Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-03-2011) 10-08-2011, n. 31861

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – S.G. – titolare di un’autofficina ubicata in (OMISSIS), all’interno di un capannone industriale sito in via (OMISSIS) – è stato raggiunto da ordinanza di custodia cautelare In carcere emessa il 22 aprile 2010 dal GIP del Tribunale di Reggio Calabria, in quanto gravemente indiziato del reato di cui agli artt. 110 cod. pen., e L. 7 agosto 1992 n. 356, art. 12 quinquies, aggravato L. n. 203 del 1991, ex art. 7 (capo E della rubrica provvisoria), allo stesso contestato per avere, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, attribuito a B.F., per il tramite e con il contributo consapevole di A.F., la materiale disponibilità di un area del suddetto capannone di sua proprietà, adibita ad autolavaggio.

1.1 – Con la indicata ordinanza, il GIP disponeva, contestualmente, anche il sequestro dell’indicato capannone.

2. – Il provvedimento del GIP, ravvisata la sussistenza sia di gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato sia delle addotte esigenze cautelari poste a fondamento delle misure cautelari (personali e reali) applicate, è stato confermato dal Tribunale di Reggio Calabria, In sede di riesame.

2.1 – Il predetto Tribunale, con l’ordinanza deliberata il 10 maggio 2010, ha ritenuto infatti dimostrata, con sufficiente grado di certezza, la disponibilità di fatto dell’autolavaggio in capo al coimputato B.F., all’epoca dei fatti agli arresti domiciliari, pur a fronte delle dichiarazioni dello S., detto "(OMISSIS)", già precedentemente scarcerato con riferimento alla medesima imputazione, secondo cui egli si sarebbe limitato ad affittare al solo A., verbalmente, una limitata superficie del capannone, per lo svolgimento di attività di auto-lavaggio, area che il predetto, dopo alcuni mesi, aveva poi restituito, atteso il sostanziale insuccesso dell’iniziativa.

In particolare, quali elementi nuovi e di elevato valore indiziario in ordine alla sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’ipotesi delittuosa contestata, il Tribunale ha valorizzato: (a) il contenuto di conversazioni ambientali, rispettivamente del 18 gennaio e del 6 febbraio 2010, intercorse, la prima, tra B. M. ed il fratello U., detenuto presso la Casa Circondariale di Teramo; la seconda tra B.E. ed il fratello A., classe 1948, detenuto a Vibo Valentia, nelle quali si informava l’interlocutore in stato di detenzione, dapprima, dell’arresto di S.P., indicato come la persona che aveva "affittato il locale a C. nostro, per fare il lavaggio" e successivamente, dei saluti inviati dall’indagato, il quale, immediatamente dopo la sua scarcerazione, si era recato in visita dai B. e segnatamente da G. classe ’48; colloqui che, per il loro contenuto esplicito, non ipotizzandosi negli stessi alcuna erroneità del provvedimento cautelare a ragione di una eventuale ignoranza dell’indagato circa le finalità perseguite con la fittizia intestazione dell’attività al solo A.L., consentivano di inferire, logicamente, in aggiunta a quelli già precedentemente acquisiti, "l’assoluta consapevolezza dell’indagato" – meccanico di assoluta fiducia della famiglia B., come asseverato dalla presenza nei locali dell’autofficina di molti veicoli, riconducibili a soggetti ad essa contigui – "non solo della messa a disposizione del locale in favore del B.", circostanza già emersa dal cospicuo materiale indiziario raccolto, "ma anche delle finalità elusive di una simile operazione e dell’agevolazione che essa costituisce in ordine alla stessa sussistenza della cosca". 2.2 – Quanto poi alle esigenze cautelari giustificatrici della misura personale, il Tribunale, ritenuta corretta la contestazione della aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7 a ragione dell’accertata appartenenza del B. all’omonima cosca e dell’impiego nell’attività d’impresa di cui trattasi degli introiti derivanti dall’attività criminale riferibile a quel sodalizio, nonchè della consapevolezza dell’indagato di agevolare, mediante l’intestazione fittizia dell’autolavaggio al solo A., l’attività della cosca, ha evidenziato l’operatività della presunzione di cui all’art. 275 cod. pen., comma 3 superabile solo attraverso l’acquisizione di elementi che il procedimento non offre, e comunque la sussistenza di elementi "positivi" con riferimento sia al pericolo di reiterazione della condotta, sia riguardo al pericolo di inquinamento probatorio.

2.3 – Con riferimento poi al disposto sequestro, da parte del tribunale è stata affermata la sussistenza di tutti i presupposti legittimanti l’adozione della misura cautelare reale, tenuto conto:

(a) che il bene sequestrato deve ritenersi senz’altro "cosa pertinente al reato"; (b) che ricorre, altresì, nel caso in esame, anche un periculum in mora, a ragione della "probabilità", anche a causa "dell’indifferenziata materialità dei locali", che "la libera disponibilità" del bene, possa determinare la prosecuzione dell’attività delittuosa.

3. – Avverso tale pronuncia del tribunale ha proposto ricorso per cassazione, lo S., a mezzo del suo difensore di fiducia, il quale, anche attraverso un’articolata memoria difensiva – che ripropone, ampliandole, le stesse argomentazioni svolte nel ricorso per confutare la sussistenza degli elementi costitutivi del reato contestato – ne sollecita l’annullamento.

3.1 – Nel ricorso si deduce, con il primo motivo d’impugnazione, l’illegittimità dell’ordinanza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la stessa recepito acriticamente le argomentazioni sviluppate nel provvedimento applicativo della misura in punto di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, con riferimento, soprattutto, alla pretesa finalità elusiva delle disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione, tenuto conto che l’autolavaggio rudimentale nella disponibilità dello S. era stato concesso in affitto ad A.L. e che l’indagato – anche ammettendo una sua consapevolezza, invero indimostrata, circa la cointeressenza del B. nell’attività, non aveva alcun motivo per ritenere che nei confronti di costui, stava per avviarsi un procedimento di prevenzione.

In particolare, con riferimento agli elementi indizianti valorizzati dal tribunale, nel ricorso si sottolinea che nè dal colloquio del 18 gennaio nè da quello successivo, possono desumersi effettivi elementi indizianti, ove si consideri, quanto al primo, che M. B.A. si era limitata ad informare il fratello U. dell’arresto di S., senza fornire, tuttavia, elementi idonei a far desumere una consapevolezza dello S., circa l’effettiva cointeressenza di B.F. all’acquisizione dell’autolavaggio rudimentale; quanto al secondo, che la circostanza di un incontro dell’indagato, con gli uomini della famiglia B., subito dopo la sua (prima) scarcerazione, costituisce circostanza non veritiera, essendo all’epoca gli stessi, tutti detenuti, ivi compreso B.G., classe 1948. 3.2 – Con il secondo motivo d’impugnazione, da parte del ricorrente si contesta, sia la configurabilità dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7, con particolare riferimento alla sussistenza del richiesto dolo specifico, non avendo lo S., alcuna consapevolezza, che affittando l’improduttivo Impianto di autolavaggio, veniva fornito un significativo contributo alla cosca B., emergendo dagli elementi indiziari raccolti, piuttosto, a tutto concedere, soltanto la vicinanza dell’indagato ad alcuni componenti dell’omonima famiglia e per ragioni riconducigli, esclusivamente, allo svolgimento della sua attività di meccanico;

sia la effettiva sussistenza di esigenze cautelari, emergendo anzi specifici elementi, di tipo sia oggettivo che soggettivo, che ove rettamente valutati, inducevano a ragionevolmente escludere l’effettiva pericolosità dell’indagato, dovendo in particolare escludersi, sia un pericolo di reiterazione del reato, sia soprattutto, un effettivo pericolo di inquinamento delle prove, riferibile alla persona dell’indagato.

3.3 – Con il terzo motivo, si chiede, infine, l’annullamento della misura cautelare per violazione di legge ( art. 321 cod. proc. pen.) e vizio di motivazione, evidenziando, per un verso, con riferimento alla ritenuta utilizzabilità del bene sequestrato per la commissione del reato, che solo una minima parte del capannone era adibita ad autolavaggio e che seppure detta superficie del locale non risultava divisa, anche materialmente, dalla parte adibita ad autofficina, ciò non esclude che tale divisione possa in futuro essere realizzata;

quanto alla reiterabilltà della condotta, che l’affermazione sul punto risulta del tutto illogica, tenuto conto che l’attività di autolavaggio si è protratta per un breve lasso di tempo e che comunque la gran parte del bene sequestrato, risulta stabilmente utilizzata per lo svolgimento di un’attività artigianale, del tutto lecita "ed estranea al reato in contestazione".

Motivi della decisione

1. – L’impugnazione proposta nell’interesse di S.G. è basata su motivi infondati e va quindi rigettata.

1.1. – Ed invero, con riferimento alle pur articolate deduzioni svolte negli scritti difensivi per confutare la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente relativamente al reato di trasferimento fraudolento di valori ( D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies, conv. in L. n. 356 del 1992), è opportuno premettere che è consolidato orientamento di questa Corte ritenere che, per l’applicazione di una misura cautelare in questa fase del procedimento è richiesto solo il requisito della gravità degli indizi, nel senso che questi devono essere tali da lasciar desumere la qualificata probabilità di attribuzione all’indagato del reato per cui si procede. Orbene, nel caso in esame, il Tribunale si è adeguato al suddetto principio, ancorando il proprio giudizio ad elementi specifici risultanti dagli atti – solo sommariamente illustrati al paragrafo 2.1 – tanto da trarre dalla loro valutazione globale un giudizio in termini di elevata probabilità circa l’attribuzione del reato all’indagato, laddove le argomentazioni, di merito e ripetitive di argomenti già adeguatamente confutati, secondo cui lo S. si sarebbe limitato ad affittare ad un terzo, A.F., l’area della propria auto-officina adibita a lavaggio, ignorando la riferibilità di tale attività al B., non superano la soglia della ricostruzione alternativa e meramente congetturale, specie ove si consideri che, acclarata in base alle intercettazioni la veste del B. di effettivo dominus dell’impresa di cui trattasi, solo formalmente riferibile al giovanissimo A.L., tale consapevolezza è stata desunta dai giudici del riesame, con valutazione di per sè plausibile, da precise circostanze fattuali, quali i commenti formulati dai B. una volta appresa la notizia dell’arresto dell’indagato, attraverso i quali non si contestava affatto la fondatezza dell’addebito cautelare, identificandosi anzi lo S. come colui che aveva "affittato il locale a C. nostro"; la dichiarata disponibilità sempre manifestata dall’indagato nei confronti della famiglia B., nel corso dei colloqui oggetto di intercettazione, quale desumibile anche dall’accettata presenza nel capannone dell’indagato di molte autovetture, nella disponibilità di componenti del suddetto nucleo familiare e culminata nella visita alla "famiglia", subito dopo la sua scarcerazione; dato fattuale, questo, la cui confutazione è affidata in ricorso a deduzioni non verificabili.

1.2. – Infondate risultano, altresì, anche le argomentazioni sviluppate in ricorso per confutare la ritenuta sussistenza di esigenze cautelari giustificatrici dell’adozione della misura cautelare in concreto applicata all’indagato. Per I reati aggravati L. n. 203 del 1991, ex art. 7 – aggravante motivatamente ravvisata dai giudici del riesame, anche a ragione dell’elevata "caratura delinquenziale" dei componenti della famiglia B., quale desumibile da numerosi pregressi provvedimenti giudiziari emessi nei confronti degli stessi e dell’assenza di fonti di reddito ufficiali "in capo agli stessi" – vige infatti, la presunzione di cui all’art. 275 cod. proc. pen., comma 3, e correttamente il Tribunale ha ritenuto, in considerazione anche della natura e particolare gravità dei fatti contestati e dell’apporto significativo fornito dall’indagato alla cosca attraverso l’attribuzione di un cespite patrimoniale, nulla consentiva di ritenerla superata, risultando subvalente lo svolgimento da parte dell’indagato di una regolare attività artigiana.

In conclusione è la stessa norma processuale citata ad escludere che possa essere applicata allo S. una diversa misura cautelare personale. 1.3 – Infondate devono ritenersi, infine, anche tutte le argomentazioni difensive con le quali si sollecita la revoca – in toto o in parte – del sequestro preventivo. Va ricordato, al riguardo, che il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse a norma dell’art. 324 cod. proc. pen. in materia di sequestro preventivo o probatorio è previsto dall’art. 325 cod. proc. pen., comma 1, solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errori in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali, però, da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. (Conf. S.U., n. 25932 del 29.5.2008, imp. Ivanov; S.U., 29 maggio 2008 n. 25933, Imp. Malgiogllo; S.U., n. 5876 del 28.1.2004, imp. Bevilacqua; S.U., n. 5 del 26/02/1991, imp. Bruno, secondo cui la sola mancanza assoluta di motivazione, pur essendo espressamente prevista dall’art. 606, comma 1, lett. e) ed essendo dunque deducibile come motivo di ricorso esclusivamente ai sensi di tale previsione, costituendo altresì violazione di legge, può essere addotta come motivo di ricorso nei casi in cui questo sia espressamente limitato a detta violazione).

1.3.1. – Ora, le censure che riguardano il sequestro dei beni intestati allo S. si rivelano del tutto generiche e non verificabili quanto all’asserita divisibilità del bene, mentre il provvedimento impugnato non è affatto immotivato (come risulta anche dalla pur concisa esposizione delle ragioni del provvedimento, svolta al punto 2.3 dell’esposizione in fatto) e le ragioni che lo sostengono sono anzi oggetto di illustrazione coerente, comprensibile e giuridicamente corretta.

2. – Il rigetto del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art. 616 cod. proc. pen. in ordine alla spese del presente procedimento.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del presente provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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