Corte Suprema di Cassazione Penale Sezione IV Sentenza n. 36618 del 2006 deposito del 04 novembre 2006

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Osserva

C.M. ed D.F.E. ricorrono, tramite i rispettivi difensori, contro la sentenza della Corte d’appello di Venezia del 23 novembre 2004 che ha confermato la sentenza del G.U.P. di Belluno che aveva condannato entrambe per il reato di omicidio colposo commesso in cooperazione ai danni di G.V., decesso accertato il ?. In particolare era stato addebitato alla seconda, come radiologo che sottoscrisse il referto, di non aver segnalato tempestivamente ai medici che avevano richiesto l’esame l’anomala posizione dello stomaco, il sollevamento dell’emidiaframma di sinistra, lo spostamento del cuore a destra, e non aver segnalato ipotesi diagnostiche differenziali, con sottovalutazione della gravità della patologia e ritardo nella diagnosi e terapia da parte dei curanti; alla prima di non aver effettuato un ulteriore controllo medico prima di autorizzare telefonicamente l’impiego di un analgesico narcotico il cui effetto fu tra l’altro quello di mascherare il quadro clinico in evoluzione che portava al decesso della paziente. La sentenza impugnata da atto:

– che la sentenza di primo grado ha riportato i fatti di causa, sostanzialmente non contestati dalle parti nel loro svolgimento, riportando tra l’altro che G.V., ricoverata il ?, il giorno successivo veniva sottoposta anche ad esame radiografico da parte della dottoressa D.F., che redigeva il seguente referto: "non evidenti falci aeree sottodiaframmatiche, nè livelli idroaerei. Lo stomaco appare dilatato e presenta discreta quantità di liquido". Veniva sottoposta a visita dal chirurgo sia la mattina che il pomeriggio del 5. La mattina successiva, persistendo i dolori, veniva contattato il medico di guardia dr.ssa C., che prescriveva analgesico senza procedere a visita. Dopo meno di due ore la paziente accusava un grave malore, interveniva la dr.C., durante la visita della quale era accusato arresto cardiocircolatorio, risolto da sanitari della rianimazione. Si accertava la perforazione del viscere addominale, si procedeva ad intervento chirurgico ma la paziente rimaneva in coma. Risultava poi dalle indagini (consulenza P.M.) che essa era affetta da una malformazione congenita (rara ma facilmente diagnosticabile e guaribile con intervento chirurgico non complesso e sicuramente praticabile a seguito di tempestiva diagnosi) consistente in una breccia nel diaframma dalla quale visceri addominali erano penetrati nella cavità toracica, con ischemia del tessuto gastrico, necrosi della parete gastrica, perforazione gastrica, liberazione di liquido nei cavi pleurico sinistro e peritoneale comunicanti attraverso l’ernia, shock, ed arresto cardiocircolatorio con anossia cerebrale irreversibile.

– che in primo grado era stato addebitato alla D.F. di aver male interpretato le lastre e redatto un referto fuorviante perchè le radiografie evidenziavano una situazione diversa e più grave. Alla C. (che aveva visitato la ragazza il pomeriggio con il dr. Ci., che l’aveva in cura e già l’aveva vista il mattino) di non aver esaminato direttamente le radiografie, cosa che avrebbe consentito di rilevare la patologia; inoltre, di non aver visitato ulteriormente la paziente quando le infermiere segnalarono, verso le 21 del 5, il permanere dei dolori, ed essersi limitata a prescrivere un antiacido, mentre visita e visione delle radiografie avrebbero certamente evitato il decesso; infine, verso le 5.30 del 6 quando, riallertata dalle infermiere, non procedeva ancora a visita ma prescriveva per telefono l’analgesico (condotta che l’imputata aveva giustificato sostenendo che non erano intervenute modifiche al quadro clinico, mentre la somministrazione di un farmaco più forte dimostrava il contrario), che aveva mascherato la situazione. Non poteva, secondo la sentenza, essere seguita la tesi della difesa circa la mancanza di nesso causale, perchè una visita tempestiva (e la visione delle radiografie) avrebbe anticipato la diagnosi e comunque consentito l’applicazione di un sondino gastrico, che avrebbe risolto temporaneamente la situazione in attesa dell’intervento risolutivo.

– che nei rispettivi appelli la dottoressa C. ha contestato la diagnosticabilità della malattia; che sia a lei addebitabile l’omessa lettura delle radiografie; che le si potesse attribuire alcuna responsabilità. Ha rilevato che non era certo se un intervento alle 18, e tanto più successivamente, sarebbe stato risolutivo; che non vi era obbligo di procedere ad una visita la sera del 5 aprile; che era giustificata la prescrizione del narcotico; che questo non aveva inciso sul mascheramento del quadro clinico; e comunque una diagnosi corretta poco dopo le cinque del mattino non avrebbe potuto evitare l’evento (sicchè difettava il nesso causale); che mancava relazione tra la contestazione e la decisione, perchè nel capo d’imputazione era contestata solo la condotta tenuta il 6 mattina, e si attribuivano invece condotte precedenti nella decisione. Mentre la dottoressa D.F. sosteneva che gli esami radiologici erano stati eseguiti correttamente e corretto era anche il referto, non essendo possibile per la radiologa individuare, dato il quadro, la patologia in atto.

– Che anche il pubblico ministero ha proposto appello.

– Che è stato rinnovato il dibattimento e disposta perizia medico-legale. Motiva poi la decisione di conferma attraverso i seguenti passaggi.

1. eventuali responsabilità del Dr. Ci. non hanno rilievo, perchè ciascuno risponde in ragione della propria colpa e del nesso che lega la propria condotta all’evento.

2. alla dottoressa D.F. si addebita non l’esecuzione degli esami radiografici nè una mancata diagnosi della malattia (ragion per cui i relativi motivi d’appello sono irrilevanti) ma l’aver steso un referto incompleto dal quale non emergevano indicazioni risultanti dalle radiografie (ampio livello idroaereo verosimilmente gastrico a sinistra ed occupazione di una sede anomala da parte dello stomaco; spostamento verso destra del cuore e mascheramento del profilo sinistro del medesimo da parte della componente liquida del livello idroaereo; ipoplasia della dodicesima costa di destra ed emisacralizzazione destra della quinta vertebra lombare) che, se segnalate, avrebbero indirizzato il chirurgo verso l’esatta diagnosi e avrebbero imposto un approfondimento di indagini strumentali attraverso le quali evidenziare la malattia. La risposta scritta del radiologo è valutata del tutto inadeguata dai periti e ha comportato un rilevante ritardo diagnostico. La colpevole condotta dei sanitari che successivamente non hanno applicato il sondino naso gastrico non esclude la responsabilità dell’imputata perchè le sue gravi omissioni hanno avuto efficacia causale nella determinazione dell’evento: la negligenza altrui non elide la propria.

3. quanto alla dottoressa C., i motivi sono per la maggior parte fondati (grande difficoltà della diagnosi; non addebitabilità del fatto di non aver visitato la ragazza la sera del cinque, essendo presente il Dottor Ci.), ma relativi a circostanze non determinanti, perchè ad essa si contesta solo la condotta tenuta il 6 aprile, ed in particolare di avere omesso di visitare la paziente e d’aver ordinato l’analgesico che avrebbe mascherato ed aggravato l’evoluzione del quadro clinico. Mentre la somministrazione del farmaco non ha avuto un ruolo rilevante nella determinazione della morte, l’omessa e doverosa visita della paziente ha avuto invece rilievo causale perchè, se fosse stata fatta, avrebbe consentito di valutare il progressivo peggioramento e imposto il posizionamento di una sonda naso gastrica, che "avrebbe evitato quasi fino all’ultimo l’arresto cardiorespiratorio causa del decesso", affermazione che la Corte ritiene sostenuta dagli argomenti esposti dai periti a pagina 49 dell’elaborato. Anche l’obiezione della difesa secondo cui non sarebbe stato possibile applicare, per lo meno nelle ultime ore, il sondino, è contraddetta dalle dichiarazioni del perito che, in udienza, ha affermato il contrario. Se la dottoressa C. avesse visitato la paziente avrebbe potuto rendersi conto della gravità della situazione e potuto eseguire una semplice manovra medica (posizionamento del sondino) che avrebbe evitato attraverso losvuotamento dello stomaco la compressione del cuore e dei grossi vasi, causa della morte di G.V..

Due sono i motivi proposti da C.M..

Il primo denuncia la mancanza di motivazione. Dopo aver ricortato lo svolgimento del processo, riportando ampi stralci della sentenza e precisando fra l’altro che il GUP ha disposto la trasmissione della medesima al pubblico ministero in ordine ad eventuali responsabilità del dottor Ci.; dopo aver richiamato i principi fissati dalle sezioni unite di questa corte con la sentenza del 10 luglio 2002 n.30238 sul tema dell’accertamento del nesso causale, la ricorrente sostiene che la sentenza è carente di motivazione perchè, omettendo ogni indagine in concreto della fattispecie in esame, ritiene pacificamente che il posizionamento di una sonda naso gastrica avrebbe impedito l’evento. Prima ancora, secondo il ricorso, si sarebbe però dovuto accertare se, nel caso concreto, la visita della paziente avrebbe avuto a conseguenza il posizionamento del sondino.

Il caso concreto era peculiare, asintomatico, ed il perito d’ufficio N. ha sottolineato che una colica addominale con vomito poteva far pensare a 5 o 6 condizioni ma non a quella giusta; che il posizionamento del sondino poteva alleviare i sintomi, aiutare il medico e probabilmente evitare le complicanze, rimanendo impossibile dire fino a che punto, visto l’evolversi della situazione, sicchè una manovra semplice forse sarebbe stata, sicuramente sarebbe stata di aiuto ma? evidentemente ha, in una paziente giovane che con una pancia tranquilla, etc. ha un può frenato il medico da attuarla", e cioè il posizionamento del sondino non era la terapia che necessariamente la ricorrente avrebbe messo in atto, se avesse visitato la paziente. Il perito P. ha dichiarato che sarebbero state necessari ulteriori accertamenti radiologici e non. In sostanza, il posizionamento della sonda non costituiva la condotta (doverosa solo ex post) che avrebbe dovuto assumere la dr.ssa C.. Se è pacifico che ella avrebbe dovuto procedere alla visita, non è chiaro quali interventi avrebbe dovuto porre in essere. La sentenza impugnata acriticamente e immotivatamente stabilisce che proprio il collocamento del sondino era la condotta richiesta. Carente è la motivazione anche in ordine all’idoneità dell’intervento ad evitare il decesso, idoneità data in perizia solo per probabile, e comunque intervento da praticare prima che la dr.ssa C. venisse chiamata. L’efficacia risolutiva dell’intervento è messa in dubbio anche dalla compressione esercitata dalla migrazione nella cavità toracica di altri organi oltre lo stomaco: i consulenti di parte affermano che il sondino non avrebbe avuto alcuna efficacia, essendo impossibile che superasse la giunzione gastroesofagea. Constatata l’impossibilità di posizionare il sondino, la ricorrente avrebbe dovuto procedere ad una serie di altri accertamenti ed infine la paziente sarebbe stata portata in sala operatoria. Il perito d’ufficio sostiene che il sondino sarebbe passato senza problemi, ma con una affermazione contraddittoria estrinsecamente. Sull’argomento la corte ha accolto acriticamente le conclusione della perizia, omettendo di motivare sulle perplessità manifestate dai periti e sulla contraddittorietà di alcune affermazioni, e sostenendo essersi raggiunta certezza, mentre i periti parlano di probabilità vicina alla certezza ma in termini astratti e non riferibili al caso concreto, la corte d’appello ha omesso di procedere ad una valutazione che consentisse di ricollegare l’evento alla condotta al di là di ogni ragionevole dubbio, come richiesto da Cass., 4^, n.38334 del 15.11.02. Il secondo motivo eccepisce un vizio procedurale:

all’udienza prevista per il conferimento dell’incarico non compariva il dottor N., e la corte conferiva l’incarico agli altri due periti. Uno dei due indicava come ausiliario il dottor N.. Quest’ultimo non ha ricevuto incarico di perito, ciò nonostante la perizia è intestata anche a lui e anche da lui sottoscritta. Tutti e tre venivano esaminati all’udienza del 23 novembre 2004. Uno dei due periti ritualmente nominati rimise al N. le domande della difesa riguardanti la problematica chirurgica. La Corte ha fatto proprie le conclusioni di N., secondo il quale la ricorrente, se avesse visitato la paziente, si sarebbe potuta render conto della gravità della situazione, avrebbe dovuto posizionare la sonda e questa avrebbe evitato la compressione del cuore e dei grossi vasi.

Le conclusioni sono contenute anche nella perizia (e quindi attribuibili anche agli altri che l’anno sottoscritta), ma la Corte ha utilizzato un argomento decisivo richiamandosi a quanto affermato esclusivamente da N. a proposito della possibilità del sondino di passare nella giunzione gastroesofagea. Tale affermazione non è contenuta nella perizia, è decisiva per affermare l’esistenza del nesso causale, ma è prova inutilizzabile perchè il perito non può servirsi di ausiliari per lo svolgimento di attività che implichino apprezzamenti e valutazioni (art. 228 c.p.p.; Cass., 3^, n. 10058 del 23.6.2000). N. non doveva essere esaminato, la prova è illegittimamente acquisita ed è inutilizzabile ai sensi dell’articolo 192 c.p.p..

Con nota depositata il 13.4.06 la difesa della dottoressa C. ha presentato motivi aggiunti ai sensi della L. n. 46 del 2006, art. 10, nei quali si sottolinea la contraddittorietà della motivazione in relazione alle dichiarazioni di periti e consulenti circa la sussistenza del nesso causale tra la condotta e l’evento, in particolare sono richiamate le affermazioni del dr N. sulla verosimiglianza e probabilità (e, quindi, la non certezza) che il sondino avrebbe evitato la complicanza; sulla doverosità dell’applicazione del medesimo e sulla sua concreta applicabilità nel caso di specie.

Uno è il motivo proposto dalla dottoressa D.F., nel quale si sostiene la nullità delle sentenze di primo e secondo grado per carenza di motivazione sulla colpa. La ricorrente ha visionato le radiografie, ha subito richiamato in diagnostica la paziente, per verificare la motilità del diaframma sinistro, ha stilato un referto scritto dell’esame, con carattere di urgenza, per fare avere la risposta con immediatezza, seguendo le consuete linee guida. Da allora nulla ha più saputo della sorte della paziente. Alla dottoressa D.F. si imputa di non aver segnalato la patologia esistente e quindi di aver fuorviato la diagnosi dei chirurghi. Il dottor Ci. si è limitato a leggere il referto senza visionare le radiografie, non consultate nemmeno, successivamente, dalla dottoressa C.. Nessuno dei due medici ha pensato di approfondire le indagini nonostante la paziente continuasse a stare male. Ciò, nonostante che la ricorrente avesse segnalato una quantità discreta di liquido presente (l’aggettivo doveva allertare i medici). Non può essere ritenuta l’esistenza di nesso causale senza che al radiologo venissero chieste ulteriori indagini. La stessa critica va fatta alla perizia, che non considera l’impossibilità per il radiologo, data l’estrema rarità della malattia, di poter formulare protocolli diagnostici e preparatori al fine di una diagnosi che è comunque di competenza del chirurgo. La critica, inoltre, è mossa a posteriori, sulla base dell’intervento chirurgico e della necroscopia. La paziente è stata visitata dal chirurgo solo otto ore dopo l’esame radiografico, quando sicuramente era già intervenuta un’evoluzione della malattia: si sarebbero dovute disporre nuove indagini e i farmaci sono stati indicati per telefono senza visitare la vittima. Il referto, se pur stringato, conteneva indicazioni sufficienti a ritenere di dover ampliare le analisi del caso, e imponeva ai chirurghi di visionare personalmente le lastre. Il loro comportamento superficiale non può coinvolgere l’imputata, difettando nesso causale tra la sua condotta e il decesso (sul punto anche questa ricorrente cita la decisione delle Sezioni unite n. 30328 dell’11 settembre 2002). Il ruolo primario nel verificarsi dell’evento è da imputarsi alla condotta del dottor Ci., che non ha visionato le lastre. Queste, assieme al referto, l’avrebbero portato ad applicare il sondino, che la ricorrente aveva pensato sarebbe stato immediatamente applicato dal chirurgo, tanto da tranquillizzare la madre della G.. La dottoressa D.F. non poteva prevedere un comportamento omissivo da parte del collega.

La malattia, rara, poteva essere diagnosticata tempestivamente tramite TAC e non tramite radiografie. Era impossibile per la ricorrente prospettare la necessità di esperire ulteriori esami, che non sono stati richiesti per esclusiva inerzia dei chirurghi.

Il ricorso proposto da D.F.E., è infondato.

L’addebito effettivamente mossole, in effetti, non è nemmeno contestato dalla ricorrente, le cui lamentele non riguardano il punto determinante in ordine al ricorrere della colpa e all’esistenza di rapporto causale tra condotta ed evento, costituito dall’aver omesso di indicare nel referto la posizione assunta dagli organi e incontestabilmente rilevabile dalle radiografie. ÿ la stessa D. F. a sostenere che se i chirurghi avessero visionato le lastre avrebbero potuto constatare la situazione, situazione che evidentemente non risultava dal referto. La sentenza impugnata è correttamente motivata su entrambi gli argomenti.

L’omissione riguarda il contenuto del referto, incompleto in quanto, come rilevato dai periti, non comprensivo delle indicazioni risultanti dalle radiografie (in ciò sta la colpa), che, se segnalate, avrebbero indirizzato il chirurgo verso l’esatta diagnosi ed imposto un approfondimento di indagini che evidenziassero la malattia quando ancora l’intervento avrebbe sicuramente evitato l’evento (in ciò si sostanzia il nesso causale). Esattamente ha rilevato la corte che colpevoli condotte dei salutari intervenuti successivamente non escludono la responsabilità dell’imputata avendo le sue omissioni avuto efficacia causale nella determinazione dell’evento. Non pertinente è la citazione sul punto di Cass., S.U., n. 30328 dell’11 settembre 2002, poichè la relazione tra la condotta omissiva e l’evento non è ritenuta in sentenza probabile, ma certa. Ciò risulta con chiarezza nella parte, dedicata all’analisi della posizione C., in cui sono riportate le osservazioni svolte dai periti a pag. 49 del loro elaborato ("una distensione mediante sondino naso-gastrico avrebbe evitato quasi fino all’ultimo questo evento drammatico, l’arresto cardio-respiratorio e quindi anche il decesso della paziente. Avrebbe inoltre limitato, se eseguito più precocemente, i danni della necrosi gastrica sulla piccola curva, anche se erano già iniziati, e la successiva inondazione del cavo pleurico di materiale settico. ÿ chiaro infatti che questi eventi patologici? sono graduali e sono iniziati almeno nella nota precedente l’arresto cardiorespiratorio, e infatti dalla cartella clinica risulta un progressivo peggioramento notturno della sintomatologia: è in questa fase che era necessario procedere alle manovre medico diagnostiche a cominciare dal posizionamento di una sonda naso gastrica"), dalle quali risulta che ancora nella notte tra il 5 e il 6 l’applicazione del sondino sarebbe stato tempestivo e risolutivo.

Correttamente la Corte ha escluso che comportamenti successivi eventualmente colposi di altri possano incidere sul rapporto causale tra l’evento e la condotta della ricorrente. Ciò vale tanto più nel caso, come quello di specie, in cui le condotte successive siano almeno in parte dipendenti anche dalle omissioni precedenti (Cfr. sul tema Cass., 4^, n. 1214 del 26.10.05, Rv. 233173).

Il ricorso va pertanto rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese in favore delle costituite p.c. che vanno liquidate in complessive Euro 2.825,00 di cui 2.500,00 per onorari, oltre I.V.A. e C.P.A. per ciascuno dei due difensori delle p.c.

ÿ invece fondato il ricorso di C.M., con riferimento alla motivazione della sentenza impugnata in ordine al nesso causale.

La sentenza precisa che la contestazione è limitata alla omissione della visita la mattina del 6, e precisamente tra le 5.15 e le 5.30, quando fu allertata dalle infermiere. L’arresto cardiaco si verificò nel corso della visita poi effettuata intorno alle 7, e cioè dopo un’ora e mezza, un’ora e quarantacinque dall’allertamento. Le conclusioni dei periti, riportate e fatte proprie dalla sentenza, non si esprimono in termini di certezza sulla circostanza se l’intervento, omesso prima di due ore circa dall’evento letale, sarebbe stato tanto tempestivo da evitarlo (l’applicazione del sondino "avrebbe evitato quasi fino all’ultimo"); contengono non risolte ambiguità ("dalla cartella clinica risulta un progressivo peggioramento notturno della sintomatologia: è in quella fase che era necessario procedere alle manovre?: di questa fase invece non si ebbe sufficiente percezione, perchè la paziente non fu interrogata direttamente nè visitata, nonostante il fatto che venisse prescritto, per via telefonica un potente antidolorifico").

Nemmeno le dichiarazioni dei periti in udienza, riportate dalla sentenza, sono sicure sull’argomento ("l’effetto in genere è immediato"), e in conseguenza la conclusioni certe della Corte d’appello sul fatto che l’applicazione del sondino avrebbe evitato l’evento si trovano in contrasto con i risultati processuali esposti nella sentenza. Deve pertanto concludersi che la sentenza impugnata non ha rispettato i canoni individuati da Cass., S.U., n. 30328 del 10/07/2002 Rv. 222138, secondo la quale "Nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicchè esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva".

La sentenza va pertanto annullata sul punto con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia.

Per quanto riguarda l’esame del chirurgo N., ccorre esclusivamente rilevare che nessuna disposizione vietava al giudice di procedervi, indipendentemente dalla circostanza che egli avesse assunto originariamente la qualifica non di perito bensì di ausiliario. Come ha esattamente rilevato il P.G. in udienza, infatti, l’art. 228 c.p.p., comma 2 non costituisce limite alla discrezionalità della Corte nel procedere all’esame medesimo.

L’accoglimento del primo motivo di ricorso esime dal trattare i motivi aggiunti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso di D.F.E. che condanna al pagamento delle spese processuali nonché alla ripetizione delle spese in favore delle costituite pp.cc. che liquida in complessive Euro 2.825,00 di cui 2.500,00 per onorari, oltre I.V.A. e C.P.A. per ciascuno dei due difensori delle p.c..

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di C.M., con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia, e dichiara interamente compensate le spese del presente grado di giudizio tra tale ricorrente e le parti civili.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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