Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22-06-2011) 09-08-2011, n. 31652 Revoca e sostituzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il S., mentre si trovava ristretto agli arresti domiciliari con autorizzazione al lavoro, veniva sorpreso dalle forze dell’ordine in un piccolo ufficio al piano terreno del fabbricato in cui abita, seduto a discutere con altre due persone; il tutto all’orario in cui sarebbe dovuto essere invece sul luogo del lavoro. La Corte d’appello di Napoli sostituiva la misura cautelare violata con quella della custodia in carcere ed il Tribunale del riesame partenopeo, con ordinanza del 14 marzo 2011, rigettava l’appello dell’imputato avverso l’inasprimento del regime cautelare.

Avverso tale determinazione, il S. propone ricorso per cassazione, denunziando il vizio di motivazione e l’erronea applicazione della legge processuale penale. Quanto al primo profilo, sostiene l’imputato che il fatto di trovarsi al piano inferiore rispetto al suo appartamento, ma pur sempre nel medesimo stabile, non costituisca violazione degli obblighi connessi alla misura cautelare degli arresti domiciliari e che, comunque, si è trattato di una fatto di minima rilevanza che non avrebbe dovuto portare all’aggravamento del regime preventivo. La seconda censura riguarda, invece, il mancato esperimento di un nuovo interrogatorio di garanzia di cui all’art. 294 c.p.p., del quale dovrebbe invece affermarsi la necessità in quanto la sostituzione della precedente misura cautelare con una maggiormente afflittiva è equipollente all’applicazione di una misura cautelare ex novo.

All’udienza camerale, la difesa del S. ha prodotto copia di una sentenza della Corte d’appello di Napoli concernente i fatti per i quali era stata a suo tempo applicata la misura cautelare. Il giudizio si è concluso in secondo grado con la conferma della condanna e la riduzione della pena inflitta.

Il ricorso in esame è infondato e deve essere rigettato.

Il primo motivo, a prescindere dal nomen iuris, è prospettato in termini tali da configurare un errore nell’applicazione della legge penale, piuttosto che un vizio di motivazione. Ma, anche così riqualificata, la doglianza non ha alcun fondamento, in quanto è evidente che l’allontanamento della persona ristretta agli arresti domiciliari dal luogo in cui svolge la propria vita domestica e privata, implica la violazione degli obblighi connessi alla misura cautelare. Questa Corte ha ripetutamente affermato che al concetto di "abitazione" rilevante ex art. 385 c.p., comma 3, è estraneo qualsiasi spazio circostante (quali le aree condominiali, il giardino, il cortile, ecc.) che non sia di stretta pertinenza dell’abitazione medesima e non ne costituisca parte integrante (Cass., 18 dicembre 2007, n. 3212; Cass. 17 gennaio 2007, n. 4143;

Cass. 30 marzo 2004, n. 17962). Consegue che, a maggior ragione, deve affermarsi la violazione delle prescrizioni connesse alla misura cautelare degli arresti domiciliari nel fatto di chi – come l’imputato – si allontana decisamente dalla propria abitazione, per fare ingresso in un’altra unità immobiliare, ancorchè facente parte del medesimo stabile.

La tesi che quell’ufficio costituisse parte integrante dell’abitazione dell’imputato e che egli stava raccogliendo l’occorrente per recarsi al lavoro è questione che attiene al merito e che comunque, quanto al primo aspetto, è indimostrata e, quanto al secondo, è smentita dai fatti accertati dai verbalizzanti.

Peraltro, anche il fatto di essersi intrattenuto con persone diverse da quelle che con lui abitualmente coabitano costituisce violazione della misura cautelare domiciliare.

Per le ragioni sopra esposte, va esclusa la minima rilevanza del fatto prospettata invece dalla difesa.

Correttamente quindi il giudice di merito ha sostituito la misura cautelare degli arresti domiciliari con quelli della custodia in carcere, ai sensi dell’art. 276 c.p.p., comma 1 ter.

Il secondo motivo è del tutto sprovvisto di un riscontro normativo, dovendosi senz’altro escludere che l’inasprimento della misura cautelare già applicata e rivelatasi inadeguata a garantire le esigenze cautelari equivalga all’adozione di una nuova e diversa misura cautelare e richieda, quindi, che si proceda ad un nuovo interrogatorio di garanzia ex art. 294 c.p.p..

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si provveda ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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