utili derivanti dall’affare dovessero essere divisi fra le parti (in una misura mai messa in discussione, neppure in seguito, sicchè non si fa questione del quantum)".

Sulla base di tale premessa, il ricorrente conclude, quindi, sostenendo che "l’esistenza e l’acquisizione processuale, nei termini supra specificamente indicati, della scrittura privata, mostrano senza dubbio alcuno che la stipula si è svolta in termini prossimi a quelli effettivamente previsti nel documento, e che comunque gli interessi economici delle Parti Civili erano tutelate da quello stesso accordo.

In realtà, ciò che ha privato i querelanti del beneficio economico che si attendevano non è stata l’ipotetica telefonata dell’imputato, ma il rifiuto dell’Europa S.r.l. di dar corso – per motivi il cui pregio è all’esame del Giudice civile – all’accordo del 31.12.2002.

Dunque, la condotta contestata all’imputato non ha di per sè assicurato un illecito profitto alla Società amministrata dalla moglie, non ha prodotto alcun danno nè poteva giuridicamente produrlo.

Se anche l’imputato avesse effettivamente commesso quanto gli si attribuisce, sarebbe stato giuridicamente impossibile l’evento dannoso per l’inidoneità della condotta giusta l’art. 49 c.p., comma 2 e tale evento dannoso non si è di fatto verificato, quantomeno non allora e per effetto dei fatti contestati, impedendo la consumazione, e quindi l’integrazione sotto il profilo dell’elemento oggettivo del reato".

In altri, termini, l’errore commesso dal giudice di merito, sarebbe consistito "nell’aver ricostruito l’intera vicenda come se il V. ed il G. dovessero essere entrambi acquirenti formali dei terreni comparendo entrambi nel contratto, non considerando, invece, che gli interessi economici delle parti civili venivano tutelate non con il contratto di compravendita (che doveva essere stipulato della sola Europa s.r.l.) ma con la scrittura privata del 31/12/2002". 2.7. Violazione dell’art. 62 bis c.p. per avere la Corte territoriale omesso qualsiasi motivazione in ordine alla concessione delle richieste attenuanti generiche.

Motivi della decisione

1. Violazione dell’art. 8 c.p.p.: la doglianza è infondata per le ragioni di seguito indicate.

Va premesso che il punto di partenza per una corretta disamina della problematica in questione, è costituito dalla sentenza n 18/2000 delle SSUU le quali hanno ribadito il principio di diritto secondo il quale "poichè la truffa è reato istantaneo e di danno, che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell’autore abbia fatto seguito la deminutio patrimonii del soggetto passivo, nell’ipotesi di truffa contrattuale il reato si consuma non già quando il soggetto passivo assume, per effetto di artifici o raggiri, l’obbligazione della datio di un bene economico, ma nel momento in cui si realizza l’effettivo conseguimento del bene da parte dell’agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato.

Ne consegue che, qualora l’oggetto materiale del reato sia costituito da titoli di credito, il momento della sua consumazione è quello dell’acquisizione da parte dell’autore del reato, della relativa valuta, attraverso la loro riscossione o utilizzazione, poichè solo per mezzo di queste si concreta il vantaggio patrimoniale dell’agente e nel contempo diviene definitiva la potenziale lesione del patrimonio della parte offesa".

Va, infatti, osservato che la truffa è un reato che prevede, come elementi costitutivi due requisiti: il conseguimento dell’ingiusto profitto da parte dell’agente e il danno da parte del soggetto leso:

solo quando entrambi questi due elementi si sono verificati, la truffa può dirsi consumata proprio perchè la condotta ingannatrice (alla quale sono riconducibili causalmente i due suddetti eventi) si è completamente realizzata.

Pertanto, ai fini della soluzione delle questioni riguardanti la competenza territoriale, occorre accertare il luogo dove si è realizzato l’effettivo conseguimento del vantaggio (l’ingiusto profitto) da parte dell’agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato.

Nella fattispecie in esame, secondo l’ipotesi accusatoria ritenuta fondata da entrambi i giudici di merito, entrambi gli elementi costitutivi del reato di truffa si consumarono nel circondario di Arezzo in quanto il contratto fu stipulato in Terranova Bracciolini sicchè, in tale località, contemporaneamente, da una parte, il G. conseguì l’ingiusto profitto derivante dalla truffa e, dall’altra, il V. subì la perdita derivante dal vantaggio che avrebbe conseguito ove avesse partecipato all’atto di compravendita.

Corretta deve, pertanto, ritenersi la decisione assunta sul punto dalla Corte territoriale.

2. Violazione dell’art. 238 bis c.p.p.: la doglianza, nei termini in cui è stata dedotta, è manifestamente infondata.

La Corte territoriale, fattasene carico, l’ha disattesa osservando che il giudice di primo grado aveva ritenuto di utilizzare la suddetta sentenza civile "non già per provare la responsabilità penale del G., quanto per confermare che in entrambi i giudizi le risultanze istruttorie comportavano gli stessi esiti".

A fronte di tale motivazione, il ricorrente si è limitato ad obiettare che "sarebbe lecito dubitare ampiamente di tale affermazione, sia perchè pare improbabile che l’esame della pronuncia civile non abbia quantomeno rafforzato il giudice di prime cure nella sua decisione, sia perchè nel giudizio civile diverse sono le parti ed ovviamente le questioni sollevate".

Al che deve replicarsi che si tratta di una censura del tutto generica ed aspecifica atteso che il ricorrente, al di là di una mera ipotesi, non indica alcun dato fattuale sul quale fondi la sua eccezione.

In realtà, dalla lettura della sentenza di primo grado, come correttamente ha ritenuto la Corte territoriale, non si rileva alcun elemento dal quale si possa desumere che il primo giudice abbia fondato la sua decisione su quella del giudice civile. Al contrario, deve ritenersi che il primo giudice, con un giudizio del tutto autonomo, ha valutato le prove assunte nel dibattimento e, sulla base delle medesime, ha ricostruito il fatto ed ha ritenuto la colpevolezza dell’imputato.

3. Violazione dell’art. 192 c.p.p.: anche la suddetta doglianza è manifestamente infondata.

Infatti, se si leggono con attenzione entrambe le sentenze di merito, è facile avvedersi che le dichiarazioni rese dal V. hanno trovato un ampio riscontro fattuale non solo nello svolgimento dei fatti così come ricostruiti da entrambi i giudici di merito ma anche sul piano logico atteso che, entrambi i giudici di merito, hanno confutato la principale tesi difensiva dell’imputato e cioè che il G. stipulò l’atto da solo senza far intervenire il V. perchè costui non aveva la disponibilità economica per partecipare all’affare (cfr. pag. 7 sentenza appello e pag. 100 sentenza primo grado).

4. Violazione dell’art. 603 c.p.p.:. La censura è infondata per le ragioni di seguito indicate.

L’art. 603 c.p.p., in ordine alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in grado di appello, ex art. 603 c.p.p., prevede tre ipotesi:

– la riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado o l’assunzione di nuove prove: tale fattispecie, prevista nel comma 1, è subordinata alla circostanza che il giudice ritenga "di non essere in grado di decidere allo stato degli atti", situazione questa che si verifica quando i dati probatori già acquisiti siano incerti ovvero quando l’incombente richiesto rivesta carattere di decisività, nel senso che è idoneo ad eliminare le eventuali incertezze ovvero ad inficiare ogni altra risultanza.

Il comma 1, poi, riguarda prove preesistenti o prove già note alla parte.

Infatti, da un esame comparativo fra il comma 1 ed il comma 2, si evince che il comma 1, nella parte in cui disciplina tout court, senza alcuna limitazione "l’assunzione di nuove prove" si riferisce proprio alle prove preesistenti o prove già note alla parte, tant’è che la diversa ipotesi delle "prove sopravvenute" è disciplinata al comma 2: ex plurimis Cass. 3348/2003 riv 227494;

l’assunzione di prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado: tale fattispecie, prevista dal comma 2, va disposta nei limiti previsti dall’art. 495 c.p.p., comma 1 norma che, a sua volta, richiama l’art. 190 c.p.p. comma 1 e art. 190 bis c.p.p. relativi, rispettivamente, al diritto alla prova ed ai requisiti della prova nei procedimenti per taluno dei delitti indicati nell’art. 51 c.p., comma 3 bis.

In conseguenza di tale doppio richiamo, deve ritenersi che – nel caso previsto dall’art. 603 c.p.p., comma 2 – il Giudice è tenuto sì a disporre la rinnovazione del dibattimento, ma con il limite costituito dalle ipotesi di richieste concernenti prove vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti: ex plurimis Cass. 8382/2008 riv 239341; l’assunzione disposta d’ufficio: questa terza ipotesi di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale prevista dall’art. 603 c.p.p., comma 3, ricorre solo se il giudice "la ritiene assolutamente necessaria", dovendosi intendere con tale espressione, il caso in cui ritenga che non gli sia possibile decidere se non dopo l’assunzione di una determinata prova.

La diversità delle tipologie previste in ordine alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in sede di appello, refluisce anche in ordine alla motivazione ed ai motivi di impugnazione.

Infatti, avendo la rinnovazione, ancorchè parziale, del dibattimento carattere eccezionale e potendo essere disposta solo qualora il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti, ne deriva che, mentre la rinnovazione dev’essere specificamente motivata, occorrendo dare conto dell’uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non potere decidere allo stato degli atti, nel caso, viceversa, di rigetto, la relativa motivazione può essere anche implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento: ex plurimis Cass. 15320/2009 riv 246859 – Cass. 47095/2009 riv 245996.

Parallelamente, in tema di impugnazione della decisione del giudice, la mancata assunzione di una prova decisiva può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. d) solo quando si tratti di prove sopravvenute o scoperte dopo la pronuncia di primo grado, che avrebbero dovuto essere ammesse secondo il disposto dell’art. 603 c.p.p., comma 2.

Negli altri casi, la decisione istruttoria è ricorribile, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), sotto il solo profilo della mancanza o manifesta illogicità della motivazione come risultante dal testo del provvedimento impugnato e sempre che la prova negata, confrontata con le ragioni addotte a sostegno della decisione, sia di natura tale da poter determinare una diversa conclusione del processo: ex plurimis Cass. 34643/2008 riv 240995 – Cass. 4675/2006 riv 235654.

Ora, applicando i suddetti principi di diritto al caso in esame, deve rilevarsi che:

– la fattispecie rientra nell’ipotesi di cui all’art. 603 c.p.p., comma 1, in quanto il ricorrente aveva chiesto l’assunzione dei tabulati telefonici fin dal primo grado;

– la Corte d’Appello, quindi, nel rigettare la richiesta di rinnovazione del dibattimento, non aveva alcuna necessità di motivare avendo ritenuto che il compendio probatorio in atti era sufficiente a ritenere la colpevolezza dell’imputato;

– la suddetta motivazione, non si presta alla censura dedotta atteso che la Corte ne ha ritenuto, sia pure implicitamente, la superfluità in considerazione dell’ampio compendio probatorio.

Pertanto, deve concludersi che la prova dedotta, confrontata con la sia pure implicita motivazione addotta dalla Corte territoriale, non ha natura tale da poter determinare una diversa conclusione del processo, come si desume peraltro dalla stessa generica doglianza dedotta in questa sede, non essendo chiaro il motivo per cui la durata della conversazione dovrebbe essere incompatibile con le deposizioni dei testi di accusa e con tutto il compendio probatorio.

5. omessa pronuncia: il ricorrente, a pag. 16/17 del ricorso avv. Gambogi, lamenta omessa motivazione in ordine ad una serie di questioni che, a suo avviso, avrebbero una valenza decisiva e fondamentale ai fini della decisione.

Sennonchè, ove si ponga attenzione alle pretese omissioni, è facile avvedersi che, sulle questioni davvero rilevanti e centrali, entrambi i giudici di merito si sono ampiamente pronunciati. Ciò dicasi, in particolare, per la valutazione economica del V., e per la modifica dell’atto di compravendita apportata dal notaio su richiesta del solo G..

Le altre pretese omesse motivazioni (quanto alla mancata valutazione delle dichiarazioni rese dalla teste T., va rilevato che ne parla il primo giudice a pag. 100), nulla tolgono e nulla aggiungono alla complessiva ricostruzione dei fatti.

6. Violazione dell’art. 640 c.p.: la censura è infondata alla stregua delle considerazioni che seguono.

Il fatto, alla stregua della formulazione del capo d’imputazione, di quanto scritto da entrambi i giudici di merito e dallo stesso ricorrente (cfr pag. 17-18-22-24 atto di appello) può essere, sinteticamente, ricostruito nei seguenti termini: il V. (tramite la s.r.l. Savim della quale era il legale rappresentante), M.O. (tramite la srl Omega della quale era la legale rappresentante) ed il G. (tramite una società a lui facente capo, la Europa s.r.l.), ognuno per le rispettive quote, dovevano acquistare un terreno edificabile per, poi, rivenderlo ad un terzo (tale Ma.) ricavando così una plusvalenza di oltre Euro 600.000,00.

La s.r.l. Savim e la s.r.l. Omega avrebbe dovuto partecipare all’atto di acquisto a mezzo di procure rilasciate dai rispettivi legali rappresentanti al legale rappresentante della Europa s.r.l..

Il 16/03/2004, ossia due giorni prima della data fissata per la stipula dell’atto, il G. telefonò al V. dicendogli che il 18/03 il rogito non sarebbe stato stipulato perchè si "dovevano eseguire delle verifiche contrattuali".

Sennonchè, la mattina del 18/03/2004 (giorno fissato per la stipula dell’atto), il G. telefonò allo studio notarile informandolo che occorreva modificare la parte acquirente, eliminando le società del V. e della M. e, quindi, individuando parte acquirente la sola società del G. ossia la Europa s.r.l..

In effetti, l’atto fu così modificato sicchè acquirente risultò la sola Europa s.r.l..

Ora, secondo la tesi difensiva dedotta in questa sede, nella fattispecie non sarebbe ravvisabile alcun danno perchè, alla stregua di una scrittura privata del 31/12/2002, "gli interessi economici delle parti civili venivano tutelate non con il contratto di compravendita (che doveva essere stipulato dalla sola Europa s.r.l.) ma con la scrittura privata del 31/12/2002".

Sennonchè si tratta di un’eccezione di poco momento proprio sul piano civilistico.

Nella scrittura privata del 31/12/2002 (prodotta nel giudizio di merito ed allegata al presente ricorso) è scritto: "Europa s.r.l. interverrà da sola al rogito per l’acquisto e la rivendita dell’area e verrà munita di procura notarile speciale da parte delle società Immobiliare 90 snc e Omega srl".

Ora, come risulta dal tenore testuale del suddetto patto – confermato dallo stesso ricorrente che, nel presente ricorso, ha affermato che la suddetta scrittura prevedeva che "la Signora T. si recasse al rogito munita delle procure di tutte le Società, incluse quelle delle due Parti Civili" – benchè parte formale dell’atto dovesse essere la sola Europa s.r.l., in realtà, le parti sostanziali, ossia gli acquirenti (in virtù delle procure rilasciate), dovevano essere tutte e tre le società.

Di conseguenza, proprio sul piano strettamente civilistico, non è affatto vero che il contratto di compravendita doveva essere stipulato dalla sola Europa s.r.l.: al contrario, la Europa s.r.l. oltre che acquistare per sè, in forza delle procure rilasciatele, avrebbe dovuto acquistare anche per le Società Omega e Immobiliare 90.

E, d’altra parte, la censura è anche palesemente in contraddizione con la principale tesi difensiva del ricorrente, dedotta nei giudizi di merito, secondo la quale erano state le parti civili a non voler più stipulare il contratto non avendone la possibilità economica.

E’ ovvio, infatti, che non si può contemporaneamente sostenere, da una parte, il mero inadempimento civilistico della Europa s.r.l.

(tesi che presuppone, secondo lo stesso assunto del ricorrente, che, in effetti, le parti civili avevano diritto al guadagno ricavato dall’intera operazione immobiliare) e, dall’altra, che le parti civili non avevano diritto ad alcunchè perchè non avevano partecipato all’atto non avendo il denaro necessario.

Quanto, infine, alla configurabilità dell’artificio o raggiro, la ricostruzione dei fatti e le modalità con le quali l’imputato, da una parte, convinse, con un’evidente menzogna, il V. a non recarsi dal notaio, e, dall’altra, contemporaneamente, richiese al notaio di modificare il rogito nella parte relativa all’acquirente (la sola Europa s.r.l.), fanno ritenere che nel suddetto comportamento siano ravvisabili gli estremi dell’artificio o raggiro proprio perchè si trattò di un comportamento idoneo a trarre in inganno la parte offesa la quale, non recandosi presso il notaio al momento del rogito, non potette rendersi conto che l’atto di acquisito veniva compiuto dalla sola Europa s.r.l. e non anche dalle altre due società. 7. violazione dell’art. 62 bis c.p.: la censura è fondata.

Infatti, a fronte di un puntuale motivo di appello con il quale l’imputato aveva censurato il silenzio tenuto dal primo giudice in ordine alla concedibilità o meno delle attenuanti generiche, la Corte territoriale ha omesso di motivare: il che comporta l’annullamento, in parte qua, della sentenza, ma la conferma delle statuizioni civili con conseguente condanna dell’imputato al pagamento delle spese sostenute nel grado dalle costituite parti civili.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’omessa pronuncia sulle circostanze attenuanti generiche, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze per nuovo giudizio sul punto;

Condanna G.G. alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalle parti civili V.L. e M.O.M., in proprio e nelle rispettive qualità di legali rappresentanti della Savim s.r.l. e della Omega s.r.l., liquidate in complessivi Euro 3.500,00 oltre spese generali, Iva e c.p.a..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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