Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 31-05-2011) 12-08-2011, n. 32100

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

C.G.A. era chiamato a rispondere, innanzi al Tribunale di Sondrio, dei reati di minaccia, porto ingiustificato di coltello da cucina, dalla lama lunga 16 cm. e tentato omicidio, perchè, armato di coltello di cui sopra, compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare la morte di M.P. R., in particolare lo attingeva con una coltellata in zona addominale provocando una lesione alla parete addominale, all’intestino tenue e ad un ramo arterioso principale addominale, non riuscendovi tutta via nell’intento per cause indipendenti dalla propria volontà (tempestivo intervento dei sanìtari e delle Forze dell’Ordine, con l’aggravante della premeditazione e dell’avere commesso il fatto per motivi abbietti e futili.

Con sentenza del 3 febbraio 2005, il GUP del Tribunale, pronunciando con le forme del rito abbreviato, dichiarava il C. colpevole del reato di tentato omicidio e degli altri reati a lui contestati e, per l’effetto, lo condannava alla pena ritenuta di giustizia.

Pronunciando sul gravame proposto dal difensore, la Corte di Appello di Milano aveva confermato la statuizione di condanna, in ordine al tentato omicidio, assolvendo invece l’imputato dal reato di minaccia e avverso tale sentenza era stato proposto ricorso per cassazione.

Con sentenza del 21 giugno 2006, questa Corte Suprema, Prima Sezione Penale, aveva annullato la sentenza anzidetta in ordine al profilo della qualificazione giuridica del fatto ed al conseguente trattamento sanzionatorio.

Pronunciando come giudice di rinvio, la Corte di Appello di Milano riformava in parte la pronuncia anzidetta e, concesse le attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata recidiva e ritenuta la continuazione con il reato di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 4, già definitivamente giudicato nel presente procedimento, rideterminava la pena nella misura di anni quattro mesi otto giorni venti di reclusione, con consequenziali statuizioni di legge.

Avverso l’anzidetta pronuncia il difensore ha proposto nuovo ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motivo.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo d’impugnazione parte ricorrente deduce erronea applicazione dell’art. 56 c.p., nonchè difetto di motivazione al riguardo.

Il secondo motivo deduce identico vizio di legittimità, con riferimento all’elemento psicologico del reato e manifesta illogicità di motivazione sul punto.

2. – All’esame delle due censure – esaminabili congiuntamente stante l’identità di ratio contestativa che le ispira – giova premettere un sintetico riferimento alla vicenda processuale.

Orbene, la sentenza in esame è stata emessa in sede di rinvio, dopo che questa Corte Suprema aveva annullato una precedente pronuncia di appello che aveva confermato la qualificazione giuridica del fatto in termini di tentato omicidio.

La ragione dell’annullamento risiedeva nella contraddittorietà di motivazione in ordine all’elemento psicologico, posto che quella pronuncia, nel confermare la configurabilità del tentato omicidio, aveva qualificato come dolo eventuale l’intento dell’imputato di cagionare la morte della persona offesa e, contestualmente, aveva richiamato l’insegnamento di questa Corte regolatrice, che escludeva la compatibilità del dolo eventuale con il tentativo, ammettendola solo per il dolo alternativo.

Il giudice del rinvio, riesaminata la questione di diritto, con riferimento al profilo psicologico, rispetto all’ipotesi delittuosa più grave, ha qualificato l’elemento soggettivo in termini di dolo alternativo, e dunque in forma diretta e non più eventuale. Avuto riguardo alle peculiarità della fattispecie, alla potenzialità lesiva dello strumento usato (un coltello con lama lunga 16 cm e larga 4 cm), alla localizzazione del colpo inferto (parte addominale), alla sua intensità (profondità della ferita e suoi esiti che avevano messo in pericolo la vita dello stesso offeso), il giudice del rinvio – richiamando l’insegnamento di questa Corte Suprema, nella sua più autorevole espressione, in ordine alla distinzione tra dolo eventuale e dolo diretto (cfr. Sez. Un, 12.4.1996, n, 3571, rv. 204167) – ha ritenuto che il C., nello sferrare la coltellata, avesse agito con l’intento di cagionare, indifferentemente, lesioni personali o la morte del suo antagonista e fosse dunque animato, rispetto al più grave evento, da quella forma di dolo diretto che è il dolo alternativo, reputando che quell’evento fosse stato voluto (sia pure alternativamente a quello meno grave) e non semplicemente previsto nell’eventualità del suo verificarsi.

La conclusione, in termini di piena compatibilità dell’elemento psicologico così qualificato con la fattispecie del tentativo, è giuridicamente corretta e deve essere, dunque, confermata, ribadendosi il principio di diritto secondo cui è configurabile l’ipotesi del tentato omicidio ove l’agente abbia agito accettando – e quindi volendo – indifferentemente l’evento meno grave (lesione personale) e quello più grave (morte dell’offeso), in termini di dolo diretto (quanto meno in forma alternativa) e non eventuale (cfr., da ultimo, Cass. 31.3.2010, n. 25114, rv. 247707).

3. – Il rilievo che precede non può che condurre al rigetto del ricorso, che va, dunque, dichiarato nei termini di cui in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *