Cass. pen. Sez. feriale, Sent., (ud. 09-08-2011) 11-08-2011, n. 31875 Diritto comunitario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Corte d’appello di Roma, Sezione per i minorenni, con sentenza del 22 giugno 2011 ha disposto la consegna di F.V. M., nato in (OMISSIS), all’autorità giudiziaria romena, in esecuzione del mandato di arresto Europeo emesso dal Tribunale di Campina l’11.6.2008, per l’esecuzione della pena di un anno di reclusione, emessa da quel Tribunale con sentenza dell’11.3.2008, in giudicato, per il reato di rapina aggravata.

2. Avverso tale sentenza è stato proposto atto di ricorso, sottoscritto congiuntamente dal difensore fiduciario e dal richiesto, con i seguenti motivi:

– violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla L. n. 69 del 2005, artt. 2, 4 e 18, perchè la Corte d’appello non avrebbe evidenziato "tutti quei presupposti che condizionano l’adesione alla richiesta di consegna";

violazione di legge e vizi di motivazione "in relazione alla decisione quadro 2002/584 GAI", perchè il richiamo della corte d’appello all’art. 522 del codice di procedura penale romeno sarebbe inidoneo ad assolvere gli obblighi internazionali connessi al giudizio contumaciale;

– violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. r), per il mancato rifiuto di consegna, con contestuale ordine di esecuzione della pena in Italia: la richiesta viene formulata nell’atto di ricorso, evidenziandosi come già dalla sentenza impugnata (nonchè dal provvedimento cautelare) risultasse sia la residenza anagrafica che l’effettivo svolgimento di attività lavorativa in Italia, circostanze comunque comprovate dal certificato di stato di famiglia del Comune di Latina e dalla dichiarazione del datore di lavoro, allegate al ricorso.

3. Va preliminarmente rilevato come dagli atti risulti che il F. è già stato consegnato alle autorità romene il giorno 12 luglio, in ragione di equivoco insorto sull’esecutività della sentenza della Corte d’appello, deliberata il 22.6.2011, in ragione del ritardo oggettivo con il quale l’atto di impugnazione avverso tale sentenza, presentato alla cancelleria del Tribunale di Latina il 29 giugno e da quell’ufficio trasmesso il successivo giorno 30 a mezzo posta, è pervenuto alla Corte distrettuale (il 18 luglio, secondo le annotazioni di quella cancelleria), quando già era stato apposta l’annotazione di esecutività, con contestuale informazione alle autorità di polizia nazionale deputate all’effettiva esecuzione.

3.1 Il procuratore generale ha richiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta mancanza di interesse. Ma giudica questa Corte che l’interesse alla trattazione della proposta imputazione rimanga integro, trovando fonte nell’aspettativa, non di mero fatto, di una deliberazione in grado di aver rilevanza non solo nel procedimento ora pendente davanti l’autorità giudiziaria romena ma anche per il riconoscimento di aspetti di legittimità che potrebbero fondare eventuali doglianze di sofferti pregiudizi, in relazione all’intempestiva materiale consegna (del resto espressamente richiamati nella sollecitazione – ora in atti – rivolta dal difensore alle autorità di polizia nazionale, nello stesso giorno 12 luglio, perchè si soprassedesse alla consegna in ragione del proposto ricorso).

3.2 La peculiarità della situazione di fatto che ha costituito il presupposto dell’anticipata consegna (il tardivo inoltro da parte del servizio postale del plico contenente il ricorso presentato dal difensore presso ufficio giudiziario diverso da quello che ha emesso il provvedimento impugnato) in realtà sollecita l’esame di un ulteriore ed autonomo possibile profilo di inammissibilità dell’impugnazione: il tema diviene infatti quello dell’applicabilità della disciplina di cui all’art. 582 c.p.p., comma 2, al peculiare procedimento ex Lege n. 69 del 2005.

Osserva la Corte come la L. n. 69 del 2005 non preveda una disciplina specifica sul punto, in particolare l’art. 22 – che tratta specificamente del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti che decidono sulla consegna – non indicando alcuna deroga alle disposizioni del codice di procedura penale che, in ragione della previsione generale di cui all’art. 39 citato legge, si applicano per quanto non previsto dalla legge, in quanto compatibili.

Diverso è il caso del ricorso per cassazione avverso le misure cautelari, adottate nell’ambito della procedura mae, per i quali l’art. 9, comma 7 rinvia espressamente all’art. 719 c.p.p.: con riferimento specifico a tale, diversa, situazione, questa Corte suprema ha insegnato che per quanto riguarda il termine e le altre modalità di proposizione si applicano le disposizioni contenute nell’art. 311 c.p.p.,, commi 2, 3 e 4 con la conseguenza della necessità di depositare il ricorso, con contestuali motivi, nella cancelleria della corte d’appello (Sez. 6, sent. 2465S del 31.5- 17,7.2006).

E’ importante evidenziare che tale insegnamento non ha introdotto una specifica limitazione per la procedura mae, ma si è limitato ad estendere a tale procedura la regola generale prevista dal codice di procedura penale per i ricorsi in materia di libertà personale (art. 311, comma 1 in relazione all’art. 309, 1990 e art. 310 c.p.p.).

Ora, in mancanza di una disciplina che espressamente deroghi alle regole ordinarie in materia di impugnazione (applicabili attraverso il richiamo operato dal ricordato art. 39), la non applicabilità dell’art. 582 c.p.p., comma 2, che appunto consente all’interessato ed al difensore di presentare l’impugnazione anche nella cancelleria del tribunale o del giudice di pace del luogo in cui si trovano, dovrebbe fondarsi esclusivamente sull’esigenza sistematica che, valorizzando la peculiare generica celerità dei tempi della procedura per la consegna, conduca ad eliminare in radice la possibilità di ritardi ed inconvenienti connessi alle disfunzioni che possono conseguire a non obbligate scelte difensive. Sotto questo profilo potrebbe argomentarsi che tale esigenza sistematica assuma rilevanza tale da rendere "non compatibile" l’applicazione della disciplina generale in materia di presentazione delle impugnazioni, imponendo invece la presentazione presso la cancelleria della corte d’appello che ha deliberato la sentenza sulla richiesta di consegna.

Ma tale conclusione non pare condivisibile per almeno tre ragioni:

a ben vedere, la procedura mae prevede termini indefettibili solo per quanto riguarda la durata della misura cautelare eventualmente adottata (art. 13, comma 3, art. 21, art. 23, comma 5), quelli relativi al succedersi delle varie incombenze del procedimento finalizzato alla decisione di consegna avendo pertanto natura sostanzialmente ordinatoria (irrilevante – per il nostro contesto argomentativo – essendo la sussistenza comunque di un generale obbligo di osservanza anche di tali termini); in particolare, è significativo che siano disciplinati i tempi per la decisione, ma non quelli di trasmissione degli atti;

– gli inconvenienti relativi al margine di incertezza in ordine al momento di acquisita effettiva definitività della stessa, determinati dalla possibilità di presentazione del ricorso presso uffici diversi dalla corte d’appello che ha emesso la sentenza determina, non solo sono quelli propri di ogni sentenza suscettibile di impugnazione, ma – e questa pare considerazione francamente assorbente – possono essere agevolmente superati con una disposizione anche solo di natura amministrativa che stabilisca, per l’ufficio che riceve l’atto di impugnazione relativo ad una sentenza deliberata in esito a procedura ex Lege n. 69 del 2005, un onere di informazione per le vie brevi, in ordine all’avvenuta presentazione del ricorso ed alla trasmissione dei documenti originali;

l’applicazione dell’art. 582 c.p.p., comma 2, costituisce concretizzazione del generale favore per l’impugnazione.

In altri termini, nella L. n. 69 del 2005 non si rinvengono discipline derogatorie specifiche sul punto delle modalità di presentazione del ricorso avverso i provvedimenti che decidono sulla consegna; la sistematica della complessiva disciplina mae contiene termini indefettibili solo per l’aspetto cautelare, agli inconvenienti che l’applicazione della regola generale non derogata di cui all’art. 582 c.p.p., comma 2, comporta può provvedersi con semplice intervento organizzativo di natura amministrativa; la compressione del diritto di esercitare compiutamente la propria difesa per evitare possibili inconvenienti materiali non è giustificabile, specialmente quando agevole sia la soluzione degli stessi in mera via organizzativa amministrativa.

Il ricorso deve pertanto anche sotto questo aspetto ritenersi ammissibile.

4. Il ricorso è fondato nei limiti che seguono.

4.1 Il primo motivo è inammissibile per la palese genericità.

Il secondo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza, essendo insegnamento acquisito nella giurisprudenza di questa Corte che l’espressa previsione dell’ordinamento rumeno (art. 522 c.p.p., comma1, romeno, secondo cui in caso di condanna in contumacia l’interessato può richiedere la rinnovazione del giudizio) soddisfa le garanzie previste dalla Decisione quadro 2002/584 GAI per i giudizi contumaciali (Sez. F. sent. 30040 dep. 29.7.2010; Sez. 6, sent. 39152 del 16 – 17/10/2008 in proc. Mironica; Sez. 6, sent.

46224 del 26.11-1.12.2009 in proc. Prodan; Sez. 6, sent. 7091 del 18- 22-2-2010 in proc. Sandu).

4.2 Il terzo motivo è fondato, ma per ragioni in parte diverse da quelle dedotte dal ricorrente.

4.2.1 Questa corte ha già insegnato che, nei casi di cui all’art. 18 lett. R (richiesta per esecuzione di pena), in relazione al "cittadino italiano", non sussiste un potere della Corte d’appello assolutamente discrezionale nella determinazione del luogo dove tale pena dovrà essere eseguita, se nello Stato estero piuttosto che nel nostro Stato. Secondo tale insegnamento, l’art. 18, lett. r), va infatti interpretato insieme alla citata L. n. 69 del 2005, art. 19, lett. c), il quale, per il caso della richiesta di consegna finalizzata all’esercizio dell’azione penale, prevede che ogni consegna sia subordinata inderogabilmente al rinvio della persona consegnata, ad espletate esigenze di giustizia, quando l’iter del procedimento si concluda con condanna a pena da eseguire. La ormai acquisita inadeguatezza sistematica del testo della L. n. 69 del 2005, infatti, impone di superare le dissonanze prive di alcuna razionalità, ricomponendo una logica sistematica rispettosa dei principi costituzionali interni e delle ragioni insite nella pertinente decisione quadro.

Così, il principio di diritto affermato è stato quello che tendenzialmente il cittadino italiano deve comunque scontare la pena in Italia, salvo che vi siano diverse indicazioni provenienti dal soggetto interessato. Ciò proprio perchè la finalità della complessiva disciplina (nazionale ed Europea) è quella di favorire la funzione di rieducazione e risocializzazione propria della sanzione, e con conclusione efficace anche per i casi di consegna per l’esercizio dell’azione penale. Potrebbe infatti esservi un suo interesse specifico all’esecuzione della pena in tale Stato – rilevante se conforme alla finalità della disciplina – in ragione della residenza o di contingenze di natura lavorativa/economica ovvero di affetti radicati nel territorio dello Stato di emissione, (Sez. 6, sent. 30018 del 16-17.7.2008; Sez. 6, sent. 22105 del 26- 30.5.2008; Sez.6, sent. 7813 del 12-20.2.2008; Sez. 6, sent. 46845 del 10-17.12.2007) .

Come noto, con la sentenza 227 del 21.6.2010, la Corte costituzionale ha eliminato, per il cittadino di altro Paese membro dell’Unione Europea residente in Italia, l’impossibilità di rifiutare la consegna con contestuale ordine di esecuzione della pena in Italia, prevista nel testo originario dell’art. 18, lett. r) per il solo cittadino.

Dopo tale sentenza, dunque, le considerazioni svolte dall’insegnamento appena richiamato non possono che applicarsi tendenzialmente anche a tale categoria di persone.

4.2.2 Come tuttavia la stessa corte costituzionale ha avvertito, ovviamente qui rileva la tematica della peculiare nozione di "residenza ai sensi della L. n. 69 del 2005", che presenta inevitabili margini di incertezza, o meglio di inevitabile discrezionalità per il giudizio nel caso concreto. Tale discrezionalità deve essere orientata dagli insegnamenti di questa Corte suprema, in realtà ormai consolidati nell’aver chiarito che quella peculiare nozione ha riguardo, innanzitutto, al dato formale dell’attestazione di residenza anagrafica, indispensabile, ancorchè per sè insufficiente (Sez. 6, sent. 20553 del 27-28.5.2010); poi, e insieme, all’esistenza di indici fattuali univocamente significativi di stabile ed autosufficiente, effettivo e non estemporaneo radicamento, quali la legalità della presenza, la fissazione in Italia della sede principale – anche se non esclusiva – di interessi lavorativi familiari ed affettivi, l’apprezzabile continuità temporale e la stabilità della presenza medesima, la distanza temporale tra questa e la commissione del reato e la condanna conseguita all’estero, il pagamento delle eventuali imposte italiane connesse alla stabile residenza e attività lavorativa (per tutte, Sez. 6, sent. 13517 dell’8-9.4.2010). in altri termini, mentre nel caso della cittadinanza italiana, il presupposto per l’operatività del principio di diritto richiamato è normalmente di immediata evidenza nel fascicolo, nel diverso caso della persona con "cittadinanza di altro Stato membro" il punto della sua effettiva "residenza" in Italia, nella peculiare accezione appena ricordata, deve essere sempre oggetto di specifico discrezionale e motivato apprezzamento del giudice con riferimento a quanto risulta dal contenuto degli atti (tra i quali quelli che danno conto delle modalità di identificazione e quelli allegati ad eventuali istanze in materia di libertà personale o tempestive memorie: Sez. 6, sent.

7108 del 12-18.2.2009), ferma la possibilità per la parte interessata di pertinenti specifiche deduzioni e di tempestive ulteriori prove.

E’ pertanto infondato l’assunto del ricorrente, laddove pare sostenere la possibilità, per il cittadino di altro Stato membro, di introdurre il tema della "residenza" per la prima volta in sede di impugnazione della sentenza della corte d’appello, anche con la formalizzazione di una richiesta e di un materiale probatorio prima assenti e, in ipotesi, determinanti. il richiamo presente nel ricorso alla sentenza 30018/2008 di questa Sezione non è pertinente, perchè tale decisione in definitiva ha ammesso la possibilità di esame di una richiesta proposta solo davanti alla corte di cassazione (ma in un caso di certa cittadinanza italiana) non nel senso di legittimare "attivazioni o ripensamenti tardivi", ma rilevando che non vi era stata sul punto, pur a fronte di una situazione probatoria che lo avrebbe imposto, una delibazione della corte distrettuale: in altri termini, in tale sentenza la Corte suprema ha in realtà ricondotto il tutto al vizio di omessa motivazione in relazione all’indicata e corretta applicazione dell’art. 18, lett. r).

Il chiarimento appare tanto più rilevante per la fattispecie dello straniero comunitario "residente", perchè in tal caso deve affermarsi certamente inammissibile la prospettazione per la prima volta in sede di impugnazione, ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 22, della questione di eventuale "residenza" non come critica – di legittimità e di merito – alla decisione impugnata rispetto agli elementi probatori presenti nel fascicolo all’atto di tale decisione, ma come tema del tutto nuovo e supportato da prove altrettanto nuove in quanto nè presenti nel fascicolo nè tempestivamente richieste.

Questa conclusione si impone per due ragioni, di ordine sistematico.

La prima: è vero che la corte di cassazione nella procedura mae, così come in quella estradizionale, è giudice anche del merito: ma ciò va inteso nel senso che la corte di legittimità può in queste procedure eccezionalmente conoscere anche le censure di merito, non pure che eserciti funzioni e poteri integralmente sovrapponibili a quella del primo giudice, di tipo sostitutivo, integrativo, istruttorie (come è, invece, per i rapporti tra giudice di primo e di secondo grado nel giudizio di merito): per tutte, Sez. 6, sent.

13182 del 25-30.3.2009).

La seconda, connessa: la procedura mae vede nella corte d’appello il giudice funzionalmente competente alla deliberazione di consegna (per tutte, Sez. F., sent. 30039 del 27-29.7.2010), deliberazione soggetta al controllo di merito e legittimità della corte di cassazione.

Sarebbe intrinsecamente abnorme, perchè determinante una "innominata" regressione del procedimento in assenza di alcun vizio, l’annullamento con rinvio che dovesse essere giustificato solo perchè la parte ha introdotto per la prima volta davanti al giudice dell’impugnazione tema ed elementi di prova che necessitano di accertamenti e verifiche incompatibili con la fase di impugnazione:

in sostanza, proprio la competenza funzionale della corte d’appello nella deliberazione di consegna e la struttura del procedimento individuano il limite sistematico che impone alla parte interessata, la quale voglia introdurre elementi di fatto non presenti agli atti ed idonei a far sorgere l’obbligo di confronto argomentativo del giudice su un tema prima non emergente dal fascicolo, di farlo entro il momento della deliberazione ai sensi della L. n. 69 del 2005. 4.2.2.1 Nel caso di specie, nell’ordinanza 7.6.2011 la stessa Corte distrettuale aveva argomentato di "sicuro radicamento nel territorio dello Stato italiano", evinto "dalla stessa informativa dei carabinieri". Il punto della decisione relativo alla sussistenza eventuale della "residenza ai sensi della L. n. 69 del 2005" avrebbe quindi dovuto essere trattato, per verificare anche d’ufficio l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 18, lett. r), alla luce del ricordato principio di diritto, ora relativo ai cittadini italiani ed ai cittadini di altri Stati membri.

L’impugnata sentenza va pertanto annullata con rinvio sul punto, gli altri motivi essendo rigettati.

Il rinvio va disposto alla stessa Corte d’appello, in assenza di disciplina specifica (l’art. 623 c.p.p., comma 1, lett. c), non considera la sezione per i minorenni, nè il D.P.R. n. 448 del 1988 contiene previsioni sul punto), deve rilevarsi che la sezione per i minorenni costituisce articolazione interna della corte d’appello, sicchè opera la regola generale della presenza di più sezioni, e che la soluzione è anche quella sistematicamente più congrua sia alla peculiare natura di "soggetto debole" del minorenne sia al collegamento con i vari servizi territoriali.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto della residenza in Italia con rinvio alla corte d’appello di Roma sezione per i minorenni per nuovo giudizio. Rigetta il ricorso nel resto.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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