Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-07-2011) 09-08-2011, n. 31599 Poteri della Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

In data 4 novembre 2010 la Corte d’appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del 18 gennaio 2010 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, riduceva le pene inflitte a S.V. e ad C.A., imputati del reato di cui all’art. 628 c.p. Avverso tale sentenza hanno separatamente proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati.

Il S. allega due motivi. La prima doglianza è relativa al vizio di motivazione in ordine agli elementi che hanno portato all’affermazione della sua colpevolezza, i quali – essendo meramente indiziari, ma non gravi precisi e concordanti – avrebbero dovuto invece condurre al proscioglimento.

Col secondo motivo, censura la sentenza impugnata per la mancata concessione delle attenuanti generiche e per l’eccessività della pena inflitta.

Il ricorso del C. contiene un unico motivo, sostanzialmente coincidente con la doglianza principale del coimputato: anche quest’altro ricorrente si duole, infatti, del vizio di motivazione in ordine agli elementi indiziari valutati a suo carico e che invece avrebbero dovuto determinarne l’assoluzione in quanto non sufficienti a ritenere certamente provata la sua partecipazione al delitto.

Entrambi i ricorsi sono inammissibili.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che ricorre il vizio di motivazione illogica o contraddittoria solo quando emergono elementi di illogicità o contraddizioni di tale macroscopica evidenza da rivelare una totale estraneità fra le argomentazioni adottate e la soluzione decisionale (Cass. 25 maggio 1995, n. 3262). In altri termini, occorre che sia mancata del tutto, da parte del giudice, la presa in considerazione del punto sottoposto alla sua analisi, talchè la motivazione adottata non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui la decisione è fondata e non contenga gli specifici elementi esplicativi delle ragioni che possono aver indotto a disattendere le critiche pertinenti dedotte dalle parti (Cass. 15 novembre 1996, n. 10456).

Queste conclusioni restano ferme pur dopo la L. n. 46 del 2000 che, innovando sul punto l’art. 606 c.p.p., lett. e), consente di denunciare i vizi di motivazione con riferimento ad "altri atti del processo": alla Corte di cassazione resta comunque preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, dovendosi essa limitare a controllare se la motivazione dei giudici di merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito, (ex plurimis: Cass. 1 ottobre 2008 n. 38803).

Quindi, pur dopo la novella, non hanno rilevanza le censure che si limitano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, dal momento che il sindacato della Corte di cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di legittimità e la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione non può essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite. La Corte, infatti, non deve accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v. Cass. 3 ottobre 2006, n. 36546;

Cass. 10 luglio 2007, n. 35683; Cass. 11 gennaio 2007, n. 7380).

La motivazione è invece mancante non solo nel caso della sua totale assenza, ma anche quando le argomentazioni addotte dal giudice a dimostrazione della fondatezza del suo convincimento siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate dall’interessato con i motivi d’appello e dotate del requisito della decisività (Cass. 17 giugno 2009, n. 35918).

Nessuno di tali vizi ricorre nel caso di specie, dal momento che il giudice di appello ha esposto un ragionamento argomentativo coerente, completo e privo di discontinuità logiche.

In particolare, la Corte d’appello ha enucleato una serie di elementi di accusa che le hanno consentito di identificare i ricorrenti quali autori della rapina. Il dato più saliente costituito dalla circostanza che i due sono stati sorpresi dalle forze dell’ordine mentre svuotavano il contenuto del camion sottratto con violenza alla parte offesa in un furgone di proprietà del S., in un vicolo cieco in prossimità dell’abitazione di quest’ultimo, dopo appena un’ora circa dalla rapina. Inoltre, il C. indossava un abbigliamento compatibile con la descrizione fatta dalla vittima e quest’ultima aveva visto transitare ad un orario insolito, poco prima della rapina, una autovettura Lancia Y10 corrispondente a quella di proprietà di tale M.B., cognata del C.. Queste constatazioni, unitamente alle reticenze degli imputati, al tentativo di fuga ed ad alcune loro affermazioni riscontrate come false, hanno condotto i giudici di merito ad affermare la responsabilità dei ricorrenti.

Le censure contenute nei ricorsi si limitano, quindi, a prospettare una possibile diversa interpretazione degli elementi vagliati dai giudici di merito. Si tratta, in ultima analisi, di censure in punto di fatto, non suscettibili di essere esaminate in sede di legittimità.

Il solo S. si lamenta, inoltre, della mancata concessione delle attenuanti generi che e dell’eccessività della pena. Anche questo profilo del suo ricorso è inammissibile, in quanto attiene a profili di fatto. Infatti, la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62-bis c.p. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purchè non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Cass. 24 settembre 2008, n. 42688).

P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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