T.A.R. Campania Napoli Sez. V, Sent., 15-09-2011, n. 4426 Trattamento economico

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 15.6.1990 e depositato il 9.7.1990 F.C., dipendente di ruolo del Comune di Torre del Greco (NA), ha impugnato, innanzi a questo Tribunale, la delibera di Giunta Municipale n. 1573 del 30.3.1990 in epigrafe con cui il predetto Comune, nell’inquadrarlo ai sensi del D.P.R. n. 347/1983, nella terza qualifica funzionale, profilo professionale di operatore di operatore N.U. e nel determinare il relativo trattamento stipendiale per il periodo 1.1.1983 fino al 31.12.1988, preso atto che aveva percepito una retribuzione in misura maggiore a quella spettante, aveva disposto il recupero della somma di lire 3.032.266 (pari ad euro 1.566,03); ha chiesto, altresì, la condanna dell’intimato Comune, in persona del legale rappresentante p.t., alla restituzione delle somme già trattenute a far data dall’1.1.1990, assumendo a riferimento un inquadramento per sua stessa ammissione "provvisorio".

All’uopo parte ricorrente preso atto dell’aperto contrasto della impugnata delibera con i principi desumibili dal D.P.R. n. 347/1983, nonché con la decisione dell’organo di controllo n. 112776 verb. n. 117 del 6.9.1998 (recante approvazione condizionata della deliberazione n. 2287 del 9.9.1988, concernente l’applicazione del citato D.P.R. n. 347/1983), imponendosi, al riguardo, che "l’Amministrazione deve procedere in tempi ragionevolmente apprezzabili, previa adozione di specifici atti deliberativi, all’espletamento della seconda fase, per la ricognizione e l’eventuale riconoscimento delle mansioni diverse e/o superiori, esercitate dai dipendenti interessati", seconda fase completamente pretermessa dal Comune di Torre del Greco (che, pur di procedere al recupero di somma che assume corrisposta in misura maggiore a quella dovuta, prende in considerazione un inquadramento, per sua stessa ammissione, ancora provvisorio), in attesa dell’applicazione dell’art. 40 D.P.R. n. 347/1983, a sostegno del gravame l’interessato ha dedotto le seguenti censure:

In ordine al recupero della somma che si assume indebitamente corrisposta:

1) Violazione dei principi generali in materia di ripetizione di emolumenti non dovuti – Violazione dell’art. 2033 c.c. in combinato disposto con i principi generali in materia di contabilità degli enti pubblici – Eccesso di potere (per inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto, omessa istruttoria, ingiustizia manifesta).

In proposito parte ricorrente, contestata la circostanza di essergli state corrisposte somme stipendiali in misura maggiore a quella spettante, assume che, pur risultando pacifica l’applicazione della regola di cui all’art. 2033 c.c. relativa al recupero delle somme indebitamente corrisposte ai propri dipendenti anche nei confronti della pubblica amministrazione, in quanto espressione di un principio generale, tuttavia – alla stregua della giurisprudenza richiamata in gravame – tale regola non potrebbe trovare rigorosa ed incondizionata applicazione, dovendosi, prima di procedere all’azione di recupero, tener conto della sussistenza di determinati elementi,, tra cui: a) lo stato di buona fede dell’accipiens (desumibile dalla non provvisorietà dichiarata o altrimenti evidente del pagamento, dalla lunghezza del lasso tempo trascorso dalla sua effettuazione e, più in generale, dalla inconsapevolezza di ricevere l’indebito ovvero la ragionevole convinzione di percepire il dovuto); b) la non notorietà del carattere provvisorio degli emolumenti percepiti, in difetto di una espressa riserva di eventuale recupero in sede di determinazione definitiva del trattamento economico spettante: elementi, questi, nel caso di specie, tutti ricorrenti, risultando evidente la buona fede del ricorrente, nel quale si sarebbe radicata la ragionevole convinzione della legittima spettanza del trattamento stipendiale ricevuto non essendovi nessun dubbio sulla relativa quantificazione sino a quel momento percepita.

Inoltre l’erogazione del trattamento stipendiale goduto dal ricorrente sarebbe avvenuta senza nessuna espressa riserva di eventuale recupero in sede di applicazione definitiva dei miglioramenti economici di cui al D.P.R. n. 347/1983; infine il recupero delle somme stesse sarebbe avvenuto senza la necessaria apposita motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico al recupero, prevalente su quello privato alla conservazione di quanto si assumerebbe indebitamente percepito, all’uopo riferendo di quella giurisprudenza per la quale, oltre agli elementi del decorso del tempo e del della reale incidenza della improvvisa ed onerosa decurtazione stipendiale subita dal dipendente, dovendo altresì l’Amministrazione tenere conto dell’elemento dell’affidamento, specie quando sia trascorso un tempo non breve, durante il quale la buona fede ha ricevuto plurime e costanti occasioni di iterazione (Cfr: T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 4 giugno 2007, n. 5618).

Conclude parte ricorrente chiedendo la condanna dell’Amministrazione alla restituzione delle somme già trattenute a far data dall’1.1.1980, assumendo a riferimento un inquadramento per sua stessa ammissione "provvisorio".

2) In ordine alla riserva di rettifica di inquadramento contenuta negli atti impugnati: Violazione degli artt. 23 e 40 D.P.R. 25.6.1983, n. 347 – Violazione dei principi generali regolanti l’inquadramento dei dipendenti degli enti locali – Eccesso di potere (per inesistenza dei presupposti, difetto di motivazione e di istruttoria e di motivazione, ingiustizia manifesta, violazione della prescrizione apposta dall’organo di controllo con decisione del 6.9.1988, prot. n. 112776, verb. n. 117).

Premesso che, con l’impugnata delibera il Comune di Torre del Greco avrebbe inquadrato il ricorrente a norma del D.P.R. n. 347/1983, formulando espressa riserva di "rettifica di inquadramento qualora ne ricorressero gli estremi", la delibera in questione richiamerebbe la deliberazione di Giunta Municipale n. 2287 del 9.8.1988, concernente l’applicazione del D.P.R. n. 347/1983, omettendo, però, di considerare la prescrizione alla stessa delibera apposta dall’Organo di controllo con decisione prot. n. 112776, verb n. 117 del 6.9.1988, che avrebbe imposto all’Amministrazione di procedere in tempi ragionevolmente apprezzabili, previa adozione di specifici atti deliberativi all’espletamento della c.d. seconda fase, per la ricognizione e l’eventuale riconoscimento delle mansioni diverse e/o superiori, esercitate dai dipendenti interessati.

Conclude il ricorrente nel senso che l’applicazione dell’art. 40 D.P.R. n. 347/1983 sarebbe stata completamente omessa dall’Amministrazione comunale, nonostante la sua attuazione fosse stata a più riprese invocata dal ricorrente, all’uopo richiamando quella giurisprudenza per la quale l’Amministrazione non potrebbe astenersi dal pronunciarsi sulla possibile attuazione dell’art. 40 del D.P.R. n. 347/1983 in favore dei propri dipendenti, sussistendo un sostanziale inadempimento dell’onere gravante sulla competente autorità che avrebbe lasciata indefinita la posizione giuridica dell’interessato, al tempo stesso mancando di soddisfare l’esigenza pubblica riguardante l’esatta e precisa determinazione dello stato giuridico ed economico dello stesso personale (Cfr: T.A.R. Campania, sez. IV, 31.8.1989, n. 422).

Si è costituito in giudizio l’intimato Comune chiedendo il rigetto del ricorso, sì come infondato.

Alla pubblica udienza del 4 novembre 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione. Con ricorso notificato il 15.6.1990 e depositato il 9.7.1990 F.C., dipendente di ruolo del Comune di Torre del Greco (NA), ha impugnato, innanzi a questo Tribunale, la delibera di Giunta Municipale n. 1573 del 30.3.1990 in epigrafe con cui il predetto Comune, nell’inquadrarlo ai sensi del D.P.R. n. 347/1983, nella terza qualifica funzionale, profilo professionale di operatore di operatore N.U. e nel determinare il relativo trattamento stipendiale per il periodo 1.1.1983 fino al 31.12.1988, preso atto che aveva percepito una retribuzione in misura maggiore a quella spettante, aveva disposto il recupero della somma di lire 3.032.266 (pari ad euro 1.566,03); ha chiesto, altresì, la condanna dell’intimato Comune, in persona del legale rappresentante p.t., alla restituzione delle somme già trattenute a far data dall’1.1.1990, assumendo a riferimento un inquadramento per sua stessa ammissione "provvisorio".

All’uopo parte ricorrente preso atto dell’aperto contrasto della impugnata delibera con i principi desumibili dal D.P.R. n. 347/1983, nonché con la decisione dell’organo di controllo n. 112776 verb. n. 117 del 6.9.1998 (recante approvazione condizionata della deliberazione n. 2287 del 9.9.1988, concernente l’applicazione del citato D.P.R. n. 347/1983), imponendosi, al riguardo, che "l’Amministrazione deve procedere in tempi ragionevolmente apprezzabili, previa adozione di specifici atti deliberativi, all’espletamento della seconda fase, per la ricognizione e l’eventuale riconoscimento delle mansioni diverse e/o superiori, esercitate dai dipendenti interessati", seconda fase completamente pretermessa dal Comune di Torre del Greco (che, pur di procedere al recupero di somma che assume corrisposta in misura maggiore a quella dovuta, prende in considerazione un inquadramento, per sua stessa ammissione, ancora provvisorio), in attesa dell’applicazione dell’art. 40 D.P.R. n. 347/1983, a sostegno del gravame l’interessato ha dedotto le seguenti censure:

In ordine al recupero della somma che si assume indebitamente corrisposta:

1) Violazione dei principi generali in materia di ripetizione di emolumenti non dovuti – Violazione dell’art. 2033 c.c. in combinato disposto con i principi generali in materia di contabilità degli enti pubblici – Eccesso di potere (per inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto, omessa istruttoria, ingiustizia manifesta).

In proposito parte ricorrente, contestata la circostanza di essergli state corrisposte somme stipendiali in misura maggiore a quella spettante, assume che, pur risultando pacifica l’applicazione della regola di cui all’art. 2033 c.c. relativa al recupero delle somme indebitamente corrisposte ai propri dipendenti anche nei confronti della pubblica amministrazione, in quanto espressione di un principio generale, tuttavia – alla stregua della giurisprudenza richiamata in gravame – tale regola non potrebbe trovare rigorosa ed incondizionata applicazione, dovendosi, prima di procedere all’azione di recupero, tener conto della sussistenza di determinati elementi,, tra cui: a) lo stato di buona fede dell’accipiens (desumibile dalla non provvisorietà dichiarata o altrimenti evidente del pagamento, dalla lunghezza del lasso tempo trascorso dalla sua effettuazione e, più in generale, dalla inconsapevolezza di ricevere l’indebito ovvero la ragionevole convinzione di percepire il dovuto); b) la non notorietà del carattere provvisorio degli emolumenti percepiti, in difetto di una espressa riserva di eventuale recupero in sede di determinazione definitiva del trattamento economico spettante: elementi, questi, nel caso di specie, tutti ricorrenti, risultando evidente la buona fede del ricorrente, nel quale si sarebbe radicata la ragionevole convinzione della legittima spettanza del trattamento stipendiale ricevuto non essendovi nessun dubbio sulla relativa quantificazione sino a quel momento percepita.

Inoltre l’erogazione del trattamento stipendiale goduto dal ricorrente sarebbe avvenuta senza nessuna espressa riserva di eventuale recupero in sede di applicazione definitiva dei miglioramenti economici di cui al D.P.R. n. 347/1983; infine il recupero delle somme stesse sarebbe avvenuto senza la necessaria apposita motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico al recupero, prevalente su quello privato alla conservazione di quanto si assumerebbe indebitamente percepito, all’uopo riferendo di quella giurisprudenza per la quale, oltre agli elementi del decorso del tempo e del della reale incidenza della improvvisa ed onerosa decurtazione stipendiale subita dal dipendente, dovendo altresì l’Amministrazione tenere conto dell’elemento dell’affidamento, specie quando sia trascorso un tempo non breve, durante il quale la buona fede ha ricevuto plurime e costanti occasioni di iterazione (Cfr: T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 4 giugno 2007, n. 5618).

Conclude parte ricorrente chiedendo la condanna dell’Amministrazione alla restituzione delle somme già trattenute a far data dall’1.1.1980, assumendo a riferimento un inquadramento per sua stessa ammissione "provvisorio".

2) In ordine alla riserva di rettifica di inquadramento contenuta negli atti impugnati: Violazione degli artt. 23 e 40 D.P.R. 25.6.1983, n. 347 – Violazione dei principi generali regolanti l’inquadramento dei dipendenti degli enti locali – Eccesso di potere (per inesistenza dei presupposti, difetto di motivazione e di istruttoria e di motivazione, ingiustizia manifesta, violazione della prescrizione apposta dall’organo di controllo con decisione del 6.9.1988, prot. n. 112776, verb. n. 117).

Premesso che, con l’impugnata delibera il Comune di Torre del Greco avrebbe inquadrato il ricorrente a norma del D.P.R. n. 347/1983, formulando espressa riserva di "rettifica di inquadramento qualora ne ricorressero gli estremi", la delibera in questione richiamerebbe la deliberazione di Giunta Municipale n. 2287 del 9.8.1988, concernente l’applicazione del D.P.R. n. 347/1983, omettendo, però, di considerare la prescrizione alla stessa delibera apposta dall’Organo di controllo con decisione prot. n. 112776, verb n. 117 del 6.9.1988, che avrebbe imposto all’Amministrazione di procedere in tempi ragionevolmente apprezzabili, previa adozione di specifici atti deliberativi all’espletamento della c.d. seconda fase, per la ricognizione e l’eventuale riconoscimento delle mansioni diverse e/o superiori, esercitate dai dipendenti interessati.

Conclude il ricorrente nel senso che l’applicazione dell’art. 40 D.P.R. n. 347/1983 sarebbe stata completamente omessa dall’Amministrazione comunale, nonostante la sua attuazione fosse stata a più riprese invocata dal ricorrente, all’uopo richiamando quella giurisprudenza per la quale l’Amministrazione non potrebbe astenersi dal pronunciarsi sulla possibile attuazione dell’art. 40 del D.P.R. n. 347/1983 in favore dei propri dipendenti, sussistendo un sostanziale inadempimento dell’onere gravante sulla competente autorità che avrebbe lasciata indefinita la posizione giuridica dell’interessato, al tempo stesso mancando di soddisfare l’esigenza pubblica riguardante l’esatta e precisa determinazione dello stato giuridico ed economico dello stesso personale (Cfr: T.A.R. Campania, sez. IV, 31.8.1989, n. 422).

Si è costituito in giudizio l’intimato Comune chiedendo il rigetto del ricorso, sì come infondato.

Alla pubblica udienza del 4 novembre 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1. Pregiudizialmente va rilevato che il difensore di parte ricorrente alla pubblica udienza di discussione dei ricorsi ha dichiarato la permanenza nel proprio assistito dell’interesse ad insistere nei ricorsi in epigrafe.

2. Ciò precisato con il ricorso in esame sono state proposte due domande (corrispondenti a ciascuna delle due censure): la prima di annullamento della delibera di Giunta Municipale n. 1573 del 30.3.1990 in epigrafe, nella parte in cui nell’inquadrare il F., ai sensi del D.P.R. n. 347/1983, nella terza qualifica funzionale, profilo professionale di operatore di operatore N.U. e nel determinare il relativo trattamento stipendiale per il periodo 1.1.1983 fino al 31.12.1988, preso atto che aveva percepito una retribuzione in misura maggiore a quella spettante, aveva disposto il recupero della somma di lire 3.032.266 (pari ad euro 1.566,03) e la seconda di accertamento del diritto del ricorrente all’applicazione nei suoi confronti dell’inquadramento funzionale ex artt. 23 e 40 D.P.R. n. 347/1983.

2. Con la prima delle domande proposte il ricorrente deduce la (parziale) illegittimità della impugnata delibera di inquadramento in relazione alla quale contesta il recupero delle maggiori somme "indebitamente" corrispostegli, che sarebbe stato disposto dall’Amministrazione senza tener conto se il trattamento fosse stato percepito in buona fede e nella ragionevole convinzione di avere diritto a quanto percepito ed utilizzato per il soddisfacimento dei propri bisogni della vita; nonché senza verificare se l’eventuale recupero avrebbe provocato al dipendente ricorrente il disagio economico derivante dalla improvvisa privazione di una parte della propria retribuzione, con la conseguente incidenza sulle esigenze primarie; inoltre, neppure potrebbe essere negata la buona fede del dipendente nel ricevere emolumenti non dovuti, se si considerasse, da un lato, che l’erogazione eseguita dalla P.A: non sarebbe stato frutto di false dichiarazioni dell’interessato e dall’altro dell’assenza di circostanze che possano dimostrare una consapevolezza nell’errore da parte del ricorrente.

3. La domanda è infondata.

4. Il Collegio ritiene, con riguardo alla problematica del recupero delle somme erroneamente corrisposte dall’Amministrazione, di non ignorare come proprio questo Tribunale (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 12.12.2007, n. 16222) abbia talvolta sostenuto che siffatto recupero non costituirebbe un atto assolutamente vincolato trattandosi, nella sostanza, di un atto di autotutela che dovrebbe, pertanto, tener conto del "peso" del recupero sulla situazione concreta, dell’affidamento ingenerato nel dipendente, nonché dello stato di buona fede dello stesso (C. di S., Sez. VI, 28.6.2007, n. 3773; V, 13.7.2006, n. 4413; 15.10.2003, n. 6291), attesa la natura discrezionale puntualizzata dallo stesso art 21nonies, comma 1, della Legge n. 241/1990.

5. Tuttavia, nella fattispecie, si è dell’avviso di aderire al prevalente orientamento giurisprudenziale che ritiene comunque legittimo il recupero delle somme non tenendo conto della buona fede del percipiente, considerando il recupero come un atto dovuto non rinunziabile espressione di una funzione pubblica vincolata (ex multis: C. di S., Sez. IV, 24.5.2007, n. 2651; 12.5.2006, n. 2679; 22.9.2005, nn. 4964 e n. 4983; T.A.R. Toscana, Sez. I, 8.11.2004, n. 5465; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, 12.8.2003, n. 1272; T.A.R. Lazio, Latina, 11.2.1993, n. 143). In capo all’Amministrazione che abbia effettuato il pagamento indebitamente dovuto ad un proprio dipendente si riconosce, perciò, una posizione soggettiva che deve essere qualificata come di diritto soggettivo alla restituzione, alla quale si contrappone, avendo gli atti che si riferiscono ad un credito derivante da un rapporto di impiego di natura paritetica e non autoritativa, una correlativa obbligazione del dipendente; qualora l’Amministrazione intenda recuperare le somme indebitamente corrisposte, non deve annullare l’atto di corresponsione delle stesse in quanto l’indebito si configura coma tale per l’obiettivo contrasto con una norma, con la conseguenza che non vi è obbligo di motivare circa l’interesse pubblico che induce ad effettuare il recupero patrimoniale (T.A.R. Campania, Napoli IV, 25.2.1998, n. 681).

5.1. In definitiva, il Collegio ritiene di fare proprio il principio della normale ripetibilità di tali crediti da parte della P.A., soprattutto nel caso di somme di lieve entità, ciò perché il recupero delle somme indebitamente corrisposte ai dipendenti pubblici ha natura di atto dovuto ex art. 2033 c.c., con la conseguenza che la buona fede del percettore rileva ai soli fini delle modalità con cui il recupero deve essere effettuato, in modo cioè da non incidere in maniera eccessivamente onerosa sulle esigenze di vita del dipendente (nel caso di specie, fornendo altresì, attraverso prospetti analitici, analitica rendicontazione delle somme da restituire). Pertanto lo stato psicologico del debitore, in ipotesi in buona fede, di per sé non preclude l’attività di recupero dell’indebito, ma impone l’obbligo di una più approfondita valutazione degli interessi implicati, in particolare sotto il profilo del grado di lesione di quello del dipendente.

Ne consegue che, nel caso come in trattazione in cui il sacrificio imposto con il recupero è di lieve entità, l’interesse del dipendente a trattenere gli emolumenti percepiti non può prevalere su quello pubblico alla ripetizione delle somme erogate indebitamente, che è di per sé sempre attuale e concreto (C. di S., Sez. IV, 8.6.2009, n. 3516; V, 23.3.2004, n. 1535; T.A.R. Veneto, III, 2.4.2009, n. 1072; T.A.R. Lazio, Roma Iter 8.6.2009, n. 5466; I, 1.4.2008, n. 2764; T.A.R. Campania, Salerno, I, 7.3.2006, n. 237).

5.2. L’assunto di parte ricorrente per il quale in presenza di un inquadramento provvisorio non sarebbe legittimo il recupero di somme di cui non potrebbe predicarsene con certezza la loro ripetibilità non è condivisibile, anzitutto perché nulla esclude che l’inquadramento operato con la delibera impugnata debba considerarsi definitivo (sul punto la decisione dell’organo di controllo n. 112776 verb. n. 117 del 6.9.1998 – richiamata dal ricorrente – recava approvazione condizionata della deliberazione n. 2287 del 9.9.1988, concernente l’applicazione – questa sì provvisoria – del citato D.P.R. n. 347/1983, imponendosi che "l’Amministrazione deve procedere in tempi ragionevolmente apprezzabili, previa adozione di specifici atti deliberativi, all’espletamento della seconda fase, per la ricognizione e l’eventuale riconoscimento delle mansioni diverse e/o superiori, esercitate dai dipendenti interessati"), essendosi il Comune riservato con la delibera impugnata unicamente la rettifica dell’inquadramento (definitivo) qualora "ne ricorressero gli estremi" e, poi, perché, anche a voler seguire la tesi del carattere provvisorio dell’inquadramento in parola prospettata da parte ricorrente, quest’ultimo mostra di non considerare che proprio alla natura provvisoria dell’inquadramento conseguirebbe (anche sotto il profilo della "riserva di recupero") il carattere provvisorio delle somme corrisposte a mero titolo di anticipazione sulle somme successivamente e definitivamente riconosciute spettanti.

6. Il Collegio, in conclusione, ritiene di rigettare la domanda di annullamento della impugnata delibera nella parte in cui, preso atto che il ricorrente aveva percepito una retribuzione in misura maggiore a quella spettante, disponeva il recupero della somma di lire 3.032.266 (pari ad euro 1.566,03) con la conseguente infondatezza della pretesa restitutoria.

7. L’ulteriore domanda proposta, corrispondente alla seconda censura del ricorso in esame, con cui il ricorrente ha chiesto l’accertamento del suo diritto all’inquadramento in applicazione degli artt. 23 e 40 D.P.R. n. 347/1983 è inammissibile.

8. Al riguardo basterà rilevare che, richiedendo l’art. 40 del D.P.R. n. 347 del 1983, comunque, l’intermediazione di un provvedimento amministrativo, la domanda diretta ad ottenere la qualifica superiore non può avere ingresso mediante un’azione di accertamento, concernendo in realtà la domanda stessa la tutela di una posizione non già di diritto soggettivo derivante direttamente dalla legge, ma di posizione di interesse legittimo (Cfr: T.A.R. Piemonte, sez. I, 2 aprile 1998, n. 125).

Secondo pacifica giurisprudenza " L’azione di accertamento è ammissibile in sede di giurisdizione esclusiva solo quando da parte dell’istante viene fatta valere una posizione di diritto soggettivo, che non è riscontrabile nel caso in cui si controverta sul livello retributivo e funzionale al quale il pubblico dipendente assume di avere titolo in sede di inquadramento o di reinquadramento nelle qualifiche funzionali, trattandosi di materia che si connota per la presenza di atti autoritativi rispetto ai quali la posizione del dipendente è quella del titolare dell’interesse legittimo, azionabile e tutelabile solo mediante tempestiva impugnazione dei provvedimenti determinativi del suo status giuridico che si assumono essere illegittimamente lesivi della posizione medesima " (C. di s., sez. IV, 15 maggio 2008, n. 2250; di recente anche T.A.R. Basilicata, sez. I, 21 dicembre 2009, n, 889).

9. Anche la Sezione ha già avuto modo di rilevare che in sede di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la domanda di accertamento è proponibile solo se venga fatta valere una posizione di diritto soggettivo, sicché è inammissibile la domanda di accertamento del diritto all’inquadramento in un livello retributivo o funzionale, trattandosi di materia caratterizzata dalla presenza di atti autoritativi nei confronti dei quali sono ravvisabili esclusivamente posizioni di interesse legittimo tutelabili in via d’azione mediante la tempestiva impugnazione dell’atto stesso oppure attraverso la procedura del silenziorifiuto in caso di inerzia della P.A: (Cfr. T.A.R. Campania, sez. V, 23 giugno 2009, n. 1777).

10. In definitiva, per questa parte, il ricorso è inammissibile.

11. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Quinta Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe (n. 4547/1990 R.G.) proposto da F.C., così dispone:

a) in relazione alla domanda di (parziale) annullamento della delibera n. di Giunta Municipale n. 1573 del 30.3.1990, lo respinge, unitamente alla conseguente domanda risarcitoria.

b) in relazione alla domanda di accertamento, lo dichiara inammissibile;

c) condanna parte ricorrente al pagamento delle spese giudiziali complessivamente quantificate in euro 1.500,00 (millecinquecento/00).

Manda alla Segreteria di trasmettere copia della presente sentenza all’Avvocatura Distrettuale dello Stato che difende la Presidenza del Consiglio dei Ministri nel giudizio instaurato dinanzi alla Corte d’Appello di Napoli (cfr. nota prot. 1035/SG CT. 5902/08 – Avv. Arpaia).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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