Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 05-05-2011) 11-08-2011, n. 31877

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 18/5/10 la Corte di Assise di Appello di Torino confermava la sentenza 15/7/09 della Corte di Assise di Torino che, esclusa l’aggravante dei motivi futili e/o abbietti e riconosciute quelle della premeditazione e delle circostanze di tempo e di luogo tali da ostacolare la difesa delle vittime, condannava B. (o B.) T. (o T. o Te.) alla pena dell’ergastolo, con isolamento diurno per mesi sei, per i reati (commessi in (OMISSIS) in continuazione, con l’eventuale concorso di persone rimaste ignote) di omicidio in danno di Dascalu Valerica (.

Va.) e di N.R.: capo A), di favoreggiamento della prostituzione (della convivente B.A.: capo B) e di porto e detenzione illegali di una pistola cal. 9 (mai trovata, usata per il duplice omicidio: capo C). Con le statuizioni in favore delle parti civili. Alle ore 00,30 del 24/1/08 una volante della polizia rinveniva in via (OMISSIS) i corpi giacenti al suolo di un uomo e di una donna, successivamente identificati in D. V. (abitante nella stessa via (OMISSIS)) e in N.R., entrambi di nazionalità romena, attinti da numerosi colpi di arma da fuoco (otto lui, l’ultimo il cd. di grazia; cinque lei). L’uomo era esanime; la donna, ancora cosciente, riusciva a riferire al capopattuglia degli agenti intervenuti, prima di essere condotta in ospedale dove sarebbe morta sotto i ferri, alcuni importanti dati relativi allo sparatore (il tipo e il colore dell’auto da lui usata e parte del numero della targa), che, nel giro di pochi giorni, consentivano agli investigatori di identificarlo nell’odierno imputato, di nazionalità albanese: ricercato nella sua abitazione, il B. risultava irreperibile e veniva solo successivamente localizzato in Olanda ed ivi arrestato il 10/4/08 in forza di mandato Europeo.

L’uomo risultava privo di alibi, mentre il movente era individuato in un violento pestaggio avvenuto la notte tra il 15 e il 16/1/08 ai danni dello stesso B., che in precedenza aveva ingiuriato la N., che, alla guida della BMW in suo uso, in compagnia del fratello C. e del fidanzato D., aveva simulato di investire due donne che erano col B. (dopo l’alterco con l’albanese i due erano tornati spalleggiati da alcuni amici romeni "raccolti" in un bar). Gli stessi dati forniti dalla donna morente all’assistente P.C. (confermato in ciò da due terzi presenti, estranei alla PS, D.M.C. e G.G., e soprattutto dai contenuti trascritti delle comunicazioni radio immediatamente succedutesi tra le auto della polizia, mentre non trovavano riscontro altri dati riferiti dallo stesso P. nella sua relazione di servizio) erano trovati annotati in un foglietto di agenda rinvenuto, secondo le indicazioni della donna, nell’abitazione di lei nella tasca di un vestito (a dimostrazione del rilievo dato all’episodio di otto giorni prima e del timore che le era derivato; e peraltro il numero di targa della BMW da lei guidata era stata a sua volta annotato dal B., come da lui stesso ammesso).

Conclusivamente, a carico dell’imputato: 1) le indicazioni date dopo l’aggressione dalla donna morente (seppure colpita alle spalle, i successivi movimenti e le ferite riportate lo consentivano: così il medico legale che aveva effettuato l’autopsia) all’assistente P. (la Fiat Bravo targata (OMISSIS) .. di colore azzurro, ovvero "albastra" in lingua romena); 2) l’assenza di qualsiasi alibi, anche parziale, del B. (la cui presenza nelle vicinanze del luogo del delitto nei minuti in cui fu commesso era provata dall’aggancio alle ore 00,28 del suo telefono cellulare alla cella di (OMISSIS), in conversazione con l’amico M. S., proprietario, tra l’altro, dell’autovettura in suo uso);

3) la sua fuga nei giorni successivi al fatto (giustificata dall’uomo in modo assai poco convincente); 4) il movente, rappresentato dall’umiliante pestaggio cui egli era stato sottoposto otto giorni prima ad opera delle due vittime e dei loro amici (che l’avevano costretto a chiedere tregua ed a fuggire a piedi, il D. prendendo anche a sprangate la sua macchina). Di qui le sentenze di primo e secondo grado.

Ricorreva per cassazione la difesa dell’imputato, deducendo: 1) vizio di motivazione e mancata assunzione di una prova decisiva (una perizia medico-legale che accertasse la possibilità del riconoscimento dell’aggressore da parte della N. nel quadro di una esatta ricostruzione della dinamica dell’aggressione medesima: la via era del tutto buia e veniva messo in dubbio che la donna avesse potuto vedere in viso l’aggressore, mentre era ben possibile che in un momento di lucidità ella avesse collegato il fatto di cui era stata vittima con l’episodio occorsole pochi giorni prima); 2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’aggravante della premeditazione (ritenuta sussistente sulla base delle mendaci affermazioni del fratello della vittima, N.C., che dapprima sottoscriveva quanto affermato dalla madre circa l’assenza di sospetti su quanto appena accaduto, poi riferiva del litigio asseritamente narratogli dalla sorella e della circostanza che ella sarebbe stata seguita nei giorni seguenti dal B. alla guida di una Fiat Bravo a tre porte color celeste – la stessa distrutta pochi giorni prima dopo il litigio con i romeni – della quale era riuscita a prendere il numero di targa); 3) violazione di legge circa le aggravanti dei motivi futili o abbietti e del tempo di notte.

Chiedeva l’annullamento della sentenza.

Seguivano memoria di sintesi del difensore ricorrente (18/4/11) e motivi aggiunti di un secondo difensore (19/4/11), che pure deduceva vizio di motivazione (manifesta illogicità e travisamento del fatto) nella ricostruzione degli accadimenti e nella prova che ne veniva dedotta e violazione di legge sulle ritenute aggravanti. Alla pubblica udienza fissata per la discussione il PG concludeva per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e la difesa dell’imputato (presenti entrambi i difensori) per l’accoglimento.

Secondo condivisa giurisprudenza (Cass., 6^, sent. n. 10951 del 15/3/06, rv. 233708, imp. Casula) "il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la relativa motivazione sia: a) effettiva, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non manifestamente illogica, ovvero sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nella applicazione delle regole della logica; c) non internamente contraddittoria, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;

d) non logicamente incompatibile con altri atti del processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione". La sentenza impugnata risponde a tali parametri. Il ricorso, infondato, va rigettato.

Non fondati i motivi del ricorso originario. Non il primo, l’attenta analisi, fondata su dati positivi, svolta dal giudice di merito proprio sulla questione sollevata (in uno con gli ulteriori indizi a carico dell’imputato), impedendo di ritenere decisiva la perizia medico-legale chiesta dalla difesa per accertare la possibilità che la N., ferita di spalle, abbia davvero veduto in viso e riconosciuto l’aggressore, fugando il sospetto che le indicazioni da lei fornite nell’immediatezza ai soccorritori fossero inquinate dal ricordo e dall’impressione dei fatti violenti verificatisi qualche giorno prima. I giudici, infatti, sia di primo che di secondo grado, hanno puntualmente considerato: che la donna era ben cosciente ed in grado di fornire indicazioni sull’autore del fatto (in tal senso il perito settore dott. T.) quando ebbe a parlare col D.M. prima e col P.poi; che la circostanza che tutti i colpi sparati contro di lei, eccetto l’ultimo, avessero un tramite da destra verso sinistra faceva ritenere probabile che al momento di essere colpita ella fosse girata verso l’aggressore ed abbia avuto quindi la possibilità di vederlo in viso (era del resto del tutto logico che il primo ad essere fatto bersaglio dei colpi fosse stato l’uomo che era con lei e che perciò ella abbia ben avuto il tempo di voltarsi per istinto verso lo sparatore). A fronte dei due detti dati positivi (confortato il secondo dalla logica) diventa puramente congetturale ipotizzare che la donna abbia dato a ciò che ella ebbe davvero a vedere il volto di recenti impressioni e di incombenti timori.

Non il secondo sulla premeditazione, l’aggravante in questione essendo stata ritenuta dai giudici del tutto marginalmente sulla base della (tardiva) parola del fratello della N., ma in primo luogo e soprattutto sull’oggettiva sequenza dei fatti (dalla notte tra il 15 ed il 16 gennaio a quella del 24) e sull’organizzazione dell’agguato da parte del suo autore: l’essersi munito dell’arma;

l’avere svolto i necessari accertamenti per identificare l’abitazione del D. (individuando nei suoi pressi, con l’ora, il luogo adatto); l’avere predisposto le modalità di fuga con il probabile aiuto di un complice sia per il trasporto che per la segnalazione delle vittime.

Non il terzo sulle altre aggravanti: già esclusa in primo grado quella dei motivi futili e/o abbietti; fondata su dati obbiettivi certi e correttamente e congruamente motivata quella della minorata (od ostacolata) difesa.

Parimenti infondati i motivi aggiunti, che in gran parte rielaborano argomenti fattuali già ampiamente e correttamente valutati con opposti esiti dal giudice di merito. Ciò vale per la tesi secondo cui l’omicida, sia pure in posizione laterale ma ravvicinata, avrebbe alternativamente sparato alle spalle delle due vittime, non consentendo alla donna di vederlo in viso (si è detto della portata congetturale di una tal tesi). Ciò vale per l’indicazione della macchina usata dall’omicida (la Fiat Bravo blu targata (OMISSIS)), essendovi testimonianza che essa fu danneggiata a sprangate nell’episodio della settimana precedente ma anche che, non essendo in grado di ripartire, fu recuperata la notte stessa con un carro attrezzi dal proprietario (lo S.) e ricoverata nel cortile della sua abitazione: da nulla risulta che non fu rimessa in condizione di circolare.

Ancora di mero fatto le pretese incongruenze sull’appostamento dell’imputato nelle vicinanze dell’abitazione delle vittime (correttamente ritenuto provato dai giudici in base agli elementi desunti dai dati telefonici) e le considerazioni (peraltro marginali) sulle circostanze (da ritenersi non sospette) dell’allontanamento del B. d.o.s.c.d.v.(.p.d.

Ni..

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del processo ( art. 616 c.p.p.).

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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