Cons. Stato Sez. IV, Sent., 16-09-2011, n. 5224 Silenzio-accoglimento, silenzio-rifiuto e silenzio-rigetto della pubblica Amministrazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

A seguito di processo verbale elevato dalla Guardia di Finanza in data 30/7/2009 in sede di ispezione, con cui veniva disposto il sequestro di n.9 kg di pacchetti di sigarette con contrassegno non conforme presso i locali retrostanti il bar gestito dal coniuge dell’appellata, esercizio commerciale cui è annessa la rivendita di generi di monopolio n.7 (in Comune di Tropea) di cui è assegnataria la sig.ra M. F., l’Azienda Autonoma dei Monopoli di Stato adottava nei confronti della medesima un provvedimento di revoca immediata della concessione di rivendita.

Avverso tale determinazione che faceva seguito alla già disposta sospensione e all’attivazione del relativo procedimento, l’interessata produceva ricorso gerarchico e, in assenza di riscontro di tale gravame, provvedeva a notificare atto di diffida e messa in mora.

Di qui, quindi, il successivo ricorso al Tar per la Calabria con cui la sig.ra M. ha impugnato il silenzio- rifiuto serbato dall’Amministrazione, con richiesta altresì del risarcimento del danno.

L’adito Tribunale Amministrativo Regionale con sentenza n.3006 /2010 ha respinto il ricorso ritenendo infondata la proposta impugnativa, con dichiarazione di inammissibilità della pretesa risarcitoria ivi fatta valere.

L’interessata, ritenendola errata ed ingiusta, ha impugnato tale sentenza, deducendo a sostegno del proposto appello, i seguenti motivi:

eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento del potere, della violazione del precetto di logica e di quello di imparzialità del vizio della formazione della volontà nel caso di specie determinato da cause esterne. Illogicità manifesta: violazione e falsa applicazione dell’art.21 quinquies e art.21 nonies della legge n.24!/90;

violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 della legge n.241/90.Difetto assoluto e contraddittorietà nella motivazione della sentenza gravata;

violazione dell’art.97 della Cost. nonché di legittimo affidamento dei privati nei confronti dell’azienda pubblica. Violazione e falsa applicazione dell’art.10 bis della legge n.241/90: eccesso di potere per vizio di ultra petizione nella sentenza gravata. Legittimità della richiesta di risarcimento del danno da ritardo;

Violazione e falsa applicazione dell’art.12 comma 2 delle preleggi in relazione al principio del dovere di buona amministrazione;

Violazione e falsa applicazione della legge n. 1293/57: violazione e falsa applicazione dell’art.1176 c.c.

Si sono costituiti in giudizio le Amministrazioni intimate che hanno contestato la fondatezza del l’appello, chiedendone la reiezione.

Motivi della decisione

Vanno in primo luogo rilevati alcuni profili di dubbia ammissibilità dell’impugnativa proposta secondo il rito del silenzio ex art.21 bis della legge n.1034/1971, avuto riguardo al fatto che il silenzio che si forma su un ricorso gerarchico costituisce silenzio cosiddetto significativo, che sta in luogo cioè di un provvedimento di diniego, mentre nella specie viene gravato un silenzio – rifiuto e cioè il comportamento inoperoso tenuto dalla P.A in ordine ad una richiesta avanzata dal privato ed è solo in presenza di tale inerzia che può e deve essere utilizzato lo strumento processuale previsto dal legislatore per far accertare l’avvenuta violazione da parte dell’Amministrazione dell’obbligo di conclusione del procedimento, imposto dall’art.2 della legge n.241/90.

D’altra parte, come chiarito in primis dall’Adunanza Plenaria con la decisione n.16 del 24/11/1989, il decorso del termine per la formazione del silenziorigetto ha effetti soltanto processuali, nel senso che il ricorrente in sede gerarchica anziché l’onere ha la facoltà di agire immediatamente in sede giurisdizionale, restando integra la sua possibilità di impugnare il provvedimento originario unitamente all’eventuale decisione tardiva sul proposto ricorso gerarchico.

Ad ogni buon conto, anche questo giudice d’appello ritiene di dover sorvolare su detti aspetti processuali e procedere a verificare alla luce del contenuto normativo dettato dall’art.31 comma 3 del dlgs. 2/7/2010 n.104 (codice del processo amministrativo) e in applicazione del principio di economia processuale, la fondatezza o meno della proposta impugnativa e, in particolare, della pretesa di non punibilità disciplinare in concreto ivi fatta valere, in relazione alla questione giuridica introdotta con la controversia all’esame.

Ritiene il Collegio che a detto quesito vada fornita risposta negativa, nel senso che il provvedimento revocatorio assunto nei confronti dell’appellante si appalesa immune dai vizi di legittimità denunciati.

Con i vari motivi d’impugnazione qui proposti che per ragioni di logica connessione possono essere congiuntamente esaminati, parte appellante mette in discussione la legittimità del provvedimento di revoca della licenza amministrativa rilasciata da AAMS che sarebbe stata assunta in assenza di elementi di responsabilità addebitabili alla stessa titolare della rivendita e lì dove tale misura "sanzionatoria" si rivelerebbe altresì sproporzionata ed ingiusta oltreché priva di idonea motivazione.

Così non è.

Il provvedimento di revoca per cui è causa costituisce la determinazione finale di un procedimento sanzionatorio che ha preso l’abbrivio dagli accertamenti effettuati dagli organi di polizia tributaria in sede di ispezione (vedi verbale del 30/7/2009), lì dove in quella sede militari addetti della GDF ebbero a rinvenire e sequestrare nei locali retrostanti l’esercizio commerciale di bar cui è annessa la rivendita ordinaria di monopoli n.7, posti nella disponibilità del marito dell’appellante, pacchetti di sigarette con contrassegni di Stato contraffatti..

Tale fatto, che faceva presumere la commercializzazione di tali tabacchi nella predetta rivendita veniva valutato nella sua gravità come violazione dei doveri di servizio della concessionaria, come tale passibile della sanzione della revoca della licenza.

In relazione a ciò parte appellante cerca in primo luogo di separare le sue responsabilità soggettive ed oggettive da quella del suo congiunto, lì dove oppone il fatto che il ritrovamento di prodotti contraffatti è avvenuto in locali adiacenti a quello in cui direttamente avviene la vendita di tabacchi, ma tale circostanza non vale a mandare esente dall’imputabilità dell’addebito la titolare della rivendita.

Invero, vale qui richiamare quanto proprio sul punto già statuito da questa Sezione con la decisione n.3966 del 17 febbraio 2006 (dalla quale non si ha motivo di discostarsi) con cui in una vicenda dalle caratteristiche pressoché analoghe a quella all’esame si è sottolineato come l’aspetto rilevante e determinante che giustifica l’adozione del provvedimento sanzionatorio sia costituito dall’essere venuto meno da parte del titolare della concessione il dovere di vigilanza per evitare ogni sorta di abuso, senza che possano valere come esimenti le circostanze che l’attività di bar è esercitata da altra persona e che i tabacchi contraffatti, esattamente come avvenuto nel caso de quo, siano stati rinvenuti in locali adiacenti all’esercizio commerciale cui è annessa la rivendita.

Insomma, l’episodio verificatosi in quel di Tropea reca in sé una indubbia valenza negativa che va ad incidere sul rapporto fiduciario tra AAMS e la titolare della concessione, sì da impedire la prosecuzione di detto rapporto e giustificare l’esercizio del potere disciplinare dell’Azienda dei Monopoli a salvaguardia dell’interesse pubblico e dell’immagine dell’Amministrazione finanziaria.

Se così è, non vale invocare quale che sia buona fede né la non proporzionalità della sanzione, stante l’oggettiva gravità della vicenda e la rilevanza dell’interesse pubblico coinvolto, rispetto al quale la posizione della concessionario in riferimento agli addebiti accertati si appalesa certamente recessiva.

A conforto del fatto che in materia è richiesta una rigorosa e responsabile condotta a carico del titolare di una concessione di rivendita di generi di monopoli, vale il riscontro di diritto positivo costituito dalla normativa dettata in subjecta materia rispettivamente dall’art.34 punto 8) della legge n.1293 del 22/12/1957 e dall’art.83 del DPR 14/10/1958, acutamente richiamati dal primo giudice.

La prima norma prevede che l’Amministrazione può procedere alla disdetta del contratto d’appalto o alla revoca della gestione delle rivendite nel caso di "acquisto dei generi non dall’organo di distribuzione del monopolio assegnato, quando ne sia derivato danno all’Amministrazione ovvero trattisi di acquisto o detenzione di generi provenienti da furto".

La seconda disposizione normativa pone il divieto ai rivenditori di "comprare, ritenere o vendere generi di monopolio non prelevati direttamente dagli organi di rifornimento ad essi prescritti dall’Amministrazione"; per non dire, poi, che il successivo art.90 impone al rivenditore di avvisare l’Ispettorato compartimentale e la Guardia di Finanza di ogni operazione di contrabbando anche se solo preordinata, della quale venisse a conoscenza.

Da tale ordito normativo è evidente come la vendita dei generi di monopoli sia accompagnata da un regime improntato ad una particolare severità e che il concessionario sia investito di specifiche responsabilità di guisa che ogni fatto costituente violazione di tale dovere di "fedeltà commerciale" può ben dare luogo, una volta accertata l’esistenza dei presupposti di fatto e di diritto, alla irrogazione della massima sanzione disciplinare costituita dalla revoca della licenza di rivendita dei generi di monopolio.

Quanto, poi, alla dedotta carenza motivazionale di cui sarebbe affetto, secondo parte appellante, il provvedimento in contestazione, una attenta disamina della parte narrativa della determinazione de qua non permette di rilevare la sussistenza di tale vizio, atteso che l’Amministrazione si è data sufficientemente carico di dare contezza delle circostanze e degli elementi di valutazione che hanno consigliato di adottare a carico della sig.ra M. in relazione alla indubbia gravità dei fatti debitamente messa in evidenza, la sanzione della revoca de qua.

Dall’ordito motivazionale recato dall’atto sanzionatorio si è altresì in grado di rilevare come non sussista la lamentata violazione della normativa di carattere garantistico dettata dalla legge n.241/90, atteso che AAMS ha dimostrato di aver preso in considerazione sia pure giudicandole non sufficienti le osservazioni e controdeduzioni fatte pervenire dall’interessata.

Per quanto sopra esposto, l’impugnativa avverso il provvedimento di revoca della licenza si appalesa infondata.

Quanto alla richiesta risarcitoria avanzata sotto il profilo del danno da ritardo, la pretesa è palesemente inconfigurabile, attesa la insussistenza nella specie di quale che sia condotta illegittima da parte della P.A. causativa di danno risarcibile ai sensi dell’art.2043 c.c. (cfr Ad Pl. n.12/2007).

In definitiva, l’appello va respinto.

Sussistono, tuttavia giusti motivi avuto riguardo alla specificità della vicenda, per compensare tra le parti le spese e competenze del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo Rigetta.

Compensa tra le parti le spese e competenze del presente grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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