Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-06-2011) 09-08-2011, n. 31587

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

L’imputato propone ricorso per la cassazione della sentenza resa in data 18 dicembre 2009 dalla Corte d’appello di L’Aquila che, parzialmente riformando la sentenza di primo grado, ha lo condannato alla pena di mesi dieci e giorni venti di reclusione ed Euro 300,00 di multa per la ricettazione di un assegno bancario apocrifo provento di rapina.

Due i motivi a sostegno del ricorso.

Col primo motivo l’imputato censura la sentenza di merito nella parte in cui ha ritenuto che l’episodio contestato fosse diverso da quello già giudicato dal Tribunale di Teramo con sentenza n. 486/2008, conclusasi con l’assoluzione del D.C..

In particolare, in quella sede il giudice di primo grado aveva prestato fede alla versione fornita dalla difesa, secondo cui quell’assegno sarebbe stato consegnato al D.C. da tale M.G., con cui intratteneva rapporti commerciali.

Oggi, in relazione alla sentenza impugnata, l’imputato di duole della circostanza che quella stessa versione dei fatti, peraltro neppure smentita dalla perizia grafica, non sia stata ritenuta credibile, essendo invece giunta la corte territoriale alla conclusione opposta che la firma di traenza a nome di M.G. sarebbe apocrifa.

Il secondo motivo di ricorso attiene, invece, all’inesistenza dell’elemento soggettivo del reato (falsa applicazione della legge penale).

In particolare, egli assume che l’ignoranza circa la provenienza delittuosa dell’assegno si sarebbe dovuta desumere dalla circostanza che egli nulla fece per evitare di essere facilmente individuabile e rintracciabile.

In particolare, egli appose il proprio nome sul titolo e lo consegnò a tale P., con cui intratteneva rapporti commerciali e che ben conosceva, così svelando – secondo quanto esposto in ricorso – la sua assoluta buona fede.

Il primo motivo, benchè prospettato come un’ipotesi di erronea applicazione della legge penale, si risolve invece in una contestazione della motivazione della sentenza, effettuata prospettando in punto di fatto una soluzione ipotetica ed alternativa, peraltro agganciata ad elementi metaprocessuali (cioè ricavati da un altro e diverso procedimento).

L’idea che il fatto giudicato nei due processi sia lo stesso costituisce, in realtà, una mera asserzione dell’imputato, dato che in concreto il giudice di merito, proprio nel non dar credito alla sua versione dei fatti fornita circa la provenienza dell’assegno, ha concluso con l’affermare che il fatto in questione è diverso da quello già giudicato dal Tribunale di Teramo.

Il primo motivo di ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile in quanto contenente solo censure in punto di fatto.

Analoghe considerazioni valgono per la seconda doglianza.

Nella sostanza, nelle censura mossa dal ricorrente non si individua alcuna violazione di una norma penale, ma – ancora una volta – la semplice non condivisione del percorso decisionale che ha condotto il giudice di merito a ritenere che la mancata adozione, da parte del D.C., di misure idonee a non consentirne la successiva individuazione non fosse sufficiente ad affermare che egli non fosse consapevole della provenienza delittuosa dell’assegno.

Anche per questo profilo, quindi, il ricorso risulta inammissibile.

Ravvisandosi profili di colpa nell’inammissibilità del ricorso, il ricorrente va condannato al pagamento di una sanzione a favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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