Corte Suprema di Cassazione Penale Sezione Lavoro Sentenza n. 26340 del 2006 deposito del 11 dicembre 2006

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso al Pretore di Napoli, sezione distaccata di Ischia, depositato il 20 dicembre 1991, la Sas DE.AR. dì F? S?, incorporante della Ischia Supermercati proponeva opposizione al decreto ingiuntivo n. 216/91, con il quale cm stato imposto alla società incorporata di pagare a Giovanna M. la somma di lire 11.365.514 a titolo di retribuzioni maturate dal 12 aprile al 24 ottobre 1991.

La società opponente deduceva che il decreto ingiuntivo era stato emesso sulla scorta di un?ordinanza ex articolo 700 c.p.c. in data 23.1.1991, con la quale il Pretore aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato alla signora M. il 10 novembre 1990 e condannato la società alla reintegra nel posto di lavoro e alla corresponsione della normale retribuzione mensile. La lavoratrice si costituiva e resisteva.

Nel corso del giudizio la società opponente esponeva che con sentenza 25 marzo 1995 il Pretore, pur confermando le pronunce di illegittimità del recesso e la condanna alla reintegrazione, aveva condannato la società al risarcimento del danno nella misura di cinque mensilità di retribuzione normale mensile, indicata in lire 1.410.270, oltre rivalutazione ed interessi.

Sulla scorta del carattere strumentale e provvisorio del provvedimento cautelare e della mancata conferma, in sentenza, della condanna al pagamento di tutte le retribuzioni fino alla reintegrazione, la società insisteva per la revoca del decreto ingiuntivo.

Con sentenza del 18/20 marzo 1998 il Pretore rigettava l’opposizione, aderendo alla tesi, sostenuta dalla lavoratrice, secondo la quale il provvedimento di urgenza aveva ricostituito il vincolo obbligatorio esistente fra le parti, con l’obbligo della società di corrispondere la retribuzione anche se non intendeva avvalersi dell’opera della lavoratrice.

La limitazione della condanna al risarcimento del, danno a sole cinque mensilità non rilevava agli effetti della decisione, atteso che il diritto di credito insorto per effetto del provvedimento cautelare prescindeva dalla sentenza che aveva definito il giudizio.

l’appello della società, cui resisteva la lavoratrice, veniva accolto dal Tribunale di Napoli con sentenza del 5 marzo/6 maggio 2003. I giudici di secondo grado osservavano che il provvedimento di urgenza ex articolo 700 c.p.c., come ogni attività cautelare, ha la funzione di assicurare gli effetti della pronuncia di merito durante il tempo necessario per l’accertamento del diritto; sicché, quando la sentenza che definisce il giudizio ha modificato la pronuncia resa in sede cautelare, viene meno il presupposto giustificativo del provvedimento anticipatorio.

Poiché la sentenza del 25 marzo 1995, che aveva definito il procedimento di impugnazione del licenziamento, non aveva confermato in toto il provvedimento cautelare che aveva ordinato la reintegrazione e condannato la società alla corresponsione della normale retribuzione mensile, limitandosi a disporre la reintegra e ad accordare un risarcimento del danno nella misura di cinque mensilità, il provvedimento cautelare ora venuto meno per la parte non confermata e non poteva fondare la richiesta del decreto ingiuntivo per le retribuzioni relative al periodo richiesto. I giudici di secondo grado ritenevano poi inapplicabile alla fattispecie quella giurisprudenza che, occupandosi dei rapporti fra sentenza di primo grado che ordina la reintegrazione del lavoratore licenziato e sentenza di appello che dichiara la legittimità del recesso, ha ritenuto che le retribuzioni dovute a seguito della messa a disposizione delle energie lavorative dopo la sentenza di primo grado, al pari di quelle dovute a seguito di una effettiva reintegrazione, non sono ripetibili (Cassazione, Su, 2925/88).

Osservavano che la fattispecie in esame presentava aspetti diversi, non trattandosi dei rapporti fra due pronunce parimenti dotate di contenuto decisorio e suscettibili di passare in giudicato, quali le sentenza di primo e di secondo grado, ma di un provvedimento naturalmente destinato ad essere sostituito della pronuncia di merito.

Per la cassazione di tale decisione ricorre, formulando tre motivi di censura, Giovanna M..

La ? ? ? resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1. Denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 645 e 414 c.p.c. (primo motivo), degli articoli 700 c.p.c. e 18 della legge 300/70, come modificato dalla legge 108/90, in relazione agli articoli 2094 e 2099 Cc o, in subordine, all’articolo 2126 Cc (secondo motivo), nonché vizio di motivazione su punto decisivo (terzo motivo), la difesa della ricorrente deduce che i giudici di appello non hanno considerato che la sussistenza della posizione creditoria fatta valere dalla lavoratrice andava rinvenuta non nella espressa riconferma, nel merito, del provvedimento, cautelare di pagamento della normale retribuzione, ma nella piena conferma del provvedimento di reintegrazione immediata.

Espone che, licenziata il 10 settembre 1990, la signora M. aveva adito il Pretore di Ischia con unico ricorso, contenente sia l’istanza cautelare di reintegrazione urgente ex articolo 700 c.p.c., sia le istanze di merito ex articolo 18 della legge 300/70; che il Pretore, con provvedimento del 15 gennaio 199t aveva accolto la richiesta cautelare, disponendo la reintegra nel posto di lavoro e la corresponsione della normale retribuzione; che il provvedimento c?m stato notificato il 23 gennaio 1991 e che era stata tentata, senza esito, la riammissione della lavoratrice nel ciclo produttivo; che, di conseguenza, erano stati richiesti tre decreti ingiuntivi, uno per le retribuzioni dal 23.1.1991 all’11.4.1991, uno per il periodo del 12.4 al 23.11.1991 ed uno per il periodo dal 23.11.1991 al 6.1.1992; il 7 gennaio 1992 la società aveva finalmente riammesso la signora M. al lavoro. Sostiene che la sentenza di merito che aveva definito la impugnazione del licenziamento, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di appello, aveva accolto l’intero ricorso e confermato la reintegrazione già disposta in sede cautelare; il dispositivo che, dopo aver dichiarato illegittimo il licenziamento ed ordinato la reintegra nel posto di lavoro, aveva condannato al risarcimento del danno in misura di cinque mensilità, si spiegava con il fatto che la lavoratrice era rimasta senza retribuzione fra il 10 settembre 1990 ed il 23 gennaio 1991 (data di notifica del provvedimento che aveva disposto la reintegrazione); sicché non vi sarebbe contrasto fra provvedimento cautelare e sentenza di merito, atteso che il primo, ristabilendo il rapporto di lavoro, aveva fatto sorgere il diritto alle retribuzioni in forza della lex contractus (sia che il datore di lavoro utilizzasse le prestazioni del lavoratore sia che le rifiutasse), mentre la sentenza si era occupata solo del risarcimento del danno, liquidato nella misura minima di cinque mensilità, per il periodo nel quale era mancato il diritto alle retribuzioni.

Assume, quindi, che i giudici di appello hanno errato nell’interpretare la sentenza di merito emessa sul licenziamento, confondendo la retribuzione, di cui si era occupato il giudice della cautela, e il risarcimento ex ad. 18 legge 300/70, di cui si cm occupato il giudice del merito.

Aggiunge che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di secondo grado, ben poteva applicarsi il meccanismo previsto per la ipotesi di riforma in appello della sentenza di reintegra nel posto di lavoro dalla sentenza delle Su 2925/98, non essendo mai stato affermato che tale meccanismo non possa essere applicato a due provvedimenti interni allo stesso grado di procedimento.

Anche nella ipotesi di eventuale revoca o modifica del provvedimento cautelare da parto della sentenza di merito troverebbero quindi applicazione i principi posti dall’articolo 2126 Cc con riguardo al rapporto lavorativo di fatto, con la possibilità di chiedere in separato giudizio di cognizione le retribuzioni maturate, anche in assenza di una effettiva prestazione lavorativa perché rifiutata dal datore di lavoro.

2. Osserva il Collegio che i motivi di ricorso sono sostanzialmente due: a) con il primo si sostiene che i giudici di appello hanno errato nel ritenere che la sentenza di merito, emessa a conclusione del giudizio di impugnativa del licenziamento, non abbia confermato lo statuizioni del provvedimento cautelare; b) con il secondo, subordinato motivo, si sostiene che, anche se la sentenza di merito avesse revocato o modificato il provvedimento cautelare, dovrebbe farsi comunque applicazione dei principi affermati dalle Su della Corte con la sentenza 2925/98 con riguardo alla sentenza di reintegrazione nel posto di lavoro riformata in appello.

Il primo motivo riguarda la interpretazione di un giudicato esterno, interpretazione che può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione, con cognizione piena (Cassazione, 12 settembre 2003, 19136/05), sempre però nei limiti in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del noto principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione.

Se è, vero, infatti, che la sentenza passata in giudicato costituisce la cd. legge del caso concreto, è anche vero che, al contrario degli atti normativi resi pubblici con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, atti che il giudice è tenuto a ricercare di ufficio (in applicazione del noto broccardo iura novit curia), il giudicato esterno deve essere prodotto dalla parte che intenda avvalersene o, qualora la interpretazione che ne ha dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il ricorso per cassazione deve riportare il testo del giudicato che assume male interpretato, motivazione e dispositivo, atteso che il solo dispositivo può non essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale (cfr. Cassazione, 3916/96).

La ricorrente si è limitata, invece, a riprodurre solo parte della sentenza del Pretore di Ischia del 24.2/25.3.1995.

La parte riprodotta (pag. 2 o 3 del ricorso) è la seguente: «Svolgimento del processo. Con ricorso depositato il 5 novembre 1990 M. Giovanna adiva questo Pretore per sentire ordinare, in via cautelare ex articolo 700 c.p.c. alla società resistente la reintegra nel posto di lavoro precedentemente occupato, e nel merito condannare la detta società alla reintegra o alla riassunzione ed al risarcimento (del danno). Con ordinanza 15 gennaio 1991 veniva accolto il provvedimento cautelare con conseguente emissione dell’ordine di reintegra nel posto di lavoro e corresponsione della normale retribuzione mensile».

«Motivi della decisione. Il ricorso è fondato e va accolto?P.Q.M.?dichiara illegittimo e, per l’effetto, annulla il licenziamento intimato ordinando la reintegra nel posto di lavoro precedentemente occupato?condanna altresì al risarcimento del danno in misura di cinque mensilità».

Tenuto conto del fatto che con il provvedimento cautelare del 15 gennaio 1991 il Pretore aveva disposto ?la reintegra nel posto di lavoro e la corresponsione della normale retribuzione?, rileva la Corte che la interpretazione del giudicato effettuata dai giudici di appello è corretta, atteso che, a seguito della modifica dell’articolo 18 della legge 300/70 ad opera della legge 108/90, il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la illegittimità o la inefficacia del licenziamento, condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore, «stabilendo un?indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell’effettiva reintegrazione?.

Il Pretore, con la sentenza, si è limitato ad ordinare la reintegra e a condannare il datore di lavoro al risarcimento del danno nella misura minima di cinque mensilità.

ÿ proprio il nuovo testo dell’articolo 18 della legge 300/70, che qualifica come risarcimento del danno la indennità commisurata alla retribuzione per il periodo fra il licenziamento e la effettiva reintegrazione, che giustifica la interpretazione seguita dai giudici di appello. Una volta che il Pretore aveva limitato a cinque mensilità il risarcimento per il periodo intercorrente fra licenziamento ed effettiva reintegrazione, tale statuizione avrebbe potuto essere impugnata dalla lavoratrice per chiedere un risarcimento più ampio e la condanna al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali.

Essendo la sentenza passata in giudicato nei termini sopra esposti, il provvedimento cautelare ? che ha effetti solo anticipatori di quanto potrà essere concesso con la sentenza conclusiva del processo ? non può giustificare un autonomo diritto a rivendicare le retribuzioni fra la notifica dello stesso e la effettiva reintegrazione; è proprio la differenza fra retribuzione e risarcimento del danno che giustifica tale conclusione.

Quanto al secondo motivo, rileva in primo luogo la Corte che l’orientamento che aveva ritenuto che, in forza della natura retributiva dell’obbligazione prevista dall’articolo 18 della legge 300/70 in caso di licenziamento illegittimo e della equiparazione alla effettiva utilizzazione delle energie lavorative del lavoratore della mera utilizzabilità della stessa, una volta rimosso l’ordine di reintegrazione emesso in primo grado con sentenza di riforma in appello, dichiarativa della legittimità del licenziamento, le retribuzioni relative a frazioni di tempo anteriori alla rimozione potessero essere richieste, anche in distinto giudizio, in forza del principio di cui all’articolo 2126 Cc (Cassazione, Su 2925/88), è stato superato a seguito della sopra evidenziata modifica dell’articolo 18 operata dalla legge 108/90.

Si è posto in evidenza che, a seguito del nuovo testo dell’articolo 18, come modificato della legge 108/90, le somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado che abbia dichiarato illegittimo il licenziamento od ordinato la reintegrazione del lavoratore, costituiscono (in assenza di ottemperanza alla decisione di primo grado) non più retribuzione ma risarcimento del danno ingiusto subito dal lavoratore per l’illegittima risoluzione del rapporto, di modo che con la riforma in appello della sentenza che abbia dichiarato la illegittimità viene a cadere l’illecito civile ascritto al datore di lavoro e non sussiste più obbligo di risarcimento a suo carico; le somme percepite dal lavoratore perdono quindi il loro titolo legittimante e debbono essere conseguentemente restituite fin dal momento della riforma, atteso che per il nuovo testo dell’articolo 336, comma 2, c.p.c. non è più necessario il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado (Cassazione, 8263/00; 9062/04; 16037/04).

La sentenza 16037/04 ha dettato il seguente principio di diritto: «In tema di conseguenze del licenziamento illegittimo, il nuovo testo dell’articolo 18 legge 300/70 ha unificato i periodi pre e post sentenza (di reintegra nel posto di lavoro), unificandoli sotto il comune denominatore dell’obbligo risarcitorio, con la conseguenza che, una volta accertata la legittimità del recesso, anche le somme erogate a titolo risarcitorio per effetto di un provvedimento ?ante causam? di reintegra del lavoratore licenziato ex articolo 700 c.p.c. sono ripetibili, trovando anche tali somme il proprio titolo nella illegittimità del licenziamento e non nell’inosservanza del datore di lavoro all’obbligo di conformarsi all’ordine del giudice di reintegra del lavoratore.

Alla luce dell’orientamento da ultimo evidenziato, cui il Collegio ritiene di aderire per la persuasività delle argomentazioni che, lo sostengono, anche il secondo motivo di ricorso non può essere accolto.

Nella fattispecie in esame è accaduto, infatti, che è stato concesso un provvedimento ex articolo 700 c.p.c. che ha dichiarato illegittimo il licenziamento o condanna la società alla reintegra nel posto di lavoro e alla corresponsione della retribuzione mensile; che con la sentenza di merito, il, Pretore, pur avendo dichiarato illegittimo il licenziamento e disposto la reintegra nel posto di lavoro. ha condannato la società alla corresponsione del risarcimento del danno nella misura di cinque mensilità.

Tale pronuncia, ripetesi, non contiene la condanna ad un risarcimento pari alle retribuzioni successive al licenziamento, ma limita il risarcimento attribuito a sole cinque mensilità.

Per tutto quanto esposto il ricorso va rigettato.

La particolarità della fattispecie e la novità della questione, con profili giuridici di obiettiva difficoltà, inducono a compensare fra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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