Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 13-07-2011) 17-08-2011, n. 32146 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Le precedenti fasi processuali.

La Corte d’Appello di Bologna con sentenza 6 luglio 2010 -giudicando in sede di rinvio a seguito dell’annullamento pronunziato dalla terza sezione di questa Corte con sentenza 27 maggio 2009 – ha parzialmente riformato la sentenza 23 maggio 2007 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Parma che, all’esito del giudizio abbreviato condizionato, aveva condannato D.M. alla pena di anni dodici di reclusione per vari episodi di violenza sessuale in danno di minori commessi nel periodo in cui il predetto, sacerdote, era responsabile della missione cattolica di (OMISSIS), sita nello – Stato del (OMISSIS).

In particolare gli abusi, in tesi di accusa, erano stati commessi in danno di S.R.O.I. (capo A: art. 609 bis, comma 2, n. 1 e art. 609 ter cod. pen., n. 1) anche prima che questi compisse i quattordici anni di età; di R.G.J.C., all’epoca sedicenne (capo B: art. 609 bis, comma 1 e art. 609 septies cod. pen., comma 4, n. 2) e di N.M.R.A., all’epoca quindicenne (capo C: art. 609 bis, comma 1 e art. 609 septies cod. pen., comma 4, n. 2).

Riferisce la Corte del rinvio che per altri numerosi abusi non si è proceduto per mancanza della condizione di procedibilità della richiesta del Ministro e perchè si trattava di reati ormai da tempo prescritti; ricorda ancora che, nel computer portatile del sacerdote, rientrato in Italia nel 2006 erano state rinvenute 1.400 immagini pedopornografiche con – la conseguente contestazione, (cui è seguita la condanna), anche del delitto di cui all’art. 600 quater cod. pen., commi 1 e 2 (capo D).

Entrambi i giudici della prima fase di merito hanno ritenuto attendibili le accuse confermate da altre persone – in particolare i volontari che prestavano la loro attività presso la missione – che avevano riferito delle confidenze loro fatte dai minori la cui attendibilità era stata confermata anche da una consulenza psicologica disposta dal pubblico ministero e dal contenuto delle conversazioni intercettate dalle quali era emersa anche una consistente attività di inquinamento delle prove posta in essere dal sacerdote e da suoi familiari anche con minacce alle persone offese e ai loro familiari.

La Corte di cassazione, con la sentenza già ricordata, ha dichiarato improcedibili, per mancanza della condizione di procedibilità (richiesta del ministro), i fatti commessi fino all’11 agosto 1998;

questa data corrisponde a quella di entrata in vigore della L. 3 agosto 1998, n. 269 il cui art. 10 ha sostituito l’art. 604 cod. pen. che, nella nuova formulazione, non prevede più la richiesta del Ministro per la procedibilità dei reati di cui agli artt. 609 bis e segg., commessi in danno di un cittadino straniero.

In conseguenza di questa modifica normativa la Corte di cassazione, ritenendo che l’innovazione normativa non potesse avere effetto per il passato, ha pronunziato annullamento senza rinvio per i fatti commessi anteriormente alla data indicata. Ha invece annullato con rinvio la sentenza di secondo grado, limitatamente ai fatti commessi dopo la data indicata, con riferimento alla motivazione sull’attendibilità delle persone offese per i capi A, B e C, all’acquisizione di documentazione negata dal giudice di appello e alla concessione delle attenuanti generiche.

2) Il giudizio di rinvio.

Giudicando in sede di rinvio la Corte d’Appello di Bologna ha ritenuto attendibili le dichiarazioni rese dai minori rilevando come le notizie sugli abusi sessuali commessi dall’imputato fossero emerse a seguito di confidenze fatte a terze persone estranee ai protagonisti della vicenda; che non era emersa alcuna ragione di rancore o di vendetta nei confronti del sacerdote; che le dichiarazioni si riscontravano tra di loro e con quelle delle persone offese per le quali era stata dichiarata l’improcedibilità.

Passando all’esame dei singoli episodi contestati la Corte ha confermato l’affermazione di responsabilità di D. per le violenze in danno di S.R.O.I. (capo A) rilevando come gli abusi fossero proseguiti fino al febbraio 1999; per le violenze in danno di R.G.J.C. (capo B) commesse fino all’aprile 1999; per quelle in danno di N.M.R. A. (capo C).

In particolare, per quanto riguarda quest’ultimo episodio (consistente nel toccamento dei genitali) la Corte ha rilevato che il minore aveva dichiarato che l’episodio si era verificato nel corso di un soggiorno nella città di Houston sita negli Stati Uniti d’America. Senonchè il minore a quel viaggio non aveva partecipato e la Corte ha peraltro ritenuto di confermare la veridicità anche per questo episodio ritenendo che l’episodio fosse avvenuto, in epoca prossima, a Miami (dove la persona offesa si era recata insieme all’imputato) e che il minore avesse errato per un cattivo ricorso nel riferire la località dove il fatto era avvenuto.

Peraltro, nel dubbio che l’episodio, pur ritenuto vero, potesse essersi verificato prima dell’11 agosto 1998, la Corte ha dichiarato l’improcedibilità per questo reato (capo C) e ha invece confermato la condanna per i reati di cui ai capi A e B oltre che per il capo D. Ha negato la concessione delle attenuanti generiche, riconosciuto la continuazione e ridotto la pena inflitta dal primo giudice.

3) I motivi di ricorso.

Contro la sentenza pronunziata nel giudizio di rinvio ha proposto ricorso D.M. deducendo, con il primo motivo, il vizio di motivazione in riferimento alla dichiarazione di improcedibilità per il reato di cui al capo C. Questo episodio, rileva il ricorrente, doveva essere escluso in esito a quanto emerso dall’istruzione dibattimentale essendo stato documentalmente provato che la persona offesa mai era stata a Houston dove aveva invece dichiarato essersi verificato l’episodio.

Manifestamente illogica è dunque la conclusione che N., ritenuto attendibile dai giudici di merito, si sia sbagliato. La Corte d’Appello avrebbe dunque dovuto assolvere l’imputato perchè il fatto non sussiste.

Con il secondo motivo, sempre con riferimento al capo C, si deduce analogo vizio di motivazione perchè la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto del fatto che nel corso di una conversazione intercettata nel 2006, tra persone che ignoravano l’esistenza di indagini in corso, si affermava esplicitamente che N. aveva mentito; ciò che, unitamente alla già acquisita prova documentale della falsità delle dichiarazioni del predetto, doveva convincere dell’assoluta inattendibilità del dichiarante. Da ciò consegue che il giudice del rinvio avrebbe dovuto esaminare in modo approfondito l’attendibilità anche delle altre persone offese ma, sotto questo profilo, la motivazione si limita a ribadire quanto già affermato nei precedenti giudizi di merito.

Con il terzo motivo si deduce ancora il vizio di motivazione con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche e alla determinazione della pena inflitta senza tener alcun conto degli elementi positivi della personalità dell’imputato e prendendo invece in considerazione condotte (i fatti per i quali è stata dichiarata l’improcedibilità o non si è proceduto) mai sottoposte alla verifica processuale.

Con il quarto motivo si denunzia invece la violazione dell’art. 597 cod. proc. pen., comma 3, perchè, nel determinare la pena, la Corte di merito sarebbe incorsa in una reformatio in peius avendo riconosciuto una continuazione interna, in relazione alla contestazione di cui al capo A, non presa in considerazione dai giudici del merito che, in precedenza, mai l’avevano ritenuta.

Con il quinto motivo si censura la sentenza impugnata per aver confermato nella loro interezza le statuizioni civili – comprese le spese tra le parti e la concessione di una provvisionale -malgrado la sentenza abbia dichiarato l’improcedibilità per il reato sub. C e per i reati previsti dai capi A e B per quanto riguarda i fatti commessi fino all'(OMISSIS).

Con il sesto motivo si censura infine la sentenza impugnata, sempre con riferimento alla determinazione della pena, per aver determinato la pena base per il reato di cui al capo A con riferimento all’ipotesi di reato aggravata prevista dall’art. 609 ter cod. pen. – fatti commessi in danno di persona che non ha compiuto i quattordici anni – malgrado i fatti commessi fino all’11 agosto 1998 siano stati dichiarati improcedibili e, a tale data, la persona offesa avesse già compiuto l’età indicata.

4) I giudizi di responsabilità in ordine ai fatti contestati.

Il ricorso proposto nell’interesse dell’imputato è fondato nei limiti di cui si dirà.

Va peraltro premesso all’esame dei motivi di ricorso che le censure proposte in merito all’affermazione di responsabilità del ricorrente riguardano essenzialmente il capo C d’imputazione (persona offesa NUNEZ M.R.A.) per il quale sono state articolate le specifiche censure già riassunte che saranno di seguito esaminate.

Alcuna specifica censura è stata invece proposta contro l’affermazione di responsabilità per i capi A (fatti commessi in danno di S.R.O.I.) e B (fatti commessi in danno di R.G.J.C.) salvo, in relazione al capo A, la censura che riguarda l’aggravante relativa all’età della quale parimenti si tratterà più avanti.

E’ vero che, all’interno del secondo motivo di ricorso, dopo aver trattato diffusamente la censura riguardante l’attendibilità della persona offesa di cui al capo C, il ricorrente estende questa critica anche alle persone offese di cui ai capi A e B ma si tratta di censure del tutto generiche estese agli altri fatti in contestazione quasi per proprietà transitiva: poichè le dichiarazioni di N. M. sono state documentalmente smentite (quanto al luogo di consumazione del reato) anche le dichiarazioni delle altre persone offese devono essere ritenute inattendibili.

Trattasi all’evidenza di censure inammissibili per genericità in presenza di una motivazione del giudice del rinvio che affronta espressamente, e certamente in modo non illogico, il tema dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dalle persone offese da questi reati. La sentenza impugnata, richiamando quella di primo grado, ha infatti ricordato come il procedimento sia iniziato a seguito di un esposto dei finanziatori della missione che avevano raccolto le dichiarazioni di alcuni ospiti della missione sulle violenze sessuali subite dal sacerdote; che le dichiarazioni delle vittime erano state confermate dai volontari che operavano nella missione e che avevano parimenti raccolto le dichiarazioni dei minori; che la credibilità delle vittime risultava confermata da una consulenza tecnica del pubblico ministero.

Il giudice di rinvio ha confermato queste valutazioni ricordando come le persone offese avessero reiteratamente confermato le accuse e ha precisato come alcune discordanze ne confermassero, in definitiva, la genuinità escludendo altresì che fosse emersa alcuna ragione di rancore da parte dei dichiaranti nei confronti dell’imputato.

Peraltro una conferma della fondatezza delle accuse in relazione ai fatti contestati poteva trarsi dai numerosi altri episodi per i quali non si è proceduto ma per i quali esistono dichiarazioni delle persone offese di analogo contenuto.

Deve dunque ritenersi che per questi episodi il giudice del rinvio abbia adeguatamente motivato sulla attendibilità delle persone offese e che in questa ricostruzione non sia presente alcuna illogicità (che neppure il ricorrente riesce ad individuare) e che comunque le censure proposte siano del tutto generiche e dunque inammissibili.

Ne consegue che l’affermazione di responsabilità per i reati descritti nei capi A e B deve ritenersi ormai definitivamente accertata (ovviamente nei limiti indicati dalla precedente sentenza di annullamento della terza sezione di questa Corte) salvo quanto di seguito si dirà in relazione all’aggravante contestata per il capo A. Ed ad analoga conclusione deve pervenirsi in relazione alla contestazione di cui al capo D (art. 600 quater cod. pen., commi 1 e 2: detenzione di materiale pornografico avente ad oggetto minori degli anni diciotto) per il quale non è stata proposta alcuna censura con i motivi di ricorso e che peraltro non aveva formato oggetto neppure del primo ricorso in cassazione.

5) L’aggravante di cui all’art. 609 ter cod. pen., comma 1.

Il sesto motivo di ricorso si ricollega all’affermazione di responsabilità per il capo A (fatti di violenza commessa in danno di S.R.O.I.) per il quale è stata riconosciuta l’aggravante prevista dall’art. 609 ter cod. pen., comma 1, n. 1 (fatto commesso in danno di minore degli anni quattordici).

Il motivo è fondato. La sentenza impugnata ha preso atto che la Corte di cassazione ha annullato senza rinvio la prima sentenza della Corte di merito limitatamente ai fatti commessi anteriormente all’11 agosto 1998 ma non ha considerato che, a tale data, S.R. O.I. aveva già compiuto i quattordici anni essendo nato il 6 marzo 1984; tanto che, nel capo d’imputazione, l’aggravante è contestata per i fatti commessi fino al 5 marzo 1998.

L’aggravante deve quindi essere esclusa in considerazione della circostanza che i fatti per i quali viene confermata la sentenza di condanna sono stati commessi dopo il compimento del quattordicesimo anno di età. 6) L’imputazione di cui al capo C e le conseguenze della mancanza della condizione di procedibilità.

Vanno ora esaminate le censure contenute nei primi due motivi di ricorso riguardanti le statuizioni adottate in merito all’imputazione di cui al capo C (fatto commesso in danno di N.M.R. A.) per il quale, come si è già accennato, il giudice del rinvio ha dichiarato non doversi procedere per difetto della condizione di procedibilità della richiesta del Ministro.

Escluso che il fatto addebitato all’imputato potesse essere avvenuto a (OMISSIS) – città dove la persona offesa non si era mai recata – la Corte di merito ha invece ritenuto che verosimilmente il ragazzo si era sbagliato e che il fatto doveva considerarsi commesso in (OMISSIS). In questa località, peraltro, N.M. si era recato due volte insieme all’imputato; la prima sicuramente prima dell’11 agosto 1998 perchè era rientrato il 4 agosto di quell’anno;

la seconda nell’agosto dell’anno successivo. Nel dubbio che il fatto potesse essersi verificato nel corso del primo di questi viaggi la Corte ha ritenuto di dover pronunziare la sentenza di improcedibilità.

A fronte di questa decisione il ricorrente propone censure dirette ad ottenere un proscioglimento nel merito ma questo risultato è precluso quando il giudice abbia accertato la mancanza di una condizione di procedibilità.

La giurisprudenza di legittimità è infatti uniforme nel ritenere che la mancanza di una tal condizione non consente una valutazione nel merito della fondatezza dell’accusa ed anzi preclude ogni accertamento sia pure diretto a fini diversi (si veda in termini Cass., sez. 5^, 17 marzo 2010 n. 24687, Rizzo, rv. 248386, nonchè, analogamente, Cass., sez. 5^, 24 marzo 2010 n. 20734, Mattiaz, rv.

247476, con riferimento alla possibilità di dichiarare la falsità di atti o documenti; sez. un. 24 settembre 2009 n. 49783, Martinenghi, rv. 245163, che ha affermato che il difetto di una condizione di procedibilità prevale anche sulla dichiarazione di estinzione del reato, per morte dell’imputato; sez. 5^, 25 novembre 2003 n. 581, Morazzini, rv.226974, secondo cui il difetto della condizione preclude, in caso di remissione della querela accettata, di rilevare le nullità verificatesi nel giudizio).

Non sono dunque ammissibili nel giudizio di legittimità le censure proposte contro la sentenza di rinvio riguardanti l’attendibilità della persona offesa. Ma se anche fosse possibile proporre una tal censura può rilevarsi che la sentenza impugnata ha fornito, su questo problema, una risposta esente da alcuna illogicità avendo motivato in modo adeguato sulla attendibilità del testimone e avendo convincentemente ricostruito i fatti ritenendo che il ragazzo fosse stato tradito dalla memoria collocando il fatto come avvenuto in Houston e non in Miami. Argomentazioni che si sottrarrebbero comunque al vaglio di legittimità, se consentito, perchè consistenti in una ricostruzione dei fatti ed in una valutazione di merito esenti, come si è detto, da alcuna illogicità. Ciò a maggior ragione per quanto concerne la censura contenuta nel secondo motivo di ricorso con il quale si chiede una rivalutazione del contenuto di una conversazione intercettata.

7) La reformatio in pejus in relazione al capo A d’imputazione.

Proseguendo nell’esame delle censure che riguardano i punti della sentenza impugnata riguardanti le statuizione di natura penale si deve rilevare la fondatezza anche del quarto motivo di ricorso con il quale si è dedotta la violazione dell’art. 597, comma 3 (divieto di reformatio in pejus da parte del giudice dell’impugnazione).

Com’è noto su questo problema si erano formati in passato orientamenti giurisprudenziali, anche di legittimità, contrastanti perchè, a fronte di un orientamento che riferiva il divieto di reformatio in pejus alle singole componenti della pena ed in particolare al reato o ai reati ritenuti in continuazione (in questo senso Cass., sez. 2^, 16 giugno 1998 n. 7892, Baruffa; sez. 6^, 1 febbraio 1995 n. 2796, Galana; 24 maggio 1994 n. 10101, Catracchi) se ne contrapponeva altro che, al contrario, riteneva che il divieto dovesse riferirsi esclusivamente alla pena complessiva inflitta (in questo senso v. Cass., sez. 6^, 25 giugno 1999 n. 12936, Castiglioni;

sez. 5^, 17 febbraio 1998 n. 5764, Bambolino; sez. 1^, 17 giugno 1997 n. 8576, Bindi; sez. 3^, 24 ottobre 1996 n. 11718, Bozzelli).

Quest’ultima soluzione veniva fondata sulla formulazione del comma 4 in esame che si riferisce espressamente alla pena complessiva irrogata e alcun riferimento fa alle singole componenti della sanzione ritenendosi altresì che alcun divieto potesse rinvenirsi nell’art. 597, comma 3, che avrebbe avuto di mira, secondo questo orientamento, una tutela di natura sostanziale dell’appellante che non doveva subire, in concreto, un peggioramento del trattamento sanzionatorio. Questa interpretazione leggeva la possibilità di dare al fatto una definizione giuridica più grave come elemento sintomatico della volontà del legislatore di recepire una visione di natura sostanziale del divieto di reformatio in pejus limitata al solo beneficio globale che deve conseguire all’accoglimento dell’appello restando inalterata la facoltà per il giudice di appello di operare le operazioni interne contestate.

Le sezioni unite di questa Corte – con una decisione il cui contenuto questa sezione condivide (sentenza 27 settembre 2005 n. 40910, M.W., rv. 232066) e che è stata successivamente seguita dalla giurisprudenza di legittimità – hanno accolto l’orientamento secondo cui il divieto di reformatio in pejus riguarda non soltanto la pena complessiva finale determinata dal giudice di appello ma anche i singoli componenti della medesima.

La Corte ha richiamato il disposto del quarto comma dell’art. 597 c.p.p., innovativo rispetto al codice di rito previgente (art. 515) che, letto alla luce della relazione preliminare – nella quale si afferma che, con l’introduzione di questo comma, si è inteso "rafforzare il divieto della reformatio in peius"; divieto che, nel vigore del vecchio codice, veniva sostanzialmente eluso dalla giurisprudenza – e ha tratto un argomento di conferma dalla natura devolutiva dell’appello che comporta una cognizione, da parte del giudice dell’impugnazione, limitata ai motivi proposti e ai punti e capi oggetto dell’appello con la conseguente intangibilità di quei punti che non abbiano formato oggetto di impugnazione.

Applicati questi principi al caso in esame non può che rilevarsi come la sentenza impugnata se ne sia discostata avendo applicato un aumento per la continuazione interna, relativa al capo A, che nella sentenza di primo grado non era stato applicato e questa statuizione non aveva formato oggetto di impugnazione del pubblico ministero tanto che il primo giudice di appello si era posto il problema se potesse applicare d’ufficio l’aumento risolvendo negativamente il quesito proprio in base alle argomentazioni fatte proprie dalle sezioni unite nella sentenza ricordata.

Anche questa statuizione va dunque annullata.

8) Il trattamento sanzionatorio.

Sono invece inammissibili, nel giudizio di legittimità, le censure riguardanti il trattamento sanzionatorio di cui al terzo motivo di ricorso e riguardanti la mancata concessione delle attenuanti generiche e la determinazione della pena inflitta (con esclusione, ovviamente, di quanto ha già formato oggetto di annullamento).

Il trattamento sanzionatorio – comprensivo del riconoscimento delle circostanze attenuanti e della loro comparazione con le eventuali aggravanti e della concessione dei benefici della sospensione condizionale e della non menzione – rientra nelle attribuzioni esclusive del giudice di merito e così anche la determinazione della pena da infliggere in concreto che, per l’art. 132 cod. pen., è applicata discrezionalmente dal giudice che deve indicare i motivi che giustificano l’uso di tale potere. In sede di legittimità è invece consentito esclusivamente valutare se il giudice, nell’uso del suo potere discrezionale, si sia attenuto a corretti criteri logico giuridici e abbia motivato adeguatamente il suo convincimento.

Nel caso in esame la sentenza impugnata si è attenuta ai criteri indicati facendo riferimento, per motivare il diniego sulla richiesta formulata di concessione delle attenuanti generiche, alla personalità negativa e spregiudicata dell’imputato, alla ripetitività delle condotte, ai gravi danni provocati su persone immature con pregiudizio sullo sviluppo delle loro personalità, alle attività di inquinamento della prova poste in essere dall’imputato.

Questa valutazione, essendo congruamente e logicamente motivata, si sottrae ad ogni censura in sede di legittimità.

Per quanto riguarda invece la determinazione della pena definitiva da infliggere all’imputato la correttezza delle considerazioni svolte nella sentenza impugnata andrà però rapportata alla pena prevista per l’ipotesi non aggravata dal giudice del rinvio che provvedere a rideterminare la pena con riferimento all’ipotesi non aggravata, eliminando l’aumento per la continuazione interna, e rivalutando altresì il giudizio di maggior gravità per il reato sub A anche per l’esclusione dell’aggravante.

9) La prescrizione dei reati di cui ai capi A e B. Le ragioni della richiesta.

Va a questo punto esaminato il problema, posto dai difensori del ricorrente – nel corso della discussione orale e con la memoria depositata all’udienza – relativo alla prescrizione dei reati sub A e B che sarebbe maturata dopo la sentenza pronunziata in sede di rinvio.

Secondo la tesi della difesa le date dei commessi reati sarebbero state erroneamente individuate dalla Corte del rinvio che ha collocato il reato sub A tra l’11 agosto 1998 e il febbraio 1999 e quello sub B nel marzo aprile 1999. Con questa pronunzia, peraltro, la Corte d’Appello avrebbe operato "una nuova e diversa contestazione" rispetto a quella operata dal pubblico ministero e non modificata nel corso del processo. Solo con la contestazione ai sensi dell’art. 516 c.p., il prolungamento del tempo del commesso reato avrebbe potuto trovare ingresso nel processo garantendo l’esercizio del diritto di difesa.

Rileva poi il ricorrente che la medesima Corte, nella prima sentenza di appello, aveva collocato il reato di cui al capo A nell’autunno inverno 1998 e quello di cui al capo B tra l’autunno 1998 e la primavera del 1999.

Poichè i reati per i quali si procede si prescrivono in anni dodici e mesi sei il reato sub A sarebbe certamente prescritto; quello sub B lo sarebbe ugualmente dovendosi, l’arco temporale indicato, essere interpretato secondo il principio del favor rei e quindi considerando cessata la condotta nel momento più lontano dell’arco temporale indicato.

L’estensione temporale operata dalla Corte di merito integra, secondo il ricorrente, non solo la nullità, a regime intermedio, prevista dall’art. 522 cod. proc. pen. ma altresì la nullità assoluta e insanabile prevista dall’art. 179, lett. b) del medesimo codice riguardante l’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale. In definitiva ci troveremmo in presenza di una palese violazione del principio del contradditorio, del principio di contestazione dell’accusa e di quello concernente l’iniziativa e l’autonomia del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale.

Infine, secondo il ricorrente, la statuizione della Corte in sede di rinvio violerebbe il giudicato formatosi a seguito della prima sentenza di appello che aveva individuato la data di consumazione dei reati nelle epoche già indicate; statuizione che, su questo punto, non aveva formato oggetto di ricorso neppure da parte del pubblico ministero.

10) Presupposti della richiesta di dichiarare prescritti i reati indicati.

Le censure proposte all’udienza di discussione, e dirette all’accertamento del decorso del periodo minimo di prescrizione per i reati di cui ai capi A e B di imputazione, sono inammissibili e comunque infondate anche se le premesse da cui traggono le mosse sono condivisibili.

E’ infatti corretto invocare la più favorevole disciplina oggi in vigore. Com’è noto la L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3 (che ha modificato la normativa del codice penale in tema di prescrizione) ha previsto una disciplina transitoria prevedendo che se, per effetto delle nuove disposizioni, i termini di prescrizione risultano più brevi si applicano i nuovi termini salvo che si tratti di processi pendenti, alla data di entrata in vigore della nuova legge, in grado di appello o davanti alla Corte di cassazione.

Questo assetto normativo è derivato anche dall’intervento della Corte costituzionale che ha dichiarato incostituzionale (v. sentenza 23 novembre 2006 n. 393) il comma 3 indicato nella parte in cui faceva riferimento anche ai processi pendenti in primo grado per i quali vi era stata la dichiarazione di apertura del dibattimento (e non alla mera pendenza del processo in primo grado).

Da un punto di vista interpretativo era rimasto aperto il problema di individuare il momento cui deve farsi riferimento per individuare la "pendenza" del processo e su questo tema si sono pronunziate le sezioni unite di questa Corte che, risolvendo il contrasto creatosi nella giurisprudenza di legittimità, con sentenza 29 ottobre 2009 n. 47008, D’Amato, rv. 244810, hanno accolto la tesi secondo cui la pendenza del grado di appello ha inizio con la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado.

Nel caso in esame deve ritenersi applicabile la più recente e favorevole normativa: i reati di cui ai capi A e B (eliminata per il primo l’aggravante ricordata), sono puniti con la pena della reclusione fino a dieci anni e, prima della modifica normativa, si prescrivevano in anni quindici; in base alla nuova disciplina si prescrivono in anni dodici e mesi sei). Alla data di entrata in vigore della L. n. 251 del 2005 (8 dicembre 2005), il processo non era pendente in grado di appello (la sentenza di primo grado è del 23 maggio 2007) e dunque, in base alla disciplina transitoria prevista dal già ricordato art. 10, deve applicarsi la nuova disciplina; solo se la sentenza di primo grado fosse stata pronunziata prima dell’entrata in vigore della L. n. 251 del 2005 si applicherebbe la precedente e sfavorevole normativa.

Parimenti condivisibile è la richiesta di non ritenere sospeso il decorso della prescrizione a seguito del rinvio dell’udienza del 16 giugno 2008 al 22 settembre 2008.

Com’è noto le sezioni unite di questa Corte hanno affermato (sentenza 28 novembre 2001 n. 1021, Cremonese, rv. 220509) il principio secondo cui " l’art. 159 c.p., comma 1, deve essere interpretato nel senso che la sospensione o il rinvio del procedimento o del dibattimento hanno effetti sospensivi della prescrizione, anche se l’imputato non è detenuto, in ogni caso in cui siano disposti per impedimento dell’imputato o del suo difensore ovvero su loro richiesta, salvo quando siano disposti per esigenze di acquisizione della prova o in seguito al riconoscimento di un termine a difesa." Nel caso in esame si rientra nel primo dei due casi di deroga perchè il rinvio fu disposto per l’acquisizione, da parte dell’appellante, dell’originale di un documento e quindi a fini di prova. Nè rileva che nella medesima udienza sia stata disposta la sospensione del decorso della prescrizione essendo questo provvedimento privo di efficacia a tale fine dovendosi ritenere che la causa di sospensione operi per la mera sua esistenza e che, per converso, una sospensione dichiarata al di fuori dei casi consentiti, sia priva di efficacia.

Non forma oggetto delle argomentazioni del ricorrente ma è opportuno precisare ancora che nel presente giudizio di legittimità, conseguente ad un annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione, la sopravvenienza della causa di estinzione del reato costituita dalla prescrizione può essere ancora rilevata perchè l’annullamento con rinvio è avvenuto su punti concernenti anche la responsabilità dell’imputato. Non si è dunque formato il giudicato nè può ritenersi esistente alcuna preclusione all’eventuale dichiarazione di estinzione del reato (cons., in questo senso, Cass., sez. Ili, 23 ottobre 2003 n. 47579, Arici, rv. 226646).

11) Rigetto della richiesta di dichiarare estinti per prescrizione i reati di cui ai capi A e B. Ciò premesso va preliminarmente osservato che i poteri della Corte di cassazione, in tema di accertamento della data del commesso reato, non differiscono dagli ordinari poteri del giudice di legittimità.

Nel senso che il giudice di legittimità deve prendere in considerazione la data del commesso reato contenuta nel capo d’imputazione ovvero quella accertata dai giudici di merito; non compete infatti alla Corte una ricostruzione fattuale estranea ai suoi compiti istituzionali (cfr. Cass., sez. 1^, 30 gennaio 2001 n. 11037, Ardito, rv. 218617; in senso ancor più rigoroso sez. 4^, 27 aprile 2000 n. 9944, Meloni, rv. 217255).

Naturalmente il giudice di merito, in particolare quello di appello o di rinvio) può errare in questo accertamento fattuale e dunque, in questi casi, è consentito alla parte che ne abbia interesse proporre ricorso deducendo o il vizio di motivazione quando l’accertamento della data del commesso reato sia avvenuto con criteri manifestamente illogici o il vizio del cd. travisamento della prova che può ravvisarsi nei casi in cui il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. Non si tratta, in queste ipotesi, di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione ma di verificare se questi elementi esistano.

Nel caso in esame non può dunque il ricorrente rimettere in discussione un accertamento fattuale compiuto dal giudice di merito la cui sentenza, sotto questo profilo, non ha formato oggetto di impugnazione.

Il ricorrente tenta peraltro di ovviare a questa conclusione deducendo una asserita nullità (che parimenti non forma oggetto dei motivi di ricorso) che si sarebbe verificata per aver ritenuto un fatto diverso ( art. 516 cod. proc. pen.) o un fatto nuovo (art. 518) con la conseguente nullità prevista dall’art. 522 cod. proc. pen.;

ma non solo, sarebbe ipotizzabile anche la nullità assoluta e insanabile prevista dall’art. 179 c.p.p., lett. b) del medesimo codice riguardante l’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale.

E’ però da osservare che il presupposto su cui si fonda la richiesta del ricorrente – l’Illegittima modifica della contestazione – non corrisponde alla realtà processuale. Il giudice del rinvio non ha infatti immutato l’imputazione aggiungendo fatti diversi o nuovi ma si è limitato a collocare diversamente nel tempo i medesimi fatti ritenuti accertati anche dagli altri giudici di merito. Non abbiamo dunque alcun fatto "nuovo" che si aggiunge a quelli originariamente contestati (si veda il caso esaminato da Cass., sez. 6^, 19 ottobre 2010 n. 6987, N., rv. 249461) o assolutamente difforme da quello contestato (v. l’ipotesi presa in considerazione da Cass., sez. 6^, 11 dicembre 2002 n. 8011, rv. 223947).

Del resto la giurisprudenza di legittimità ha precisato che la modifica della data del commesso reato non comporta un’alterazione avente incidenza sull’identità sostanziale dell’addebito a meno che la diversa collocazione temporale non condizioni le possibilità di difesa dell’imputato (cfr. Cass., sez. 5^, 22 novembre 2001 n. 6977, Calza, rv. 221385). Il che nella specie non è avvenuto (diversamente da quanto poteva ipotizzarsi per il capo C nel quale la data del commesso reato era fondamentale per valutare la credibilità della persona offesa) essendo rimaste integre le possibilità difensive dell’imputato (al quale non è stato contestato alcun fatto nuovo o diverso) e rilevando, la data del fatto accertato, esclusivamente ai fini della prescrizione.

Infondata è anche la pretesa del ricorrente secondo cui la statuizione della Corte in sede di rinvio violerebbe il giudicato formatosi a seguito della prima sentenza di appello che aveva individuato la data di consumazione dei reati nelle epoche già indicate e che, su questo punto, non aveva formato oggetto di ricorso neppure da parte del pubblico ministero.

In merito a questa censura va premesso che il giudicato si forma sui capi della sentenza e non sui punti della medesima (v. Cass., sez. un., 19 gennaio 2000 n. 1, Tuzzolino, rv. 216239); sui punti può formarsi una preclusione in caso di mancata impugnazione che non osta però alla possibilità di dichiarare estinto il reato.

Orbene la sentenza 31 ottobre 2008 della Corte d’Appello di Bologna, contrariamente a quanto si afferma nella memoria, non ha affatto individuato una data precisa di consumazione dei reati ma ha individuato un arco di tempo all’interno dei quali i medesimi dovevano essere ritenuti consumati. Quello di cui al capo A fin quasi all’epoca in cui la persona offesa avrebbe compiuto quindici anni (data che corrisponde al 5 marzo 1999) e quello di cui al capo B che è stato collocato tra l’autunno 1998 e la primavera del 1999.

Se dunque fosse anche corretta l’impostazione del ricorrente -ma non lo è perchè il giudicato si forma sul fatto reato e non sulle circostanze di fatto accertate nel giudizio: v. Cass., sez. 2^, 13 novembre 2008 n. 45153, Uccisero, rv. 242210; sez. 1^, 2 dicembre 1998 n. 1495, Archine, rv. 212271 – non era dunque precluso al giudice del rinvio procedere ad un’ulteriore specificazione della data del commesso reato quanto meno all’interno dell’arco temporale individuato dalla prima sentenza di appello.

Accertamento che, in mancanza di nullità assolute o comunque rilevabili d’ufficio, andava – lo si ribadisce – censurato con i motivi di ricorso.

12) Le statuizioni civili.

Fondato è anche, nei limiti di cui si dirà, il quinto motivo di ricorso riguardante la conferma delle statuizioni civili adottate nel primo grado di giudizio. Il giudice del rinvio ha infatti confermato integralmente tali statuizioni – comprese le spese tra le parti e la concessione di una provvisionale malgrado la sentenza abbia dichiarato l’improcedibilità sia per il reato di cui al capo C che per i reati previsti dai capi A e B per quanto riguarda i fatti commessi fino all'(OMISSIS).

Il motivo è integralmente fondato per quanto riguarda le statuizioni adottate dal primo giudice a favore di N.M.R.A. persona offesa nel reato di cui al capo C. La dichiarazione di non doversi procedere per la mancanza di una condizione di procedibilità preclude al giudice di adottare alcuna statuizione non solo penale ma, ovviamente, anche di natura civile.

Tali statuizioni adottate dal primo giudice e confermate da quello di rinvio vanno dunque eliminate unitamente alla concessione di una provvisionale e alla condanna alle spese.

Diversa soluzione va invece adottata per quanto riguarda la pronunzia al risarcimento dei danni in favore delle parti civili S.R. O.I. e R.G.J.C. (persone offese nei reati di cui ai capi B e C). In questo caso il primo giudice ha riservato a separato giudizio la liquidazione dei danni subiti e questa statuizione è corretta anche a seguito della dichiarazione di improcedibilità per i reati commessi fino all’11 agosto 1998 di cui il giudice della liquidazione dovrà tener conto escludendoli dalla liquidazione.

Diverse sono le conclusioni in merito alla concessione di una provvisionale a favore delle parti civili S.R. e R. G.. In questo caso la richiesta di riduzione della provvisionale è del tutto generica e non può derivare automaticamente dalla delimitazione temporale dei commessi reati; il ricorrente avrebbe dovuto, infatti, per ottemperare all’onere di specificità e decisività delle censure proposte, indicare le ragioni della ritenuta sopravvenuta non adeguatezza della somma liquidata a titolo di provvisionale.

Le altre statuizioni civili, peraltro non oggetto di impugnazione, vanno invece confermate.

13) Conclusioni.

Il ricorso proposto va dunque accolto nei limiti indicati con annullamento della sentenza impugnata limitatamente ai punti già indicati e rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Bologna per la rideterminazione della pena.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Sezione 4^ penale, annulla la sentenza impugnata limitatamente:

1) al riconoscimento, in relazione alla contestazione di cui al capo A), dell’aggravante prevista dall’art. 609 ter cod. pen., comma 1, n. 1;

2) alla continuazione interna riconosciuta per la contestazione di cui al capo A);

3) alla condanna al risarcimento dei danni ed al riconoscimento della provvisionale in favore N.M.R.A. – statuizioni – queste ultime – che elimina unitamente alla condanna alle spese.

Rinvia per la determinazione della pena ad altra sezione della Corte d’Appello di Bologna.

Liquida le spese sostenute dalle parti civili in complessivi Euro 3.000,00 oltre accessori come per legge.

Rigetta il ricorso nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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