Cass. civ. Sez. I, Sent., 29-12-2011, n. 30074 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il decreto impugnato, depositato il 14 marzo 2009, la Corte d’appello di Perugia ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento a favore dell’avv. C.C.Q. della somma di Euro 13.000,00, oltre interessi dalla domanda, e ha condannato il Ministero al pagamento delle spese di lite.

La Corte del merito, premesso che il ricorrente aveva chiesto l’equa riparazione in relazione all’eccessiva durata della procedura fallimentare per la quale, presentata il (OMISSIS) domanda di insinuazione al passivo del Fallimento Finarma s.r.l., ed ammesso al passivo il credito in data (OMISSIS), il piano di riparto aveva avuto esecuzione nel (OMISSIS), ha ritenuto di fissare in nove anni la durata ragionevole della procedura, atteso che lo stato passivo presentava crediti ammessi per L. 3.500.000.000 su 144 posizioni creditorie, comprendenti anche 44 esteri, l’attività della Curatela comprendeva la gestione di una motonave, la relativa vendita e la riscossione del prezzo, la procedura era stata complicata da complessi contenziosi relativi a revocatorie fallimentari, dal contenzioso arbitrale svoltosi fuori Italia, dalla difficoltà di definizione di posizioni di creditori esteri.

La Corte perugina ha quindi in via equitativa liquidato il danno non patrimoniale in Euro 1300,00 per anno di durata irragionevole, mentre ha respinto la domanda di danno patrimoniale, ritenendo che il credito per interessi e rivalutazione riguardava la procedura fallimentare e come tale doveva essere fatta valere in tale sede.

Ricorre l’avv. C. sulla base di quattro motivi.

Il Ministero si difende con controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1.1.- Con il primo motivo, il ricorrente denuncia vizio di motivazione omessa o insufficiente, in relazione alla ragionevole durata della procedura, per avere la Corte del merito affermato aprioristicamente che in media per una procedura fallimentare di elevata complessità occorrono nove anni e per avere poi ravvisato la particolare complessità nella specie in fatti di per sè inidonei a giustificare tale durata, con motivazione illogica.

1.2.- Con il secondo motivo, la parte denuncia vizio di motivazione omessa o insufficiente, in relazione alla riduzione dei criteri di liquidazione del danno non patrimoniale elaborati dalla CEDU, e con il terzo motivo, denuncia detta riduzione sotto il profilo della violazione e falsa applicazione di legge.

1.3.- Con il quarto motivo, il ricorrente si duole del mancato riconoscimento del danno patrimoniale, sotto il profilo della violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 dovendo ritenersi ontologicamente diverso per natura,soggetto debitore e rimedio, il diritto all’indennizzo patrimoniale per l’eccessiva durata dal 1993 al 2008, rispetto al pagamento degli interessi post fallimentari, che maturano ex lege sul credito privilegiato ammesso, e che sono stati riconosciuti nell’ambito della procedura, per il periodo 1989/1993. 2.1.- Il primo motivo è infondato.

Questa Corte ha ripetutamente affermato( tra le ultime, nelle pronunce 15641/2011, e vedi anche le pronunce 18689/2011, 22408/2010) che, non essendo possibile predeterminare astrattamente la ragionevole durata della procedura fallimentare, il giudizio in ordine alla violazione del termine relativo richiede un adattamento dei criteri previsti dalla L. n. 89 del 2001, e quindi un esame delle singole fasi e dei sub procedimenti in cui la procedura si è in concreto articolata, al fine di appurare se le corrispondenti attività siano state svolte senza inutili dilazioni o abbiano registrato periodi di stallo non determinati da esigenze ben specifiche e concrete, finalizzate al raggiungimento del miglior soddisfacimento dei creditori concorsuali; a tal fine, occorre tenere conto innanzitutto del numero dei soggetti falliti, della quantità dei creditori concorsuali, delle questioni indotte dalla verifica dei crediti, delle controversie innestatesi nel fallimento, dell’entità del patrimonio da liquidare e della consistenza delle operazioni di riparto;secondariamente, chi sostiene che il notevole protrarsi della procedura sia dipeso dalla condotta dei suoi organi, ne deve provare l’inerzia ingiustificata o la neghittosità nello svolgimento delle varie attività di pertinenza o nel seguire i processi che si siano innestati nel tronco della procedura (Cass. 8497/08).

Alla stregua del più recente orientamento di questa Corte, deve ritenersi che, secondo lo standard ricavabile dalle pronunce della Corte europea, che peraltro privilegia una valutazione caso per caso, pur affermando che occorre trovare un corretto equilibrio tra i differenti interessi in conflitto, la durata delle procedure fallimentari non dovrebbe superare la durata complessiva di sette anni, con ciò tenendosi conto della peculiarità della procedura fallimentare, allorquando si riscontri la particolare complessità della procedura a ragione del numero particolarmente elevato dei creditori, della particolare natura dei beni da liquidare, della proliferazione dei giudizi connessi,ma autonomi e quindi a loro volta con durata vincolata alla complessità del caso della pluralità, delle procedure concorsuali interdipendenti (così specificamente, la pronuncia 18689/2011).

Nella specie, la Corte del merito ha ancorato la valutazione della durata ragionevole della procedura in anni nove, alla notevole entità dei crediti ammessi (L. 3.500.000.000), all’ingente numero delle posizioni creditorie (144, di cui 44 creditori esteri), alla natura del bene da gestire e liquidare, da complessi giudizi revocatori e da un contenzioso arbitrale estero, nonchè alla difficoltà di definire le posizioni dei creditori esteri. La valutazione della Corte è stata pertanto effettuata nel rispetto dei criteri di diritto e dell’interpretazione giurisprudenziale sopra riportata, alla stregua dei quali, si giustifica nel caso concreto l’individuazione del termine ragionevole come operata.

2.2.- Il secondo ed il terzo motivo sono infondati, atteso il riconoscimento da parte del Giudice del merito di importo superiore a quanto normalmente ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte, a mente della quale l’indennizzo può essere ridotto ad una misura inferiore rispetto al parametro minimo indicato dalla giurisprudenza della Corte Europea, che è pari ad Euro 1000,00 per anno, per i primi tre anni di ritardo, in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale sforamento, mentre va applicato il parametro europeo per gli anni successivi.

2.3.- Il quarto motivo è inammissibile.

E’ opportuno premettere che il ricorso è soggetto al disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c., introdotto, con decorrenza dal 2/3/2006 dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47 (abrogazione efficace nei confronti di pronunce pubblicate o depositate successivamente alla data di entrata in vigore di detta legge), che dispone che, allorquando il ricorrente denunzi la sentenza impugnata per i motivi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo, a pena di inammissibilità, si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, che, come ritenuto dalla giurisprudenza, di questa Corte, "deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa o affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame" (così la sentenza delle sezioni unite, n. 20360 del 2007, e in senso conforme, la successiva ordinanza 2658/08).

Orbene, il quesito articolato nel quarto motivo, ove si censura la violazione e falsa applicazione di legge, nel richiedere alla Corte se possa negarsi il ristoro del danno patrimoniale "ove tale ristoro non sia stato già ottenuto nè fosse ottenibile nel procedimento a quo con riferimento al denunciato periodo di eccessiva durata della procedurali appalesa generico e non congruente in relazione alle ragioni specifiche addotte dalla Corte del merito a fondamento della statuizione di rigetto.

3.1.- Conclusivamente, il ricorso va respinto.

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 1800,00, oltre le spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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