Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-05-2011) 09-08-2011, n. 31620

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 17 gennaio 2011 il Tribunale di Cagliari confermava l’ordinanza emessa il 21 dicembre 2010 dalla Corte di appello di Cagliari con la quale veniva rigettata l’istanza, proposta nell’interesse di V.T., di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari.

Il V. era stato condannato dal Tribunale di Cagliari con sentenza emessa in data 14 gennaio 2010, a seguito di giudizio abbreviato, alla pena di anni sette, mesi quattro di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa in ordine ai reati di violenza privata, estorsione e furto commessi il (OMISSIS), per i quali era detenuto a seguito di ordinanza di custodia cautelare emessa il 2 ottobre 2008. La sentenza di primo grado era stata confermata dalla Corte di appello di Cagliari con sentenza del 17 dicembre 2010.

Avverso la predetta ordinanza il V. ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

Con il ricorso si deduce:

1) la violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, e dell’art. 125 c.p.p., comma 3, e il vizio della motivazione in quanto la Corte di appello non avrebbe tenuto nel dovuto conto il lungo tempo trascorso dall’inizio della custodia cautelare in carcere (oltre due anni e tre mesi), tempo idoneo a rimuovere o comunque attenuare il pericolo di recidiva, nè avrebbe preso in adeguata considerazione le documentate patologie di cui l’imputato soffriva, apoditticamente ritenute ininfluenti sulla capacità delinquenziale del V. e compatibili con la custodia cautelare in carcere;

2) l’inosservanza dell’art. 275 c.p.p., comma 3, e la mancanza di motivazione sulla circostanza che l’imputato aveva già beneficiato degli arresti domiciliari senza violarne le prescrizioni, poichè nella motivazione dell’ordinanza impugnata non si era tenuto conto delle specifiche deduzioni difensive sul punto confondendo l’asserita pericolosità sociale con il grado di affidabilità precedentemente dimostrato sotto il profilo del rispetto spontaneo delle prescrizioni.

Il ricorso è inammissibile.

Il primo motivo è manifestamente infondato.

Va premesso che in tema di misure cautelari personali, con particolare riguardo alla applicazione con modalità meno gravose per l’interessato o alla sostituzione con altra meno grave, l’attenuazione delle esigenze cautelari non può essere desunta dal solo decorso del tempo di esecuzione della misura o dall’osservanza puntuale delle relative prescrizioni, dovendosi valutare ulteriori elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento della situazione apprezzata all’inizio del trattamento cautelare (Cass. sez. 5^ 2 febbraio 2010 n. 16425, Iurato; sez. 2^ 8 novembre 2007 n. 45213, Lombardo; sez. 2^ 26 settembre 2007 n. 39785, Poropat; sez. 4^ 17 ottobre 2006 n. 39531, De Los Reyes; sez. 6^ 24 novembre 2003 n. 47819, Camilleri). Nel caso in esame il giudice di merito, dopo aver dettagliatamente rievocato i fatti ascritti al V. che era stato giudicato e ritenuto responsabile in primo grado con sentenza confermata in appello, ha posto in evidenza l’estrema gravità della vicenda desumibile dalle modalità di svolgimento, che denotavano la particolare attitudine criminosa dell’imputato (il quale aveva agito, per futili motivi, usando violenza nei confronti di un soggetto in palese stato di inferiorità psico-fisica) e rendevano adeguata a fronteggiare il pericolo di reiterazione della condotta criminosa solo la misura cautelare della custodia in carcere. Quanto al tempo trascorso dall’inizio della custodia in carcere correttamente, con ampia e dettagliata motivazione, il Tribunale ne ha ritenuto l’irrilevanza con riferimento all’entità della pena detentiva inflitta (sette anni, quattro mesi di reclusione) e soprattutto all’intensità del pericolo di recidiva, così dimostrando di aver tenuto conto della specifica esigenza cautelare ravvisabile nel caso concreto e della perdurante idoneità della sola misura custodiale a fronteggiarla. Relativamente infine alle precarie condizioni di salute, evidenziate dal difensore a sostegno dell’asserita diminuita pericolosità sociale dell’imputato, nell’ordinanza impugnata si afferma, sulla base di una valutazione diffusamente e razionalmente motivata, la prevalenza del pericolo di recidiva rispetto alle deduzioni difensive circa lo stato di salute del V., affetto da patologie (epatopatia cronica e tromboflebite all’arto inferiore destro) di cui non era stata addotta l’incompatibilità con il regime carcerario e che avrebbero comunque potuto essere adeguatamente curate nell’ambito della struttura sanitaria della casa circondariale in cui l’imputato era ristretto.

Generico e, comunque, manifestamente infondato è anche il secondo motivo. Nel ricorso si sostiene che il V., sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere da oltre due anni, avrebbe dato prova di essersi adeguato alle prescrizioni inerenti la misura degli arresti domiciliari cui era stato sottoposto nell’ambito di altro procedimento. Il giudice di merito ha tuttavia specificamente affermato che gli arresti domiciliari e, a maggior ragione, altre misure non custodiali "data la labilità delle relative prescrizioni, per lo più basate sulla spontanea osservanza delle stesse e sulla capacità di autodisciplina e di collaborazione dell’indagato" non sarebbero state sufficienti a contenere nuove manifestazioni dell’indole criminale del prevenuto, basando tale affermazione sulle caratteristiche della condotta attuata in concreto dal V., della capacità a delinquere desunta dall’obiettiva gravità dei fatti ascrittigli e da quelli per i quali era stato già condannato, dal mancato effetto deterrente sortito dalle precedenti condanne per fatti analoghi. Detta motivazione, ancorata a plurimi e concreti elementi di valutazione, appare sufficiente a giustificare l’esclusione dell’idoneità nel caso di specie degli arresti domiciliari, indipendentemente dalla disponibilità da parte dell’imputato di un alloggio idoneo (la Corte di appello di Cagliari aveva rigettato l’istanza rilevando anche che il V. risultava senza fissa dimora e non aveva nemmeno indicato l’abitazione in cui si sarebbe eventualmente trasferito in caso di concessione degli arresti domiciliari) a fronteggiare il rilevante pericolo di recidiva.

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.

A norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, copia del presente provvedimento va trasmesso al Direttore dell’istituto penitenziario in cui il ricorrente è ristretto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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