Cons. Stato Sez. IV, Sent., 16-09-2011, n. 5230 Piano per gli insediamenti produttivi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. Con l’appello in esame, la signora G. B. e gli altri ricorrenti indicati in epigrafe impugnano la sentenza 26 maggio 2008 n. 1765, con la quale il TAR Campania, sede di Salerno, sez. II, ha dichiarato inammissibili il ricorso introduttivo ed il primo ricorso per motivi aggiunti ed ha respinto il secondo ricorso per motivi aggiunti, tutti da loro proposti..

Con tali atti i ricorrenti avevano impugnato in I grado:

– con il ricorso introduttivo, la delibera 21 marzo 2005 n. 85, con la quale la Giunta comunale del Comune di Pagani ha approvato il PUA artigianale – commerciale, richiedendo altresì il risarcimento del danno;

– con il primo ricorso per motivi aggiunti, ulteriori atti inerenti l’approvazione del PUA commerciale – artigianale, tra i quali il decreto 7 marzo 2006 n. 7 del Sindaco di Pagani e la delibera della Giunta Comunale 23 settembre 2005 n. 369;

– con il secondo ricorso per motivi aggiunti, l’atto 29 maggio 2007 del dirigente del settore sviluppo e investimenti del Comune di Pagani; la delibera del Consiglio comunale 11 aprile 2007 n. 16, nonché la determina dirigenziale 10 maggio 2007 n. 687, relativi all’acquisizione el suolo dei ricorrenti al patrimonio comunale, richiedendo altresì il risarcimento del danno.

La controversia riguarda un immobile di proprietà B., oggetto, fin dal 1989, del Piano insediamenti produttivi (PIP) del Comune di Pagani, poi divenuto inefficace per scadenza del termine decennale (TAR Salerno, sent. n. 1553/2004), e, nel contesto di detto piano, assegnato alla ditta V. s.r.l..

Proprio a seguito della accertata inefficacia del PIP "per porre rimedio alle occupazioni, tutte divenute illegittime, per intervenuta scadenza della dichiarazione di P.U., il comune resistente, con deliberazione di G.C. n. 85 del 21 marzo 2005, aveva adottato il PUA del comparto artigianale/commerciale, dandosi come riferimento normativo la legge regionale n. 16/04".

Afferma la sentenza appellata:

– il ricorso introduttivo ed il primo ricorso per motivi aggiunti sono inammissibili, in quanto "l’intervenuta emanazione del provvedimento di c.d. acquisizione sanante, ex art. 43 DPR n. 327/2001, comporta la sopravvenuta carenza di interesse dei ricorrenti, in quanto gli stessi non possono ormai ricavare alcuna utilità concreta dall’annullamento degli atti della procedura espropriativa, antecedente alla suddetta emanazione, da essi impugnati";

– la particella n. 1142/c, come specificato dallo stesso Comune di Pagani nella memoria depositata il 8 febbraio 2008 "non risulta interessata dalla procedura di accessione invertita e ricade nella piena disponibilità giuridica della ricorrente", con conseguente "perdita di rilevanza" di ogni questione ad essa inerente;

– è legittima l’emanazione dell’atto di acquisizione, in quanto è "indubbio, nella specie, che lo spossessamento dell’area e la sua consegna in favore della V. s.r.l. si era già verificato, laddove… l’applicabilità dell’istituto è esclusa in radice solo allorquando il bene sia invece rimasto nella disponibilità del privato proprietario"; inoltre, la "particolare rilevanza dell’interesse pubblico connesso all’acquisizione delle aree de quibus" è "senz’altro rappresentata dalla circostanza della realizzazione, sul terreno di proprietà della ricorrente B., della strada d’accesso ai comparti dell’area PIP" e dalla esigenza, rappresentata dal Comune "di utilizzare le urbanizzazioni primarie già eseguite lungo detta strada, ed in particolare la rete idrica, fognaria e l’impianto di pubblica illuminazione";

– "la circostanza di mero fatto, rappresentata dalla realizzazione sine titulo di un’opera pubblica sul fondo del privato, giammai potrebbe determinare il trasferimento della proprietà in favore della P.A, se non per il tramite di un provvedimento ex art. 43 DPR n. 327/2001", di modo che "laddove detta delibera venga legittimamente adottata, in presenza dei requisiti legislativamente previsti… ogni questione concernente procedure anteriormente – e in tesi illegittimamente – poste in essere dall’amministrazione, perde di rilevanza";

– risulta idoneamente motivata nell’atto di acquisizione la valutazione del terreno considerato.

Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) error in iudicando; violazione art. 26 l. n. 1034/1971, in rel art. 43 DPR n. 327/2001; artt. 1, 3 ss. L. n. 241/1990; artt. 42, 43, 111 Cost; violazione art. 1 Protocollo CEDU; ciò in quanto "non sussistono i presupposti perché il comune di Pagani possa emettere un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 43 DPR 327/2001", per le ragioni esplicitate a pagg. 5 – 13 e 19 – 21 appello);

b) error in iudicando; violazione art. 26 l. n. 1034/1971, in relazione art. 21septies l. n. 241/1990 e art. 43 DPR n. 327/2001, poiché "il TAR ha errato anche a non esaminare le censure dirette avverso le motivazioni espresse dal Comune di Pagani in seno al deliberato ex art. 43 DPR 327/2001", laddove "gli atti della precedente procedura espropriativa dimostrano l’insussistenza dell’interesse pubblico all’acquisizione e la reversibile trasformazione dei suoli e andavano attentamente valutate". Ne consegue la riproposizione delle censure il cui esame è stato omesso (v. pagg. 23 – 24 appello). In tale contesto, vengono riproposti anche i motivi del ricorso originario e del primo ricorso per motivi aggiunti (v. pagg. 13 – 19 appello), poiché "proprio per valutare la coincidenza di interesse tra Comune e V. – coincidenza esistente solo in forza di un PIP efficace – il TAR avrebbe dovuto esaminare il ricorso principale e il primo ricorso per motivi aggiunti";

c) error in iudicando e in procedendo; violazione art. 26 l. n. 1034/1971; omessa pronuncia; violazione art. 100 c.p.c.; ion quanto è "erronea e contraddittoria" la statuizione in tema di quantificazione del risarcimento del danno;

d) errores in procedendo e in iudicando; violazione art. 26 l. n. 1034/1971; violazione artt. 42, 43, 111 Cost; violazione art. 1 prot. CEDU; violazione art. 43 DPR n. 327/2001, in quanto l’illegittimo utilizzo dell’istituto ex art. 43 "fonda sia il diritto alla restituzione dei suoli, perché essi non hanno subito neanche la irreversibile trasformazione, sia la tutela risarcitoria".

Con memoria 12 maggio 2011, gli appellanti, preso atto della sentenza della Corte Costituzionale n. 293/2010, di annullamento dell’art. 43 DPR n. 327/2001, hanno insistito per l’accoglimento dell’appello, in quanto proposto avverso il capo della sentenza che ha rigettato il secondo ricorso per motivi aggiunti, e, di conseguenza, l’esame del ricorso introduttivo e del primo ricorso per motivi aggiunti. Gli appellanti hanno altresì depositato repliche in data 20 maggio 2011.

Si è costituito in giudizio il Comune di Pagani, che ha concluso richiedendo il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza. Con memoria depositata per l’udienza del 31 maggio 2011, il Comune ha riconfermato le proprie conclusioni, anche alla luce della intervenuta sentenza n. 293/2010 della Corte Costituzionale.

Si sono costituite in giudizio la Regione Campania e la soc. V., che hanno entrambe concluso per il rigetto dell’appello.

Con ordinanza 23 settembre 2008 n. 4977, questo Consiglio di Stato ha rigettato la domanda di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata.

All’odierna udienza, la causa è stata riservata in decisione.

Motivi della decisione

2. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, nei sensi e limiti di seguito precisati.

Come si è avuto modo di evidenziare nella esposizione in fatto, il Consiglio Comunale di Pagani, con deliberazione 11 aprile 2007 n. 16 ha adottato un provvedimento di acquisizione ai sensi dell’art. 43 DPR n. 327/2001, ritenuto legittimo dalla sentenza appellata, che ha rigettato il secondo ricorso per motivi aggiunti (proposto avverso tale delibera ed altri atti collegati), ed ha dichiarato inammissibili – proprio per effetto dell’adozione del provvedimento di acquisizione – il ricorso introduttivo ed il primo ricorso per motivi aggiunti (proposti avverso precedenti atti di approvazione del PUA commerciale – artigianale).

Il Collegio ritiene che, ai fini della definizione della presente controversia, occorre innanzi tutto considerare

– sia l’intervenuta espunzione dal nostro ordinamento dell’istituto dell’acquisizione de facto della proprietà in mano pubblica, a seguito della realizzazione di un’opera pubblica;

– sia l’intervenuto annullamento dell’art. 43 DPR n. 427/2001.

Quanto al primo aspetto, questa Sezione ha già precisato (Consiglio di Stato, sez. IV, 30 gennaio 2006, n. 290; 7 aprile 2010 n. 1983) che l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fa venire meno l’obbligo dell’amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso; e ciò superando l’interpretazione che riconnetteva alla costruzione dell’opera pubblica e all’irreversibile trasformazione effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato.

Infatti, partendo dall’esame della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, deve ritenersi che il quadro normativo e giurisprudenziale nazionale previgente non fosse aderente alla Convenzione europea e, in particolare, al Protocollo addizionale n. 1 (sentenza Cedu 30 maggio 2000, ric. 31524/96).

Nella sentenza citata, la Corte ha ritenuto che la realizzazione dell’opera pubblica non costituisca impedimento alla restituzione dell’area illegittimamente espropriata, e ciò indipendentemente dalle modalità – occupazione acquisitiva o usurpativa – di acquisizione del terreno. Per tali ragioni, il proprietario del fondo illegittimamente occupato dall’amministrazione, ottenuta la declaratoria di illegittimità dell’occupazione e l’annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare nel giudizio di ottemperanza sia il risarcimento, sia la restituzione del fondo che la sua riduzione in pristino.

La realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell’acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà, per cui solo il formale atto di acquisizione dell’amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà in altri comportamenti, fatti o contegni.

Ne discende che, tranne che l’amministrazione intenda comunque acquisire il bene seguendo i sistemi che di seguito saranno evidenziati, è suo obbligo primario procedere alla restituzione della proprietà illegittimamente detenuta.

Quanto al secondo aspetto, osserva la Sezione che, stante la sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 43 DPR n. 327/2001 (Testo unico espropriazioni), per effetto della sentenza della Corte Costituzionale 4 ottobre 2010 n. 293, non può più essere azionato il meccanismo procedimentale accelerato ivi previsto, di modo che la pubblica amministrazione, allo stato, ha unicamente la possibilità di ottenere il consenso della controparte per la stipula di un contratto di vendita, anche con funzione transattiva, oppure agire con un nuovo procedimento espropriativo.

Da quanto esposto, discende l’accoglimento dell’appello, in relazione al primo motivo proposto (sub a) dell’esposizione in fatto), con assorbimento degli ulteriori motivi, con conseguente riforma della sentenza di I grado nella parte in cui la stessa rigetta il secondo ricorso per motivi aggiunti Quest’ultimo, per l’effetto, deve essere accolto, con conseguente annullamento degli atti con il medesimo impugnati.

3. A seguito dell’accoglimento del secondo ricorso per motivi aggiunti (proposto nel giudizio di I grado) e del conseguente annullamento del provvedimento di acquisizione "sanante" ex art. 43 DPR n. 327/2001, e degli atti impugnati ad esso collegati, il Collegio ritiene indispensabile determinare le conseguenze relative all’immobile di proprietà B..

Giova, innanzi tutto, osservare che:

– tale immobile risulta nel possesso del Comune di Pagani dal 21 febbraio 2003, come da verbale di immissione in possesso e redazione dello stato di consistenza prot. n. 1571;

– l’occupazione è, però, avvenuta sulla base del PIP, poi dichiarato inefficace con sentenza TAR Campania, sede di Salerno, n. 1553/2004 (v. pag. 4 sent. appellata);

– il Comune di Pagani ha adottato il PUA del comparto artigianale/commerciale per porre fine alle occupazioni divenute illegittime per intervenuta scadenza della dichiarazione di pubblica utilità (pag. 4 sent.).

Orbene, come sostenuto dagli appellanti (già con i ricorsi in I grado) ed affermato dalla sentenza appellata, l’adozione del provvedimento di acquisizione ex art. 43 consegue ad una "scelta, compiuta dall’amministrazione comunale, di avvalersi di un altro sistema per l’acquisizione dei terreni de quibus al proprio patrimonio".

Ed infatti l’atto di acquisizione, ai sensi dell’art. 43 DPR n. 327/2001, è adottabile da parte della pubblica amministrazione, nei casi in cui vi sia (come afferma la stessa rubrica dell’articolo) "utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico", e presuppone (comma 1) che il bene stesso sia stato "modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità"; il difetto di tali atti, dunque, costituisce presupposto per il ricorso al provvedimento ex art. 43 (Cons. stato, sez. V, 13 ottobre 2010 n. 7472; sez. VI, 9 giugno 2010 n. 3655).

Come questa Sezione ha già avuto modo di affermare (Cons. Stato, sez. IV, 26 novembre 2009 n. 7444; 17 febbraio 2009 n. 915) "il provvedimento di acquisizione assorbe in sé sia la dichiarazione di pubblica utilità che il decreto di esproprio e quindi sintetizza uno actu lo svolgimento dell’intero procedimento, in presenza dei presupposti di legge che devono essere valutati in maniera estremamente analitica dall’amministrazione nell’esercizio del proprio potere discrezionale.".

In definitiva, stante la presenza dei presupposti di legge (valutazione degli interessi "in conflitto", perdurante utilizzazione del bene, modificazione dello stesso), presupposti che in questa sede non occorre analizzare, l’amministrazione – ovviamente prima della dichiarazione di illegittimità costituzionale – avrebbe potuto emanare un provvedimento di acquisizione che, nel presupporre l’assenza della dichiarazione di pubblica utilità e/o del decreto di esproprio, si "sostituisca" ad essi, riconducendo l’occupazione sine titulo nell’alveo della legalità.

Ne consegue che, laddove l’amministrazione adotti (come avvenuto nel caso di specie, con delibera del Consiglio comunale 11 aprile 2007 n. 16), un provvedimento di acquisizione "sanante", ex art. 43 DPR n. 327/2001, prende atto della inesistenza degli atti indicati dalla disposizione medesima perché si possa ad essa far ricorso (dichiarazione di pubblica utilità o decreto di esproprio), ovvero della sussistenza degli effetti di dichiarazione di pubblica utilità derivanti da atti cui la legge astrattamente riconosce tale possibilità.

Ciò comporta che, una volta annullato (come nel caso di specie) il decreto di acquisizione – e comunque per motivi non afferenti a vizi di legittimità intrinseci all’atto medesimo, ma per intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale della norma conferente all’amministrazione il potere di adozione dell’atto – resta il dato della inesistenza della dichiarazione di pubblica utilità e/o del decreto di esproprio. E ciò proprio perché, nella ratio dell’art. 43, il ricorso al provvedimento di acquisizione non costituiva affatto una via alternativa (cui l’amministrazione avrebbe potuto facoltativamente ricorrere) rispetto al procedimento espropriativo, bensì una via di riconduzione alla legalità di una situazione di fatto costituente illecito, proprio per assenza degli atti fondamentali del procedimento espropriativo.

Quanto sin qui esposto determina, nel caso di specie, per effetto dell’accoglimento dell’appello nei termini sopra esposti:

– per un verso, che non occorre esaminare il ricorso introduttivo ed il primo ricorso per motivi aggiunti proposti dagli appellanti in I grado, per i quali occorre confermare, sia pure con diversa (e sopra esposta) motivazione, la declaratoria di inammissibilità per difetto di interesse;

– per altro verso, che il Comune di Pagani occupa sine titulo l’immobile di proprietà B. fin dal 21 febbraio 2003, senza che, per le ragioni esposte, sia venuto meno sul medesimo il diritto di proprietà del privato.

3. Alla luce di quanto esposto, deve altresì trovare accoglimento la domanda di risarcimento del danno "in conseguenza della illegittima occupazione dei suoli fino alla data di restituzione" (da ultimo ribadita con memoria del 12 maggio 2005).

Il Collegio deve, quindi, pronunciarsi sulle modalità cui dovrà attenersi l’amministrazione per la quantificazione del danno risarcibile, fermo rimanendo che, perpetuandosi l’illegittima detenzione fino al momento dell’acquisizione della proprietà, fino a quel momento permarrà anche l’obbligo di tenere indenne il privato dalla conseguenze illegittime del fare amministrativo.

Acclarato che non può essere risarcito il danno da perdita della proprietà, in quanto il diritto dominicale permane in capo al privato non legittimamente espropriato (il che comporta anche, come sopra affermato, l’obbligo primario alla restituzione del bene, laddove non altrimenti acquisito), il risarcimento del danno deve allora operare in relazione alla illegittima occupazione del bene (illecito permanente), e deve pertanto coprire le voci di danno da questa azione derivanti, dal momento del suo perfezionamento fino alla giuridica regolarizzazione della fattispecie.

Ciò impone quindi l’individuazione del momento iniziale e di quello finale del comportamento lesivo.

In relazione al termine iniziale, questo deve essere identificato nel momento in cui l’occupazione dell’area privata è divenuta illegittima, il che significa che decorre dalla prima apprensione del bene, ossia dalla sua occupazione, qualora l’intera procedura espropriativa sia stata annullata, oppure dallo scadere del termine massimo di occupazione legittima, qualora invece questa prima fase sia rimasta integra. Nel caso di specie tale data si identifica nel 21 febbraio 2003 (data di immissione in possesso).

In relazione al termine finale, questo deve essere individuato nel momento in cui la pubblica amministrazione acquisterà legittimamente la proprietà dell’area (ovvero provvederà alla restituzione della stessa al proprietario). A tal proposito, deve ricordarsi come la interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo ha eliminato ogni possibilità di individuare sistemi di acquisizione diversi da quello consensuale del contratto e quello autoritativo del provvedimento espropriativo. Ciò è avvenuto dichiarando l’illegittimità, per contrasto con il principio di legalità, delle ricostruzioni che miravano ad individuare fatti o comportamenti (e quindi l’avvenuto completamento dell’opera pubblica o la richiesta del solo risarcimento come momento abdicativo implicito della proprietà) idonei a sostituire i sistemi legali di acquisto della proprietà.

Infine, come è appena il caso di ricordare, anche lo strumento di cui all’art. 43 DPR n. 327/2001 (che di fatto dava vita ad un procedimento espropriativo accelerato) è stato espunto dall’ordinamento (Corte Cost. 8 ottobre 2010 n. 293).

Pertanto, l’amministrazione può legittimamente apprendere il bene facendo uso unicamente dei due strumenti tipici, ossia il contratto, tramite l’acquisizione del consenso della controparte, o il provvedimento, e quindi anche in assenza di consenso, ma tramite la riedizione del procedimento espropriativo con le sue garanzie.

L’illecita occupazione, e quindi il fatto lesivo, permangono, dunque, fino al momento della realizzazione di una delle due fattispecie legalmente idonee all’acquisto della proprietà, sia che questo evento avvenga consensualmente sia che avvenga autoritativamente.

Tanto precisato, venendo ai profili quantificatori, questi possono riferirsi unicamente a due diverse fattispecie: quella dell’acquisto del bene tramite moduli consensuali e quella della quantificazione del danno dovuto per l’occupazione illegittima avutasi medio tempore.

Come già la Sezione ha avuto modo di precisare (Consiglio di Stato, sez. IV, 28 gennaio 2011, n. 676), in relazione al valore da corrispondere al privato, dovrà tenersi conto di quello di mercato dell’immobile, individuato "non già alla data di trasformazione dello stesso (non potendo più individuarsi in tale data, una volta venuto meno l’istituto della c.d. accessione invertita, il trasferimento della proprietà in favore dell’Amministrazione), e nemmeno a quella di proposizione del ricorso introduttivo (non potendo, come detto, ravvisarsi in tale atto un effetto abdicativo), bensì alla data in cui sarà adottato il più volte citato atto transattivo, di qualsiasi tipo, al quale consegua l’effetto traslativo de quo".

In relazione poi al danno intervenuto medio tempore, e quindi a quello conseguente dall’illegittima occupazione, intercorrente tra i termini iniziali e finali sopra precisati, "i danni da risarcire corrisponderanno agli interessi moratori sul valore del bene, assumendo quale capitale di riferimento il relativo valore di mercato in ciascun anno del periodo di occupazione considerato; le somme così calcolate andranno poi incrementate per interessi e rivalutazione monetaria dovuti dalla data di proposizione del ricorso di primo grado fino alla data di deposito della presente sentenza".

Le prescrizioni sopra imposte sono idonee a conformare l’azione amministrativa, rendendo ragione delle domande proposte dalla parte appellante.

Per le ragioni sin qui esposte, e nei modi e limiti innanzi evidenziati, l’appello deve essere accolto, con conseguente riforma della sentenza appellata.

Sussistono, peraltro, giusti motivi, determinati dalla parziale novità della questione, per compensare integralmente tra le parti le spese processuali.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello proposto da B. G. ed altri, come in epigrafe indicati (n. 6615/2008 r.g.), lo accoglie, nei limiti di cui in motivazione, e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata:

a) accoglie il secondo ricorso per motivi aggiunti, proposto in I grado e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati;

b) dichiara inammissibili il ricorso introduttivo del giudizio di I grado ed il primo ricorso per motivi aggiunti ivi proposto;

c) condanna il Comune di Pagani al risarcimento del danno, nei confronti della parte appellante, da liquidarsi secondo i criteri indicati in motivazione;

d) compensa tra le parti le spese, diritti ed onorari del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *