Cons. Stato Sez. VI, Sent., 16-09-2011, n. 5171 Concorrenza sleale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. In data 10 ottobre 2007, a seguito della segnalazione pervenuta, nell’agosto dello stesso anno, dalla Federconsumatori della Puglia circa un presunto accordo tra i produttori della P. pugliesi in merito ad un aumento programmato dei prezzi pari a circa il 25%, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, ha avviato un procedimento istruttorio, ai sensi dell’art. 81 del tratto CE, nei confronti delle associazioni Unipi – Unione Industriali Pastai Italiani e Unionalimentri – Unione Nazionale della Piccola e Media Industria Alimentare, al fine di accertare l’eventuale realizzazione di intese lesive della concorrenza nel mercato nazionale della produzione e vendita di P..

In ragione delle informazioni acquisite nel corso degli accertamenti ispettivi effettuati e dell’attività istruttoria svolta, l’Autorità, sul presupposto che l’intesa contestata facesse parte di un più ampio coordinamento tra le imprese operanti nel settore della P., in data 5 dicembre 2007, estendeva il procedimento nei confronti di 29 società (fra le quali la società odierna appellante).

2. In data 30 ottobre 2008, l’Autorità deliberava di prorogare il termine di conclusione del procedimento al 26 febbraio 2009, in ragione dell’ampiezza e della complessità della documentazione acquisita nello svolgimento dell’attività istruttoria, e della correlata necessità di assicurare alle parti un congruo termine per l’esercizio dei diritti di difesa. In data 4 novembre 2008 veniva inviata alla parti la comunicazione delle risultanze istruttorie, con la quale si contestava alle associazioni ed a 27 su 29 imprese parti del procedimento una violazione del’art. 81 TCE, consistente nell’aver posto in essere due intese restrittive della concorrenza, nel mercato nazionale della P. secca di semola, volte a coordinare l’aumento dei prezzi.

3. Con provvedimento del 25 febbraio 2009, l’Autorità concludeva l’istruttoria, deliberando:

"a) che le associazioni UNIPI – Unione Industriali Pastai Italiani e UnionAlimentari – Unione Nazionale della Piccola e Media Industria Alimentare e le società A. A. &. C. M. E. P. S., B. G. E. R. F. S., C. M. E. P. D. 1. S., ". S., D. M. A. S., D. I. A. S., F. D. S., F. D. C. D. F. F. S. M. S., L. P. D. 1. S., N. I. D. P. A. S., P. B. S., P. Zara S.p.A., P. A. M. -. G. S., P. Carmine Russo S.p.A., P. D. M. G. & F. S.p.A., P. F. S.p.A., P. F. Cellino S.r.l., P. Guido Ferrara S.r.l., P. La Molisana S.p.A., P. Lucio G. S.p.A., P. Mennucci S.p.A., P. Riscossa F. Mastromauro S.p.A., R. S.p.A. – Molino e P. -, T. -. I. A. D. C. -. S., T. F. E. A. F. S. E. V. D. F. P. S. hanno posto in essere due intese restrittive della concorrenza ai sensi dell’articolo 81 del Trattato" CE, aventi per oggetto e per effetto l’incremento concertato del prezzo di cessione della P. secca di semola sul mercato nazionale;

b) che le associazioni e le società di cui al punto a) si astengano in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli oggetto dell’infrazione accertata;

c) che, in ragione di quanto indicato in motivazione, vengano applicate le sanzioni amministrative pecuniarie alle seguenti associazioni e società: (…) Parte: ". Sanzione Euro 748.002

4. La società ". ha impugnato il citato provvedimento innanzi al T.a.r. Lazio chiedendone l’annullamento.

5. Con sentenza 2 dicembre 2009, n. 12322, il T.a.r. Lazio ha respinto il relativo ricorso.

6. Avverso le sentenza del Tar del Lazio, la società ". ha proposto appello al Consiglio di Stato.

Nell’atto di appello (avverso il dispositivo di decisione n. 271/09) e nei successivi motivi aggiunti (avverso la sentenza n. 12322/09), la ". ha articolato, in sintesi, le seguenti censure:

a) la responsabilità di ". è stata affermata sulla base di documenti inutilizzabili in quanto acquisiti con attività di ispezione a mezzo della Guardia di finanza svolta in epoca anteriore rispetto alla notificazione del provvedimento di apertura dell’istruttoria, in violazione dell’art. 14 della legge n. 287/1990 e dell’art. 8 d.P.R. n. 217/1998;

b) erronea individuazione, sotto diversi profili del mercato rilevante nel quale si sarebbe svolta la supposta intesa;

c) insussistenza di un’intesa ai sensi dell’art. 81 del Trattato CE (ora art. 101 TFUE);

d) estraneità di ". all’intesa;

e) in ordine al quantum della sanzione, l’appellante lamenta che, a differenza delle imprese che hanno potuto proporre impegni, le quali, pur vedendosi rigettare la relativa richiesta, sono state, poi, di fatto, "premiate" in sede di commisurazione della sanzione, "., che pure ha proceduto ad una riduzione dei prezzi precedentemente aumentati, non ha avuto, in sede di comminazione della pena, analogo trattamento di favore. Sotto tale profilo, l’appellante denuncia la disparità di trattamento rispetto alle altre imprese, ed evidenzia che non ha formalmente proposto impegni solo perché in occasione dell’audizione del 10 marzo 2008, era stata espressamente dissuasa dal farlo dal responsabile del procedimento. L’appellante invoca, quindi, sul piano sanzionatorio la stessa riduzione di cui hanno beneficiato le imprese che hanno potuto formalmente presentare impegni.

f) sempre in ordine al quantum della sanzione, ". lamenta la mancata considerazione, in senso attenuante, di alcune circostanze e, in particolare: 1) che "., nonostante fosse membro effettivo del comitato esecutivo dell’associazione e fosse destinataria di varie richieste email di comunicazione di dati sensibili, è stata riconosciuta estranea alla’organizzazione dell’intesa e non ha mai risposto alle presunte sollecitazioni anticoncorrenziali; 2) che è dimostrata la mancanza di "dolo specifico", avendo la stessa operato sempre alla luce del sole e mai in clandestinità; 3) che occorreva tener conto della crisi di mercato, e quanto meno, applicare la specifica attenuante delle perdite di bilancio, riconosciuta ad alcune imprese sanzionate; 4) che sotto il profilo della durata la ricostruzione dell’Autorità sarebbe del tutto erronea, considerando che l’ultima delle quattro riunioni incriminate si è svolta il 26 settembre 2007, e non vi è tracia di coinvolgimento da parte di ". in quelle attività funzionali all’incontro del Comitato esecutivo del 9 novembre 2007.

7. Alla pubblica udienza del 12 luglio 2011, la causa è stata trattenuta per la decisione.

8. Occorre, innanzitutto, evidenziare che questo Consiglio si è già pronunciato, con sentenza 9 febbraio 2011, n. 896, su analoghi ricorsi proposti da altre imprese per ottenere l’annullamento dello stesso provvedimento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato oggetto del presente giudizio.

In quella sentenza la Sezione ha già esaminato e respinto alcuni dei motivi – in particolare quelli volti a contestare l’esistenza dell’intesa e l’individuazione del mercato rilevante – proposti anche nel presente appello.

Le censure oggi proposte dall’appellante non valgono a superare le considerazioni già svolte nella sentenza n. 896/2011.

9. Al riguardo, viene in primo luogo in considerazione, la definizione di mercato rilevante operata dall’Autorità che anche la ". contesta sotto diversi profili.

Le censure non hanno pregio.

Si deve premettere che la definizione del mercato rilevante implica un accertamento di fatto cui segue l’applicazione ai fatti accertati delle norme giuridiche in tema di mercato rilevante, come interpretate dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale. Tale applicazione delle norme ai fatti implica un’operazione di "contestualizzazione" delle fonti normative, frutto di una valutazione giuridica complessa che adatta concetti giuridici indeterminati (quali, appunto, il "mercato rilevante") al caso specifico.

Non di rado tale operazione di contestualizzazione implica margini di opinabilità, atteso il carattere di concetto giuridico indeterminato di dette nozioni.

Il giudice amministrativo in relazione ai provvedimenti dell’AGCM esercita un sindacato di legittimità, che non si estende al merito, salvo per quanto attiene al profilo sanzionatorio: pertanto, deve valutare i fatti, onde acclarare se la ricostruzione di essi operata dall’AGCM sia immune da travisamenti e vizi logici, e accertare che le disposizioni giuridiche siano state correttamente individuate, interpretate e applicate. Laddove residuino margini di opinabilità in relazione ai concetti indeterminati, il giudice amministrativo non può comunque sostituirsi all’AGCM nella definizione del mercato rilevante, se questa sia, attendibile secondo la scienza economica, immune da vizi di travisamento dei fatti, da vizi logici, da vizi di violazione di legge (Cons. Stato, sez. VI, 23 aprile 2002, n. 2199, Rc Auto; Cons. Stato, sez. VI, 2 marzo 2004, n. 926, buoni – pasto).

Ciò premesso, il Collegio ritiene che l’individuazione del mercato rilevante operata dall’AGCM sia attendibile e immune, quanto all’accertamento dei fatti, da vizi di travisamento o di illogicità, nonché immune, quanto alle disposizioni giuridiche interpretate e applicate, da vizi di legittimità.

L’Autorità, dopo aver rilevato come, dal punto di vista merceologico, il settore potesse essere distinto nelle produzioni di "P. secca di semola, P. secca all’uovo, P. fresca e P. surgelata", ha osservato come tali categorie di prodotti si distinguessero per materie prime utilizzate, tecnologia produttiva, caratteristiche organolettiche, prezzo, modalità di conservazione e di consumo. Alla luce di tali elementi, l’Autorità ha allora definito il mercato rilevante, dal punto di vista merceologico, come quello della P. secca di semola, in ciò tenendo conto, fra l’altro, delle diverse abitudini di consumo, nonché dei prezzi, "che per la P. secca di semola sono significativamente più bassi rispetto agli altri prodotti".

Dal punto di vista geografico, l’Autorità ha osservato che il mercato poteva essere definito come coincidente con il territorio nazionale, in quanto abitudini e volumi di consumo della P. valgono a differenziarne le caratteristiche rispetto all’estero. In tale analisi, pur prendendo atto delle peculiarità regionali o locali di alcune paste, l’Autorità ha concluso che queste non fossero sufficienti a consentire un’ulteriore segmentazione del mercato rilevante, in ragione della "diffusa distribuzione su tutto il territorio nazionale e delle omogenee condizioni di concorrenza".

La definizione di mercato rilevante operata dall’Autorità risulta, nel suo complesso, attendibile sotto il profilo tecnico, congruamente motivata e supportata da una adeguata istruttoria. Nella ricostruzione di mercato rilevante l’Autorità ha preso in considerazione anche studi di settore (cfr. par. 57 del provvedimento, note 26, e 27), che hanno confermato che il settore merceologico della P. secca presenta delle peculiarità (specie per quel che rileva le abitudini di consumo) che valgono a differenziarlo dagli altri settori.

Inoltre, l’Autorità ha dato correttamente rilievo alla circostanza che nel caso di specie l’intesa contestata aveva proprio ad oggetto il prezzo della P. secca di semola.

Deve, rilevarsi, a tale proposito, che nell’ipotesi di intese restrittive, la definizione del mercato rilevante è successiva all’individuazione dell’intesa, in quanto sono l’ampiezza e l’oggetto dell’intesa a circoscrivere il mercato su cui l’abuso è commesso: vale a dire che la definizione dell’ambito merceologico e territoriale nel quale si manifesta un coordinamento fra imprese concorrenti e si realizzano gli effetti derivanti dall’illecito concorrenziale è funzionale alla decifrazione del grado di offensività dell’illecito.

Correttamente, quindi, l’AGCM ha definito il mercato rilevante prendendo le mosse dall’oggetto del comportamento contestato che ha avuto incidenza nel settore della P. secca di semola ed ha riguardato l’intero territorio nazionale.

10. Parimenti infondate sono le censure con cui si sostiene che non sarebbe stata raggiunta la prova circa l’esistenza di una intesa tra le imprese.

Al contrario di quanto sostenuto nell’appello, numerosi sono gli elementi probatori da cui si desume l’esistenza dell’intesa. Dai documenti raccolti in istruttoria, si evince chiaramente l’esistenza di una concertazione tra le imprese finalizzata a definire, nel corso di ripetute riunioni in sede associativa, politiche di aumenti di prezzo della P. secca di semola, da proporre ai principali clienti ed in particolare alla grande distribuzione organizzata (GDO).

Tali riunioni, diversamente da quanto dedotto, non risultano finalizzate esclusivamente al confronto sulle modalità con cui affrontare la crisi del settore, ma hanno un chiaro oggetto anticoncorrenziale. Le imprese si riunivano per discutere di prezzi e, in particolare, per concordare le strategie da seguire nella loro fissazione, confrontandosi sull’entità degli aumenti da attuare, fissando, oltre alla misura percentuale, anche la data a partire dalla quale tali aumenti avrebbero dovuto essere comunicati alla GDO.

Si è trattato, in altri termini, di incontri indubbiamente idonei ad influenzare le scelte strategiche di ciascuna impresa, alterand one l’autonomia decisionale. Obiettivo di tali riunioni era, infatti, di eliminare ogni ragionevole incertezza in merito alla politica di prezzo di tutti i partecipanti alle stesse, coniugando la politica di aumenti dei prezzi con la ragionevole tranquillità che l’applicazione di tali aumenti non avrebbe comportato l’esclusione dal mercato delle imprese o la perdita di significative quote di mercato, data l’esistenza di generale consenso.

Le informazioni che le imprese si scambiavano, e di cui discutevano durante i diversi incontri, non riguardavano dati storici (ossia aumenti di prezzi già applicati), ma per lo più aumenti ancora da determinare, oppure già annunciati ma non ancora in vigore.

Un ruolo determinante ai fini della realizzazione di questa intesa è stato svolto proprio dall’associazione Unipi, la quale, con una pluralità di mezzi diversi, ha comunicato al settore, ai clienti ed alla pubblica opinione gli aumenti prestabiliti, facilitando la realizzazione degli stessi.

L’intesa, in particolare, come risulta provato documentalmente, si è svolta in più fasi.

Nella prima fase dell’intesa (riunioni ottobre e novembre 2006), le imprese avevano stabilito di chiedere ai loro principali clienti aumenti di prezzo della P. secca di semola per un valore focale di 6 centesimi al chilogrammo; nella fase successiva (da luglio 2007 a ottobre 2007), il riferimento di massima stabilito era di circa 20 centesimi al chilogrammo; mentre nel 2008 si prevedeva un aumento di prezzo generalizzato da modulare in base alla struttura di costi di ciascuna impresa.

In particolare le risultanze istruttorie confermano che:

a) in data 5 ottobre 2006 si è svolta una riunione tra le imprese in sede Unipi che – come desumibile da un documento acquisito presso la sede di G. consistente in una minuta firmata, scritta a mano – che ha avuto quale oggetto di discussione la politica commerciale delle imprese. A tale riunione hanno partecipato, oltre alla stessa Unipi, 12 società (Amato, B., "., D. C., D., F., G., G., N., Riscossa, R. e Zara); B. è stata considerata assente giustificata. Dal documento si evince che nel corso della riunione si sia discusso di aumenti dei prezzi della P., con l’auspicio di azioni convergenti e con scambi di informazioni sulle future strategie di prezzo, nonché sugli aumenti già praticati dalle imprese.

b) in data 28 novembre 2006 si è svolta a Roma, un’altra riunione presso la sede dell’Unipi, in cui, come desumibile sempre dall’appunto scritto a mano reperito presso G., le imprese hanno continuato la discussione già avviata con la precedente riunione, scambiandosi informazioni sull’aumento del prezzo della P., e concordando strategie in merito. A questa riunione, hanno preso parte, oltre alla stessa Unipi, 13 società (Amato, B., B., "., D., D., G., G., Nestlè, Riscossa, R. Tandoi e Zara). Le dichiarazioni riportate nel provvedimento impugnato (par. 83) testimoniano che l’oggetto della riunione era di concordare l’aumento dei prezzi della P..

c) in data 18 luglio 2007 si è svolta a Roma, presso la sede dell’Unipi un’ulteriore riunione, a cui hanno partecipato, oltre a Unipi, 26 imprese. Dalle risultanze istruttorie (cfr. doc. 3.222; doc. 1.63, doc. 2.158) emerge chiaramente che l’oggetto della riunione era ancora quello di concordare l’aumento del prezzo della P..

d) In data 26 settembre 2007 si è svolta un’ulteriore riunione (a cui partecipano, oltre a quelli di Unipi, i rappresentanti di 22 imprese, in gran parte le stesse già intervenute nella riunione del 18 luglio). Oggetto della riunione era di nuovo lo scambio di informazioni circa gli aumenti che le imprese intendono effettuare.

e) in data 8 novembre 2007, in vista della riunione del giorno successivo del consiglio direttivo di Unipi, viene convocata una riunione ristretta, detta del G8, alla quale avrebbero dovuto partecipare i rappresentanti di 8 imprese (B., "., D. C., D., G., Nestlè, R., Zara). In vista di questo incontro del G8, le imprese coinvolte hanno organizzato di scambiarsi per posta elettronica dati puntuali sugli aumenti di prezzo della P. effettuati e programmati da ciascuna di esse.

Tali riunioni periodiche, come rileva l’Autorità, avendo ad oggetto la discussione circa le politiche di prezzo attuali e future delle imprese erano certamente suscettibili di influenzare le scelte strategiche di ciascuna impresa, alterandone l’autonomia decisionale. Risulta, inoltre, provato che, per rafforzare la tenuta del coordinamento raggiunto, le decisioni assunte durante le riunioni erano ulteriormente diffuse da parte di Unipi attraverso l’invio di dettagliate circolari e attraverso comunicati stampa: ciò sia al fine di favorire la partecipazione anche da parte di imprese pastaie di piccole dimensioni non presenti alla riunione, sia per facilitare il compito di far accettare alla GDO i prezzi più alti che le imprese si preparavano a chiedere.

Ad esempio, il 12 settembre 2007 (due settimane prima della riunione), il Presidente Unipi rendeva nota la sequenza temporale dei ritocchi dei prezzi: "parte di questi aumenti sono già stati applicati, (…), i restanti aumenti saranno graduati per arrivare ad un aumento finale di 1214 centesimi".

Ugualmente, il 7 luglio, (alcuni giorni prima) della riunione, il Presidente Unipi, nel corso di una intervista all’agenzia di stampa Ansa, aveva preannunciato l’arrivo di aumenti concordati, affermando: "c’è bisogno di un ritocco dei listini del 20%, riscontrabile tra gli scaffali di vendita da settembre".

Il quadro probatorio qui descritto, e ampiamente documentato nel provvedimento impugnato, dimostra, quindi, l’esistenza di un’intesa unica e complessa, realizzatasi con una pluralità di condotte (quali la partecipazione sistematica alle riunioni in sede Unipi per la determinazione della percentuale di aumento dei prezzi, la comunicazione dell’esito delle riunioni alle associate mediante l’emanazione di delibere associative e comunicati stampa), che, valutate nel loro insieme, evidenziano un unico illecito anticoncorrenziale consistente in un coordinamento "fondato non su scelte autonome attuate in un contesto realmente competitivo, ma su interessi coordinati, volti ad evitare pressioni concorrenziali tra potenziali concorrenti, attraverso un’artificiosa politica di prezzo determinata congiuntamente" (par. 182 del provvedimento).

In altri termini, le imprese hanno posto in essere un sistema finalizzato a sostituire la concorrenza con un meccanismo di concertazione delle rispettive politiche di prezzo. L’intesa era funzionale sia agli interessi delle grandi imprese pastaie (che potevano così aumentare il prezzo della P. senza rischiare di perdere quote di mercato) sia a quello delle piccole imprese (che, in assenza di aumenti generalizzati, difficilmente sarebbero riuscite a far accettare alla GDO gli incrementi di prezzo).

11. Va ancora evidenziato che gli elementi probatori da cui l’Autorità ha desunto l’esistenza dell’intesa risultano, nel loro complesso, pienamente attendibili.

In particolare, quanto alla contestazione circa l’attendibilità delle minute su cui si base parte della ricostruzione operata dall’Autorità, si deve osservare che agli atti del fascicolo risultano molteplici minute, acquisite presso soggetti diversi, i cui contenuti sono tra loro coerenti, a dimostrazione dell’attendibilità delle stesse.

Ciò vale anche per i documenti rinvenuti presso una sola impresa, che, come questo Consiglio ha già avuto modo di rilevare, ben possono essere utilizzati per sostenere la condotta anticoncorrenziale anche nei confronti di altre imprese.

La giurisprudenza di questo Consiglio e la giurisprudenza comunitaria hanno del resto già più volte affermato che i documenti di cui è accertata l’attendibilità esplicano la loro rilevanza probatoria anche nei confronti di società diverse da quelle presso le quali sono stati materialmente reperiti, o alle quali sono attribuibili (Cons. Stato, sez. VI, 23 giugno 2006, n. 4017; Id. 2 marzo 2001, n. 1191).

L’utilizzo come prova a carico di documenti provenienti da terzi è stato ammesso dalla Corte di giustizia Ce (cfr. Corte giust. 16 dicembre 1975, cause riunite 4048, 50, 5456, 111, 113 e 114/73, Suiker Unie, par. 159 ss.), che ha ritenuto che sia difficile ammettere che un’impresa possa avere assolutamente inventato il contenuto di uno scritto relativo ad un comportamento che possa esporla a sanzioni.

Nulla vieta, quindi, di ammettere, come prova del comportamento di un’impresa, documenti provenienti da terzi, purché il contenuto degli stessi sia attendibile per quanto si riferisce al comportamento stesso.

Inoltre, non è rilevante il ruolo svolto all’interno dell’impresa dai soggetti che materialmente hanno posto in essere i comportamenti vietati o hanno predisposto i documenti rinvenuti durante le ispezioni, ma anzi deve ritenersi che la condotta da parte del singolo dipendente, accompagnata dal conseguente comportamento della società, sia sufficiente per rendere gli impegni assunti o gli atti rinvenuti riferibili alla società (cfr. Corte giust. 21 febbraio 1984, causa 86/82, Hasselblad).

Pertanto, sono riferibili alle imprese anche documenti redatti da soggetti privi del potere di rappresentanza (Cons. Stato, sez. VI, n. 1191/2001).

12. Risulta corretta anche l’applicazione che l’Autorità ha fatto del principio della c.d. partecipazione passiva, del principio, cioè, secondo cui, ove risulti provato che un’impresa abbia partecipato a riunioni durante le quali sono stati conclusi accordi di natura anticoncorrenziale, senza esservisi manifestamente opposta, spetta a tale impresa dedurre indizi atti a dimostrare che la sua partecipazione alle dette riunioni era priva di qualunque spirito anticoncorrenziale, dimostrando che essa aveva dichiarato alle sue concorrenti di partecipare alle riunioni in un’ottica diversa dalla loro. Diversamente, il fatto stesso di approvare tacitamente una iniziativa illecita, senza distanziarsi pubblicamente dal suo contenuto o denunciarla agli organi amministrativi rappresenta una modalità di partecipazione all’intesa, idonea a far sorgere la responsabilità dell’impresa nell’ambito di un unico accordo, anche qualora l’impresa non abbia dato seguito ai risultati di una riunione avente un oggetto anticoncorrenziale. Ed è proprio in forza di tale principio, che può ritenersi provata la partecipazione all’intesa contestata di tutte le imprese che hanno preso parte alle riunioni in ambito Unipi, ivi compresa l’odierna ricorrente.

13. L’esistenza dell’intesa non è smentita nemmeno dal fatto che nel caso di specie gli aumenti applicati dalle imprese sarebbero stati sensibilmente divergenti per tempistica ed importi.

In primo luogo, a fronte della prova dell’esistenza di un accordo teso alla comune definizione delle strategie di prezzo, l’ulteriore dimostrazione del parallelismo di comportamenti risulta superfluo, atteso che l’illiceità della condotta già discende dalla oggettiva idoneità della stessa ad alterare la concornellrenza.

In ogni caso, si deve rilevare che le parti hanno comunque posto in essere un parallelismo di comportamenti, consistente nell’aver adottato una comune politica di incremento dei prezzi.

Nell’ambito delle riunioni Unipi, le imprese, infatti, hanno fissato aumenti "focali" (pari, come si è già detto, a 6 e 20 centesimi al chilogrammo) per orientare la strategia di incremento dei prezzi.

I livelli di incremento fissati erano, quindi livelli tendenziali, che dovevano poi essere modulati da ciascuna impresa in relazione alla propria struttura di costi e alle proprie caratteristiche di posizionamento sul mercato.

E allora del tutto normale che, in un mercato come quello della P., composto da un numero elevato di imprese con caratteristiche significativamente diverse, la collusione conduca a variazioni di prezzo non assolutamente parallele ed omogenee sotto il profilo temporale e quantitative, ma rispettose delle specificità delle singole imprese.

Questa circostanza, tuttavia, non basta ad escludere l’illiceità dell’intesa. A tale riguardo, con particolare riferimento al parallelismo in materia di prezzi, deve rilevarsi che la particolare importanza del prezzo come strumento di competizione (si tratta della principale arma di concorrenza tra le imprese) induce a ritenere vietata ogni forma di condotta collusiva mediante la quale le imprese ne alterino il meccanismo di formazione, gonfiandolo a proprio vantaggio e al di sopra del livello che esso avrebbe raggiunto dall’incontro della domanda e dell’offerta (in tal senso cfr. Cons. Stato, sez. VI, 17 gennaio 2008, n. 102)..

Sono per conseguenza vietate non solo le intese tramite le quali le imprese fissano i prezzi a livelli esattamente determinati o stabiliscono esattamente prezzi minimi al di sotto dei quali esse si impegnano a non vendere, ma, più in generale, tutte le intese che mirino o abbiano ad effetto di limitare la libera determinazione individuale del prezzo e, quindi, la sua naturale flessibilità.

Incorrono nel divieto, pertanto, non solo le pattuizioni esplicite sul prezzo finale da praticare o sul tetto minimo da rispettare, ma pure le forme di concertazione che permettono alle imprese di praticare prezzi che, pur differenziati per entità e per andamenti, sono comunque notevolmente ed ingiustificatamente superiori rispetto quelli che verrebbero praticati in assenza di condotte concordate.

Non assume rilievo nemmeno la circostanza che qualche impresa abbia modificato al ribasso, invece che al rialzo, i propri prezzi di cessione della P..

Come correttamente rileva il provvedimento impugnato (par. 196), in ogni cartello esiste un incentivo per le imprese che vi partecipano a fingere di aderire all’intesa per poi sfruttare le politiche di prezzi elevati dei concorrenti per conquistare quote di mercato. In ogni caso, anche l’impresa "deviante" ha un interesse a che l’intesa si realizzi ed agisca efficacemente, perché solo così sarà in grado di accrescere le proprie vendite, oppure di tentare di contenerne il declino.

14. E’ ancora erroneo sostenere che l’Autorità non avrebbe tenuto conto del contesto di crisi del settore determinato dall’aumento del costo della materia prima, e, dunque, della conseguente inevitabilità degli aumenti del prezzo della P..

In primo luogo, si osserva che dalle risultanze istruttorie è emerso che la frequenza degli aumenti dei prezzi della P., più che dall’andamento del costo della materia prima, era determinata dall’esito dello svolgimento degli incontri in sede associativa.

La concertazione, infatti, è cominciata ben prima che l’incremento del costo della materia raggiungesse valori allarmanti per le imprese pastaie (ovvero la primavera del 2007) ed era previsto dovesse proseguire anche in caso di eventuali riduzioni del costo della semola (cfr., sul punto, provv. par. 67).

Deve, quindi, essere ribadito che l’Autorità non ha stigmatizzato una autonoma decisione, da parte di ciascuna impresa, in ordine alle modalità con cui riversare sui prezzi di vendita gli aumenti dei costi – condotta, questa, che sarebbe stata, come rilevato anche dal giudice di prime cure, del tutto legittima dal punto di vista antitrust – ma ha accertato una intesa tra le imprese pastaie tesa ad individuare in concerto modalità e misura per procedere in maniera concordata a tali aumenti: condotta, questa, che integra senza alcun dubbio gli estremi di uno dei più gravi illeciti rilevanti per il diritto della concorrenza.

Questo Consiglio, del resto, ha già avuto modo di affermare che, sebbene risponda ad una ordinaria regola di condotta delle imprese aumentare i prezzi in conseguenza degli aumenti dei costi della materia prima, traslandoli sui consumatori, tuttavia in un mercato concorrenziale non è lecito che "siffatto aumento dei prezzi sia frutto di una decisione concertata tra le imprese concorrenti, anziché di una scelta individuale, che potrebbe anche essere diversa dalla rigida traslazione dell’aumento dei costi" (sentenza del 23 giugno 2006, n. 4017, Imballaggi metallici).

15. Non può essere condivisa nemmeno l’affermazione secondo cui vi sarebbe incompatibilità tra le caratteristiche e l’andamento del mercato e la sussistenza di un’intesa.

Al contrario, l’Autorità ha rilevato che proprio il contesto economico nel quale si sono realizzate le condotte, in ragione delle sue peculiarità – in particolare per la presenza di numerosi operatori, l’eccessiva capacità produttiva inutilizzata e la situazione di calo della domanda – rendeva particolarmente necessario per le singole imprese trovare un generale consenso sulla politica di incremento prezzi da seguire. In particolare, l’eccesso di capacità produttiva potenziava il rischio per le singole imprese di programmare autonomamente una strategia di aumento dei prezzi. Senza eliminare talune incertezze in merito al comportamento previsto dalle concorrenti in relazione alla tempistica, la portata nonché la modalità con cui effettuare gli aumenti, infatti, si sarebbe senz’altro verificato uno spostamento più significativo delle quote di mercato, idoneo a condizionare anche i principali operatori del mercato.

La frammentarietà del mercato, quindi, rendeva indispensabile ai fini di una concertazione volta ad ottenere un aumento generale dei prezzi avvalersi dell’attività di coordinamento dell’associazione e organizzare riunioni ampiamente pubblicizzate per assicurare la più ampia partecipazione delle imprese del settore.

Né in tale contesto va trascurato di considerare che l’elevato potere di mercato della GDO, e la conseguente estrema difficoltà per le piccole imprese di far accettare i propri aumenti di prezzo hanno costituito la motivazione principale dell’adesione all’intesa, nonché del coinvolgimento – soprattutto nella seconda fase dell’intesa – degli operatori c.d. terzisti o private label.

Sulla base di tali considerazioni, pertanto, correttamente l’Autorità ha escluso che l’incremento del costo della materia prima o il particolare contesto nell’ambito del quale l’intesa si era realizzata cambiassero la valutazione dei comportamenti in questione.

15. Le considerazioni che precedono consentono anche di respingere le censure con cui si sostiene che l’intesa non avrebbe comunque avuto effetti sul mercato.

In disparte la considerazione secondo cui affinché un’intesa avente un oggetto anticoncorrenziale sia giudicata illecita non è necessario che produca anche l’effetto concreto di impedire, restringere o falsare la concorrenza (in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 8 febbraio 2008, n. 424), nel caso di specie, comunque, le evidenze acquisite nel corso del procedimento hanno evidenziato come essa abbia avuto anche un effetto significativo sul mercato, determinando un aumento del prezzo della P. riguardante sia il prezzo di cessione al canale distributivo, sia quello praticato ai consumatori finali: gli aumenti dei prezzi hanno registrato, infatti, un andamento anomalo, anche tenuto conto dell’incremento del prezzo della materia prima, perché si sono realizzati con una tempistica simile da parte delle imprese partecipanti all’intesa, e risultano essere stati realizzati a seguito delle riunioni nelle quali, come accertato dall’Autorità, tali aumenti erano stati discussi e concordati dalle imprese.

16. Infondate sono pure la censure relative all’applicazione, da parte dell’Autorità, dell’art. 81 del Trattato CE (ora art. 101 TFUE), lamentando che, nel caso di specie, l’intesa accertata non avrebbe comportato alcun pregiudizio al commercio tra Stati membri.

In primo luogo, deve ribadirsi quanto affermato da questo Consiglio con la sentenza 17 gennaio 2008, n. 102 circa la carenza di un reale interesse delle ricorrenti a sollevare tale censura. Come si legge, nella decisione appena citata, infatti, "aver applicato la disciplina comunitaria, anziché quella nazionale, non determina l’illegittimità del provvedimento impugnato, perché l’eventuale errore (…) non avrebbe in alcun modo leso il diritto di difesa delle società coinvolte, avendo, anzi, l’effetto (…) di comportare delle garanzie procedimentali aggiuntive per tutte le società coinvolte",.

Anche nel merito, comunque, le censure non colgono nel segno. Il provvedimento dell’Autorità è perfettamente in linea con gli orientamenti comunitari, nonché con i principi ripetutamente espressi da questo Consiglio.

L’intesa accertata ha interessato l’intero territorio nazionale ed ha coinvolto i produttori rappresentativi della stragrande maggioranza del mercato nazionale della P., nonché le loro associazioni di categoria. In proposito, la Corte di Giustizia ha più volte ricordato che un’intesa che si estenda a tutto il territorio di uno Stato membro ha, per sua natura, l’effetto di consolidare la compartimentazione dei mercati a livello nazionale, ostacolando così l’integrazione economica voluta dal Trattato (Corte di Giustizia, sentenze 19 febbraio 2002, causa C309/99, Wouters, pt. 95; 17 ottobre 1972, causa 8/72, Vereeniging van Cementhandelaren/Commissione, pt. 29; 11 luglio 1985, causa C42/84, Remia e a./Commissione, pt. 22; 18 giugno 1998, Commissione/Italia, pt. 48). Inoltre, secondo la Comunicazione della Commissione recante le Linee direttrici sulla nozione di pregiudizio al commercio tra Stati membri di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato (in GUCE C101 del 27 aprile 2004), anche accordi di ben minore rilevanza ed estensione, vale a dire di portata subnazionale (ed anche solo regionale) possono soddisfare il requisito del pregiudizio al commercio tra Stati membri.

17. Nel caso di specie, quindi, non vi è alcuna contraddizione tra la definizione del mercato geografico come mercato nazionale e l’applicazione dell’art. 81 del Trattato CE (ora art. 101 TFUE). A voler in ipotesi seguire le tesi sostenute da alcune delle società appellanti, si giungerebbe all’assurda conseguenza per cui un’intesa può reputarsi idonea a pregiudicare il commercio intracomunitario solo se il mercato da essa interessato è di dimensione sopranazionale.

Vale peraltro ricordare, in merito, come la questione sia stata affrontata anche da questo Consiglio il quale, facendo riferimento alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, ha ribadito che: i) l’idoneità di un’intesa ad incidere sul commercio tra Stati membri, ossia il suo effetto potenziale, è sufficiente perché essa rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 81 del Trattato CE (ora art. 101 TFUE)., non occorrendo dimostrare l’esistenza di un pregiudizio effettivo; ii) un’intesa che si estenda a tutto il territorio di uno Stato membro può, per sua natura, consolidare la compartimentazione dei mercati a livello nazionale, ostacolando così l’integrazione economica voluta dal Trattato; iii) non vi è alcuna contraddizione tra la definizione del mercato geografico come mercato nazionale e l’applicazione dell’art. 81 del Trattato CE (Cons. Stato, sez. VI 17 gennaio 2008, n. 102).

18. Vanno ora esaminate, le doglianze specificamente fatte valere da ". e ribadite nella memoria depositata in vista dell’odierna udienza. In tale memoria ". sottolinea che si tratta di motivi ulteriori rispetto a quelli già esaminati nella sentenza n. 896/2011 con la quale, come sopra si ricordava, questa Sezione ha già respinto analoghi ricorsi proposti da altre imprese sanzionate.

Anche tale censure, tuttavia, non meritano accoglimento.

19. In primo luogo, ". lamenta che nei suoi confronti siano stati utilizzati appunti acquisiti in seguito ad un attività di ispezione svolta dalla Guardia di Finanza in epoca anteriore rispetto alla notificazione del provvedimento di apertura dell’istruttoria, in violazione degli artt. 14 della legge n. 287/1990 e 8 d.P.R. 30 aprile 1998, n. 217

La censura non coglie nel segno.

L’art. 8 d.P.R. n. 217/1998 dispone che: "I poteri istruttori di cui all’articolo 14, comma 2, della legge, sono esercitati a decorrere dalla notifica del provvedimento di avvio dell’istruttoria alle imprese e agli enti interessati, anche contestualmente alla notifica stessa. Nel caso che l’apertura dell’istruttoria sia stata notificata ad una pluralità di soggetti, i relativi poteri possono essere esercitati nei confronti di ciascuno di essi dal ricevimento della notifica loro indirizzata".

La norma in questione certamente impedisce all’Autorità di esercitare poteri istruttori nei confronti imprese che non hanno ancora ricevuto la notifica dell’avvio del procedimento, ma certo non preclude all’Autorità di utilizzare elementi istruttori legittimamente acquisiti presso soggetti già destinatari della notificazione nei confronti di imprese terze, in quel momento ancora estranee al procedimento, per l’assenza nei loro confronti di significativi indizi.

In altri termini, se nel corso di un accertamento ispettivo presso un’impresa già destinataria della notificazione, si rinvengono documenti da cui emerge la responsabilità di altre imprese, tali documenti possono essere utilizzati anche nei confronti di dette imprese, fino a quel momento estranee al procedimento.

In tale modo di operare, non vi è alcuna violazione dell’art. 8 d.P.R. n. 217/1998, perché, nella descritta situazione, il potere istruttorio viene esercitato nei confronti di un soggetto già destinatario della notifica. Un conto, infatti, è l’esercizio del potere istruttorio (che consiste nella raccolta di elementi istruttori mediante atti invasivi della sfera giuridica e materiale del soggetto che vi è sottoposto), un altro conto è, invece, l’utilizzo degli elementi istruttori raccolti nei confronti di un soggetto fino a quel momento estraneo al procedimento. Il contraddittorio, che l’art. 8 cit. vuole assicurare, riguarda, infatti, il soggetto che in quel momento subisce l’atto "invasivo", perché destinatario del potere istruttorio esercitato dall’Autorità.

Un documento reperito nel corso di una ispezione legittimamente svolta presso una impresa già sottoposta a procedimento, può, quindi, certamente essere utilizzato nei confronti di un’impresa terza. Una diversa interpretazione, oltre a non essere conforme al dato letterale, rischierebbe di rendere inutilizzabili elementi istruttori che potrebbero rivelarsi decisivi ai fini dell’affermazione della responsabilità, solo perché fino a quel momento non sono ancora emersi elementi sufficienti a giustificare l’estensione del procedimento.

In definitiva, un’impresa non ancora destinataria della notifica di avvio del procedimento, non può essere sottoposta ad accertamenti ispettivi (o ad altri atti esercizio di potere istruttorio), ma nei suoi confronti sono legittimamente utilizzabili, per estendere il procedimento, elementi istruttori altrove acquisiti, senza che ciò determini alcuna violazione del principio del contraddittorio, che nei confronti delle imprese che non hanno subito l’accertamento istruttorio è destinato poi ad esplicarsi nell’ambito del procedimento principale.

20. Infondate sono anche le censure specifiche con cui si sostiene che per ". non vi sono prove certe che avrebbe partecipato all’intesa.

La ricorrente sostiene in particolare che le argomentazioni sulla cui base l’Autorità ha concluso nel senso che per ". non vi fossero prove certe della sua partecipazione al c.d. G8 (il che ha determinato la non applicazione della c.d. aggravante organizzativa) avrebbero dovuto condurre alla conclusione della mancata partecipazione all’intesa. Sarebbe, infatti, contraddittorio, sostiene ancora l’appellante, ritenere che un’impresa di spicco come "., abbia partecipato all’intesa senza assumere, tuttavia, un ruolo attivo e di punta, quale quello di chi ha partecipato al c.d. G8.

Anche tali censure, come si diceva, non colgono nel segno.

La partecipazione di ". all’intesa è ampiamente dimostrata.

Risulta documentato che ". ha partecipato, con un ruolo attivo, alle riunioni svoltesi in sede Unipi il 5 ottobre 2006, il 28 novembre 2006, il 18 luglio 2007, il 26 settembre 2007.

Con riferimento alla riunione del 5 ottobre 2006, da un documento scritto a mano rinvenuto presso G. (della cui utilizzabilità si è già detto), risulta attribuita a ". la seguente affermazione: "attenzione listini tutti insieme e soprattutto il leader (n.d.r. B.) deve muovere il mercato per primo e incisivo – le aziende più importanti devono TRACCIARE la strada, anche per il peso di QUOTA che i primi sul mercato hanno e possono far valere" (enfasi non aggiunta).

Con riferimento alla riunione del 28 novembre 2006, viene attribuita a ". (sempre dal sopra citato documento reperito presso G.), la seguente affermazione "Aumento 7%. Bisogna essere tutti insieme incisivi nei confronti del trade".

Con riferimento alla riunione del 18 luglio 2007, un messaggio inviato la sera della riunione dal rappresentante di B. all’amministratore delegato della società, dopo aver riportato gli intenti delle altre imprese, in relazione alla posizione di "., afferma: "(…) Agnesi (n.d.r. ".) aveva pronto aumento con + 16 (…).

Con riferimento alla riunione del 26 settembre 2007, da un verbale redatto dalla G., si legge, sempre in relazione a "., la seguente dichiarazione: "ridurre massa promozionale. Ridurre anche gli sconti. In più comunicare alla GDO in modo oggettivo che gli aumenti non sono ancora arrivati al capolinea, ma sono ancora in AUMENTO" (enfasi non aggiunta).

Ancora il provvedimento impugnato dà atto, ad ulteriore conferma della partecipazione di ". all’intesa, che la stessa con riferimento al formato di P. maggiormente commercializzato (marchio Agnesi/500 g.) ha richiesto tre aumenti: il primo aumento, per una misura di 6 centesimi, è stato comunicato in data 28 novembre 2006, con decorrenza dall’8 gennaio 2007; il secondo aumento, per una misura di 14 centesimi, è stato comunicato in data 20 luglio 2007, con decorrenza dal 20 agosto 2007; il terzo aumento, per una misura di 22 centesimi, è stato comunicato in data 9 novembre 2007, con decorrenza da 10 dicembre 2007.

Alla luce di queste circostanze (e di quanto sopra evidenziato in ordine alle modalità di svolgimento dell’intesa), la partecipazione di ". può ritenersi senz’altro provata. Il fatto che l’Autorità non abbia applicato la c.d. aggravante organizzativa, ritenendo che non vi fossero prove certe della partecipazione di ". al c.d. G8, non inficia la motivazione del provvedimento, ma dimostra, semmai, la particolare attenzione con cui l’Autorità ha valutato le posizioni individuali.

Sebbene ". ricevesse le convocazioni per le riunioni del c.d. G8, la sua partecipazione a tale "gruppo" è stata poi esclusa sulla base della considerazione che detta impresa risultava spesso come destinataria, ma mai come mittente dei relativi messaggi di posta elettronica. Si è ritenuto, quindi, che mancassero prove certe per imputare a ". l’aggravante consistente nell’aver svolto un ruolo attivo per l’organizzazione dell’intesa, sebbene non si possano nutrire dubbi di sorta in ordine alla sua effettiva partecipazione all’intesa.

21. Le valutazioni dell’Autorità risultano corrette anche per quel che attiene alla durata dell’intesa.

In base alle evidenze documentali in atti, è infatti risultato che l’intesa posta in essere in sede Unipi si è protratta dall’ottobre 2006 al 1° marzo 2008; l’intesa Unionalimentari si è realizzata il 31 agosto 2007.

Per quel che attiene all’intesa in sede Unipi, per ogni singola impresa nel provvedimento è stato analiticamente indicato il periodo specifico di partecipazione all’infrazione, come si evince dai paragrafi 314 -315 e dalla tabella n. 14 del provvedimento.

Sempre relativamente a tale intesa si è ritenuto, facendo anche in tal caso applicazione di principi noti alla giurisprudenza nazionale e comunitaria, che "la durata dell’infrazione non deve essere valutata in funzione del periodo durante cui un accordo è in vigore, ma in funzione di quello durante il quale le imprese incolpate hanno adottato un comportamento vietato dall’articolo 81 CE’ (Tribunale di primo grado, sent. 12 dicembre 2007, T101/05 e T11/05- Basf, punto 187).

Applicato al caso di specie, tale principio ha comportato che, venendo in considerazione un’intesa complessa, avente ad oggetto ed effetto la determinazione concordata della politica di prezzo delle imprese nel mercato rilevante, si tenesse conto della persistente applicazione delle politiche di prezzo coerentemente determinate dalle imprese a seguito della concertazione tra di esse intercorsa nel periodo oggetto di osservazione. La durata dell’infrazione realizzata in sede Unipi è stata comunque arrestata al momento in cui, in base alla documentazione acquisita agli atti del fascicolo istruttorio, vi era certezza in merito ai prezzi di listino praticati dalle parti.

Non possono essere accolte, quindi, le censure, sollevata dall’odierna appellante secondo cui la durata dell’intesa avrebbe dovuto essere fissata tenendo conto della data di partecipazione all’ultima riunione del 26 settembre 2006. Alla luce della sopra citata giurisprudenza, infatti, la durata delle intese va apprezzata avendo riguardo a tutte le condotte delle imprese che risultino connotate da anticoncorrenzialità.

Inoltre, in presenza di un’intesa unitaria e complessa, le condotte delle singole imprese devono essere inquadrate e collocate nel contesto complessivo della concertazione, dovendo essere considerate come "tasselli di un mosaico, i cui elementi non sono significativi di per sé, ma come parte di un disegno unitario, qualificabile quale intesa restrittiva della concorrenza"(Cons. St., sez. VI, dec. 8 febbraio 2008, n. 421 Rifornimenti aeroportuali; in tal senso si cfr. anche Cons.Stato, sez. VI, dec. 17 dicembre 2007, n. 6469, Sisal/Lottomatica). Ciò soprattutto se, come nel caso di specie, l’impresa ricorrente non si è mai dissociata dall’oggetto delle riunioni, ma ha tenuto condotte conformi a quanto in esse emerso.

22. Non inficia, infine, in alcun modo il provvedimento la circostanza, pure oggetto di specifica censura, che ". sia stata dissuasa espressamente dal responsabile del procedimento a presentare impegni.

Dagli atti risulta, invero, che il responsabile del procedimento ha semplicemente fatto presente come la fattispecie fosse difficilmente risolvibile con impegni. Tale dichiarazione non rappresenta in alcun modo una violazione dell’art. 14 ter legge n. 287/1990: non vi è stata, infatti, alcuna limitazione alla proponibilità dell’impegno, né alcuna invasione dei poteri riservati al collegio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato da parte del responsabile del procedimento.

Non vi è dubbio, infatti, che la dichiarazione del responsabile del procedimento rappresenta la semplice esternazione di una propria personale opinione, che in nessun modo poteva limitare la possibilità di proporre impegni (che ". rimaneva, infatti, libera di proporre), né, tanto meno, rappresentare una invasione della sfera di competenza del Collegio.

Non vi è, pertanto, nessuna disparità di trattamento rispetto alle imprese che attuando di fatto gli impegni formalmente presentati hanno beneficiato di una attenuante.

In ogni caso, in considerazione della posizione di mercato di "., della gravità dei comportamenti contestati, del ruolo dalla stessa svolto nell’ambito dell’intesa, l’entità della sanzione inflitta risulta certamente congruo.

23. In definitiva, alla luce delle considerazioni che precedono, l’appello deve essere respinto.

24. Sussistono i presupposti, considerando la complessità delle questioni esaminate, per compensare le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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